INTERFERENZA e DIFFRAZIONE
Prima di definire tali fenomeni, si rileva che essi possono verificarsi quando moti vibratorî o regolarmente periodici si propagano attraverso un mezzo elastico. Da tale asserzione si deduce che l'interferenza e la diffrazione possono manifestarsi in uno qualunque dei casi fisici in cui si riscontra la propagazione d'energia raggiante sotto forma di vibrazioni; e cioè sia in meccanica (più particolarmente in acustica), sia in ottica (intendendo con ciò riferirsi non solo alle radiazioni luminose o visibili, ma anche alle ultrarosse, alle ultraviolette e ai raggi X), sia infine nell'ottica delle oscillazioni elettriche. I fenomeni d'interferenza possono avvenire isolatamente; quelli di diffrazione sono per solito in stretta correlazione con fatti interferenziali. È poi una conquista recente della scienza il fatto che fenomeni di diffrazione e interferenza possono constatarsi anche in un caso diverso dalla semplice propagazione di moti vibratorî; si sono scoperti infatti fenomeni che si possono interpretare analogamente ai predetti, studiando il moto degli elettroni, cioè degli ultimi elementi che costituiscono la materia ponderabile, e secondo la meccanica ondulatoria, associati nel loro movimento a certe particolari onde.
Interferenza. - Il fenomeno d'interferenza si constata quando, in particolari condizioni, due raggi di energia raggiante, propagatisi in un mezzo elastico qualsiasi, si sovrappongono, sotto certe condizioni, nei loro effetti. Si constata allora che può avvenire sia un accrescimento dell'intensità rispetto a quella di ciascun raggio, sia una diminuzione, sia ancora l'assoluta estinzione del moto vibratorio. È chiaro dunque che il significato fisico della parola interferenza è molto più vasto di quello che le si attribuisce nel linguaggio comune.
Per dire qualcosa di più preciso sull'argomento, occorre richiamare qualche nozione sulla propagazione del moto vibratorio. Secondo un certo criterio, si può immaginare tale propagazione come consistente in un fascio di raggi partenti dalla sorgente (supposta per semplicità puntiforme) e aventi, nel caso di un mezzo omogeneo e isotropo, andamento rettilineo e semplice.
Sia n la frequenza delle vibrazioni emesse dalla sorgente (numero di vibrazioni al minuto secondo), v la velocità con cui esse si propagano nel mezzo, λ la lunghezza d'onda che viene così a stabilirsi nella propagazione. Si ha v = nλ, la quale relazione indica come, in un dato mezzo elastico, la costante v sia legata alle due variabili n e λ. Possiamo supporre che lo spostamento y della sorgente sia dato dalla semplice legge (moto armonico) y = a sen wt, dove a è l'ampiezza delle vibrazioni, t il tempo, w = 2 πn. La relazione vale tanto che si tratti di vibrazioni trasversali rispetto al raggio di propagazione, quanto di longitudinali. In conseguenza della propagazione, il moto vibratorio viene ad affettare successivamente tutti i punti del raggio. Si può scrivere così la relazione
dove y rappresenta lo spostamento istantaneo di un qualsiasi punto del raggio, T il periodo di vibrazione (= 1/n), e x la distanza di un punto qualunque del raggio dalla sorgente. Questa relazione contenente tre variabili (x, y, t) è ciò che si chiama equazione del raggio. Supponendo eguale a un numero intero di λ, e scegliendo come ascisse i tempi, la variabile posizione del punto considerato del raggio è rappresentabile come in fig.1. Supponendo invece costante t, la stessa figura ci rappresenta la varia perturbazione di tutto il raggio in un istante t corrispondente a un numero intero di T. Le ascisse rappresentano ora le varie distanze da O; le ordinate rappresentano gli spostamenti longitudinali o trasversali rispetto al raggio di ciascun punto di questo. Il fenomeno della propagazione corrisponde allo spostamento progressivo della sinusoide della figura così intesa, lungo il raggio, e con la velocità v.
In generale se si tratta di un mezzo a più dimensioni, la concezione di raggio è puramente ideale. Si parla dell'esistenza di raggi riferendosi all'osservazione degli effetti che l'energia raggiante produce in una piccola località dove essa viene arrestata, o comunque perturbata nella sua propagazione. Se, per es., tale località P è puntiforme, come la sorgente O, se il mezzo è omogeneo e isotropo, come si è detto, si dice che il raggio corrispondente alla congiungente OP ha prodotto in P quei tali effetti; ma è bene riflettere che realmente tale raggio OP non ha vero significato fisico.
Il fenomeno d'interferenza consiste ora nella sua concezione più semplice, nella sovrapposizione degli effetti di due differenti raggi che pervengono sulla stessa località. Ora, perché qualcosa di ben definito possa avvenire, occorre che siano soddisfatte due particolari condizioni. Occorre anzitutto che le due vibrazioni siano esattamente coerenti, cioè rigorosamente e costantemente rispondenti alla stessa frequenza n o allo stesso periodo T, grandezze cioè immutabili nel tempo. Occorre poi che i due raggi interferenti s'incontrino sul punto P lungo la stessa direzione, o per lo meno lungo direzioni quasi coincidenti. Questa condizione si traduce nell'altra che le vibrazioni imposte a P da ciascuna delle due vibrazioni agenti, siano coerentemente trasversali o longitudinali. Se lungo questa unica direzione la propagazione dei moti vibratorî ha eguale senso, si fa luogo a fenomeni d'interferenza propriamente detti; se i moti hanno sensi contrarî si hanno le onde stazionarie.
Si rileva ora che qualunque sia la forma di energia raggiante con cui si esperimenti, non è possibile realizzare la prima condizione disponendo di due sorgenti differenti. Esse finiscono dopo un tempo più o meno lungo (ma che è di solito piccolo o piccolissimo di fronte al tempo necessario per osservare il fenomeno interferenziale) per subire spostamenti di fase nelle loro vibrazioni, che dànno luogo ad assoluta instabilità dei fenomeni interferenziali e quindi alla impossibilità di constatarli. Per cui, un'esperienza interferenziale si suole realizzare utilizzando due raggi provenienti da un'unica sorgente, e raggiungenti per due cammini diversi la stessa località.
Consideriamo anzitutto il caso di vibrazioni longitudinali, cioè parallele ai singoli due raggi di propagazione. Schematizzando questo concetto, sia O la sorgente posta in un mezzo omogeneo (fig. 2); di essa si utilizzino due raggi x1 = OAP, x2 = OBP, che possono così avere differente lunghezza: il loro andamento non rettilineo può essere ottenuto mediante opportuni artifizî (riflessione, rifrazione, ecc.). Si deve supporre, come si è detto, che praticamente le due direzioni AP a BP siano quasi coincidenti (la qual cosa è in contrasto con la nostra rappresentazione grafica); in P gli effetti dei due raggi si sommano, dando luogo al fenomeno dell'interferenza. Infatti le vibrazioni che hanno seguito i due cammini differenti non sono in generale in coincidenza di fase. Lo spostamento di fase dipende dalla differenza x1 − x2 di tali cammini, o, con linguaggio tratto dall'ottica, dei due cammini ottici. S'intende con ciò la grandezza
cioè si misurano i detti cammini in unità di lunghezza d'onda. Scrivendo per i due raggi l'equazione nel modo già detto, si vede come in P si vengono a sommare geometricamente due moti vibratorî espressi dalle relazioni
le cui ampiezze di vibrazione a e b sono in generale differenti, perché le energie raggianti provenienti da O in P attraverso i due cammini possono essere diverse. La teoria della composizione dei moti vibratori armonici stabilisce quali siano i valori dell'ampiezza A risultante in P. Dicendo δ = x1 − x2, si trova che A2 = a2 + b2 + 2 ab cos 2 πδ/λ. Tale ampiezza dipende dunque dal valore dell'angolo 2 πδ/λ che è precisamente la differenza di fase ϕ dei due moti vibratorî nel punto P. Dalla considerazione dei varî valori che può assumere ϕ si desumono i varî casi d'interferenza. Fra essi rileviamo che per ϕ = o, A = a + b (intensità massima); per ϕ = π, A = a − b (intensità minima). Se poi a = b, si ha per ϕ = o, A = 2 a; per ϕ = π, A = o (intensità nulla). Si noti che quando A = 2 a, l'energia del moto risultante è quadrupla di quella di ciascuno dei moti componenti, essendo essa proporzionale al quadrato dell'ampiezza. Il dire che ϕ = o, equivale anche a uno qualunque dei casi ϕ = 2 kπ, essendo k un numero intero; e dire ϕ = π, equivale a ϕ = (2 k + 1) π. A tali notazioni corrispondono i valori δ = kλ, δ = (2 k + 1) λ/2. Diremo perciò che l'intensità risultante è massima quando la differenza di cammino dei due raggi è eguale a un numero intero di lunghezze d'onda; è minima quando è eguale a un numero dispari di mezze lunghezze d'onda. Concludendo, in P si può avere un accrescimento o una diminuzione dell'energia raggiante, dipendentemente dal valore della differenza di fase (o cammino ottico dei raggi componenti); l'uguaglianza delle ampiezze componenti può portare anche all'assoluta estinzione del moto risultante. Si comprende da ciò quanto sia importante il fatto della coerenza dei raggi interferenti: se essa manca, risulta variabile da istante a istante quella differenza di fase e l'osservatore non può più percepire un fenomeno interferenziale stabile.
