Inquinamento ambientale
sommario: 1. Introduzione. 2. L'inquinamento della biosfera: a) le reazioni nella troposfera: inquinanti secondari; b) le reazioni nella stratosfera; c) diossido di carbonio; d) deposizioni acide; e) sostanze tossiche e loro diffusione nella biosfera; f) inquinamenti biologici; g) inquinamenti nel ciclo della produzione di energia; h) inquinamento radioattivo. 3. Inquinamento degli insediamenti umani: a) aree urbane e zone industriali; b) inquinamento e opere d'arte. 4. Inquinamento degli ambienti confinati: a) ambienti domestici; b) ambienti di lavoro. 5. Inquinamento globale e suoi riflessi politici e internazionali. 6. Conclusioni. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Negli ultimi anni le conoscenze dei fenomeni che determinano l'inquinamento ambientale si sono notevolmente ampliate e sviluppate: infatti, mentre in seguito a un grande movimento di opinione sono state promosse numerose ricerche che hanno portato ad acquisire nuovi dati sulle modificazioni e alterazioni dell'ambiente dovute, in gran parte, all'opera dell'uomo, si sono nello stesso tempo verificati fenomeni in parte nuovi, in parte prima non completamente apprezzati nella loro importanza, come, per esempio, la diffusione nell'ambiente di sostanze tossiche.
L'ambiente è rappresentato da quell'insieme di fattori - suolo, acque, vegetazione, atmosfera, energia - che costituiscono la biosfera e consentono la vita degli esseri viventi.
Si definisce biosfera quella sottile parte della crosta terrestre e dell'atmosfera sovrastante nella quale avvengono tutti i processi vitali, sia vegetali che animali, e si svolgono tutte le attività dell'uomo. L'esiguità della biosfera rispetto alla massa terrestre richiama l'attenzione sul fatto che l'umanità dispone di uno spazio molto limitato. Di qui il pericolo di una distruzione da parte dell'uomo, alla ricerca di nuove terre da coltivare, degli ambienti naturali necessari alla sopravvivenza di specie animali e vegetali, con la conseguente alterazione degli equilibri mutevoli tra le attività biologiche e quelle antropiche, soprattutto le sempre nuove attività industriali.
Oggi abbiamo generalmente una visione statica del nostro ambiente e dimentichiamo che la situazione presente è stata raggiunta attraverso profonde trasformazioni della durata di milioni di anni, come ci rivela lo studio della paleontologia. Da una Terra senza ossigeno si è passati alla formazione di questo elemento, e quindi alla vita aerobica e, in seguito, alle grandi epoche delle glaciazioni; oggi non ci rendiamo conto che le piccolissime, apparentemente insignificanti, variazioni dell'ambiente, di cui siamo testimoni, sono gli indizi dei cambiamenti ai quali va incontro il nostro pianeta e cbe naturalmente si ripercuotono sulla biosfera.
Se nel passato gran parte di queste variazioni sono state causate da fattori fisici e chimici - dalla formazione degli elementi radioattivi ai cataclismi cosmici, allo spostamento dell'asse di rotazione della Terra - e in parte da fattori biologici - come la formazione di un'atmosfera ricca di ossigeno, ad opera di microrganismi, e la comparsa della vita - oggi è la presenza dell'uomo sulla Terra, in una misura mai vista nel passato, che pone per la sua stessa sopravvivenza problemi di un'estrema complessità, dipendenti dall'influenza sull'ambiente delle attività antropiche nella limitata cubatura globale della biosfera.
Questo se si considerano solo le normali attività - nell'agricoltura, nell'industria, nei trasporti - necessarie per procurarsi cibo, mezzi ed energia, e non già attività deprecabili e improbabili (per la conoscenza che si ha dei loro effetti) ma comunque possibili, come l'impiego di armi nucleari che sovvertirebbe in modo gravissimo e forse irreversibile tutti gli equilibri della biosfera.
Va ricordato che nella biosfera numerosi fattori contribuiscono a mantenere gli attuali equilibri: gli animali e i vegetali - dagli organismi superiori fino a quelli monocellulari -, il suolo, i mari e l'apporto costante dell'energia solare.
