INTERVENTO (XIX, p. 406)
Diritto processuale. - La legge processuale italiana designa con questo nome istituti tra loro differenti, con una caratteristica comune: l'aderire di nuove parti a un processo pendente. Le ragioni dell'istituto stanno nel fenomeno dell'interdipendenza dei rapporti giuridici. L'esistenza o il modo di essere di un rapporto giuridico può esplicare su un altro rapporto effetti (di fatto o giuridici), il cui meccanismo si fonda su una relazione di dipendenza, identità, connessione o incompatibilità tra i due rapporti. Secondo l'atteggiarsi di queste relazioni la legge processuale può ammettere (oltre i titolari del rapporto) altre categorie d'interessati a chiedere la sentenza su un rapporto giuridico ovvero può consentire che venga cumulata la cognizione di un rapporto con l'altro: ciò avviene mediante l'intervento in causa, che serve a evitare ripetizione di giudizî e possibili contraddittorietà di giudicati.
La legge processuale italiana distingue tra intervento volontario, coatto e d'ufficio (articoli 201-205, 423, 491 cod. proc. civ.); la dottrina, sulla guida di queste disposizioni legislative, e fondandosi anche sui concetti tradizionali derivati dal processo comune italiano, distingue l'intervento in adesivo, principale, coatto.
Intervento adesivo. - L'istituto trova le sue origini nel processo romano e si è sviluppato nel processo romano canonico. Caratteristica di questa categoria è che l'intervento del terzo nella causa pendente aggiunge alle parti un altro soggetto di poteri e oneri processuali, senza che venga modificato l'oggetto della controversia.
La costruzione di questa figura è delle più discusse. Sono da respingere le teorie che fanno dell'interveniente un rappresentante, o assistente, della parte, e quelle che ne fanno una figura intermedia tra parte e terzo (quasi parte, coadiutore della parte: v. parti, XXVI, p. 418).
Anche il concetto di sostituzione processuale è stato utilizzato a spiegare la figura dell'interveniente, ma deformato, negandosi all'interveniente la qualità di parte, che spetta al sostituto.
La figura dell'interveniente può essere sistemata solo considerandola dal punto di vista della legittimazione ad agire, la quale determina quali persone debbano essere in giudizio, come attore e convenuto, per potersi emanare un provvedimento giurisdizionale su un dato rapporto.
La legge processuale ha concesso la legittimazione a intervenire ai soggetti di rapporti, dipendenti da quello in lite, e che non avrebbero avuto legittimazione ad agire, e ai soggetti, che avendo una posizione identica a quella delle parti in causa, erano, come queste, legittimati ad agire sul rapporto controverso; perciò si suole distinguere l'intervento adesivo rispettivamente in semplice e litisconsortile.
a) Intervento semplice. Esempî di questa figura d'intervento sono dati dall'intervento dell'autore, tenuto a prestare l'evizione, nelle liti del successore sul diritto trasmesso; del fideiussore nelle liti del debitore e viceversa, ecc. L'interveniente è parte, e con la proposizione dell'intervento chiede, nel processo pendente, un accertamento di un rapporto fra terzi; il processo, che ha origine dall'intervento, si unisce al processo principale, dando origine a un cumulo di processi con identico oggetto e con decisione unica. Per la subordinazione del processo d'intervento a quello principale, non è possibile una sentenza per l'interveniente, se il processo principale si esaurisce senza decisione.
L'interveniente non può ritardare il corso del processo principale, e deve accettare questo in statu et terminìs, non può cioè proporre questioni che riguardino la fase di processo anteriore all'intervento; ma fuori di tali limiti, può compiere tutti gli atti processuali di parte, anche in contrasto con la parte detta adiuvata.
b) Intervento litisconsortile. La denominazione, derivata dal regolamento processuale germanico, è estranea alle leggi e alla tradizione italiane. In questa figura rientra l'intervento di coloro che hanno, sul rapporto controverso fra le parti, legittimazione eguale ad esse; l'interveniente, con la proposizione dell'intervento, chiede una decisione sullo oggetto della controversia, divenendo, secondo la sua posizione rispetto ad esso, litisconsorte di una parte e avversario dell'altra. La proposizione dell'intervento non importa, di per sé stessa, una modificazione o estensione dell'oggetto della controversia; se l'interveniente possa modificare o estendere la domanda proposta con l'intervento viene determinato secondo le norme sulla proposizione di nuove domande in corso di lite (quali estensione o modificazione della domanda, accertamente incidentale, riconvenzione).
