Intossicazione
Con il termine intossicazione, che viene dal latino medievale intoxicare, "somministrare un veleno", derivato da toxicum, "veleno", ed è sinonimo di avvelenamento (v.), si indica lo stato morboso, acuto o cronico, dovuto all'azione svolta sull'organismo da sostanze di per sé stesse nocive, o divenute tali per particolari condizioni (concentrazione elevata, diminuzione dei normali poteri organici di difesa, alterazione della crasi ematica ecc.), che provocano nei tessuti e negli organi alterazioni reversibili o irreversibili, comprendendo tra queste anche gli effetti oncogeni e mutageni.
l. Classificazione
Le intossicazioni sono dette endogene o esogene a seconda che la sostanza nociva che ne è all'origine provenga dall'interno o dall'esterno dell'organismo. Rientrano nel primo gruppo, quello delle intossicazioni endogene i casi dovuti ad alterazioni del metabolismo (produzione o accumulo di acetaldeide, acetone, indacano, acido piruvico, porfirine ecc.), a malattie renali (intossicazione uremica), all'assorbimento attraverso il canale digerente di sostanze alimentari denaturate o di sostanze tossiche prodotte dalla flora intestinale o da elminti, alla neoformazione di sostanze tossiche in seguito a traumi, ustioni, cancrene, all'accumulo di metaboliti, all'alterazione di organi deputati alla neutralizzazione, fissazione ed eliminazione di sostanze tossiche (sistema reticoloendoteliale, fegato, polmoni, reni, cute ecc.). Al gruppo delle intossicazioni esogene, invece, sono da ascrivere i casi imputabili all'assorbimento o all'assunzione di veleni di qualsiasi natura (vegetale, minerale, animale, di sintesi), all'ingestione di alimenti avariati, oppure incongrui o contenenti sostanze tossiche (funghi, mandorle amare, farine inquinate da sclerozi di segale cornuta o di Ustilago maydis, insalate con erbe velenose, tossine di origine batterica ecc.), a punture o morsi di animali velenosi (pesci, molluschi, vermi, insetti, serpenti ecc.), a contatto e assorbimento in dose adeguata di sostanze chimiche, naturali oppure sintetiche. In rapporto alle particolari modalità con cui avvengono, si distinguono intossicazioni medicamentose o iatrogene, dovute a sostanze utilizzate come farmaci; intossicazioni criminose, imputabili all'azione di sostanze introdotte nell'organismo per provocare la morte o per ottenere particolari effetti, quali l'aborto; intossicazioni professionali, causate dall'assorbimento di sostanze presenti nell'ambiente di lavoro; intossicazioni voluttuarie, conseguenti all'assunzione abituale di sostanze con effetti particolari sullo stato psichico del soggetto, come l'alcol e le sostanze stupefacenti o stimolanti in generale (tossicomanie, tossicodipendenze); intossicazioni accidentali, in seguito a punture o morsi di animali velenosi, a errori o imprudenze, ad accidenti. In particolare, per quanto riguarda il danno iatrogeno da farmaci si deve tenere ben presente che qualsiasi farmaco può essere tossico qualora la dose raggiunga un determinato limite: in altre parole, in dipendenza della dose, ogni farmaco può diventare veleno. È comunque molto difficile riuscire a scoprire la connessione fra un determinato farmaco e un particolare quadro morboso, anche per l'inevitabile ritardo con cui si evidenziano i danni che richiedono molti anni per svilupparsi, come tipicamente avviene per l'oncogenesi iatrogena. La scienza che studia le sostanze tossiche, gli effetti che determinano, i meccanismi d'azione e i metodi di trattamento degli avvelenamenti nonché delle intossicazioni esogene è detta tossicologia.
2.
