interferenza
Il termine interferenza si riferisce all’azione di un sistema linguistico su un altro e agli effetti provocati dal contatto tra lingue, e si usa in una duplice accezione: per indicare i ➔ prestiti di elementi lessicali, fonomorfologici o sintattici da un sistema linguistico a un altro, oppure i mutamenti innescati nella competenza del parlante dal contatto tra due o più lingue (➔ contatto linguistico).
L’interferenza è uno dei fattori del mutamento diacronico delle lingue. In casi di contatto intenso e prolungato e in situazioni caratterizzate da forte differenza di status tra le lingue, l’interferenza può determinare effetti ancor più profondi, fino al completo rimpiazzamento della lingua subalterna: è quanto avvenne, per es., con la progressiva scomparsa delle lingue prelatine in seguito alla latinizzazione politica e linguistica dell’Italia. Un altro caso di interferenza forte è dato dallo sviluppo di lingue miste (➔ mistilinguismo; ➔ italiano come pidgin; ➔ lingua franca, italiano come) in situazioni di contatto commerciale o d’altro genere tra popolazioni che non hanno una lingua in comune.
L’interferenza può riguardare tutti i livelli d’analisi della lingua. I principali fenomeni a cui essa dà luogo a livello lessicale e semantico sono il passaggio di parole da una lingua a un’altra (➔ prestiti; per es., l’accoglimento di ➔ forestierismi in italiano e di ➔ italianismi in lingue straniere) e il prestito semantico, vale a dire l’allargamento o la specificazione della gamma di significati di una parola italiana già esistente per effetto di un modello straniero.
Nei casi di interferenza più recenti il prestito semantico può non essere ancora registrato dai lessicografi: per es., evidenza è sempre più frequentemente usato nel senso di «prova» per influsso dell’ingl. evidence; lo stesso missione nel significato di «obiettivo primario, scopo fondamentale» di un’azienda, un’agenzia, un’istituzione pubblica; per il momento, però, questi nuovi significati non sono stati accolti nei dizionari. Il prestito semantico è spesso trattato sotto la categoria dei ➔ calchi, che comprende molti fenomeni di riproduzione in una lingua del significato e della struttura di elementi di un’altra lingua, fra cui, per es., la traduzione di un termine straniero composto con i corrispondenti elementi italiani: ingl. week-end > it. fine settimana, ted. Eisenbahn > it. ferrovia.
L’accoglimento di un prestito lessicale può comportare l’occasionale riproduzione di fonemi o morfemi estranei alla nostra lingua, ma ciò non implica una modifica del repertorio fonologico o morfologico dell’italiano (➔ adattamento). Per es., la pronuncia del fr. parvenu non implica l’accoglimento del fonema /y/, così come il ted. Länder (plur. di Land) non arricchisce la flessione nominale dell’italiano del morfema plurale -er.
La storia dell’evoluzione del ➔ lessico italiano può essere letta come il risultato della progressiva sedimentazione e stratificazione di apporti dalle lingue con le quali per ragioni storico-politiche la popolazione della Penisola è entrata in più stretto contatto. Da questo punto di vista i forestierismi dell’italiano non costituiscono un elenco inerte: attraverso essi rimane traccia della natura e della qualità del rapporto con le altre culture. In alcuni casi i prestiti possono essere ricondotti a serie omogenee; per es., fra i ➔ germanismi di origine longobarda si incontrano molti termini anatomici: anca, guancia, milza, schiena, stinco (➔ parti del corpo); fra gli ➔ arabismi penetrati in italiano durante la dominazione araba della Sicilia incontriamo (fra l’altro) nomi di piante le cui colture furono introdotte dagli arabi in quel periodo: arancio, albicocca, bergamotto, carciofo, gelsomino; tra i ➔ francesismi entrati in epoca medievale, alcuni sono legati all’abbigliamento (➔ moda, linguaggio della): corsetto, gorgiera, gioiello.
La sorte delle parole può seguire le vicende che hanno governato nel tempo i rapporti di potere e di prestigio tra i rispettivi popoli: alcuni germanismi e arabismi entrati in italiano, che avevano in origine un significato positivo o neutro, hanno subito nel tempo un processo di degradazione semantica finendo con l’assumere un valore negativo: sguattero e stamberga derivano da longobardo wahtāri e *stainberga, che indicavano rispettivamente un guardiano e una casa di pietra (quindi un edificio di pregio), aguzzino e facchino derivano dalle parole arabe al-wazīr e faqīh che valevano «ministro, luogotenente» e «teologo, giureconsulto».