Le precedenti conclusioni valgono anche quando si abbia a che fare con vibrazioni trasversali, ma contenute nello stesso piano di vibrazione definito da esse con i due raggi (praticamente coincidenti). Se invece le due vibrazioni si svolgono in due piani normali l'uno all'altro, è evidente che la composizione di esse nel punto P, non potrà mai dar luogo all'estinzione del moto. Si avrà da fare con un moto vibratorio risultante in P che non sarà in generale rettilineo, ma ellittico. Come caso particolare (ϕ = o, = kπ) esso potrà essere rettilineo; oppure (ϕ = (2 k + 1) π/2; a = b) circolare. Questi casi d'interferenza si riportano dunque a quello della composizione di moti vibratorî normali l'uno all'altro, che dànno luogo in meccanica o in acustica allo studio delle cosiddette figure di Lissajous, ottenibili, p. es., mediante pendoli o diapason oscillanti in piani perpendicolari.
Dal punto di vista generale ci rimane a considerare il caso in cui i due raggi interferenti si propagano ancora nella stessa direzione, ma in sensi opposti. Si fa luogo come si è detto al fenomeno delle onde stazionarie. Tali due raggi di senso opposto sono esprimibili con le relazioni
le quali dicono che un punto alla distanza x da un punto fisso, scelto come origine, è soggetto ai due spostamenti y1 e y2, diversi a causa del diverso segno del termine x/λ (ritardo per − x/λ, anticipo per + x/λ). La risultante di questi due moti è
funzione delle due variabili x, t. Ma essa si annulla costantemente nel tempo, per i punti che soddisfano alla condizione
ossia a distanze multiple intere di mezza lunghezza d'onda, contate a partire da λ/4 dall'origine. Tali punti, N1, N2, N3 (fig. 3), si dicono nodi mentre le località intermedie sono i ventri di vibrazione, la cui ampiezza è data da A = 2a.
Il fenomeno delle onde stazionarie è facilmente osservabile nelle corde vibranti fisse a un estremo ed eccitate con un moto vibratorio di determinata frequenza all'altro. Tale moto vibratorio si propaga lungo la corda e, riflettendosi all'altro estremo, determina il secondo treno di vibrazioni di senso inverso, necessario per la manifestazione del fenomeno.
Diffrazione. - Sotto la denominazione di fenomeni di diffrazione s'indica una serie complessa di fatti concernenti la propagazione dell'energia raggiante in un mezzo omogeneo, che non sono spiegabili con la classica ottica geometrica. Si hanno fenomeni di diffrazione più o meno accentuati, per es., quando un ostacolo, che non circonda completamente la sorgente, arresta il libero cammino di una parte dell'energia da essa emessa: i fatti che si osservano al di là dell'ostacolo possono essere in assoluto contrasto col principio della semplice propagazione rettilinea secondo i cosiddetti raggi.
Per interpretare i fenomeni di diffrazione di cui sarà dato cenno più particolarmente in seguito, si deve introdurre nello studio della propagazione dell'energia raggiante il concetto di superficie d' onda. Questa si definisce come il luogo nel quale una determinata perturbazione elastica istantanea impressa da una sorgente (per esempio, puntiforme) è pervenuta nel mezzo circostante dopo un certo tempo. Si comprende come le superficie d'onda in un mezzo omogeneo e isotropo, nel caso della sorgente puntiforme siano delle sfere che vanno man mano aumentando di raggio, con velocità progressiva eguale a quella di propagazione della perturbazione elastica nel mezzo stesso. Le superficie d'onda possono essere anche di forma qualsiasi, dipendentemente sia da eterogeneità del mezzo sia da particolare forma complessa della sorgente. Se questa compie delle vibrazioni periodiche, per es., armoniche, le superficie d'onda si susseguono nello spazio presentando caratteristiche che ripetono le loro origini nelle differenti fasi del moto periodico. Così, se si tratta di vibrazioni longitudinali (date, per es., dalle pulsazioni di una piccola sfera elastica, o più semplicemente da una sorgente sonora in un mezzo fluido) si avranno nello spazio in un determinato istante superficie d'onda, o più semplicemente, onde condensate e rarefatte alternativamente.
Nello studio della formazione delle superficie d'onda si ha occasione di applicare il classico principio di Huygens. In modo sintetico si può enunciare questo principio dicendo che in conseguenza della propagazione dell'energia raggiante in un mezzo elastico, ciascun punto di questo diventa centro di emissione. Questo principio apparisce a prima vista in contraddizione col portato dell'esperienza più comune (specie in certi casi, come nell'ottica). Ma si osserva come da esso discendano conseguenze importanti che tolgono tale contraddizione e che anzi aiutano a comprendere quanto avviene nei casi in cui il principio della semplice propagazione rettilinea, secondo raggi, appare non rispettato. Si osserva anzitutto che una superficie d'onda può essere considerata sia come proveniente direttamente dalla sorgente, sia come inviluppo di tutte le onde parziali emesse, secondo il principio di Huygens, da tutti i punti di un'altra superficie qualunque (ancorché non costituente una superficie d'onda) intermedia fra sorgente e la superficie stessa. Si dimostra poi che ciascun punto del mezzo non può dar luogo a onde retrograde, cioè che ritornino verso la sorgente. E infine è facile vedere che, se le onde sono libere di propagarsi in tutte le direzioni, un punto dello spazio riceve energia solo secondo la congiungente con la sorgente. Questo avviene in conseguenza di un fenomeno di mutua interferenza fra i varî raggi elementari che potrebbero considerarsi come arrivanti sul punto da tutte le altre direzioni, meno che da quella lungo la congiungente con la sorgente.
Queste premesse ci permettono ora di accennare a casi semplici di diffrazione. Fra essi consideriamo solo il seguente. Sia una sorgente O puntiforme (fig. 4). Essa dà luogo tutto intorno, e in un determinato istante, a delle linee d'onda (nel piano) o superficie d'onda (nello spazio) S1 S2 ... Se tali onde incontrano uno schermo opaco con un foro F, questo foro diventa per lo spazio a destra della figura nuova sorgente, e i cerchi s1 s2 ... ci rappresentano le nuove onde. Tali superficie sono di solito osservabili dentro un cono, C1 C2, tanto più acuto quanto più piccola è la λ impiegata; infatti, essendo il diametro di F di dimensione finita, un raggio R laterale risulterà da raggi parziali che possono estinguersi fra loro per interferenza.
I fatti accennati possono verificarsi facilmente in meccanica con onde superficiali, su un liquido come mercurio o acqua.
Altri fatti più complessi possono studiarsi ancora, anche solo dal punto di vista meccanico. Ma la loro constatazione sperimentale è per solito difficile e non ha interesse. Di essi diremo più opportunamente riferendoci agli altri capitoli della fisica.
Interferenza e diffrazione in acustica. - Il fenomeno d'interferenza può essere dimostrato in acustica mediante l'esperienza di G. Quincke. Essa realizza sperimentalmente lo schema già indicato nella fig. 2. Un suono di determinata altezza n è prodotto in O (fig. 5). Esso si propaga secondo due cammini differenti x1 e x2 in tubolature di vetro e di caucciù. In P si ascolta il suono o meglio se ne rileva l'arrivo con speciali congegni (capsula manometrica, fiamma sensibile, ecc.). Poiché, dipendentemente dalla natura del gas rinchiuso nelle tubolature, resta determinata la lunghezza d'onda per una data frequenza n, in P arriverà più o meno intensamente il suono a seconda dei valori che assume la grandezza (x1 − x2)/λ. In particolare, se la differenza x1 − x2 è un multiplo dispari di λ/2, in P potrà essere praticamente nulla l'intensità sonora in arrivo. Poiché λ varia con v è facile comprendere come il dispositivo si presti alla determinazione della velocità di propagazione del suono, in un gas qualsiasi che venga preventivamente introdotto nelle tubolature.
Lasciando da parte numerose altre esperienze interferenziali di tipo analogo a quella del Quincke, ricorderemo come in acustica si osservino frequentemente fatti definibili come onde stazionarie. Ciò avviene, p. es., con le corde vibranti, le quali possono venire eccitate in guisa da dare una successione anche assai numerosa di nodi e di ventri, in corrispondenza dei varî suoni armonici che la corda stessa può emettere. Si può ammettere che la formazione di tali onde stazionarie sia dovuta a interferenza tra onde che procedono in sensi inversi, lungo la corda. In genere, una qualunque sorgente sonora o strumento capace di produrre un suono di altezza definita, si può ritenere sede di onde stazionarie: infatti in esso sarà sempre possibile ritrovare zone ventrali, nodi, o linee nodali.