Un tempo, il termine intossicazione veniva usato per designare la presunta azione dannosa di effluvi, miasmi o esalazioni derivanti da alterazioni dell'aria prodotte da cause naturali non biologiche, specialmente cosmotelluriche, senza alcun riferimento all'esistenza di un 'contagio vivo', con particolare riguardo alle febbri palustri: si ricorreva così agli 'effluvi delle paludi' e alla 'intossicazione palustre' per spiegare l'eziologia della malaria. Il significato della parola fu poi esteso a indicare i fenomeni morbosi provocati da veleni assorbiti in quantità minime, ma in modo continuo e per la durata di anni, anche a causa della scarsa solubilità, come nel caso dei sali insolubili di mercurio e di piombo. Rientrano in questo gruppo quadri ormai classici di intossicazioni croniche, quali il saturnismo (v. oltre) e l'idrargirismo. L'idea che l'intossicazione fosse dovuta all'azione continuata di una sostanza tossica, e quindi con una lenta insorgenza e un andamento cronico della fenomenologia morbosa, fu considerata in seguito superata, e tuttavia ancora conserva un certo significato se si tiene conto che la tossicità di numerose sostanze può rimanere ignota per molto tempo, fino a quando l'osservazione di fenomeni morbosi costanti permetta di stabilire un nesso causale. È questo il caso, per es., dell'alluminio, che era considerato innocuo fino a tempi relativamente recenti, ma che in realtà può produrre gravi effetti neurotossici, come è stato dimostrato da A.C. Alfrey e i suoi collaboratori (1976) in pazienti uremici sottoposti a trattamento dialitico, affetti dalla cosiddetta demenza dialitica; anzi, questo metallo è stato indicato da alcuni autori, smentiti da altri (Malizia 1987), come causa o meglio concausa nell'insorgenza della sindrome di Alzheimer. Un caso esemplare di azione tossica a lungo non riconosciuta è rappresentato dalla cosiddetta epidemia di Saval dell'inizio degli anni Quaranta del 20° secolo. Essa consistette in disturbi neurologici comparsi nei lavoratori e negli abitanti di una fattoria alla periferia di Verona, allora diagnosticati come una polinevrite di probabile origine virale, ma la cui causa fu identificata soltanto nel 1994 nel triortocresilfosfato che contaminava il terreno liberandosi da una discarica. Si può ricordare, ancora, l'intossicazione cronica da piombo, o saturnismo (termine derivato da saturno, nome del piombo nell'alchimia medievale), diffusa nel mondo antico, nel Medioevo e fino a tutto il Settecento, la cui esistenza e i cui fenomeni rimasero a lungo ignorati. Il saturnismo si manifestò fin dall'antichità classica come conseguenza dell'aumentata esposizione al metallo, dovuta al forte incremento della sua produzione e del suo impiego. Ciò portò a un vero e proprio inquinamento atmosferico, derivante dalle tecniche metallurgiche che causavano il passaggio nell'atmosfera di ingenti quantità di piombo. A ciò si aggiunga la consuetudine, introdotta in epoca romana ma rimasta fino a tutto il Settecento, di aggiungere sali di piombo (per es., l'acetato neutro, o zucchero di piombo, o di saturno, solubile in acqua e di sapore dolciastro) al vino già fermentato per addolcirne il sapore. All'intossicazione alimentare da piombo è dovuta la 'gotta saturnina', particolarmente frequente in Inghilterra tra il Settecento e l'Ottocento: il metallo, agendo sui tubuli renali, provoca la ritenzione di acido urico; inoltre, la gotta saturnina può essere causata anche dalla deposizione nelle articolazioni di cristalli di guanina, una purina altamente insolubile, derivante dall'inibizione esercitata dal piombo sull'attività della guanasi (guanina-aminoidrolasi). Gli effetti del saturnismo sono tali che è stata avanzata l'ipotesi che esso abbia contribuito al declino dell'Impero Romano (Nriagu 1983).
l. Vie di introduzione e di eliminazione
La via di introduzione di un tossico ha un'importanza primaria per l'inizio e il decorso dell'intossicazione. I tossici possono penetrare nell'organismo attraverso diverse vie: via digestiva, via aerea-polmonare, via cutanea e mucosa, via parenterale.
a) Via digestiva. È quella più comune. La rapidità di assorbimento non dipende soltanto dalla struttura anatomica dell'apparato digerente, ma anche dallo stato funzionale e dal contenuto dello stomaco e dell'intestino; la barriera epatica inoltre, se integra, diminuisce l'assorbimento. L'intestino è l'organo principale di assorbimento gastrointestinale, essendo le sue pareti le più permeabili. Se il tossico penetra attraverso l'orifizio anale, il retto ne consente un assorbimento rapido. Va, tuttavia, ricordato che molte sostanze tossiche a struttura chimica organica (per es., curari e veleno di serpenti) sono innocue se assunte per questa via, in quanto digerite dai succhi gastrointestinali. Le intossicazioni che conseguono all'ingestione di tossici difficilmente assorbibili hanno un decorso lento e ciò può consentire la neutralizzazione della sostanza e favorirne l'eliminazione.