Nel prestito si manifestano spesso fenomeni di ➔ paretimologia. Un termine straniero può essere erroneamente accostato a parole note della lingua che lo accoglie: per es., l’ital. stoccafisso proviene dall’olandese stokvisch, composto di stok «bastone» e visch «pesce», con il secondo componente che rimanda, a dispetto dell’etimo, alla rigidità del merluzzo essiccato. Fenomeni analoghi si riscontrano in negromanzia, in cui il primo elemento, il gr. nekro- «defunto», diventa negro per accostamento al concetto di magia nera, e nella parola greca glykýrrhiza, composta da glykýs «dolce» e rhiza «radice»: tale base era divenuta già nel latino tardo liquiritia, da cui l’ital. liquirizia, per accostamento del primo elemento a liquor «liquido», probabilmente per l’abitudine a usare la radice per la preparazione di infusi.
Il rinnovato prestigio della nostra lingua nel mondo (➔ immagine dell’italiano), legato al successo di prodotti italiani nei settori della gastronomia, della moda, delle produzioni manifatturiere di qualità, oltre a diffondere numerose parole italiane ha generato alcuni pseudoitalianismi, vale a dire parole inesistenti in italiano (per lo più denominazioni commerciali), coniate nell’intento di associare al prodotto il fascino e il prestigio dell’italianità. Fra le parole italiane oggi più diffuse all’estero sono da registrare cappuccino ed espresso; a partire dalla prima parola, erroneamente percepita come composta, hanno preso piede negli USA alcuni nomi di bevande (Frappuccino, Mocaccino, Freddoccino), mentre la fortuna dell’espresso è alla base della creazione di Lipresso (da libreria + espresso), nome di una catena di librerie e Internet cafè in Svizzera e in Germania. Dagli anni Ottanta del Novecento è inoltre usuale che aziende automobilistiche estere diano alle loro auto un nome italiano (Corolla, Concerto, Carina) o pseudoitaliano (Sonica, Leganza, Lacetti).
Sarebbe errato considerare i prestiti lessicali come semplici aggiunte di nuovi elementi a un inventario. L’ingresso di un nuovo elemento, a meno che non indichi un referente nuovo per la lingua d’arrivo (per es., patata, pomodoro, introdotti in italiano dopo la scoperta delle Americhe), determina una ristrutturazione dei rapporti tra le parole di significato affine (Gusmani 1983 e 1987). Per es., l’ingresso, accanto a mutanda, di slip, boxer, tanga e perizoma ha ridefinito l’area semantica relativa all’indumento intimo. Più spesso la rideterminazione semantica del prestito riguarda gli aspetti connotativi del significato: si pensi a drink nei confronti di bibita o bevanda, chef accanto a cuoco, macho accanto a maschio, ecc. Inoltre va osservato che le parole prese in prestito raramente trasferiscono nella lingua ricevente tutta la gamma di significati della lingua modello; assai più spesso si verifica una restrizione semantica più o meno marcata: miss è entrato in italiano solo nel significato di «vincitrice di un concorso di bellezza», workshop solo nel significato di «laboratorio (didattico), seminario» (in ingl. vale anche «bottega, officina»), staff si usa solo nell’accezione di «gruppo di collaboratori» (in ingl. vale anche «bastone, sostegno, asta»). Analoghi processi di restrizione semantica hanno interessato gli italianismi diffusi all’estero: in fr. cantine (‹ it. cantina) è passato nel solo significato di «mensa» (scolastica o aziendale), in ingl. e in ted. licenza ha solo il significato tecnico musicale di «eccezione alle regole del contrappunto e dell’armonia» (Stammerjohann et. al. 2008).
Più rari sono i casi di prestiti di elementi morfologici, limitati alla morfologia derivazionale. Fra i suffissi entrati in passato in italiano da altre lingue si possono ricordare -ingo (con la variante -engo) e -ardo, di origine germanica (casalingo, guardingo, solingo, camerlengo; bugiardo, codardo); -agno e -ore, di origine provenzale (grifagno, olivagno; bellore, dolzore); -iere (con la variante -iero), di origine francese (cavaliere, cameriere, guerriero, forestiero).
Fra i costrutti sintattici la cui diffusione si deve a influssi esogeni vi è, per es., la frase scissa (è lui che ha reclamato; ➔ scisse, frasi). Si tratta di una costruzione presente sporadicamente in testi italiani fin dai primi secoli, ma diffusa solo a partire dal XVIII secolo per influsso del francese (D’Achille, Proietti & Viviani 2005). Analogamente la perifrasi progressiva stare + gerundio (➔ perifrastiche, strutture) ha aumentato la propria frequenza d’uso nel corso del Novecento per influsso dell’inglese (Durante 1981: 268-269).
Quanto all’ordine dei costituenti, si può osservare un influsso dell’inglese nella recente diffusione di composti che presentano l’ordine determinante + determinato in luogo dell’ordine determinato + determinante tipico dell’italiano (portaombrelli, cartapesta): si tratta nella maggior parte dei casi di espressioni con il determinante (baby-delinquenza, computer-grafica) o il determinato (droga-party, nonno-sitter) inglese, ma in un numero limitato di casi i composti sono interamente di origine italiana: calciomercato, nullatenente.