In acustica, il fatto che i suoni propagandosi dalla sorgente al posto di ascolto sono capaci di sormontare gli ostacoli (ancorché questi siano completamente opachi), si spiega ammettendo l'intervento di fenomeni di diffrazione. Tale fatto è tanto più facilmente constatabile, quanto maggiore è la lunghezza d'onda generata da ciascun suono. Un fischio acuto viene perciò assai più facilmente arrestato da un ostacolo posto sulla congiungente retta fra sorgente e posto di ascolto, che non un suono basso.
Un dispositivo di lord Rayleigh (fig. 6) permette di realizzare una elegante esperienza di diffrazione e a un tempo d'interferenza. Un suono piuttosto acuto è prodotto in O. In A esso viene a impressionare una fiamma sensibile. Fra O e A è interposto uno schermo di cartone che ha delle fenditure o zone circolari con centro sull'asse OA. I diametri di tali fenditure sono tali che le lunghezze OBA, OCA, ODA, ..., differiscono precisamente ciascuna dalla precedente di una lunghezza d'onda corrispondente al suono emesso da O. In A arrivano dunque attraverso tutti i detti cammini azioni concordanti. Come conseguenza, l'interposizione dello schermo produce un rinforzo del suono arrivante in A; infatti in sua assenza arriverebbe in A anche dell'energia sonora attraverso le località che sono poi occupate dalle parti opache del disco. L'esperienza dimostra dunque l'esattezza del principio di Huygens, anche in acustica.
Diffrazione e interferenza ultrasonore. - Nello studio della propagazione degli ultrasuoni si rileva la manifestazione d'interessanti fenomeni d'interferenza. Un quarzo piezoelettrico emette dalla sua faccia vibrazioni che possono avere frequenza persino di 200.000 vibrazioni al 1″. Queste si propagano nel mezzo circostante (di solito l'acqua) dirigendosi soltanto secondo un cono piuttosto acuto avente l'asse normale alla detta faccia. Non è possibile difatti la propagazione in tutte le direzioni per ragione analoga a quella illustrata con la figura 4 nella quale le onde sono sensibilmente comprese nel cono C1 C2. Il fatto ha grande importanza nelle applicazioni pratiche (per es., scandagli o segnalazioni subacquee ultrasonore).
Interferenza ottica. - Per quanto la teoria del fenomeno sia stata formulata da T. Young (1802) e da A. Fresnel (1815), fatti interferenziali ottici erano già conosciuti sin dalla prima metà del sec. XVII. Dapprima i colori delle lamine sottili richiamarono l'attenzione di R. Boyle e R. Hooke poi I. Newton immaginò il dispositivo degli anelli, che portano il suo nome. Con Young e Fresnel si ebbero poi i primi dispositivi con percorso di raggi interferenti relativamente lunghi; e in seguito molti altri autori hanno immaginato dispositivi più complessi e perfetti. Restando nel campo dell'ottica propriamente detta, cioè delle radiazioni visibili, rimane definita la lunghezza d'onda di ciascuna radiazione dello spettro dal rosso (0,65 micron) al violetto (0,42 micron). Lo schema della fig. 2 può essere tradotto sperimentalmente in varie guise. Tutti i congegni così realizzati hanno le seguenti caratteristiche comuni. Da una sorgente di radiazioni, che nel caso più semplice è monocromatica e alla quale compete una certa lunghezza d'onda, vengono prelevati due fasci di raggi distinti, che poi convergono su un unico schermo, che può essere anche la retina del proprio occhio. Così, su ciascun punto dello schermo verranno a battere contemporaneamente due raggi, appartenenti ai due fasci; il punto sarà perciò colpito da un massimo o da un minimo di luce, dipendentemente dal valore della differenza di cammino δ = x1 − x2, come già si è detto. È facile comprendere che ciascun punto farà così parte sullo schermo, di un luogo lineare, per tutti i punti del quale quella differenza ha lo stesso valore (fig. 7). Ciascuno di tali luoghi si chiama frangia di interferenza. Come caso particolare la frangia può essere puntiforme. Tali frange possono essere oscure o luminose secondo che esse corrispondono a minimi o a massimi di luce. Se i due raggi interferenti hanno seguito cammini con le stesse modalità (riflessioni, rifrazioni, ecc.) ma sia pure di diversa lunghezza, le frange luminose corrispondono a δ = kλ, quelle oscure a δ = (2 k + 1) λ/2; questa regola può invertirsi se uno dei raggi ha subito p. es. una riflessione vitrea in più rispetto all'altra, giacché si dimostra che a tale fatto corrisponde una perdita di λ/2. Stando al primo caso, diremo che le frange luminose possono essere dell'ordine di interferenza 0,1, 2, ecc., corrispondentemente al valore di k; quelle oscure sono invece di ordine 1, 2, ecc.
Le frange sono dunque dovute alla somma geometrica di vibrazioni provenienti dalla stessa sorgente, ma che in generale (tolta cioè la frangia di ordine zero) sono realmente avvenute in istanti di tempo diversi. Se, p. es., si considera la frangia di ordine 1000, essa corrisponde alla somma di effetti di una vibrazione con altra avvenuta nella sorgente, dopo un tempo 1000 T (essendo T il periodo). Per le radiazioni visibili T è dell'ordine di 10-15 1″; per cui la differenza di tempo in parola è circa 10--12 1″. L'esperienza fa vedere che è possibile osservare frange persino dell'ordine di 500.000 circa, per cui quel tempo potrà ancora essere 10-9 o 10-10 1″. Se è possibile osservare frange d'ordine tanto elevato ciò dipende da un canto dalla purezza della sorgente luminosa impiegata (cioè dalla sua monocromaticità più o meno perfetta); e dall'altro dal fatto che essa sia rimasta perfettamente coerente con sé stessa compiendo un numero di vibrazioni tanto elevate come si è detto. Talune radiazioni monocromatiche (particolarmente certe linee spettrali di gas nobili) soddisfano realmente a tali condizioni.
Circa il modo di generare le frange d'interferenza, accenneremo agli specchi di Fresnel. I due specchi piani M, N (fig. 8) formano un angolo quasi piatto (regolabile con opportune viti). Una sorgente luminosa puntiforme S dà luogo a due immagini virtuali poste tra loro alla distanza d. Al di qua degli specchi si hanno due fasci conici di raggi partenti da S1 e S2, che colpiscono lo schermo Z. L'esame del fenomeno interferenziale porta a stabilire, per ogni punto dello schermo, quale sia la differenza di cammino dei raggi S1 P e S2 P (in parte virtuali). In O (punto di simmetria) tale differenza è nulla; sullo schermo sì ha, normalmente al piano del disegno, una frangia centrale luminosa di ordine zero, rettilinea e passante per O. Essendo la distanza D di Z molto grande rispetto a d, si ha con buona approssimazione
la differenza di cammino S1 B fra S1 P e S2 P. Per cui, per il punto P passa sullo schermo una frangia oscura o luminosa, dipendentemente dall'essere k dispari o pari. Sullo schermo, le frange luminose o oscure hanno la forma di iperboli; la retta centrale RS è frangia di ordine zero (fig. 9). Adoperando, invece di sorgente puntiforme, una fenditura parallela allo spigolo dell'angolo formato dagli specchi, le frange sono tutte rettilinee e parallele a RS. Le frange sono più fitte se la lunghezza d'onda è più piccola; all'incirca la distanza fra due frange consecutive è metà per il violetto, rispetto al rosso. Se si adopera luce monocromatica, si possono osservare gran numero di frange alternativamente luminose o oscure. Se la luce è bianca ciascuna λ dà luogo a un sistema di frange; complessivamente si hanno particolari colorazioni che dipendono dall'eliminazione di una certa regione dello spettro più o meno stretta, corrispondente a una frangia oscura per la regione stessa. Si tratta perciò di colorazioni non monocromatiche caratteristiche (osservate per la prima volta da Newton, nei suoi anelli) che diventano sempre più scialbe o slavate man mano che ci si allontana da RS. Il numero delle frange osservabile in luce bianca è perciò assai più limitato, che nel caso della luce monocromatica. Altri dispositivi che dànno effetti simili sono il biprisma di Fresnel, le mezze lenti di Billet, lo specchio di Lloyd.