Questo caso d'intervento si ha ogni qualvolta (senza esservi litisconsorzio necessario) vi sia un rapporto giuridico unico con pluralità di soggetti (contemporanei o successivi), ovvero si diano più legittimati ad agire su un rapporto di terzi: per es., l'intervento dei soci nell'impugnativa promossa da altri soci a sensi dell'art. 163 cod. comm., dei creditori nelle liti del debitore, ex art. 1235 cod. civ. Casi particolari di questa forma d'intervento si devono ritenere anche: l'intervento del Pubblico Ministero nelle liti in cui avrebbe potuto procedere in via d'azione, e nei casi degli articoli 16 legge 10 luglio 1930, n. 995, e 3 capov. 1° legge 10 luglio 1930, n. 1078, e l'intervento degli articoli 191 cod. civ. e 841 cod. procedura civile.
L'adesione dell'interveniente alla lite pendente è anch'essa soggetta al principio che l'interveniente accetta la lite nello stato in cui la trova, e non può ritardare la decisione di essa. Come il terzo non può rilevare nullità sanate o eccezioni precluse, relative allo stadio anteriore all'intervento, così l'intervento suppone una domanda validamente proposta. Avvenuto l'intervento, il procedimento e la decisione, data l'identità dell'oggetto (volontà di legge controversa), si regolano secondo il principio del litisconsorzio necessario rispetto alla decisione della causa; non essendo tale quanto alla proposizione della domanda, il litisconsorzio può essere scisso in prosieguo di causa, a condizione che la scissione non dia luogo a processi separati, e si può avere una pronunzia per l'interveniente, mentre il processo si esaurisce senza sentenza fra le parti, principali.
Intervento principale. - Nell'intervento principale (istituto di origine germanica), il terzo fa valere una sua pretesa incompatibile con le pretese delle parti in causa: intervenendo propone una domanda (anche oggettivamente) nuova, diretta contro le due parti del primo processo, convenute, come litisconsorti necessarî, nel processo d'intervento.
L'interveniente fa valere un diritto perseguibile contro le due parti, tanto se egli pretende (in tutto o in parte) la cosa oggetto del primo processo, ma in forza di un diritto diverso da quello fatto valere dal primo attore, quanto se si pretende titolare del diritto (reale o di credito) che il primo attore fa valere contro il convenuto.
Nel processo italiano l'intervento principale è vero intervento; non può perciò ritardare la decisione della causa principale (art. 204 cod. proc. civ.), e deve accettare la lite in statu et terminis; regola che avrà praticamente scarsa importanza per l'interveniente principale, il quale propone una propria domanda indipendente da quella del primo processo e dalla sua validità.
L'unione dei due processi, che ha per scopo di evitare duplicazioni di giudizî, porta all'unità della decisione, ma essa si può scindere quando ciò non possa produrre contradditorietà di giudicati.
Intervento coatto. - L'istituto, ignoto al processo romano, si è venuto affermando nella pratica del processo comune germanico e romano-canonico in Italia, dal quale è passato nelle codificazioni degli stati anteriori all'unità.
Mentre condizione per l'intervento volontario è l'interesse, l'intervento coatto, o chiamata in causa del terzo, è condizionato dalla comunione di controversia. Caratteristica dell'intervento coatto, come dell'intervento principale, è l'innestarsi, nel processo pendente, di un processo avente un soggetto nuovo (l'interveniente) e un oggetto diverso, sebbene connesso al processo principale.
L'intervento coatto è da distinguersi dalla chiamata in causa, per integrazione del giudizio, di litisconsorti necessarî dell'attore o convenuto (es.: articoli 1525 cod. civ.; 469 cod. proc. civ.); l'istituto serve invece nei confronti di terzi, che avrebbero potuto essere attori o convenuti in giudizî separati. Presupposto speciale perché si possa chiamare in causa un terzo è la connessione delle controversie, la quale esiste quando vi sia comunanza di causa petendi e di oggetto (e secondo altra opinione solo dell'uno o dell'altro di questi elementi della domanda) tra la controversia principale e quella con l'interveniente.
La chiamata del terzo ha carattere di domanda giudiziale; il chiamato assumerà in causa posizione conforme ai suoi rapporti di diritto sostanziale, diventando litisconsorte di una parte e avversario dell'altra; secondo i casi la chiamata del terzo potrà anche portare ad una pronunzia tra i litisconsorti, che non si avrebbe nei casi di litisconsorzio iniziale.
La chiamata del terzo è condizionata all'esistenza di un valido rapporto processuale; egli non è tenuto ad accettare la lite in statu et terminis, e ammesso nella lite avrà facoltà e oneri come ogni altra parte. Le relazioni tra i varî processi (principale e d'intervento) sono regolate dai principî del litisconsorzio semplice.