Modificazioni indotte su questi sistemi da sostanze estranee e inquinanti possono portare ad alterazioni profonde di fasce sempre più ampie della nostra biosfera. Inoltre l'umanità, che oggi si concentra in alcune zone di massima densità, dove svolge il suo lavoro in ambienti spesso limitati, è più che mai soggetta agli effetti inquinanti delle numerose attività connesse proprio con lo sviluppo.
Lo studio dell'inquinamento ambientale presenta tre aspetti principali: 1) l'inquinamento della biosfera; 2) l'inquinamento degli insediamenti umani; 3) l'inquinamento degli ambienti confinati.
2. L'inquinamento della biosfera
L'inquinamento della biosfera è una parte dell'inquinamento globale dovuto all'immissione di materiali estranei, di origine sia antropica sia naturale, che - non facilmente trasformabili mediante processi naturali (ossidazioni fotochimiche, processi biologici) - tendono a distribuirsi su tutta la superficie della Terra modificandone gli equilibri naturali.
Parlando di biosfera dobbiamo tenere presenti i tre ambienti che la formano: l'atmosfera, il suolo e le acque superficiali e sotterranee. Va subito ricordato che questi ambienti sono intercomunicanti e che l'inquinamento dell'aria può portare di conseguenza all'inquinamento del suolo e delle acque, come l'inquinamento del suolo può portare all'inquinamento delle acque. I metodi di eliminazione degli inquinanti molto spesso risolvono solo parzialmente l'inquinamento globale, perché si tratta non di metodi di eliminazione dell'inquinante, ma di trasferimento dell'inquinante da un ambiente o ‛recipiente' - nel senso etimologico della parola - a un altro. Per esempio, la combustione per eliminare rifiuti organici non rappresenta la soluzione ideale del problema, perché spesso si ha solo il trasferimento nell'atmosfera di nuovi composti volatili, talvolta tossici, formatisi nella combustione: è ciò che accade nel caso delle materie plastiche clorurate, con la formazione di acido cloridrico gassoso. Un altro esempio è l'abbattimento di vapori acidi e di materiali particolarmente tossici dai fumi di una fabbrica mediante il riversamento dei prodotti nei fiumi e nelle acque superficiali, che non rappresenta una soluzione, ma il trasferimento dell'inquinamento in un altro ambiente, con la creazione di nuovi problemi.
Neanche il metodo della diluizione, che ha un effetto positivo locale, risolve il problema in termini globali: per esempio, l'impiego di alte ciminiere (100-200 metri) per eliminare i prodotti volatili delle lavorazioni industriali riduce notevolmente la concentrazione al suolo dei prodotti tossici nelle vicinanze delle fabbriche, ma trasferisce le stesse sostanze nella troposfera, da cui poi ricadono a grande distanza.
La presenza nella biosfera di numerose delicate attività biologiche legate alla vita vegetale e animale, quali la funzione clorofilliana delle piante verdi e l'azione dei microrganismi del suolo, che modificano continuamente la composizione della biosfera - sia pure entro i limiti di un equilibrio raggiunto da secoli - offre punti di attacco a numerosi inquinanti, che possono modificare profondamente tali meccanismi, fino a turbarli irreversibilmente alterando le funzioni geobiologiche che regolano la vita sulla Terra.
I principali processi che influiscono direttamente o indirettamente sull'ambiente a livello globale, e cioè della biosfera, si possono ricondurre ai seguenti: 1) l'aumento nell'atmosfera del tenore di diossido di carbonio (CO2) e di altri gas che, come il CO2, producono l'‛effetto serra', cioè provocano un innalzamento della temperatura sulla superficie terrestre; 2) le deposizioni acide, che si verificano particolarmente nell'emisfero nord e sono legate alle emissioni di prodotti volatili: questi possono dare origine nell'atmosfera a sostanze acide che ricadono poi al suolo, spesso a grande distanza dal luogo di origine; 3) la diffusione nell'ambiente di sostanze tossiche inorganiche e organiche, per esempio metalli pesanti, sostanze organiche difficilmente degradabili, o altre nuove sostanze di cui non si conoscono completamente gli effetti, che portano a modificazioni indotte nella biosfera.