Si possono ancora osservare fenomeni interferenziali, servendosi di lamine trasparenti, sottili o grosse. S'intende per lamina uno spazio limitato fra due superficie riflettenti, per solito piane e parallele; la lamina può essere perciò anche gassosa. Una lamina colpita da un raggio luminoso dà luogo sia per riflessione sulle sue due facce, sia per rifrazione, a più raggi che hanno, in conseguenza dello spessore della lamina, cammini di lunghezza differente. Nel caso della riflessione (fig. 10) i due raggi r, r′ a cui dà luogo il raggio incidente R (supponendo l'incidenza quasi normale alla lamina di spessore d), differiscono per un cammino 2 n d, essendo n l'indice di rifrazione della lamina. Tale differenza è però aumentata di ϕλ/2, in conseguenza della riflessione di r su superficie che delimita un mezzo più denso; mentre la riflessione che dà luogo a r′non produce cambiamento di fase. Nella fig. 11 (rifrazione) si hanno ancora due raggi r, r′, la cui differenza di cammino è solo 2 nd, perché le due riflessioni successive, interne della lamina, lasciano inalterata la fase. In entrambi i casi indicati i due raggi r, r′ sono vicinissimi se la lamina è molto sottile (piccolissima frazione di mm.). Essi, fondendosi insieme, sia su uno schermo sia sulla retina, dànno luogo a interferenza; la luminosità della lamina appare perciò diversa a seconda del valore della λ incidente. Se si adopera luce bianca, di essa qualche λ può estinguersi totalmente (nel caso dell'osservazione per riflessione), o affievolirsi (per trasparenza); la lamina può così apparire vivamente colorata. La colorazione dipende anche dall'incidenza della luce, valendo le relazioni suddette per incidenza normale. Si spiegano così le belle colorazioni delle bolle di sapone tanto più vivaci quanto più sottile è il velo liquido.
Gli anelli di Newton hanno origine del tutto simile; con l'avvertenza che qui la lamina interferenziale è d'aria, ed è compresa (fig. 12) tra due superficie vitree S1 (convessa) e S2 (piana). I punti P1, P2, ... appartengono a tanti cerchi (gli anelli) che sono luoghi di eguale spessore. Per ciascuno di questi anelli si ha la stessa differenza δ tra i raggi r, r′; in luce bianca essi appariscono ciascuno con tinta propria, non monocromatica. Gli anelli di Newton si possono osservare sia per riflessione sia per trasparenza (fig. 13). Per riflessione, il punto centrale di contatto tra i due vetri apparisce nero anche in luce bianca; infatti i due raggi riflessi, subendo due riflessioni di carattere differente, ma senza differenze di cammino, sono esattamente spostati di fase di λ/2.
Le colorazioni delle lamine sottili, o gli anelli di Newton si possono osservare in luce diffusa, giacché praticamente per l'occhio è una sola incidenza quella utile. Se le lamine diventano grosse (basta già 1/10 di mm.), ciò non è più possibile, perché varî raggi incidenti a cui corrispondono varie λ, lasciano sovrapporre i loro effetti e non vi ha ragione perché una particolare tinta sparisca per interferenza.
Con lamine grosse, si può ancora osservare l'interferenza, delimitando accuratamente l'angolo d'incidenza dei raggi interferenti, e sopra tutto servendosi di luce il più possibilmente monocromatica. Si può adoperare, p. es., l'arco a mercurio S, ricco di radiazioni verdi (λ = 0,546 μ). La sua luce, resa parallela, è proiettata sul sistema di due lastre piane di vetro che formano un piccolissimo angolo θ (fig. 14). Le facce prospicienti di queste, delimitano una lamina d'aria e si osservano, localizzate in LL′, delle frange rettilinee parallele allo spigolo dell'angolo diedro così formato, che sono frange di eguale spessore. La loro distanza progressiva dipende dal valore di λ e da quello di tale angolo. Si tratta però d'interferenza di ordine elevato; infatti, se in un certo punto la distanza delle facce LL′ è, p. es., di 0, 1 mm., la differenza di cammino dei raggi interferenti è di o,2 mm., al che corrisponde per la riga verde del mercurio un ordine d'interferenza di circa 400. Basta un lievissimo cambiamento nel valore di λ, perché tale ordine muti, e il cambiamento di mezza unità nell'ordine d'interferenza porta, come è noto, al passaggio dalla luce all'oscurità. Ciò val quanto dire che, se la luce non è monocromatica, le frange spariscono. Non è possibile dunque osservare frange variamente colorate in luce bianca con lamine che abbiano spessore anche solo di 1/10 di mm., e anche molto meno.
Le frange osservabili in una lamina sottile, come ora si è detto, sono frange localizzate, perché l'occhio le localizza proprio sullo spessore interferenziale. Se le facce di queste sono parallele e costituiscono una lamina di un certo spessore, non si osservano più frange rettilinee, ma, sempre con luce il più possibilmente monocromatica, circolari. Così (fig. 15) siano L, L′ due facce riflettenti; S una sorgente monocromatica; M uno specchio semiargentato; un raggio da S si riflette in parte su M, e successivamente su L′ ed L. Questi due raggi hanno una differenza di cammino 2d, e dànno luogo sull'occhio dell'osservatore O a interferenza. Ma tutto intorno alla direzione assiale O N avviene ancora percezione di luce, secondo le direzioni a cui corrisponde un δ alquanto maggiore. Da ciò, la formazione di anelli alternativamente oscuri o luminosi monocromatici, simili agli anelli di Newton, in luce monocromatica. Tali frange circolari sono localizzate dall'occhio all'infinito, e si dicono perciò frange all'infinito o di eguale inclinazione; esse non possono essere percepite in luce bianca. Per valori di d notevoli non tutte le λ corrispondenti alle varie righe spettroscopiche emesse dai varî corpi sono sufficientemente monocromatiche. Per la riga verde del mercurio, o meglio per quelle del cadmio, e meglio ancora per taluna di gas nobili, si può lavorare con d del valore di più decimetri; si hanno così gli ordini d'interferenza più elevati ottenibili.
Le lamine a facce parallele possono dar luogo anche a interferenze con onde multiple. Ciò si ha se il potere riflettente delle facce è piuttosto notevole, pur conservando l'insieme sufficiente trasparenza. Così si possono osservare interferenze fra i raggi r1, r2, ... (fig. 16) d'intensità decrescente, corrispondenti a riflessioni multiple dello stesso raggio incidente R. Tali raggi hanno subito ritardi progressivi costanti l'uno rispetto al precedente; il loro insieme, raccolto mediante un obiettivo o sulla retina, dà luogo in modo molto più spiccato a interferenza. Con dispositivi di questo genere, è possibile rendersi conto della struttura complessa di righe spettrali non semplici.
Interferometri. - Sono dispositivi nei quali dall'osservazione di fenomeni d'interferenza, si deducono valutazioni quantitative di fenomeni svariati. Il principio su cui si basano consiste nel provocare mediante ciascuno di questi, una variazione sul cammino ottico di uno dei raggi interferenti o su entrambi (in questo caso di senso inverso); a ciò corrisponde uno spostamento del sistema di frange, che può essere esattamente controllato. Tra tali apparecchi, citeremo l'interferometro di A. Michelson, che ha dato luogo a importanti ricerche. Una sorgente S (fig. 17) manda un raggio di luce che, battendo sulla lastra semiargentata di vetro L, si scinde in due, venendo a colpire rispettivamente due specchi situati l'uno in alto l'altro a destra della figura. I due raggi così ottenuti tornano sul loro cammino e una parte delle loro intensità si dirige per nuova riflessione e rifrazione su L, verso l'osservatore O. La lastra L è leggermente argentata sulla faccia superiore. Sul percorso di uno dei raggi si trova una seconda lastra di vetro L′ identica alla prima ma non argentata (lamina di compensazione). Con ciò, se i due specchi sono esattamente simmetrici rispetto alla faccia argentata di L, i due cammini ottici dei due raggi interferenti in O sono identici. Una lievissima inclinazione di uno dei due specchi dà così luogo all'osservazione di frange colorate, se S è di luce bianca. Se i due cammini sono differenti, occorre lavorare con luce monocromatica, e in O si osservano solo frange circolari all'infinito. Per alcune linee spettrali molto pure, può l'interferometro venire adoperato con differenze di cammino di parecchi decimetri.
Si vede dunque come con il dispositivo di Michelson i due raggi interferenti sono, in certe parti del loro percorso, del tutto separati, anzi l'uno è a 90° rispetto all'altro. In altri interferometri (specchi di Jamin) i due raggi sono ancora separati, ma paralleli. Comunque è possibile, grazie a tale separazione, agire su uno dei raggi interferenti o su tutti e due, in modo da creare una variazione ulteriore dei due cammini ottici (variazioni di lunghezza, d'indice di rifrazione, ecc.).
Applicazioni dei fenomeni d'interferenza. - Si basano sul concetto di servirsi, come diceva H.L. Fizeau, di un raggio di luce come di un finissimo micrometro, essendo tale raggio costituito da ondulazioni di estrema tenuità e regolarità. Effettivamente si è così sviluppata una tecnica delicatissima, che permette di valutare in lunghezza d'onda luminosa, sia spostamenti piccolissimi, sia lunghezze notevoli, che prima erano studiate con i noti metodi della metrologia. Daremo soltanto, al riguardo di tali applicazioni, qualche notizia sommaria.