b) Via aerea-polmonare. L'inalazione di vapori e gas tossici è molto rapida e aggressiva, tanto da essere simile, sotto certi aspetti, alla via endovenosa. Ciò è dovuto alla grande estensione della superficie degli alveoli polmonari e alla debole barriera opposta dal loro endotelio. La mucosa respiratoria può essere attraversata anche da polveri e solidi finemente divisi.
c) Via cutanea e mucosa. Le sostanze tossiche solubili nei lipidi o sciolte nei grassi sono in grado di utilizzare come porta d'entrata la pelle. La via mucosa è molto meno importante, in quanto può essere utilizzata solamente da alcuni tossici, quali atropina e cocaina (il sublimato può entrare nell'organismo attraverso la mucosa genitourinaria).
d) Via parenterale. La penetrazione per via sottocutanea, intramuscolare o endovenosa, di soluzioni tossiche è caratteristica delle intossicazioni medicamentose, per dosi eccessive, errori terapeutici, ipersensibilità, o per fini suicidi o di droga. La via sottocutanea e, in grado minore, quella intramuscolare sono la porta d'ingresso di veleni e tossine trasmessi per puntura di insetti o morsi di animali.
Per quanto riguarda l'eliminazione, la via renale è molto importante per i tossici solubili in mezzo acquoso; l'entità dell'eliminazione dipende dalla concentrazione nel sangue e dal volume della diuresi. La via digestiva, meno importante della renale, viene utilizzata per eliminare i tossici insolubili e quelli non assorbibili. Attraverso la via respiratoria si eliminano quelli gassosi e volatili, in rapporto alla loro tensione e al volume respiratorio. La via cutanea, mediante il sudore, svolge una funzione importante, specie quando la via renale è deficitaria. Le sostanze tossiche possono passare anche attraverso la placenta e la via mammaria, provocando intossicazioni nel feto e nel lattante.
I tossici possono essere trasformati dall'organismo, principalmente nel fegato, in sostanze meno lesive o addirittura atossiche mediante meccanismi di disintossicazione. Tra questi meccanismi i principali sono: 1) la coniugazione (per es., la solfoconiugazione e quella glucouronica con glicocolla) con conseguente eliminazione renale della molecola risultata atossica; 2) l'ossidazione, il meccanismo più importante, il cui maggiore agente è l'enzima idrossilasi microsomiale (chiamato citocromo P 450, perché lo spettro di assorbimento massimale della forma ridotta dal CO₂ è a 450 nm) e che consiste nell'aggiunta di ossigeno o nella perdita di idrogeno da parte del tossico; 3) la riduzione, meno frequente e importante, che comporta la perdita di ossigeno e l'aggiunta di idrogeno; 4) l'idrolisi, o scissione chimica mediante acqua in metaboliti meno tossici o atossici; anche le sostanze idrofobe per azione dell'enzima monossigenasi possono essere rese idrosolubili e poi idrolizzate. Altri meccanismi da menzionare sono l'acetilazione, la metilazione, la demetilazione e la neutralizzazione (per es., i casi nei quali acidi e basi sono neutralizzati dai sistemi tampone).
2.
Per quanto riguarda il meccanismo d'azione dei tossici, appare possibile distinguere le azioni specifiche e le azioni aspecifiche.