Le reazioni secondarie che avvengono nell'atmosfera tra vari inquinanti danno luogo alla formazione di nuove specie chimiche capaci di provocare notevoli danni alla vita animale e vegetale, ma anche di innescare altre reazioni secondarie che possono alterare le condizioni sulla Terra. Per esempio, la distruzione anche parziale dello strato di ozono della stratosfera, che protegge la biosfera trattenendo gran parte dei raggi ultravioletti, modificherebbe profondamente ogni forma di vita. Taluni imprevisti inquinanti, come gli idrocarburi fluorurati volatili, molto diffusi per vari impieghi, possono danneggiare proprio lo strato di ozono. La presenza nell'atmosfera di notevoli quantità di idrocarburi gassosi dovuti non solo all'industria petrolifera e alla motorizzazione, ma anche all'attività dei microrganismi e di taluni artropodi in vari processi naturali (per esempio lo sviluppo di metano dalle risaie e dalle paludi, o il metabolismo delle termiti), dà luogo a possibili reazioni secondarie e a variazioni di assorbimento dell'energia solare.
Alle attività dell'uomo (combustioni, emissioni di fabbriche) e ai grandi incendi delle foreste si aggiungono anche le forze endogene naturali, che provocano l'emissione attraverso i vulcani di grandi quantità di particelle e di gas: si formano così masse di particelle in sospensione e aerosoli, che i venti spostano insieme a masse di polveri per centinaia di chilometri.
Le nostre presenti cognizioni e quelle che si vanno acquisendo con esperimenti talvolta spettacolari - come quelli che richiedono l'impiego di delicate e precise strumentazioni o di vettori come aerei, razzi o satelliti - consentono di avere una certa informazione sull'inquinamento globale, mentre mancano, in genere, informazioni precise riguardanti la fascia dei tropici, dove d'altra parte si trovano, con le immense foreste, gli ambienti più importanti ma anche più delicati per l'equilibrio globale della biosfera.
a) Le reazioni nella troposfera: inquinanti secondari
I recenti studi sulle reazioni che avvengono nella troposfera e nella stratosfera hanno gettato una grande luce su molti fenomeni che riguardano l'inquinamento dell'atmosfera e indirettamente il clima, e sono essenziali anche per comprendere la formazione delle ricadute acide.
L'atmosfera fino a 50 km di altezza, come è noto, si distingue in troposfera (da quota 0 a quota 10.000 metri) e stratosfera (da quota 10.000 a quota 50.000 metri). I processi chimici più importanti, sia tra i componenti normali che tra i componenti vuoi di origine antropica vuoi naturale, avvengono nella troposfera. Nella stratosfera si trova invece lo strato naturale di ozono (O3), che è per la superficie terrestre il prezioso filtro della componente ultravioletta (λ 〈 290 nm) della radiazione solare, mentre le molecole di ossigeno (O2) e di azoto (N2) assorbono solo le radiazioni di lunghezza d'onda inferiore a 240 nm.
Va tenuto presente, per comprendere le ricadute, che nella troposfera i venti hanno un'importante funzione di distribuzione dei vari componenti, tranne che nella cosiddetta zona di convergenza intertropicale (ITCZ) intorno all'equatore, che si oppone a un mescolamento tra emisfero nord ed emisfero sud. Nella troposfera le radiazioni di lunghezza d'onda superiore ai 300 nm si devono considerare responsabili dei processi fotochimici che causano le ossidazioni delle specie chimiche presenti. I componenti normali della troposfera, O2 e N2, subiscono in queste condizioni (cioè a causa di fotoni tra 1.200 e 315 nm) una serie di reazioni fotochimiche comportanti numerosi passaggi, che non conducono tuttavia a sostanziali variazioni di composizione. Lo stesso avviene per l'azione di fotoni di lunghezza d'onda minore di 315 nm, e quindi di maggiore energia, sebbene in questo caso, in presenza di vapore acqueo, si possa avere la formazione di radicali •OH.
D'altra parte la troposfera presenta una composizione chimica poco omogenea, sia per il contributo di sostanze volatili risultato dell'attività dell'uomo, sia per la presenza di gas emessi da vari tipi di vegetazioni (dalle tundre alle foreste tropicali, dai terreni desertici ai terreni agricoli) e dagli oceani.
