interrogative retoriche
Per definizione, le interrogative retoriche sono frasi che presentano caratteristiche formali tipiche delle frasi interrogative (➔ interrogative dirette; ➔ interrogative indirette), ma che non hanno lo stesso valore funzionale, poiché non sono enunciate per ottenere una risposta.
In realtà, le interrogative retoriche non hanno sempre le caratteristiche formali delle interrogative (vale a dire intonazione, ordine delle parole, presenza di parole o particelle interrogative). In alcune lingue hanno un’intonazione specifica, che le distingue dalle frasi dichiarative e dalle interrogative vere e proprie. Secondo Sadock & Zwicky (1985), poche lingue hanno una forma specifica per le interrogative retoriche; una di queste è il groenlandese:
(1) naalanngilatit «tu non obbedisci» (frase dichiarativa)
(2) naalanngilit? «tu non obbedisci?» (frase interrogativa)
(3) naalanngippit? «non obbedisci?» [= «dovresti obbedire»] (frase interrogativa retorica)
La natura delle interrogative retoriche trova illustrazione alla luce della teoria degli atti linguistici (➔ illocutivi, tipi;
➔ pragmatica), che distingue tre aspetti nell’uso di una frase:
(a) l’atto locutivo, legato al significato proprio dell’enunciato;
(b) l’atto illocutivo, costituito da quel che l’enunciato vuole effettivamente dire;
(c) l’atto perlocutivo, costituito dagli effetti concreti ottenuti attraverso l’enunciato.
La frase interrogativa è espressione dell’atto linguistico di domanda, la frase dichiarativa esprime l’affermazione e l’imperativa l’istruzione. Tuttavia, tra tipo di frase e atto linguistico non c’è una relazione uno-a-uno: a ogni tipo di frase non corrisponde rigidamente un atto linguistico. Secondo Taylor (1989) i tipi di frase maggiori non rappresentano categorie nettamente individuate: l’emissione di un enunciato formalmente interrogativo può avere forza pragmatica di domanda, ma anche di proposta o di asserzione.
Quest’ultimo è spesso il caso delle interrogative retoriche. Le interrogative retoriche sono l’esempio tipico di ciò che in pragmatica si chiama atto linguistico indiretto. Secondo Searle (1969) negli atti linguistici indiretti un atto illocutivo è eseguito indirettamente, cioè eseguendo un altro atto linguistico: in questi casi, la forza pragmatica dell’enunciato non dipende dal valore letterale della frase (come nell’atto linguistico diretto) ma dal contesto comunicativo in cui quell’enunciato viene prodotto.
Spesso chi enuncia una interrogativa retorica, dato che non si attende una risposta, continua il discorso senza lasciare spazio all’interlocutore; altre volte è il parlante stesso che si dà un’auto-risposta. Occorre sottolineare che le interrogative retoriche non sono le uniche frasi interrogative a non richiedere risposta: del gruppo fanno parte anche le interrogative cosiddette diffratte (che equivalgono a una richiesta, come la classica mi passi il sale?) e le interrogative narrative (il tipo cammina cammina, chi incontrò il nostro eroe? Un orco).
Poiché le interrogative retoriche, come già sottolineato, non richiedono risposta, se l’interlocutore ricorre a questa adotta un comportamento incongruo. Come in tutti gli atti linguistici indiretti, perché la comunicazione funzioni occorre che ci sia cooperazione tra emittente e destinatario: se alla domanda puoi passarmi il sale? il destinatario risponde di sì, ma non compie concretamente l’atto, la comunicazione non ha funzionato.
Spesso il parlante fa uso di un’interrogativa retorica per rivolgere una critica al proprio interlocutore; può essere:
(a) la critica di un comportamento:
(4) Ignobile plebaia! Così ricompensate i sacrifici fatti per voi? (Ettore Petrolini, dal Nerone)
(b) la critica per non aver creduto alle parole del parlante:
(5) A: Mi sento già meglio, ho le idee più chiare
B: Eh? Cosa le dicevo? (Eugene Ionesco, Il rinoceronte)
(c) un enunciato di tipo pragma-linguistico:
(6) A: se il professore …
B: quale professore? Quale? Per vostra norma è un asino bollato e patentato (Alfio Berretta, Commedie)
(7) e me lo dici solo adesso?! Non me lo potevi dire prima?!
Talvolta, alla critica si mescola una funzione imperativa (Crisari 1975 definisce queste ultime domande-critica):
(8) quando smetterai di dire delle sciocchezze?
(9) vuoi rispondere insomma?!
Una delle caratteristiche principali delle interrogative retoriche è la loro ambiguità: non è sempre facile capire se si ha a che fare con un’interrogativa retorica o se invece una risposta sia richiesta; tuttavia, a volte alcuni elementi permettono di identificare una interrogativa retorica in modo inequivocabile. Tale funzione può essere svolta dal contenuto semantico della frase: la risposta è talmente ovvia da essere superflua:
(10) ma è possibile che in questa città non si trovi una persona onesta?
oppure la funzione retorica si evince dal significato di una frase successiva:
(11) cosa vuole? Non si può vincere sempre
Inoltre, spie linguistiche all’interno della interrogativa (come un intercalare; ➔ intercalari) ne rivelano il carattere retorico:
(12) Ma si figura, forse, signora, che suo marito non lo sappia? (Luigi Pirandello, Come tu mi vuoi)
Il silenzio sembra essere la risposta più consona a domande come (13) o (14):
(13) come puoi far finta di niente davanti a eventi tragici come il terremoto di Haiti?