a) Azioni specifiche. Si estrinsecano quando un veleno agisce su un determinato recettore (enzima, coenzima, elemento cellulare): il legame tossico-recettore è regolato dalle loro situazioni elettriche. I tossici positivi, ai quali appartengono gli acidi, sostanze che liberano H+ in mezzo acquoso, hanno una lacuna elettronica, cioè l'orbita periferica dell'atomo è priva della doppietta elettronica, e quindi tendono a completarla comportandosi da elettrofili, catturando elementi con doppietta elettronica libera o nucleofili. Si stabilisce così un legame covalente molto stabile. I tossici negativi, ai quali appartengono le basi (sostanze che liberano OH‒), dispongono di una doppietta elettronica sull'orbita esterna: sono quindi nucleofili capaci di attrarre gli elementi elettrofili, stabilendo così un legame covalente molto stabile. I tossici neutri sono di due tipi: i radicali liberi, prodotti dalla scissione di un legame covalente, che conservano ciascuno un elettrone libero della doppietta che li univa e sono molto reattivi in quanto tendono a ricostituirla, risultando così fortemente ossidanti; i non radicali, tossici neutri che hanno due elettroni non in coppia su due orbite differenti (carbeni) o con una perdita completa d'una doppietta (nitreni) e risultano molto elettrofili. I legami chimici tra tossici o loro metaboliti e le proteine e le nucleoproteine di un organismo vivente possono essere di tre tipi: 1) legami covalenti, che inducono inibizioni enzimatiche, mutagenesi, carcinogenesi, malformazioni, distruzioni cellulari (le strutture chimiche più importanti per la formazione di questo tipo di legame sono gli alchilanti, gli epossidi, i composti aromatici, e gli organofosforici); 2) legami covalenti di coordinazione, che hanno i due elettroni della doppietta che sono forniti da un solo elemento (per es., azoto, ossigeno, zolfo; giocano un ruolo molto importante nella ionizzazione, nel blocco di proteine e coenzimi con gruppi sulfidrilici liberi, nonché nella chelazione, cioè nella formazione di complessi di coordinazione in grado di legare il tossico e consentire la sua eliminazione esercitando effetto antidotico); 3) legami non covalenti, infine, che sono quelli ionici facilmente reversibili dovuti a dipolarizzazione, all'idrogeno, all'attrazione fisica o alle interazioni molecolari (o forze di van der Waals).
b) Azioni aspecifiche. Si verificano quando il tossico non agisce su un determinato recettore, ma su una membrana cellulare. Se non attraversa la membrana cellulare, l'effetto è puramente osmotico, cioè legato alla differenza di concentrazione osmotica tra l'esterno e l'interno della cellula; se l'attraversa, può danneggiarne gravemente le strutture (detergenti, alogeni, perossidi, acidi o basi), oppure turbarne transitoriamente le funzioni, come accade per gli anestetici, nonché esercitare un effetto aspecifico inibitorio, come per l'alcol etilico e altri alcol. Alcuni tossici poi alterano il trasporto ionico attraverso la membrana cellulare (per es., la digitalina nei confronti del potassio o la tetradontotossina in quelli del sodio). Se penetrano più profondamente nella cellula, ne danneggiano organuli, liposomi, mitocondri, ribosomi, enzimi solubili, DNA, RNA e nucleo. Infine il tossico può essere incorporato in una monomolecola e si può così realizzare una sintesi letale, come nel caso del fluoroacetato, che blocca il ciclo dell'acido citrico (o ciclo di Krebs), oppure del 5-fluoracile, che entra a far parte della molecola dell'mRNA (RNA messaggero) al posto dell'uracile, inducendo la sintesi di proteine anomale. La fissazione dei tossici sulle strutture dell'organismo può essere reversibile, quando il tossico si fissa sul recettore mediante un legame elettrostatico o fisico; la durata del processo patologico indotto è breve e la terapia consiste, oltre alla rianimazione, nel facilitare l'eliminazione del tossico. Oppure può essere poco reversibile, quando il legame è covalente, ma di stabilità media; in questo caso per ottenere la ripresa del processo biologico inibito è necessaria la ricostruzione delle proteine specifiche, e ciò comporta una durata maggiore dell'intossicazione; per alcuni tossici con questo tipo di legame esistono antidoti in grado di riattivare il ritorno alla struttura enzimatica inibita, per es. le aldossine nei confronti delle colinesterasi inibite dagli organofosforici, la vitamina K, per ricostruire la protrombina, bloccata da anticoagulanti cumarinici ecc. La fissazione dei tossici può essere, infine, non reversibile a causa di legami covalenti molto stabili: si determinano in questo caso lesioni anatomiche strutturali, con degenerazione protoplasmatica fino alla necrosi. La tolleranza a un determinato tossico è variabile, per cause sia costituzionali sia acquisite. Essa può esser aumentata per motivi funzionali (innalzamento della soglia) o metabolici (aumento del catabolismo del tossico), oppure diminuita. Quest'ultima possibilità si definisce idiosomerasia, se è legata alla costituzione dell'individuo; si chiama sensibilità, se è acquisita.
3.