Tutte le emissioni naturali, tra le quali bisogna considerare prima di tutto l'ammoniaca, il solfuro d'idrogeno e il metano, sono prodotti in cui l'elemento caratteristico (azoto, zolfo, carbonio) si trova a basso numero di ossidazione, cioè allo stato ridotto. Essi subiscono nella troposfera una fotoossidazione e ritornano sulla superficie terrestre come sostanze, quali l'acido nitrico, l'acido solforico e il diossido di carbonio, in cui l'elemento caratteristico è stato portato a un alto numero di ossidazione. Le reazioni di ossidazione oggi si attribuiscono alla presenza nella troposfera di radicali liberi, e non già alla presenza di ossigeno o di ozono.
I radicali ossidrile, •OH, si formano per azione dell'ossigeno, in forma eccitata di dupletto, originato dall'ozono per un processo fotochimico, sul vapore acqueo. Essi a loro volta reagiscono con metano e con numerose altre sostanze gassose provenienti dalla superficie terrestre, ossidandole. Così dal metano e dagli altri idrocarburi saturi si ha monossido di carbonio e dall'idrogeno atomico il radicale idroperossido insieme a idrogeno molecolare e acqua.
Oltre a queste reazioni su substrati naturali si devono considerare le interazioni dei radicali con sostanze prodotte dall'uomo. Così il diossido di zolfo viene ossidato attraverso vari processi ad acido solforico, il solfuro d'idrogeno a diossido di zolfo, l'ammoniaca a ossido d'azoto, l'ossido d'azoto ad acido nitrico. Per quanto riguarda il ciclo naturale dell'azoto, l'ossido d'azoto viene prodotto nell'atmosfera per reazione tra N2 e O2 ad opera delle scariche elettriche (fulmini durante i temporali), o per ossidazione dell'ammoniaca atmosferica proveniente dai suoli e dai processi industriali o biologici. L'ossido d'azoto viene poi ossidato attraverso diversi meccanismi a diossido d'azoto e quindi ad acido nitrico, che ricadrà sulla superficie terrestre come deposizione acida.
Le sostanze estranee alla composizione normale della troposfera vengono pertanto a trovarsi in un atmosfera ossidante particolare. Così i composti solforati nella troposfera, quali SO2 (diossido di zolfo), CS2 (solfuro di carbonio), H2S (solfuro d'idrogeno), vengono ossidati ad acido solforico, che ricade sulla superficie terrestre. Nella stratosfera anche l'ossisolfuro di carbonio, COS, che è inerte nella troposfera, si ossida ad acido solforico.
Da questi processi chimici che avvengono nell'atmosfera ha origine il cosiddetto inquinamento secondario, dovuto non già ai prodotti primari delle emissioni, ma a sostanze originate dalle trasformazioni che subiscono i prodotti primari in presenza di ossigeno e di luce.
b) Le reazioni nella stratofera
Una notevole importanza per la vita animale e vegetale sulla superficie terrestre ha, come si è detto, lo strato di ozono, quale filtro delle radiazioni ultraviolette tra i 240 e i 290 nm. La stabilità dello strato di ozono e la sua concentrazione sono regolate da una complessa serie di reazioni fotochimiche, in cui hanno grande importanza i radicali liberi, soprattutto HOx•, NOx•, ClOx•, i quali inducono reazioni catalitiche che portano alla produzione di ozono.
Si è osservato negli ultimi anni che talune specie chimiche particolarmente stabili, prodotte sulla superficie terrestre, possono raggiungere la stratosfera, dove intervengono in reazioni fotochimiche dando luogo alla formazione di nuovi radicali liberi, i quali interferiscono con le reazioni chimiche che assicurano la costanza dello strato di ozono.
Queste sostanze sono soprattutto composti alogenati, generalmente fluorurati, chiamati ‛alocarburi' (halocarbons) o ‛fluorocarburi' (fluorocarbons), usati come propellenti nei vari tipi di spray largamente impiegati per uso domestico e anche cosmetico: dalle cere per lucidare alle lacche per i capelli. Anche il metano (CH4) e gli ossidi di azoto spostano gli equilibri delle reazioni fotochimiche dell'atmosfera, variando la concentrazione dei radicali che agiscono con effetto catalitico su questi processi. Di conseguenza si è manifestata nella stratosfera, a circa 40.000 metri di altezza, una diminuzione della concentrazione di ozono. Questo tipo di inquinamento è particolarmente pericoloso per la vita sulla Terra, perché può causare un aumento delle radiazioni ultraviolette che penetrano fino alla superficie terrestre, e soprattutto perché gli alocarburi sono sostanze inquinanti che possono permanere nell'atmosfera anche cinquant'anni, provocando nel tempo effetti di una certa gravità. In seguito a questi studi si è disciplinato l'uso degli alocarburi, e soprattutto dei fluorocarburi, sostituendoli nei loro impieghi con altri prodotti che non presentano queste proprietà indesiderate.