Dilatometro di Fizeau. - Un blocchetto B della sostanza solida da studiare, con la faccia superiore speculare, è sostenuto (fig. 18) al disotto di una lastra di vetro A a facce piane. Tra la faccia inferiore di A e la superiore di B, si fa avvenire l'interferenza come nella fig. 11, osservando frange di eguale spessore. Si provoca poi una variazione di temperatura dell'apparecchio; in conseguenza della differente dilatazione tra B e le viti di sostegno v, si verifica così uno spostamento di frange. Se si osserva il passaggio di n frange, ciò corrisponde a una variazione di distanza effettiva tra B e A di nλ/2. Potendo essere valutabile uno spostamento anche di solo 1/10 di frangia, cioè corrispondente a qualche centesimo di μ, e conoscendosi il coefficiente di dilatazione della sostanza delle viti, quello di B rimane determinato con grande precisione.
Forma delle superficie ottiche. - Osservando le frange localizzate fra due superficie prossime rigorosamente piane, esse appaiono rettilinee e parallele allo spigolo del diedro determinato dalle superficie stesse. Se una di queste non è piana, le frange risultano variamente deformate, rappresentando esse sempre delle linee di eguale spessore; il sistema di curve così ottenuto è analogo a quello delle curve di livello in topografia, con equidistanza corrispondente a mezza lunghezza d'onda.
Indice di rifrazione. - Si determina provocando mediante la sostanza da studiare una variazione nel cammino ottico di uno dei raggi interferenti. Ciò può farsi, p. es., con l'interferometro di Jamin, di Michelson, ecc.
Misura di maree terrestri. - Il metodo è di Michelson. Un tubo orizzontale interrato lungo 150 metri, terminante in due tratti verticali, è pieno di acqua a pelo libero. I menischi terminali hanno lo stesso livello all'estremità, ma in conseguenza del moto della luna e del sole, le posizioni dei due menischi mutano periodicamente, rispetto ai tubi che li contengono, come risulta mediante l'osservazione di un sistema interferenziale (analogo al dispositivo Fizeau). Ma lo spostamento osservato è più piccolo di quello prevedibile con la teoria delle maree. Si deduce perciò che anche la crosta terrestre prende parte a questo fenomeno, per circa un terzo di quello che avviene per l'acqua.
Campionamento del metro in lunghezze d'onda. - È stato fatto da Michelson col suo interferometro. Uno dei due specchi di questo (fig. 17), è spostabile mediante una vite parallelamente a sé stesso. Durante tale spostamento si osserva da O un movimento di frange verso o dal centro ottico del sistema anulare. Contando il numero delle frange che sono passate, si può misurare lo spostamento subito da B. Ciò, teoricamente, se anche questo fosse dell'ordine del metro. Praticamente ciò sarebbe impossibile, per l'enorme numero di frange da contare. Michelson ha proceduto però a determinazioni di circa 1/2 mm. di lunghezza, per il che corrisponde il passaggio di circa 1000 frange; poi al confronto con una lunghezza doppia, il che non esige di contare tutte le 2000 frange; poi raddoppiando sempre, sino a 1 metro di lunghezza. Ha così determinato quante frange di una certa λ sono contenute nel metro campione; tale numero è, per la riga rossa del cadmio, di circa un milione e mezzo, e questa determinazione è approssimata sino a una frazione di frangia.
Altre applicazioni. - Con interferometri particolari si può determinare il trascinamento della luce operato da corpi in moto (Fizeau); la permeabilità magnetica di liquidi; lo spostamento di membrane vibranti, ecc. Un'importante ricerca fu eseguita da Michelson e collaboratori con l'interferometro descritto ed essa ha condotto a riconoscere l'assenza di vento di etere alla superficie della terra; da tale ricerca ha poi avuto origine la teoria della relatività.
Diffrazione della luce. - In acustica, in conseguenza delle lunghezze d'onda con cui si ha da fare (grandi, rispetto alle dimensioni dell'ambiente di esperimento) i fenomeni di diffrazione osservabili comunemente consistono nel ripiegamento apparente dei cosiddetti raggi sonori (donde il nome Beugung dato dai Tedeschi alla diffrazione) intorno agli ostacoli. In ottica, essendo le lunghezze d'onda estremamente piccole, un fatto analogo, mentre si verifica in misura estremamente ridotta, è di solito nascosto dai fenomeni di penombra. Se si evita ciò mediante l'uso di sorgenti di dimensioni ridottissime (come forellini o fenditure), la pura ottica geometrica non è più sufficiente a spiegare il complesso e delicato quadro di fenomeni osservabili.
Parlando particolarmente dei fenomeni di diffrazione in ottica, diremo anzitutto che la loro esistenza fu accennata per la prima volta da Leonardo da Vinci. Più tardi il padre M. Grimaldi nel 1665 in Bologna descrisse fatti osservabili studiando le ombre di varî oggetti, posti sul percorso di un fascio di raggi solari limitati mediante un forellino praticato in uno schermo opaco. Successivamente Newton mostrò come la luce bianca potesse dar luogo in dispositivi del genere a delle colorazioni, e cercò di dare una spiegazione del fenomeno, fondata sulla sua teoria emissiva della luce. Le idee di Newton, per l'autorità del suo nome, ostacolarono il credito della teoria ondulatoria della luce basata sul principio di Huygens. E fu solo per opera di Young e Fresnel che questa teoria, al principio del secolo scorso, si poté affermare.
Seguendo l'ordine storico, accenneremo a una classica esperienza di Young, interpretabile come fenomeno di diffrazione e d' interferenza, ad un tempo. Uno schermo opaco è colpito da luce parallela, due fenditure F1, F2 (fig. 19) parallele e praticate su esso, lasciano passare due sottili fasci che, secondo i principî dell'ottica geometrica, dovrebbero dare sullo schermo K due macchie luminose A1, A2. Effettivamente, per il principio di Huygens, da F1, e F2, si propagano verso K due fasci conici, i cui effetti si sovrappongono su K, essendo la distanza F1 F2 piccolissima di fronte a D. In conseguenza di tale fenomeno di diffrazione, su K si constata la formazione di frange del tutto simili a quelle osservabili con gli specchi di Fresnel, la cui disposizione fu ideata più tardi. Per cui, il dispositivo di Young dà luogo a un fenomeno promiscuo di diffrazione e d'interferenza, ed esso contiene il germe su cui si basano tutti i dispositivi di diffrazione, in quanto che in essi, quantunque talvolta non appaia così netta la molteplicità delle sorgenti agenti (come le due fenditure F1, e F2), si fa luogo a fenomeni interferenziali fra raggi provenienti da differenti località.
Per renderci conto di quanto avviene nei varî casi di diffrazione, riferiamoci alla fig. 20. Sia S una sorgente luminosa monocromatica, di lunghezza d'onda λ. Nel punto P arriva energia luminosa soltanto lungo la direzione SP. Questo fatto si concilia con il principio di Huygens mediante la costruzione delle zone di Fresnel. Consideriamo una superficie d'onda di centro S. Costruiamo una serie di sfere di centro P, di raggi crescenti con una ragione di λ/2. Data la piccolezza della lunghezza d'onda luminosa, di fronte alle dimensioni segnate in figura, si comprende che di tali sfere se ne verranno a tracciare un grandissimo numero, prima d'interessare con esse buona parte della superficie. Per riferirci concretamente al caso pratico, si dovrà immaginare che la parte della superficie d'onda utilizzata in tale costruzione, sia un piccolissimo arco, col punto di mezzo su SP. Ora, tali sfere determinano su quella una serie di zone anulari, ciascuna delle quali, se considerata isolata, invierebbe su P una certa azione. Ma se si considera l'azione su P di un involucro conico, come CC′, con asse SP, esso si appoggia a un buon numero di zone, la cui azione potrà essere nulla (se il numero delle zone è pari), o eguale a quella di una sola zona (se dispari). Infatti, l'azione di due zone consecutive si annulla, perché esse inviano su P movimenti vibratorî con spostamenti di fase λ/2. Per quanto ciò non sia perfettamente rigoroso, si può ammettere che rimanga così spiegato perché in P arriva soltanto l'azione di una zona centrale, all'incirca di raggio metà di quella indicata in figura. Il ragionamento sommario da noi fatto si traduce in una determinazione quantitativa, mediante calcoli eseguiti da Fresnel. Si tratta infatti di determinare l'intensità ricevuta in P, non partendo dalle leggi dell'ottica geometrica (cioè non considerando il raggio SP), ma riferendoci alla considerazione di una superficie d'onda intermedia e applicando il principio di Huygens. Evidentemente, se la superficie d'onda segnata è libera di propagarsi due metodi debbono dare lo stesso risultato numerico. Ma il secondo metodo dovrà permetterci di limitare il calcolo a una certa porzione della superficie d'onda stessa, il che equivarrà a studiare l'effetto di ostacoli di diversa forma o contorno, posti fra S e P, sull'intensità raccolta in P; a tale effetto corrisponde il fenomeno di diffrazione.