Intervento per ordine del giudice. - Ha dato luogo a profonde divergenze dottrinali la norma dell'art. 205 cod. proc. civ., di origine molto incerta, in forza della quale il giudice, quando lo ritenga opportuno, può ordinare d'ufficio e anche in grado di appello (art. 491 cod. proc. civ.) l'intervento in causa di un terzo.
Secondo una teoria, l'intervento è considerato un mezzo istruttorio, preordinato per il migliore andamento della causa. secondo altra opinione, l'intervento serve a integrare il giudizio, nei casi di litisconsorzio necessario. Secondo un'ultima teoria, infine, l'intervento serve a chiamare una nuova parte nei casi in cui il litisconsorzio non è necessario per legge, e questa è, in fondo, con divergenze secondarie fra i varî scrittori, l'opinione prevalente.
L'opinione meno insoddisfacente è quella che vede nell'ordine del giudice un mezzo destinato a provocare la chiamata di una nuova parte in causa, allo scopo di evitare duplicità ed eventuale contradditorietà di giudicati, come è proprio di tutte le figure d' intervento. Se l'ordine del giudice non venisse eseguito, non pare che possa conseguirne il rigetto della domanda di una delle parti, ma essa si esporrà al pericolo di nuove liti.
Intervento in appello. - L'intervento volontario in appello (art. 491 cod. proc. civ.) costituisce un'eccezione al principio del doppio grado. Legittimati a intervenire sono coloro che possono fare opposizione in virtù degli articoli 510 e 512 cod. proc. civ.; pertanto in appello si può avere tanto l'intervento principale quanto l'intervento adesivo di terzi aventi legittimazione eguale a quella della parte. Nei due casi l'intervento ha gli stessi caratteri che in primo grado e in questo senso si può affermare che esso porta in appello non solo una nuova parte, ma anche una nuova domanda.
Intervento nel processo di esecuzione. - L'intervento adesivo non ripugna ai procedimenti esecutivi ed è in essi ammissibile; l'intervento principale è regolato in modo particolare (articoli 647, 699 cod. proc. civ., 801 cod. comm.).
Intervento nei procedimenti avanti i giudici speciali. - Nei procedimenti avanti i giudici speciali, l'intervento, nelle sue forme ed effetti, non si discosta dal processo ordinario (v., per es., per il Consiglio di stato, il r. decr. 17 agosto 1907, n. 642, articoli 37 a 40; per la Giunta provinciale amministrativa, il r. decr. 17 agosto 1907, n. 643, articoli 32 a 34; per il tribunale acque pubbliche, il testo unico approvato col r. decr. 11 dicembre 1933, n. 1775, articoli 173 a 175; per la Corte dei conti, il r. decr. 13 agosto 1933, n. 1038, articoli 47, 69, 78, 79).
Non si possono ricondurre invece nelle forme caratteristiche, che abbiamo delineato, quei casi d'intervento di organi dello stato o enti pubblici, che accedono al processo per tutelare l'interesse pubblico, riflesso nella controversia singola, esplicando funzioni di controllo e consultive del giudice, in procedimenti ispirati al principio inquisitorio. Esempî di questa figura abbiamo nell'intervento del Pubblico Ministero nei casi in cui ha semplice facoltà di concludere; nell'intervento della pubblica amministrazione nelle controversie fra privati che riguardino acque pubbliche (art. 173, comma 3, r. decr. 11 dicembre 1933, n. 1775); nell'intervento delle associazioni sindacali nelle controversie individuali del lavoro (art. 7 r. decr. 21 maggio 1934, n. 1073).
Bibl.: Della vastissima bibliografia ci dobbiamo limitare ad indicare: per la storia dell'istituto: G. W. Wetzell, System des ordentlichen Civilprocesses, 3ª ed., Lipsia 1878, par. 7 e 64; J. Weismann, Die Entwickelung der Prinzipalintervention in Italien, in Zeitschr. der Sav. St. (Germ. Abt.), I (1880); G. Sabbatini, Su l'intervento in causa, 2ª ed., Torino 1881, pp. 1-22; H. Walsmann, Die streitgenossische Nebenintervention, Lipsia 1905, pp. 1-52; A. Segni, L'intervento adesivo, I, Roma 1920, pp. 1-104; id., L'intervento volontario in appello, Sassari 1920, pp. 1-12; id., Su l'intervento coatto, in Riv. dir. proc. civ., 1929, II, pp. 141-144; L. Wenger, Institutionen des röm. Zivilprozessrechts, Monaco 1925, pp. 82-83, traduzione italiana, Milano 1935, pp. 80-81.
