Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Periodizzazioni
Le periodizzazioni storiche cambiano a seconda delle discipline. Nelle arti un concetto come quello di Rinascimento certamente copre buona parte dell’arte del Quattrocento e buona parte del Cinquecento (anche se alcuni storici fanno finire il Rinascimento al 1520, anno della morte di Raffaello, e vedono subito dopo l’inizio del manierismo). In letteratura alcuni storici non italiani fanno iniziare il Rinascimento almeno da Petrarca e Boccaccio. In filosofia alcuni considerano Umanesimo e Rinascimento come un nuovo capitolo rispetto al pensiero medievale. Eppure, se anche fosse possibile fissare una linea di discrimine tra Quattrocento e Cinquecento, ci sono profonde differenze tra la filosofia di questi due secoli.
Reazioni e trasformazioni
Quattrocento e Cinquecento si caratterizzano certamente per una reazione alla filosofia delle scuole medievali, anche se, come sempre, vedendo la vicenda dalla parte dei vincitori: la filosofia scolastica continua a prevalere appunto nelle scuole universitarie, e si parla a buona ragione di una scolastica postriformistica che va avanti a produrre sino al Seicento avanzato, e con risultati non disprezzabili sul piano della teologia o della logica (si pensi soltanto a personaggi come Suárez o Molina).
Possiamo dire che con l’umanesimo quattrocentesco l’uomo, sino ad allora periferia dell’universo, ne diviene il centro (basti pensare all’Orazione sulla dignità dell’uomo di Pico della Mirandola); è sempre nel Quattrocento che al commento dei Testi Sacri e teologici ufficiali, praticato nelle università, si sostituisce una lettura fresca e meravigliata di testi antichi, greci e orientali, in ambienti extrauniversitari, e alla teologia si sostituisce un culto delle humanae litterae. E anche questo è innegabile.
Tuttavia il pensiero filosofico subisce alcune profonde trasformazioni nel passaggio (non computabile in anni o decenni) tra Quattrocento e Cinquecento.
Diciamo che il Quattrocento (sempre tenendo presenti le posizioni storicamente “vincenti”) sostituisce una teologia aristotelica con una teologia platonica. Nel passaggio tra i due secoli avvengono alcuni fatti che non hanno un immediato rapporto con la storia della filosofia e che tuttavia impongono al pensiero filosofico una serie di riflessioni che non possono essere eluse.
Alcune date
Ecco alcune date non-filosofiche. Nel 1492 la scoperta dell’America apre la cultura europea a nuovi problemi, al confronto con nuove civiltà; la liberazione della penisola iberica dai Mori stabilisce nuovi equilibri tra gli Stati europei, e il bando che esilia gli Ebrei dai territori sottratti ai Saraceni in Spagna diffonde per tutta l’Europa meridionale una cultura ebraica e in particolare cabalistica.
Nel 1543 la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico ribalta la visione tradizionale dell’universo e pone la terra alla periferia del cosmo; Galileo, Keplero, Newton verranno dopo, ma l’impressione rimane indelebile sulla cultura del secolo, e non si potrà più tornare indietro.
Nel 1517 inizia, almeno per convenzione, la Riforma protestante: è una scossa che coinvolge il pensiero teologico, filosofico, ermeneutico dell’intera società europea, sia che ci si dichiari pro o contro. Persino un’altra data, il 1545, l’inizio del concilio di Trento, con la nascita di una nuova Chiesa cattolica e, in quegli stessi anni, la nascita dei Gesuiti, dipende da quel terremoto storico.
Figure centrali nella storia della filosofia del secolo, come Thomas More o Erasmo da Rotterdam, saranno impegnate in quel confronto di dimensioni epocali, i cui risultati ci coinvolgono ancora.
Basterebbe aggiungere che nel crinale tra i due secoli,gli Stati europei prendono forma definitiva e per la loro legittimazione o per una nuova teoria dello Stato si battono alcune delle più fervide menti dell’epoca. Comunque si vogliano considerare Machiavelli o Bodin (che esprimono due diverse concezioni della politica), essi si sforzano di presentare due diverse soluzioni teoriche alla nuova situazione politica europea.