Nella stratosfera si ha anche la formazione di particelle di aerosoli provocata da gas contenenti precursori gassosi come l'ossisolfuro di carbonio e il diossido di zolfo di origine antropica.
Un fattore spesso trascurato nel computo generale dell'inquinamento è la presenza di polveri e di particelle in sospensione nell'atmosfera, che hanno una notevole importanza nel determinare l'assorbimento della luce solare e fungono da catalizzatori di reazioni fotochimiche tra i componenti normali e quelli che provengono dall'inquinamento di origine antropica. La presenza di particelle in quantità massive dovuta a eruzioni vulcaniche può portare a temporanee modificazioni del clima, come si è riscontrato dopo le eruzioni di alcuni vulcani (Krakatoa, El Chinchón, ecc.).
c) Diossido di carbonio
Il metabolita gassoso più importante sia degli esseri viventi che delle attività umane volte soprattutto alla produzione di energia è il diossido di carbonio, CO2, ultimo termine della catena dell'ossidazione o combustione delle sostanze organiche.
Si ha ragione di ritenere che la percentuale di questo composto presente nell'aria sia rimasta relativamente costante per molti secoli, in conseguenza di una serie di fenomeni che avvengono nella biosfera, noti con il nome di ‛ciclo del carbonio': mentre da un canto si produce CO2, dall'altro una parte del CO2 atmosferico viene ridotta, per effetto dell'energia luminosa fornita dal Sole e ad opera delle parti verdi delle piante terrestri (fotosintesi clorofilliana), a sostanze organiche (amido, cellulosa, lignina, proteine, ecc.). Un'altra parte del CO2, invece, si scioglie nelle acque superficiali e soprattutto nei mari, dove viene fissata come carbonati, solubili o insolubili, o ridotta a sostanza organica per la sintesi clorofilliana dovuta al fitoplancton.
Questi fenomeni naturali hanno portato all'equilibrio biogeologico, cioè alla costanza della percentuale di CO2 nell'atmosfera, fino all'epoca dell'industrializzazione. Con l'instaurazione di misure sistematiche della percentuale di diossido di carbonio nell'atmosfera si è osservato, nel corso dell'ultimo secolo, un costante aumento di questo valore da 290 a 360 ppm. Questo incremento è stato messo in relazione con il rapido aumento delle combustioni di carbone e di petrolio per impianti termici e industriali, nonché delle combustioni in motori di veicoli. Lo sviluppo del CO2 è infatti direttamente proporzionale all'industrializzazione; di entità molto minore è l'aumento dovuto al metabolismo di una popolazione notevolmente accresciuta.
L'incremento della concentrazione atmosferica del CO2, che ha una tendenza costante, non sarebbe causa di preoccupazioni se l'eccesso del CO2 prodotto e riversato nella biosfera non presentasse la proprietà di trattenere attorno alla Terra le radiazioni infrarosse di origine solare, impedendo così che parte dell'energia termica che si irradia dalla Terra venga dispersa nello spazio. È un fenomeno analogo a quello che avviene in una serra, dove l'energia termica dovuta al Sole non può disperdersi attraverso i vetri e consente così di mantenere una temperatura più alta che all'esterno: perciò questo fenomeno viene detto ‛effetto serra' (in inglese green-house effect).
L'aumento della concentrazione di diossido di carbonio nell'atmosfera può portare quindi a un innalzamento della temperatura media della Terra - e di conseguenza a una modificazione del clima - che, secondo i calcoli, sarebbe di 1,5 °C qualora il tenore di CO2 passasse dalle 360 ppm attuali a 600 ppm. Sebbene questo traguardo sia molto lontano, esso implicherebbe degli effetti che possiamo valutare solo in parte e che potremmo definire drammatici, in quanto ne seguirebbero un parziale scioglimento dei ghiacci delle calotte polari e l'innalzamento del livello degli oceani. Ma anche il costante, seppure limitato, aumento di concentrazione di CO2 riscontrato negli ultimi anni ha trovato una rispondenza nel clima, con la fluttuazione della temperatura media verso valori più elevati in alcune parti della Terra. Negli ultimi dieci anni si sono constatati effetti disastrosi in quelle zone dove le caratteristiche del terreno hanno impedito le piogge e provocato la siccità, come negli Stati del Sahel in Africa e più di recente nell'Africa australe e in Australia.