Sul diritto degli stati italiani anteriormente all'unificazione: V. Scheidlein, Analisi della processura civile austriaca, trad. di G. Senoner, Milano 1833, I, pp. 272-283; A. Fabiani, Istituzioni della procedura civile, Napoli 1856, III, nn. 914-924; P. S. Mancini, G. Pisanelli, A. Scialoja, Commentario del codice di procedura civile per gli stati sardi, Torino 1855-58, II, pp. 512-524; IV, pp. 421-428; M. Pescatore, Sposizione compendiosa della procedura civile e criminale, Torino 1864, pp. 59-63.
Sul diritto positivo italiano: a) opere generali: L. Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario italiano, 5ª ed., III, Torino 1903, pp. 659-712; IV, 1904, pp. 722-40; L. Mortara, Commentario delle leggi e del codice di procedura civile, 3ª ed., Milano s.a., III, pp. 502 segg., 525-538; G. Chiovenda, Principi di diritto processuale italiano, 3ª ed., Napoli 1923, pp. 601-604, 730-731, 1102-1120; id., Istituzioni di diritto processuale civile, 2ª ed., Padova 1933, II, nn. 108, 109; IV, nn. 292, 294, 295; id., Sistema di diritto processuale civile, Padova 1936, nn. 143-140, 376-378, 382, 383, 390; b) opere monografiche: G. Sabbatini, op. cit.; L. Mortara, Appello civile, in Dig. ital., nn. 809-942; O. Sechi, Intervento in causa, in Dig. ital., 1902; B. Galli, Contributo alla teorica dell'intervento principale, in Arch. giur., serie 3ª, VI, 1906, pp. 213-313; E. Peronaci, Intervento in causa, in Encicl. giur. ital., 1908; E. Redenti, Il giudizio civile con pluralità di parti, Milano 1911, pp. 89, n. 72; 121-124; 240, n. 255; 241-244, 309-317; M. T. Zanzucchi, Nuove domande, nuove eccezioni e nuove prove in appello, Milano 1916, p. 218 segg.; A. Segni, op. cit., e Su l'intervento adesivo, in Archiv für Rechtsphilosophie, XVI, pp. 564-568; T. Siciliani, Natura ed effetti dell'intervento coatto iussu iudicis, in Annali della R. Università di Bari, 1927; N. Jaeger, Il nuovo regolamento processuale del lavoro, Padova 1934, pp. 31-35; S. Costa, L'intervento coatto, ivi 1935; G. Nencioni, L'intervento volontario litisconsorziale nel processo civile, ivi 1935; L. Riva di S. Severino, Sull'intervento sindacale nelle controversie individuali del lavoro, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 1935, pp. 129-136.
Per i diritti germanici: a) opere generali: A. Wach, Handbuch des dt. Civilprozessrechts, Lipsia 1885, I, pp. 613-59; A. Skedl, Das österreichische Civilprozessrecht, ivi 1900, I, pp. 358-418; K. Hellwig, Lehrbuch des dt. Zivilprozessrechts, II, ivi 1907, pp. 476-528; III, ivi 1909, pp. 183-214; id., Syst. des dt. Zivilprozessrechts, ivi 1912, I, pp. 219-234, 350-356; G. Neumann, Kommentar zu den Zivilprozessgesetzen, Vienna 1927, I, pp. 443-471; J. Goldschmidt, Zivilprozessrecht, Berlino 1929, pp. 174-179; b) opere monografiche: A. S. Schultze, Die rechtliche Stellung des sog. Nebenintervenienten im Rechtsstreit, in Zeitschrift für dt. Civilprozess, 1880, pp. 20-100; W. Ch. Francke, Die Nebenparteien d. dt. Civilprozessordnung, Gottinga 1882; J. Weismann, Hauptintervention u. Streitgenossenschaft, Lipsia 1884; J. Eckstein, Die Intervention nach österr. Rechte, ivi 1893; W. Kisch, Der Begriff der Nebenintervention u. seinen Konsequenzen, in Grünhut Zeitschrift, voll. 26, pp. 315-350; H. Walsmann, op. cit.; F. F. Heim, Hauptintervention, Monaco 1907; A. Skedl, Das Wesen der Nebenintervention, in Prager juristische Zeitschrift, II, p. 97 segg.
Per il diritto francese: a) opere generali: E. Glasson, Précis théorique et pratique de procédure civile, Parigi 1908, I, p. 940 segg.; E. Garsonnet, Trattato teorico e pratico di procedura civile, tradotto da C. Lessona, Milano 1913, III, pp. 253-276, 317-320; R. Japiot, Traité élémentaire de procédure civ. et comm., 2ª ed., Parigi 1929, pp. 520-527, 660-661; b) opere monografiche: P. Frette-Damicourt, De l'intervention en première instance et en appél, Château-Gontier 1906; P. Richard, De l'intervention forcée, Parigi 1907.