Introduzione alla letteratura del Medioevo Centrale
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Se nell’alto Medioevo il luogo di produzione della cultura letteraria era di fatto quasi unicamente il monastero, nei secoli XI e XII i centri di produzione culturale si moltiplicano, così come gli attori sulla scena letteraria. Con la nascita delle città e lo sviluppo di una molteplicità di corti signorili e feudali, che si affiancano ai monasteri, a loro volta rinnovati da riforme profonde e incisive, si viene a creare una pluralità di situazioni, di modelli e soggetti culturali e di voci che danno espressione a questa realtà mossa e differenziata.
Le città sono uno spazio di libertà e di sviluppo autonomo di nuove esperienze culturali, ma sono pure il luogo in cui più forte si avverte l’esigenza di una rifondazione e di una ricodificazione del diritto e della retorica, anche attraverso il recupero dei modelli antichi. La volontà di rendere più salda l’identità politica e istituzionale dei Comuni conduce a un uso sempre più consapevole e raffinato della retorica come tecnica per la comunicazione pubblica e per l’autorappresentazione autorevole dell’istituzione politica, ma pure come strumento per regolare e incanalare il conflitto politico.
Anche per questo il diritto e la retorica hanno un ruolo così importante nella nascita delle università, e nelle università italiane, prima fra tutte Bologna, si afferma la nuova scuola retorica delle artes dictandi o dictaminis (arti della composizione), che diffondono presso un pubblico sempre più vasto di professionisti della parola, quali giudici e notai, le tecniche della comunicazione efficace. Dall’uso di dettare (dictare) le lettere a voce alta, il verbo dictare passa a significare semplicemente “comporre”: per questo l’insieme delle norme tecniche per la composizione di una lettera prese il nome di ars dictandi o dictaminis. Questa volontà di comprendere e formalizzare le regole della composizione retorica, rendendone più ampio e facile l’accesso, viene a coinvolgere progressivamente le altre aree della comunicazione orale e scritta: il discorso politico (artes arengandi), la predicazione e il discorso religoso (artes praedicandi), la poesia e il discorso letterario (artes poeticae o poetriae).
Ma accanto alle città con i loro nuovi intellettuali educati alle scienze giuridiche e alle arti retoriche nelle università, i monasteri continuano a essere i centri più operosi di ricezione e di produzione culturale. Nei secoli XI e XII gli scriptoria monastici sono sempre i luoghi in cui viene copiata la maggior parte dei codici, con una cura filologica crescente e con un sempre maggiore sviluppo degli apparati interpretativi. E i commenti, apprestati nei monasteri e nelle scuole cittadine, organizzati in sistemi di glosse, riguardano sempre più spesso non solo i testi sacri ma anche le opere degli antichi, Virgilio, Terenzio, Ovidio, Stazio, per citarne solo alcuni. Tranne pochi casi i nuovi commenti elaborati in questi secoli finiscono per sostituire quelli vecchi prodotti fra IV e V secolo, che avevano resistito lungo tutta l’età altomedievale.
L’attivismo culturale di una pluralità di centri è testimoniato in modo particolare dalla storiografia, che vede numerosi soggetti politici e religiosi di diverso tipo promuovere la fissazione della memoria storica dei monasteri, dei regni, dei popoli, delle città in un orizzonte universale.
E anche la produzione poetica risente della moltiplicazione dei centri di elaborazione culturale. All’incrocio fra corti e monasteri, scuole vescovili e città, contatti e viaggi internazionali, si snoda la molteplice esperienza dei poeti attivi nella regione della Loira fra XI e XII secolo: Marbodo di Rennes, Baldrico di Bourgueil, Ildeberto di Lavardin. E ancora più mossa e itinerante è la cultura documentata dalla poesia goliardica, che pure ha nelle scuole e nelle città i luoghi di ideazione, produzione e consumo, ma che tocca variamente anche i monasteri e le corti. L’ambiente monastico offre ancora esempi di intensa poesia latina di ispirazione religiosa, come quella di Alfano di Salerno e Pier Damiani nell’XI secolo. Un prestigio particolare raggiunge nel XII secolo la scuola vescovile di Chartres, celebre per gli studi teologici, filosofici e scientifici. Ma dalle dottrine elaborate a Chartres nasce anche la straordinaria stagione della poesia didattica e allegorica con i suoi massimi rappresentanti Bernardo Silvestre e Alano di Lilla.
I monasteri sono anche il luogo in cui si elaborano i testi più alti della spiritualità e del discorso religioso, dalla trattatistica ascetica di Pier Damiani al profetismo visionario di Ildegarda di Bingen e a quello esegetico di Gioacchino da Fiore, per non dire di uno degli intellettuali più influenti di quest’epoca, il cistercense Bernardo di Chiaravalle, la cui produzione spazia in tutti i generi della prosa sacra, lettere, sermoni, trattati teologici, ascetici, mistici, polemici, e la cui perizia retorica gli vale il titolo di dottor mellifluus. E un altro centro monastico, l’abbazia parigina di San Vittore, diviene nel XII secolo un importantissimo luogo di elaborazione culturale, con lo sviluppo della teologia mistica di Ugo e Riccardo di San Vittore.