(14) ma chi ti credi di essere?
Alcune interrogative retoriche, invece di essere rivolte a un interlocutore, sono rivolte dal parlante a sé stesso:
(15) perché non sono stato più prudente?
(16) Giusto. Risposta asciutta a domanda idiota. Cosa si fa dei libri? Si leggono (Gianrico Carofiglio, Le perfezioni provvisorie)
Spesso contengono forme avverbiali come forse, mica, no, vero:
(17) Diceva di non aver fatto niente di male, che tuttalpiù aveva accettato qualche mancia e qualche regalino.
Spontaneo, ci tenne a precisare. Ma chi non accettava qualche regalino, che diamine? Rischiava di essere arrestato? Non rischiava mica di essere arrestato? (Carofiglio, Le perfezioni provvisorie)
(18) All’ombra dei cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro? (Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, vv. 1-3)
L’interrogazione retorica è utilizzata spesso con finalità comica:
(19) Manuel, che pensava al binocolo di Lucy, gridò: «Facchino!» Un facchino si rivoltò risentito. «Dice a me?» fece. «Facchino sarà lei!» «Ma non è lei che porta i bagagli?» «Ah, è per i bagagli? Credevo che m’insultasse». «Ma le pare?» (Achille Campanile, Ma che cos’è questo amore)
nonché nel linguaggio pubblicitario:
(20) Volkswagen Golf. Devi per forza appartenere al passato per diventare un mito?
ma anche nel linguaggio giuridico:
(21) Si è osato imputargli a delitto perfino d’aver collocato truppe nel suo castello. Dovea dunque egli cedere alla moltitudine, ubbidire alla violenza? L’autorità affidatagli dalla Costituzione non era essa un deposito ch’egli dovea ad ogni modo difendere intatto? Cittadini, se in questo momento vi si recasse avviso che una moltitudine cieca ed armata marcia contro di voi, e che, sprezzando il vostro carattere sagro di legislatori, vuole strapparvi da questo santuario, io domando a voi: che fareste? (dalla Arringa in difesa del re Luigi XVI recitata da Raymond de Sèze il 26 dicembre 1792, cit. in Mortara Garavelli 2001: 207)
e nel linguaggio politico:
(22) Ma dove? Ma in che paese? Ma di cosa parliamo? (intervento del senatore Massimo D’Alema)
Non c’è da stupirsi che le interrogative retoriche fossero ampiamente usate dalla propaganda fascista, la cui oratoria mirava a drammatizzare la parola; eccone un esempio:
(23) Ma voi temete forse l’acqua? L’acqua no, forse il fuoco? Siete pronti a dare il vostro braccio ed il vostro sangue? Allora siete degni di militare sotto i gagliardetti gloriosi della rivoluzione delle camicie nere (Hermann Ellwanger, Sulla lingua di Mussolini)
A volte le interrogative retoriche sono usate in funzione di replica a una frase interrogativa canonica, con valore di un sì o di un no rafforzati:
(24) A: chi è il presidente? Luigi?
B: chi altro vuoi che sia? [= «certo che sì!»]
In molti testi di carattere monologico, le domande sono necessariamente retoriche, dal momento che non vi è un interlocutore che possa rispondere:
(25) Non fui io quello il cui supremo voto era lasciare il mondo? Cui ogni cosa sembrava al vivere nel mondo preferibile? Eppure, strano a dirsi, da quando l’ho lasciato, da quell’altra età, io invero più non l’aborro, io anzi … Ma perché ho scritto; strano a dirsi? Che cosa ci può essere di strano nel riconoscere il bene dopo averlo perduto, o in quanto si credeva il peggiore di tutti i mali il male minore, ove appunto si sia passati di stato abbietto in un altro più abbietto ancora? (Tommaso Landolfi, Cancroregina).
Crisari, Maurizio (1975), Sugli usi non istituzionali delle domande, «Lingua e stile» 1, pp. 29-56.
Da Milano, Federica (2004), Le domande sì/no nelle lingue del Mediterraneo, «Archivio glottologico italiano» 1, pp. 3-40.
Grice, Paul H. (1975), Logic and conversation, in Syntax and semantics, edited by P. Cole & J.L. Morgan, New York - London, Academic Press, vol. 3º (Speech acts), pp. 41-58 (trad. it. Logica e conversazione, in Gli atti linguistici. Aspetti e problemi di filosofia del linguaggio, a cura di M. Sbisà, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 199-219).
Mortara Garavelli, Bice (2001), Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani, Torino, Einaudi.
Sadock, Jerrold & Zwicky, Arnold (1985), Speech act distinctions in syntax, in Language typology and syntactic description, edited by T. Shopen, Cambridge, Cambridge University Press, 3 voll., vol. 1º (Clause structure), pp. 155-196.
Searle, John (1969), Speech acts. An essay in the philosophy of language, Cambridge, Cambridge University Press.
Stati, Sorin (1982), Le frasi interrogative retoriche, «Lingua e stile» 17, pp. 195-207.
Taylor, John (1989), Linguistic categorization. Prototypes in linguistic theory, Oxford, Clarendon Press.