Appartiene alla stessa serie il tipo x-pensiero, dove x sta per il nome di un personaggio noto (Bossi-pensiero, Mao-pensiero e sim.; Bombi 2005; Dardano & Frenguelli 2008).
A partire dal Rinascimento l’italiano ha valicato i confini della Penisola grazie alla diffusione della letteratura, dell’arte e della musica, lasciando in eredità a molte lingue termini legati a questi ambiti; negli ultimi centocinquant’anni tuttavia l’espansione dell’italiano all’estero è avvenuta per lo più in rapporto diretto o indiretto con l’ingente flusso migratorio (➔ emigrazione, italiano dell’). Le dimensioni che assunse l’emigrazione italiana all’estero a partire dalla seconda metà dell’Ottocento determinarono situazioni di contatto con effetti sia sull’italiano sia su alcune delle lingue parlate nei paesi di emigrazione.
In Argentina l’italiano intervenne nella formazione del cocoliche, lingua mista italo-spagnola parlata dalla numerosa comunità italiana presente nell’area di Buenos Aires, dove a cavallo tra Otto e Novecento i nostri connazionali arrivarono a costituire oltre il 40% della popolazione cittadina. Una precoce testimonianza di questa realtà linguistica si ha in Edmondo De Amicis, Sull’Oceano (1890). Si tratta di una varietà per sua natura instabile, che è andata scomparendo con la progressiva integrazione linguistica dei discendenti degli emigrati e con l’interruzione del flusso migratorio a partire dalla fine degli anni Cinquanta del Novecento. Le sue tracce sono ricostruibili attraverso documenti (per lo più lettere) di emigrati, ma soprattutto attraverso testimonianze letterarie. La parlata deve infatti il nome a Cocolicchio, immigrato calabrese, personaggio del teatro comico popolare denominato sainete, ridicolizzato per il parlare sgrammaticato e per la sua pretesa di ritenersi un criollo, cioè un argentino puro. I testi in cocoliche documentano una lingua densa di italianismi (per lo più ➔ dialettismi) inseriti in un contesto grammaticale spagnolo e, viceversa, di ispanismi adattati secondo le regole fonomorfologiche dell’italiano (➔ adattamento). Un esempio significativo può essere lo spagn. mujer che veniva pronunciato [muˈker], sostituendo la fricativa velare sorda dello spagnolo /x/, assente nel repertorio fonologico dell’italiano, con la corrispondente occlusiva velare /k/. Un’altra interferenza è offerta dalla confusione tra la fricativa bilabiale /ß/ dello spagnolo e la fricativa labiovelare dell’italiano /v/, che dà luogo a forme ibride come arriba in luogo di arriva o ba bene per va bene. Alcuni italianismi del cocoliche sono poi stati accolti nel lunfardo, nato come gergo della malavita porteña, e di lì transitati nello spagnolo colloquiale di tutta l’Argentina.
Un altro caso interessante di contatto riguarda la varietà di portoghese parlata nello stato di San Paolo, in Brasile, dove si è maggiormente concentrata l’emigrazione italiana. Secondo stime recenti gli italiani e i loro discendenti sono circa 6 milioni nella città di San Paolo, 13 milioni nello stato di San Paolo, 22 milioni in tutto il Brasile. A interferenze fonologiche dell’italiano sul portoghese brasiliano potrebbero ricondursi alcune caratteristiche che differenziano la parlata paulistana dalle altre varietà di portoghese brasiliano. Si tratta della pronuncia della r iniziale, preconsonantica e finale come vibrante alveolare (come in italiano): rata [ˈrata], carta [ˈkarta], mar [mar]; laddove nelle altre varietà del portoghese brasiliano prevale la pronuncia uvulare /ʀ/: [ˈʀata], [ˈkaʀta], [maʀ] (Melo Vieira 2007).
La lingua parlata degli emigrati italiani negli Stati Uniti (➔ italoamericano) destò precocemente l’attenzione di linguisti e dialettologi, ma anche di scrittori e intellettuali. ➔ Giovanni Pascoli, nel poemetto “Italy” (1904), rappresenta la composita «lingua d’oltremare» parlata dalla piccola Molly, tornata in Lucchesia dall’Ohio per curarsi la tisi, e dagli zii Beppe e Ghita. Oltre alla ➔ commutazione di codice dei protagonisti italoamericani (Trova un farm. You want buy? Mostra il baschetto), il poeta riproduce italianizzazioni e adattamenti di parole inglesi (baschetto «cestino» < basket, checche «dolci, torte» < cakes, candi «caramelle» < candies, scrima «gelato» < ice cream).