Il calcolo eseguito da Fresnel parte col fissare l'espressione di una funzione che esprima l'intensità luminosa inviata su P, da un elemento della superficie d'onda, per poter procedere poi all'integrazione di tale funzione. Se diciamo r il raggio di quella superficie, D la distanza del polo di questa da P, s un'ordinata variabile perpendicolare a SP, e indichiamo con v la grandezza
il calcolo di Fresnel dà per l'intensità il valore
che sono gl'integrali di Fresnel, e che si calcolano con sviluppi in serie.
Il significato fisico di questo risultato è il seguente. L' intensità che è ricevuta in P risulta dalla composizione di due grandezze periodiche in quadratura; se estendiamo i due integrali fra 0 e v, e facciamo variare v fra 0 e ∞ oppure fra 0 e − ∞, potremo riportare i corrispondenti valori di A e B, su due assi coordinati. Si avrà una curva, che è la spirale di Cornu. I due rami spirali di questa curva si avvolgono su due punti assintoti H e H′ (fig. 21). La congiungente HH′ rappresenta la risultante dei due vettori A, B; il quadrato di tale grandezza rappresenta l'intensità ricevuta da P. Supponiamo ora che la superficie d'onda non sia totalmente libera di propagarsi; se, per esempio, uno schermo fornito di un bordo rettilineo, arresta la metà inferiore di essa, la rappresentazione grafica della risultante sarà data dal solo tratto OH. Se questo schermo si alza in guisa da lasciare nell'ombra geometrica P rispetto a S, la risultante diventerà sempre più piccola, passando successivamente per i valori O′ H, O″ H, ecc., cioè la luminosità in P andrà man mano affievolendosi. La varia inclinazione di tali vettori sta a indicare la varia fase delle vibrazioni. Se supponiamo invece che lo schermo a bordo rettilineo si abbassi, la risultante si appoggerà ancora su H e l'altro estremo andrà man mano spostandosi da O verso la parte bassa della curva spirale. Perciò, le intensità passeranno alternativamente per valori massimi e minimi. Concludendo, diremo che, nel caso dello schermo a bordo rettilineo, mentre, secondo la concezione geometrica di propagazione, si dovrebbe avere una retta di separazione tra una zona oscura e una luminosa, manca invece la zona totalmente oscura, e la luminose è sostituita da frange di diffrazione (massimi e minimi di luce).
I casi di diffrazione possono essere svariatissimi, dipendentemente dal modo con cui viene delimitata una parte della superficie d'onda agente. Così, mediante il metodo svolto, si spiega perché l'ombra che un piccolo disco proietta su uno schermo, quando è illuminato da una sorgente puntiforme, può essere più luminosa verso il centro. Così pure si possono studiare e interpretare i fenomeni di diffrazione presentati da altri ostacoli più o meno complessi (fori, fenditure semplici o multiple, ecc.).
Negl'integrali di Fresnel figura la grandezza v, che è funzione di λ. I valori di A e B variano dunque con λ. Come risultato pratico si ha che la distanza fra le frange di diffrazione, corrispondente in certo modo alla distanza fra le spire successive della spirale di Cornu, va diminuendo con λ. Se la sorgente S è di luce bianca, ciascuna λ dà luogo a un sistema di frange; i varî sistemi si sovrappongono, dal che deriva la formazione di frange colorate, come già aveva osservato Newton.
Tutti i fenomeni di diffrazione accennati sono peraltro di constatazione delicatissima e talvolta difficilmente proiettabili su schermi, per cui è meglio osservarli direttamente con l'occhio. In ogni modo essi si svolgono rispetto alla sorgente dentro piccolissimi angoli visuali.
Reticoli di diffrazione. - Casi importanti di diffrazione sono quelli che si verificano adoperando i reticoli. Per reticolo di diffrazione s'intende una superficie riflettente o trasparente (metallo o vetro) soltanto lungo sottilissime righe disposte l'una accanto all'altra. Si costruiscono i reticoli, rigando mediante apposite macchine superficie metalliche o vitree, piane o sferiche. La parte incisa non lascia passare o riflettere la luce, e il sistema equivale a una serie di fenditure luminose vicinissime. Si arriva a costruire reticoli con circa 500 tratti ogni mm. (H. Rowland).
Le seguenti considerazioni valgono per i reticoli usati sia per trasparenza sia per quelli per riflessione. Consideriamo, per semplicità di rappresentazione, un reticolo in vetro (fig. 22) funzionante per trasparenza. Esso avrà un numero totale n di tratti o fenditure. Supponiamo che esso sia investito da un'onda piana luminosa monocromatica propagantesi normalmente al suo piano. Ciò si ottiene di solito mediante una fenditura F fortemente illuminata, posta nel fuoco di una lente al di sopra del reticolo. Attraverso un tratto trasparente passerà un fascio; l'insieme di questi fasci è concentrato, mediante un obiettivo, su uno schermo. Le dimensioni del reticolo sono piccole di fronte alle distanze d1, d2, d3, della figura, che è puramente schematica. Sullo schermo si forma un'immagine centrale C rettilinea, parallela ai tratti del reticolo, che corrisponde a una frangia d'ordine zero, per la quale cioè la differenza di cammino dei varî fascetti elementari è nulla. Ma accanto a tale immagine centrale della fenditura F si formano tante altre immagini C1, C2, ..., sia a destra sia a sinistra. Esse derivano dalla sovrapposizione di effetti delle onde diffratte dalle fenditure del reticolo, con differenze di cammino fra due raggi consecutivi, di 1, 2, ... λ. Gli spazî intermedî fra le dette immagini sono quasi completamente oscuri. In altri termini la luce uscente dal reticolo, in conseguenza del fenomeno di diffrazione, si viene a concentrare su righe luminose che sono dovute a ordini d'interferenza 0, 1, 2, ... Tali righe hanno luminosità decrescenti, e più propriamente esse debbono considerarsi quali massimi principali, giacché anche fra loro perviene dall'obiettivo O una certa intensità luminosa che è distribuita fra massimi secondarî. Il numero di questi massimi, compresi fra due massimi principali C, C′, è eguale a m − 2, se m è il numero totale dei tratti del reticolo. Inoltre, più è grande m, più spiccati sono i massimi principali e meno i secondarî; talché quando m è molto notevole, praticamente si può ritenere che i massimi secondarî non esistono. I massimi principali si formano per la concentrazione mediante l'obiettivo di fasci egualmente inclinati emergenti dal reticolo, p. es., dell'angolo ϕ. Perché il massimo si formi occorre che sia soddisfatta la relazione
essendo n un numero intero, che caratterizza l'ordine d' interferenza di ciascun massimo. Se muta λ, cambia la disposizione di tali massimi, diventando essi più fitti al diminuire di λ. Come conseguenza, se si adopera luce bianca, invece di monoeromatica, al posto di ciascuna riga C1, C2, ... si avrà uno spettro, con le radiazioni violette più vicine al centro C. Tali spettri si dicono rispettivamente di 1°, 2°, ... ordine, corrispondendo ciò all'ordine n d'interferenza. La dispersione di tali spettri cresce con n, tanto che per i reticoli a molti tratti, come quelli di Rowland, gli spettri al di là del secondo sono talmente estesi, che essi si sovrappongono in parte.
Si chiama potere dispersivo del reticolo la grandezza
che cresce appunto con n. La dispersione ottenibile con i reticoli è assai superiore di quella prismatica, e sotto certi riguardi più regolare. Con i reticoli di Rowland si sperimenta di solito con lo spettro di secondo ordine, che può avere una lunghezza di circa un metro. Oltre il potere dispersivo, occorre definire il potere separatore. Non è detto infatti che due λ vicinissime, possano dar luogo a righe distinte sullo spettro, ancorché questo sia assai disperso. Si dimostra che tale potere separatore, inteso eome la frazione di λ che può essere ancora svelata dal reticolo, sia dato da dλ/λ = 1/mn; p. es., un reticolo di 50.000 tratti può, nello spettro di second'ordine, scindere due λ che differiscono fra loro di 1/100.000 del loro valore.
Un'altra specie di reticoli di diffrazione è data da quelli a scaglioni di Michelson. Basterà dire che essi si differenziano da quelli descritti per il fatto che l'ordine d'interferenza n è elevatissimo, e il numero m è piccolo. L'uso di questi apparati è però assai difficile e talvolta dà luogo a incertezze d'interpretazione.