Ma non solo la grande letteratura spirituale e la trattatistica teologica e mistica hanno negli ambienti monastici i centri più attivi di produzione e diffusione: anche un genere “popolare” e diffuso in tutta Europa come quello delle visioni dell’aldilà trova nei monasteri non solo gli autori e i diffusori, ma spesso pure i protagonisti.
Anche la nascita delle letterature volgari d’Europa deve molto alla molteplicità dei centri di elaborazione culturale. In molte lingue le prime attestazioni e i primi documenti provengono da ambienti monastici e anche alcuni fra i testi poetici più antichi si devono in molti casi a iniziativa monastica, come i testi agiografici in lingua d’oïl (Vie de saint Alexis) e lingua d’oc (Sancta Fides) dell’XI secolo, o quelli in volgari italiani del secolo successivo, tra cui il Ritmo su sant’Alessio (fine secolo XII), elaborato nell’ambiente benedettino marchigiano.
Ma ben presto le letterature volgari si mostrano capaci di affrontare una pluralità di generi e di mettere in scena una grande varietà di attori legati ai più diversi ambienti sociali e culturali. Sono tuttavia le corti, con la formazione di una nobiltà laica esterna alla cultura latina ecclesiastica, il teatro in cui le letterature volgari conoscono la più splendida espressione. E le corti propongono così anche i valori fondanti delle esperienze letterarie più influenti: la civiltà cortese si rispecchia idealizzata nell’epica, e soprattutto nel romanzo e nella lirica.
Fra i valori che la civiltà cortese codifica al centro della propria esperienza culturale e letteraria ha una preminenza assoluta l’amore. La “cortesia” è infatti un insieme di virtù e di comportamenti, ma innanzitutto un modo nuovo di intendere l’amore. Così l’eroe cortese, nei romanzi cavallereschi e nella lirica, non è concentrato esclusivamente sull’adempimento dei propri doveri militari, religiosi, familiari, come l’eroe epico, ma è anche intimamente mosso dall’amore. E l’amore cortese è poi oggetto di una riflessione dottrinale nel trattato De amore di Andrea Cappellano, scritto nel XII secolo presso la corte di Maria di Champagne. Alla dottrina dell’amore cortese si collega un nuovo ideale di nobiltà, fondato sulla nobiltà morale e interiore, ma soprattutto il riconoscimento della potenza inarrestabile dell’amore, più forte delle barriere sociali e collocato al di sopra dei vincoli matrimoniali. Tuttavia nelle realizzazioni più alte la fin’amor è l’ideale di un amore puro e disinteressato, in cui la soddisfazione del desiderio è sempre differita o negata, e anzi per statuto irraggiungibile.
Ma accanto alla letteratura dell’amore cortese si assiste in questo periodo anche alla grande ripresa di una poesia latina nutrita del modello ovidiano dell’Ars amandi, impegnata a cantare l’amore in termini meno idealizzati e più terreni, lasciando ampio spazio alla dimensione sensuale solitamente esclusa dalla lirica e dal romanzo cortesi. E l’amore è protagonista drammatico delle vicende biografiche di uno dei massimi intellettuali del XII secolo, Pietro Abelardo, il cui amore contrastato con Eloisa è rievocato e celebrato nel loro epistolario. È un’esperienza esistenziale e letteraria in cui sembrano convergere le diverse immagini dell’amore che attraversano il secolo: l’amore cortese nelle realizzazioni liriche (Abelardo avrebbe composto anche molte canzoni per Eloisa) e romanzesche; l’amore carnale con la sua fiamma di esaltazione sensuale e i suoi ritorni di pentimento; la rinuncia alla fisicità dell’amore per volgersi a una sua spiritualizzazione e a una conversione verso l’amore divino.
Anche la cultura religiosa sembra ora partecipare a questo clima e alla celebrazione del primato dell’amore. Così negli ambienti monastici del XII secolo si commenta instancabilmente il Cantico dei Cantici, il libro erotico per eccellenza della Bibbia, con il contributo di alcuni fra i massimi intellettuali del tempo fra cui Guglielmo di Saint-Thierry, Riccardo di San Vittore, Bernardo di Chiaravalle, Alano di Lilla. E la teologia mistica, sia nelle elaborazioni di Bernardo che in quelle dei vittorini, diviene una teologia dell’amore, quell’amore che solleva l’uomo verso Dio nell’esperienza mistica e che trasforma l’essere umano attraverso un processo di “deificazione”.
L’eredità contraddittoria ma vitale di questa pluralità di concezioni dell’eros sarà esplorata nelle sue relazioni e nei suoi conflitti dagli autori più rappresentativi dei secoli seguenti, da Francesco d’Assisi a Petrarca e a Boccaccio, passando attraverso il Roman de la Rose, Iacopone da Todi e l’intrepida riflessione dantesca, che va dalle rime giovanili all’ultimo verso della Commedia, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.