Questo è il secolo delle utopie: inizia con l’Utopia di Thomas More e si conclude con La città del Sole di Campanella (scritta, anche se non pubblicata, agli albori del secolo seguente). Comunque si vogliano considerare le differenze tra queste due concezioni di una “città” a venire, esse esprimono l’idea che si debba pensare una riforma della vita politica, e sanciscono entrambe la fine della visione feudale della società. Che poi in entrambe le “città” nessuno di noi oggi desideri vivere, o che entrambe esprimano, come è stato detto, una visione “comunistica” e autoritaria della divisione dei beni e dei compiti sociali, questo è attribuire al secolo qualcosa a cui non può ancora pensare.
Fatto sta che in entrambe le utopie appare la volontà di una trasformazione politica che supera l’ordine immutabile delle cose.
L’umanesimo, si è detto, sostituisce una teologia all’altra: il Cinquecento propone nuove visioni della natura. Non è da trascurare la personalità “filosofica” di Leonardo, non tanto per la sua attenzione al mondo della tecnica, quanto per il suo richiamo (che in lui è pratica pittorica prima che teorica) all’osservazione dei fenomeni. Abissi separano le filosofie di Pomponazzi da quelle di Telesio o di Campanella, tuttavia è presente in tutte una nuova attenzione del rapporto tra anima e corpo, e al primato del senso nell’osservazione delle cose naturali.
Tra magia e “realismo”
Esiste una magia cinquecentesca come esisteva una magia quattrocentesca. In entrambi i casi si esprime l’idea di una capacità umana di modificare il corso della natura, ma forse nell’umanesimo la magia (si pensi a Ficino) era regola per vivere in armonia con le leggi naturali, nel Cinquecento diviene strumento per alterare, migliorare, sviluppare l’ordine delle cose naturali.
La magia di Ficino ci indirizzava a un rapporto armonico con una natura ordinata, la magia di Bruno, invece, ci proietta verso l’infinità dei mondi, freme di una inesauribile apertura del cosmo, prelude alle vertigini astronomiche e metafisiche del Seicento.
Intanto, persino in pensatori politici della potestà regia come Bodin e in scettici individualisti come Montaigne si sviluppa una idea della tolleranza che sarà pienamente trattata solo nel secolo a venire. Ma mentre prima si cercava ancora di comporre un’armonia tra l’uomo, nuovo protagonista e il cosmo, ora (si veda lo scetticismo di Montaigne o l’equilibrio sorridente di Erasmo) l’uomo si misura da solo di fronte al mondo, sapendo che i suoi strumenti di decifrazione del mistero cosmico sono provvisori, terreni; per non dire, con Machiavelli o Guicciardini, che l’uomo decide di comportarsi “pragmaticamente” nei confronti del mondo, senza teologie e con smagato realismo.
Possiamo certo sentire i filosofi del Cinquecento lontanissimi da noi e domandarci che cosa ci leghi a Pomponazzi o a Telesio. Ma se noi siamo come siamo è perché essi hanno dato inizio a una nuova era, in cui si pensa in modo diverso rispetto ai secoli precedenti. In questo senso possiamo ancora accettare quella che è solo una metafora, quella di “Rinascimento”. Forse di rinascita non si tratta, bensì di lento sviluppo di discorsi precedenti, ma certamente di rinnovamento, rottura, di convinzione che l’ordine del mondo non sia immutabile e che tocchi a noi trasformarlo, dalla medicina (Paracelso) all’interpretazione dei Testi Sacri (Lutero). “Atteggiamento prometeico”, è stato detto. Che fosse bene o male, così è stato.
Volendo essere severi, il Cinquecento è stato un secolo arrogante. Ma noi ne siamo gli eredi, nel bene come nel male, e sarà esercizio di umiltà capirlo.