Diffrazione nei sistemi ottici. - Le teorie elementari o geometriche dei sistemi ottici non tengono conto dei fenomeni di diffrazione, che pure acquistano grande importanza, quando si voglia sfruttare al massimo l'uso di tali congegni. Consideriamo, p. es., un obiettivo da telescopio. Un punto luminoso lontano come una stella, invece di dar luogo nel piano focale o sull'occhio a un'immagine puntiforme, produce una macchiolina luminosa costituita da una zona centrale quasi puntiforme, circondata da anelli colorati d'intensità più decine di volte minore. Per certe osservazioni, tale fatto non costituisce difetto; ma comunque, esso diventa tanto meno accentuato quanto maggiore è l'apertura dell'obiettivo. Per separare con i telescopî delle stelle doppie molto raccolte, occorre che tale difetto sia ridotto al minimo possibile, donde l'opportunità di servirsi di obiettivi persino di 1 m. di apertura.
I fenomeni di diffrazione stabiliscono perciò un limite nella possibilità di esaminare le particolarità dei mondi lontani. Così sulla luna non sarà forse mai possibile distinguere particolarità al di sotto di qualche centinaio di metri. Con gli obiettivi fotografici non sono di solito temibili inconvenienti dovuti alla diffrazione, perché gli anelli così ottenibili sono più piccoli della grana delle immagini fotografiche. Per contro, i fenomeni di diffrazione creano inconvenienti nella microscopia, che si cerca di diminuire mediante gli obiettivi a immersione, con i quali si possono osservare particolarità di 0,25 μ. Si potrà in avvenire andare al di là, servendosi di luce ultravioletta e della fotografia; anzi, in tale senso, si sarebbe già avuto qualche successo fotografando microbi patogeni non altrimenti rilevabili. Se è possibile poi osservare particelle luminose ancora più piccole, ciò avviene mediante l'ultramicroscopio, il quale, tuttavia, rivela l'esistenza di tali particelle vivamente illuminate, ma non ne rivela la forma.
Interferenza e diffrazione fuori dello spettro visibile. - La teoria dei fenomeni che abbiamo sommariamente descritti si estende anche alle radiazioni ultrarosse e alle ultraviolette. Il fatto non è però sempre suscettibile di facile rilievo, mancando il sussidio diretto del nostro occhio. Pur tuttavia si possono prevedere l'entità e le modalità di tali fatti, dipendendo essi, caso per caso, dal valore della lunghezza d'onda, con cui si esperimenta. Ci limiteremo ad accennare al caso delle radiazioni ultraviolette per le quali, p. es., si possono adoperare i reticoli di diffrazione per riflessione, permettendo ciò di registrare gli spettri relativi, mediante la fluorescenza o la fotografia.
Interferenza e diffrazione delle onde elettromagnetiche. - A causa dell'identità di natura di tali onde con la luce, si comprende come per esse possano avvenire fenomeni del tutto analoghi a quelli già descritti. La trattazione di tale argomento costituisce il capitolo dell'ottica delle oscillazioni elettriche già intravista da H. Hertz e sviluppata poi da A. Righi. La constatazione di fenomeni d'interferenza e di diffrazione con dispositivi analoghi a quelli ottici è, sotto certi riguardi, facilitata dal fatto che le onde che s'impiegano hanno valore assai maggiore che non in ottica. Comunque, rimane sempre valida la regola che gli apparecchi da usarsi, del tutto analoghi a quelli ottici, debbano avere dimensioni grandi rispetto alle λ impiegate.
Fatti, interpretabili come diffrazione, possono ammettersi nella propagazione intorno alla terra delle onde elettro-magnetiche usate nella radio. Come è noto, tali onde possono avere λ svariatissime, da più km., a qualche metro (onde corte) e recentemente solo qualche cm. (onde cortissime). Sennonché, è difficile interpretare quella propagazione come un semplice fenomeno di diffrazione, che non spiegherebbe la possibilità di segnalazioni persino fra due antipodi. Si fanno intervenire allora altre considerazioni, come la riflessione o rifrazione sugli alti strati ionizzati dell'atmosfera (strato di Heaviside).
Di più sicura interpretazione è il fatto che le onde cortissime, proiettate mediante specchi, difficilmente superano grandi distanze su visuali radenti, sull'acqua o sulla terra. È da ammettersi che, essendo l'onda ancora troppo lunga, essa subisca affievolimento per diffrazione, non essendo tutto il suo fronte libero di propagarsi. Non così avverrebbe se l'onda fosse ancora più corta, più prossima cioè alle onde luminose, le quali, come è noto, si propagano facilmente anche su visuali radenti, salvo i fenomeni di rifrazione e assorbimento.
Interferenza e diffrazione dei raggi X. - I raggi X sono onde elettromagnetiche che hanno λ comprese fra qualche centesimo e una decina di A (cioè fra 10-10 e 10-7 cm.). Per essi è anche prevedibile che si debbano verificare fenomeni d'interferenza e diffrazione. Sennonché, a causa della estrema piccolezza di λ, fenomeni del genere furono cercati inutilmente dai fisici per circa 15 anni, tanto che in tale periodo rimase incomprensibile la natura dei raggi stessi. Si deve a M. Laue un'ingegnosa idea che permise a W. Friedrich e P. Knipping di verificare un'importante proprietà dei raggi X, interpretabile come di diffrazione e interferenza. Essa si constata sperimentando con reticoli cristallini naturali o spaziali, dati dalle sostanze cristalline. Si rileva anzitutto che, nell'ottica comune, il funzionamento di un reticolo di diffrazione è legato al principio fondamentale che la distanza fra i tratti del reticolo sia dell'ordine di grandezza delle λ con cui si esperimenta. Per cui, i migliori reticoli artificiali, che dà la tecnica moderna, non dànno alcun risultato con i raggi X, salvo quanto sarà detto più sotto. Un cristallo può ritenersi costituito da particelle ultime (atomi) distribuite sui vertici di determinati poliedri eguali addossati l'uno sull'altro. Si possono perciò distinguere in un cristallo i piani reticolari, cioè quelli che contengono le dette particelle distribuite secondo una certa simmetria. Fra tali piani, sono più importanti quelli che corrispondono alle facce di clivaggio del cristallo, perché esse hanno la maggior densità di particelle; e di essi è possibile considerarne un'infinità, contenenti particelle sempre più diradate. Considerando uno solo di codesti piani e supponendolo colpito da un fascio parallelo di radiazioni (in paritcolare raggi X), ciascuna delle sue particelle o atomi diventa per diffrazione centro di emissione di energia. In complesso, però, la quantità d'energia raggiante così emessa dal piano reticolare è piccolissima, di fronte a quella totale del fascio. Questa quantità di energia, che dovrebbe essere diffusa in tutte le direzioni, viene però a limitarsi quasi esclusivamente a due; l'una è il prolungamento della direzione del fascio incidente, l'altra è quella corrispondente al raggio riflesso secondo la legge elementare della riflessione. In tutte le altre direzioni non può viaggiare sensibile quantità di energia perché le vibrazioni si elidono per interferenza; al più potrebbero formarsi degli spettri di diffrazione come nei reticoli luminosi, ma la loro intensità è completamente trascurabile.
Consideriamo ora una lamina cristallina, p. es., del sistema regolare o cubico; essa sarà costituita da un gran numero di piani reticolari P1, P2, ... (fig. 23) posti l'un dall'altro a distanze dell'ordine di 10-8 cm. Il fascio di raggi X incidente dà luogo per diffrazione o parziale riflessione ai fasci a1, a2, ..., b1, b2, ... da parte di ciascuno dei piani reticolari; ciascun fascio è composto di raggi che, per le ragioni dette, si sommano nei loro effetti, qualunque sia la lunghezza dell'onda incidente. Ora, nel loro complesso tali fasci dànno luogo a un fascio unico, quando fra essi vi è una differenza di cammino di un multiplo intero di λ. Siccome, per esempio, i due raggi a1, b1, differiscono fra loro per il cammino ABC = 2 d sen ϕ, occorre perciò che sia nλ = 2 d sen ϕ, essendo n un numero intero, perché i raggi così considerati siano in concordanza di fase. Solo allora si raccoglie un fascetto intenso riflesso. Da ciò risulta che usando un sottile fascetto di raggi X, per ciascuna lunghezza d'onda vi è un'incidenza preferita, che corrisponde, p. es., a una differenza di cammino di una lunghezza d'onda e che dà sulla lastra fotografica una immagine puntiforme.
Per raggi X monocromatici occorre perciò inclinare convenientemente il fascio sulla lamina, per osservare il fenomeno di riflessione sui piani reticolari considerati. Oppure, se i raggi X hanno uno spettro continuo (analogo a luce bianca), qualunque sia l'inclinazione del fascio si osserva un raggio riflesso, secondo la legge geometrica, che ha λ soddisfacente all'equazione scritta. Naturalmente potrà essere n un qualunque numero intero, che, dati i valori soliti di λ, è solo di qualche unità.