All'effetto serra contribuiscono notevolmente anche altri gas, ad esempio il metano. Questo proviene generalmente da un'attività di microrganismi su materiali organici in condizioni di anaerobiosi o anche in taluni processi di fermentazione metanica di rifiuti organici, spontanei nelle acque stagnanti e in particolare nelle risaie. L'aumento dell'area coltivata a riso per nutrire la crescente popolazione umana contribuisce pertanto a innalzare il livello dei cosiddetti gas-serra.
d) Deposizioni acide
Le deposizioni acide, che negli ultimi anni si sono rivelate sempre più pericolose per la vita animale e vegetale, sono dovute alla ricaduta dall'atmosfera di sostanze acide che vi si sono accumulate, provenienti da sorgenti naturali o causate dall'attività dell'uomo.
Per secoli erano stati mantenuti gli equilibri naturali tra le componenti acide presenti nell'atmosfera, le proprietà dei mari debolmente alcaline e la natura del suolo spesso ricco di calcari. Attualmente, nel quadro di una industrializzazione sempre più intensa e di un crescente fabbisogno energetico e di prodotti chimici, vengono immesse nella troposfera sostanze soprattutto di natura acida o capaci di produrre acidi (ossidi di azoto, alogeni, diossido di zolfo). Queste sostanze acide ricadono sulla superficie terrestre trascinate dalle precipitazioni atmosferiche (si parla allora di ‛deposizione umida' oppure impropriamente di ‛piogge o nevi acide'), oppure ricadono come particelle solide che hanno adsorbito anche i gas, e allora si parla di ‛deposizione secca'. Si è visto che i principali inquinanti primari naturali di origine geologica o atmosferica sono il diossido di zolfo (SO2), il diossido di carbonio (CO2) e gli ossidi di azoto (NOx) formati dalle scariche elettriche durante i temporali, mentre è di origine biologica l'ammonio (NH4+), proveniente dai suoli e dalla decomposizione dei rifiuti organici. I contaminanti primari dovuti all'attività dell'uomo, oltre ai precedenti, sono sostanze chimiche (solventi, propellenti, fertilizzanti, pesticidi) e naturalmente polveri e particelle (particulate matter).
Si è già accennato (v. § a) che per azione catalitica e fotochimica nella troposfera avviene la trasformazione del diossido di zolfo in triossido di zolfo, con la conseguente formazione nell'atmosfera di acido solforico, di solfato e di idrogenosolfato di ammonio. L'ossidazione dell'ossido di azoto (NO) avviene ugualmente con facilità per azione fotochimica e per azione dell'ossigeno e dell'ozono, e porta alla formazione di acido nitrico.
Tra le immissioni dovute in gran parte all'incenerimento di materie plastiche (si ricordi che alcune di esse hanno un contenuto di cloro in peso del 60%), abbiamo l'acido cloridrico, che si raccoglie nell'atmosfera e può dare origine anche ad altri prodotti secondari, come il nitrato di cloro (ClONO2); i contaminanti primari e secondari possono ricadere sulla superficie terrestre.
Nel caso delle deposizioni umide il vettore è l'acqua sotto forma di pioggia, neve o grandine, mentre per la deposizione secca sono le particelle in sospensione nell'atmosfera, che hanno adsorbito i gas e ricadono sulla superficie terrestre.
Gli effetti della deposizione acida sulla biosfera sono diretti e indiretti: per esempio, se si tratta di deposizione secca di SO2, questo può reagire con il terreno dando origine a un aumento di acidità.
Le deposizioni umide, le cosiddette piogge e nevi acide come pure lo smog acido, sono dovute soprattutto alla presenza di goccioline di acido solforico che costituiscono i nuclei di condensazione. In Scandinavia gli effetti delle deposizioni acide sul suolo sono particolarmente gravi, in quanto il suolo granitico non consente, come i suoli calcarei, di neutralizzare l'eccesso di acidità.