In molti casi, le intossicazioni acute possono presentare un quadro clinico relativamente poco tipico, per cui la conoscenza degli effetti del tossico ha una notevole importanza. La diagnosi può essere difficile al punto da rendere necessaria un'accurata anamnesi e l'immediata diagnostica di laboratorio per individuare il veleno e le alterazioni biochimiche da esso indotte. Per quanto riguarda la sintomatologia clinica generale, è possibile stabilire una classificazione di orientamento sulla base delle manifestazioni più comunemente osservate. Le intossicazioni locali o topiche possono essere facilmente diagnosticate per l'esistenza di irritazione, vescicolazione, necrosi nel luogo di aggressione (nelle mucose orali, digestive, respiratorie, oculari, anali, vulvovaginali). Quelle da sostanze irritanti o necrosanti nell'apparato gastroenterico si individuano perché causano gastroenterite acuta; se poi il tossico entra in circolo possono conseguire lesioni epatiche e renali. Le intossicazioni da inalazioni di sostanze tossiche provocano una sintomatologia irritativa delle vie respiratorie accompagnata da dispnea, catarro sanguinolento, crisi asmatiche e di soffocazione fino all'asfissia e all'edema polmonare. Per quelle sistemiche, la cui azione si esplica all'interno dell'organismo, interessando uno o più sistemi o apparati, un orientamento può arrivare dal riscontro di una patologia a carico di organi specifici o di sistemi tipici di determinati tossici.
4.
Il trattamento di un'intossicazione acuta consiste innanzitutto nell'impedire o ridurre il più rapidamente possibile l'introduzione del tossico con un immediato allontanamento dalla sorgente dello stesso, e quindi nel bloccare o rallentare il suo assorbimento. Se esso è stato assunto per via digestiva, va subito eliminato provocando il vomito, anche con farmaci (per es. sciroppo di ipecacuana), e procedendo a una lavanda gastrica (che non può essere eseguita in tutti i casi: per es. se il malato è incosciente, a meno che non venga prima intubato); per eliminarlo dalle vie digestive inferiori, si ricorre all'uso di clisteri e comunque di purganti. Utile risulta la somministrazione di antidoti esterni, cioè di sostanze in grado di legarsi con il veleno formando un complesso atossico, che si elimina per via gastroenterica; l'effetto è tanto maggiore quanto più precoce è la somministrazione dell'antidoto. Se il tossico è penetrato per via respiratoria, il paziente deve essere portato all'aperto o meglio sotto atmosfera di ossigeno; se il contatto è avvenuto per via cutanea o mucosa, va lavato con abbondante acqua. È necessario combattere i sintomi dell'intossicazione e, qualora serva, rianimare l'intossicato. Il trattamento sintomatico è quello inteso a correggere le alterazioni prodotte dai tossici secondo i dettami della terapeutica attuale. Allorché la sintomatologia è tale da minacciare le funzioni vitali, si impone il ricorso alla terapia intensiva e rianimativa. Occorre stimolare l'eliminazione del tossico per le vie naturali, forzando la diuresi, bloccando il riassorbimento dell'ultrafiltrato glomerulare a livello del tubulo renale, alcalizzando il plasma, se il tossico è una sostanza acida (per es., barbiturici, salicilati), o acidificandolo se basica (per es. anfetamine). Nelle forme più gravi si ricorre a metodiche di depurazione extrarenale, come la dialisi, il cosiddetto rene artificiale, che estrae il tossico dal sangue. Scarsi risultati ha, invece, l'accelerazione dell'eliminazione per via aerea (ventilazione forzata) e sudorale (diaforesi). Va attuata, ove possibile, una terapia farmacologica antidotica, sintomatica, antagonista e spiazzante. Gli antidoti o contravveleni sono farmaci capaci di neutralizzare il tossico inattivandolo in un complesso atossico o scarsamente tossico, eliminabile; riattivare una funzione, un enzima, un trasportatore, una costante bloccati; ricostituire elementi vitali depauperati dal tossico, molte volte a livelli pericolosi per l'esistenza; bloccare il metabolismo del tossico, impedendo la produzione di metaboliti molto più dannosi. Gli antagonisti sono farmaci che antagonizzano, appunto, gli effetti di un tossico, producendo reazioni contrarie: per es., il lattato di sodio, il bicarbonato di sodio e altri alcalinizzanti antagonizzano le acidosi metaboliche da tossici come chinidina e imipramina, reintegrando la riserva alcalina; l'atropina antagonizza gli effetti del blocco colinergico causato da veleni quali gli insetticidi organofosforici. Gli spiazzanti sono farmaci, quali la penicillina, le tetracicline e i sulfamidici, che hanno una notevole affinità per i ligandi delle proteine plasmatiche vettrici; pertanto sono stati usati a forti dosi per spostare da queste proteine alcuni tossici che a esse si legano (per es. le amanitine), consentendo così la loro eliminazione naturale o per dialisi.
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