È poi chiaro che fenomeni del tutto simili possono osservarsi sia per riflessione sia per trasparenza. Ma i fenomeni stessi sono alquanto più complessi in conseguenza della molteplicità dei piani reticolari. Questi sono, come si è detto, numerosissimi; facendo agire perciò sul cristallo fermo un fascio di raggi X, questo avrà inclinazione varia sulle varie famiglie di tali piani, che avranno altresì in generale differenti distanze reticolari. Se il fascio di raggi X è a spettro continuo, vi sarà sempre una certa λ per ciascuna famiglia di piani, che darà luogo a riflessione; l'intensità di riflessione varia in ragione sia della densità di distribuzione degli atomi su ciascun piano, sia del peso atomico della sostanza. Si spiega così la formazione delle figure di Laue, Friedrich e Knipping (fig. 24), che, con la distribuzione delle macchioline nere, ripetono in certo modo la simmetria del cristallo e con l'intensità di esse indicano la varia densità di particelle nei singoli gruppi di piani. Da quanto si è detto risulta inoltre che le varie macchioline sono dovute a diverse λ, per cui il diagramma non indica questo parametro del fenomeno. Si potrebbe dire, che se i raggi X dessero luogo a diagrammi di Laue visibili, questi sarebbero costituiti da macchioline variamente colorate.
Spettrografia dei raggi X. - Si supponga ora di far cadere dei raggi X monocromatici emananti da una sottile fenditura, su una lamina cristallina a questa parallela, e girevole a volontà intorno a una retta, anch'essa parallela alla fenditura. Con tale dispositivo sono preponderanti i fenomeni di diffrazione dei piani reticolari paralleli alla lamina. Una lastra fotografica raccoglie così, p. es., per riflessione, un'immagine della fenditura, quando l'angolo d' incidenza ha il valore corrispondente alla relazione già vista. Da ciò, se è conosciuto il valore di λ, si deduce quello di d, che, p. es., per NaCl vale 2,81.10-8 cm. È ovvio come da questo valore si possa risalire a quello delle molecole contenute nell'unità di volume, e anche al numero di Avogadro. Viceversa, conosciute le distanze reticolari, si può adoperare un cristallo, per realizzare uno spettrografo per raggi X. Dopo quanto si è detto, questo può essere costituito, nella maniera più intuitiva, da un fascio policromàtico di questi raggi, da una lamina cristallina di distanza reticolare conosciuta, girevole, e da una lastra fotografica. Al girare della lamina, sulla lastra verranno proiettate, per certe sue posizioni opportune, le linee spettrali, una alla volta, della sorgente, corrispondenti alle varie λ. In complesso si sarà così fotografato lo spettro dei raggi impiegati. Tali spettri possono corrispondere a ordini varî d'interferenza, come già si è visto nel caso dei reticoli artificiali.
Termineremo rilevando che più recentemente si sono ottenuti degli spettri di raggi X anche con i reticoli artificiali ottici già descritti, adoperati con incidenza quasi radente. In questo modo vi è un controllo diretto del valore della λ impiegata, senza cioè ricorrere all'ipotesi molecolare. L'importanza della spettroscopia con i raggi X è assolutamente di primo ordine nello sviluppo delle moderne teorie fisiche.
Diffrazione e interferenza degli elettroni. - L'argomento costituisce una delle più ardite concezioni della fisica moderna. Mentre si è già visto che i fenomeni di diffrazione e d'interferenza sono rilevabili nello studio della propagazione di moti periodici attraverso mezzi diversi (materiali o eterei), vogliamo ora accennare che anche il moto di minime particelle (gli elettroni) può dar luogo a fenomeni interpretabili in modo del tutto analogo che vengono ancora denominati come diffrazione e interferenza. Certamente per ora sfugge al fisico il significato intimo di una simile asserzione; d'altra parte a essa si è pervenuti sia in seguito a previsioni teoriche, sia osservando nuovi fatti. Da tutto questo complesso quadro risulta quasi una fusione fra il fenomeno corpuscolare e quello ondulatorio; fusione che viceversa deriva da un dualismo iniziale, manifestatosi nell'interpretazione dell'ottica dei raggi X, dualismo che la moderna fisica cerca di rimuovere.
I primi passi in tale senso si debbono a M. De Broglie. Egli ammise, intorno al 1925, che la materia per sé stessa, se in moto, potesse avere proprietà ondulatorie; e cioè che a una particella materiale potesse immaginarsi associata un'onda particolare (onda associata). Quanto maggiori sono la massa materiale e la sua velocità, più corta è tale λ. La formula fondamentale di De Broglie è:
dove m è la massa dell'elettrone, v la sua velocità impressa dal potenziale V in volt, h la costante di Planck. A parte le considerazioni che hanno condotto De Broglie a stabilire tale relazione, si rileva da essa che l'onda associata a un elettrone accelerato convenientemente, è molto più piccola di quella della luce comune. Così, per un voltaggio di 30.000 volt, l'onda associata è di 7.10-10 cm. Questa asserzione è, come accenneremo, verificata dall'esperienza, e tale verifica, specie per gli elettroni celeri (V superiore a 5000 volt) si è potuta fare con precisione dell'ordine di qualche per mille. Diremo ora di tali verifiche. Quando si ha un moto vibratorio propagantesi attraverso un mezzo, salvo i casi in cui è possibile accorgersi direttamente delle vibrazioni di questo (come quelle macroscopiche alla superficie dell'acqua), il modo di svelare tali vibrazioni è quello di provocare fenomeni d'interferenza, in unione a diffrazione se del caso. In sostanza, se la teoria di De Broglie è attendibile, anche le particelle materiali in moto sarebbero associate a moto vibratorio, e per esse dovrebbero verificarsi fenomeni d'interferenza.
Le esperienze che confermano tale veduta ebbero, per vero, inizio prima ancora che De Broglie avesse formulato la sua teoria, osservando certe anomalie nella diffusione (che poi è stata detta anche diffrazione) degli elettroni veloci ossia raggi catodici; diffusione operata da foglie metalliche. Realmente i fenomeni di diffrazione e d'interferenza furono poi definitivamente messi in rilievo da G. J. Davisson e L. H. Gemner, nel 1927, servendosi di cristalli di nichel. L'esperienza è analoga a quella di Laue, Friedrich e Knipping per i raggi X, con la differenza che occorre operare nel vuoto, dove è facile sperimentare con fasci sottilissimi di raggi catodici o elettroni più o meno veloci. L'esperienza è stata successivamente ripetuta da molti altri fisici, operando con sostanze diffrangenti diverse. Tutti i dispositivi possono schematizzarsi così: un fascio di raggi catodici viene diretto anche mediante l'uso di un campo magnetico su una lamina della sostanza con cui si vuole sperimentare e che può essere, p. es., metallica. Possono così osservarsi fenomeni di diffrazione elettronica sia per trasparenza sia per riflessione. Gli elettroni vengono poi a battere su una lastra fotografica (o vanno in una camera di ionizzazione), che registra un'immagine costituita da anelli intorno a una macchia centrale. L'origine degli anelli è analoga a quella delle figure Laue, con la differenza che qui si tratta di solito di un insieme disorientato di elementi cristallini. Per comprendere come si possono formare tali anelli si immagini di far rotare una figura di Laue (fig. 22) intorno al suo centro. Le dimensioni degli anelli sono proporzionali alla lunghezza d'onda, mentre la distribuzione di essi dipende dal modo con cui gli atomi sono disposti nel cristallo.
L'ipotesi di De Broglie è stata dunque brillantemente verificata con gli elettroni; essa non è solo legata a questi corpuscoli, ma si estende anche a particelle di massa molto maggiore, come atomi di elio, e poi numerosi altri atomi, ioni e molecole. Tali ricerche dimostrano l'identità di comportamento dell'elettrone o di particelle materiali con un'onda luminosa; ma non si deve però dimenticare l'origine corpuscolare del quid che viaggia. Realmente sembra che, esaminando la lastra fotografica su cui si osservano gli anelli come dianzi si è detto, questi si risolvono in una serie di macchioline, che sembrano corrispondere ciascuna all'urto di un elettrone. Sembra dunque, come dice G. P. Thomson, che l'elettrone arrivando sulla lastra dimentichi di essersi trasformato in un'onda, e ritorni corpuscolo.
La concezione ondulatoria dell'elettrone non costituisce per ora nella scienza un quadro completo. Molte delle modalità che circa un secolo di progresso scientifico da Fresnel a Faraday e Hertz e oltre, sono state studiate per il puro fenomeno ondulatorio, mancano di riscontro nella nuovissima meccanica sperimentale ondulatoria.
Bibl.: E. Persico, Ottica, Milano 1932; R. Wood, Physical Optics, New York 1932; P. Drude, Lehrbuch der Optik, Lipsia 1912.