Come per l’italospagnolo d’Argentina, anche in questo caso la documentazione della parlata forgiata con elementi dialettali frammisti a inserti lessicali adattati della lingua ospite è offerta prevalentemente dalle lettere di emigrati (cfr., per es., quelle raccolte da Melillo 1991 e da Cominale 2009), da trascrizioni di interviste (Haller 1993), da ricostruzioni letterarie. Di particolare interesse sono alcune fonti teatrali che, pur nella loro parziale attendibilità documentaria, hanno consentito di sottrarre alla caducità della lingua orale alcuni fenomeni di ibridazione. Il caso più frequente è costituito da adattamenti di parole inglesi alle regole fonomorfologiche dell’italiano mediante ➔ epitesi vocalica o sillabica che dota la parola di una desinenza italiana (carro per «macchina», elevatore per «ascensore», marchetta per «mercato», storo per «negozio»). Evidentemente per gli emigrati il contatto non avvenne a livello di lingua scritta, né tanto meno di lingua standard. Le varietà in contatto furono da un lato i dialetti, dall’altro l’inglese parlato degli americani. Sono un esempio di quest’ultimo aspetto adattamenti come: ghiroppa (< get up) «alzati», o wazzo maro? (< what’s the matter?) «che cosa è successo?» (Bertini Malgarini 1994: 896).
Se si sposta l’attenzione dall’interferenza dal punto di vista dei sistemi linguistici all’interferenza nel singolo parlante, vengono in primo piano i punti critici nel percorso di apprendimento di una lingua straniera (➔ acquisizione dell’italiano come L2).
La linguistica contrastiva (sviluppatasi nell’ultimo dopoguerra) ha tentato di definire un’analisi degli errori basata sul confronto tra sistemi linguistici. Tale analisi ambiva ad avere valore predittivo nei confronti delle difficoltà incontrate dall’apprendente alle prese con lo studio di una lingua straniera. In tale quadro le difficoltà sono dipendenti in ultima analisi dalla distanza tra i sistemi in contatto. Il confronto tra essi genera interferenza (transfer). In particolare si parla di transfer positivo per le aree in cui i due sistemi coincidono e di transfer negativo nel caso in cui divergono. Il transfer positivo favorisce l’apprendimento, il transfer negativo lo ostacola e lo rallenta, generando errori di interferenza. Ciò non vuol dire che gli errori di interferenza riguardino solo apprendenti di lingue strutturalmente ‘distanti’, ma che essa opera selettivamente come fattore di rallentamento solo su alcune aree del sistema.
A partire dagli anni Settanta del Novecento si ebbe modo di riflettere sui limiti di questa impostazione, mettendo in risalto il fatto che l’apprendente non assorbe in modo passivo il materiale in ingresso (input) per poi riprodurlo meccanicamente, ma è soggetto attivo del processo di apprendimento, in quanto elabora ipotesi sul funzionamento della lingua di cui si sta impadronendo. Questo processo si compie attraverso lo sviluppo della cosiddetta interlingua, cioè un sistema di competenza parziale e transitoria sempre più sovrapponibile a quello della lingua obiettivo, governato da principi provvisori di regolarità. I primi studi sull’interlingua si devono a Larry Selinker, che nel 1972 introdusse il termine per riferirsi alla lingua usata da un apprendente che tenti di esprimersi in una lingua seconda. Gli studi acquisizionali in seguito condotti (per l’italiano, cfr. Giacalone Ramat 2003) hanno confermato che lo sviluppo dell’interlingua è relativamente indipendente dalle caratteristiche della lingua madre dell’apprendente e si traduce in sequenze di acquisizione universali.
Ciò non vuol dire che nell’italiano appreso da stranieri non si riscontrino errori o forme riconducibili a caratteristiche della lingua madre. Tali interferenze sono evidenti in tutti i livelli d’analisi (fonologia, morfosintassi, lessico) e in alcuni casi permangono in apprendenti avanzati. Per quel che riguarda la pronuncia, va menzionata in primo luogo la strategia che consiste nel sostituire fonemi assenti nella propria L1 con altri strutturalmente vicini: gli spagnoli, per es., tendono a pronunciare con la fricativa corrispondente /s/ l’affricata dentale sorda italiana /ʦ/. Un altro punto critico per molti stranieri è la resa della lunghezza consonantica, che in italiano ha valore fonologico (caro / carro; fato / fatto; ➔ fonetica; ➔ quantità fonologica). L’interferenza non interessa solo l’inventario dei fonemi, ma anche altri aspetti: per es., gli apprendenti cinesi e giapponesi, che hanno difficoltà a pronunciare le sillabe chiuse, ricorrono alla cancellazione della consonante finale di sillaba (univesità per università) o all’introduzione, sempre al confine di sillaba chiusa, di una vocale d’appoggio (pasuta per pasta).
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