L'aumento di acidità dovuto alla deposizione acida deriva non solo dall'acido solforico, ma anche dall'acido nitrico. In queste condizioni si possono solubilizzare anche elementi costituenti il terreno e le rocce. Tra questi lo ione alluminio, che in elevata concentrazione è tossico.
Nelle regioni nordiche gli effetti biologici delle ricadute acide sono notevoli soprattutto per molte specie di pesci sensibili all'acidità e allo ione alluminio. Questo problema è stato oggetto di una serie di ricerche volte a proteggere specie pregiate di pesci, soprattutto nei laghi, per la loro importanza ecologica ed economica. Le ricadute acide non danneggiano solo i pesci ma anche altri animali, soprattutto i volatili, in quanto la diminuzione del pH porta a una completa alterazione di taluni equilibri ecologici e alla scomparsa di alcune specie di animali di acqua dolce che costituiscono l'alimento degli uccelli. Il danno maggiore dovuto alle ricadute acide è quello che subiscono le foreste di paesi dell'emisfero boreale: Germania, Scandinavia, Canada e Stati Uniti; a esso va aggiunto il danno provocato dagli ossidanti fotochimici. Si sono avuti danni così gravi da sollevare questioni di politica internazionale: infatti spesso l'origine dell'inquinamento è molto lontana dai luoghi delle ricadute, a causa del trasporto a distanza operato dai venti, dopo la trasformazione che i contaminanti primari hanno subito nella troposfera.
È noto che in Europa sono le emissioni delle grandi industrie della Ruhr, del Belgio e dell'Inghilterra a fornire i contaminanti primari delle ricadute acide che avvengono in Scandinavia, mentre nel Nordamerica sono le industrie della Pennsylvania a causare le piogge acide nel New England e in Canada. Per questo motivo attualmente, per evitare danni che sono globali, si cerca di stabilire norme per le industrie con una nuova impostazione, cioè non limitandosi a esigere che non vi siano ricadute locali - cosa che si otteneva disperdendo i fumi con l'impiego di ciminiere molto alte - ma richiedendo che le sostanze inquinanti vengano trattenute o abbattute all'origine. Si tratta pertanto di studiare nuove tecnologie per tutelare l'ambiente globale.
e) Sostanze tossiche e loro diffusione nella biosfera
Ricerche recenti hanno dimostrato la diffusione, dovuta ai venti e alle catene biologiche, di alcuni composti dotati di notevole tossicità. Essi sono, oltre agli idrocarburi clorurati impiegati come pesticidi, i bifenili policlorurati (PCB), sostanze di largo uso tecnologico; bipiridili, come l'erbicida paraquat; metalli pesanti. Si è riscontrata inoltre tra i prodotti dell'incenerimento di residui industriali la presenza di diossine (clorobenzodiossine) che, se hanno fatto una drammatica apparizione nell'incidente di Seveso (1976), oggi sono state trovate in tracce in molte zone industriali di tutto il mondo. Altri prodotti tossici possono essere considerati i metalli pesanti presenti nelle polveri sospese nell'aria (piombo, cadmio, mercurio), defolianti usati nei terreni e idrocarburi policiclici. Tutte queste sostanze, messe in evidenza da sensibilissime tecniche analitiche, sono risultate presenti nell'ambiente, dai poli all'equatore. La conoscenza della contaminazione ambientale dovuta a queste sostanze in tracce diventa sempre più importante a causa della loro possibile azione tossica a lungo termine sull'uomo, sugli animali e sulle piante.
f) Inquinamenti biologici
Gli equilibri biologici possono essere modificati dalla presenza di inquinanti con la conseguenza di fenomeni biologici anomali che alterano profondamente l'ambiente. L'esempio più clamoroso è l'eutrofizzazione dei laghi da parte di alghe, dovuta a un'eccessiva immissione nelle acque di fosfati e composti azotati, provenienti da un indiscriminato uso di fertilizzanti azotati e dalla presenza nelle acque di molte sostanze chimiche ricche di fosfati: residui di detersivi, concimi chimici, ecc.
Di particolare rilievo è lo sviluppo abnorme di alghe azzurre (Cianoficee) dei generi Lyngbya, Anabaena, Oscillatoria, Microcystis, Nodularia, manifestatosi negli ultimi anni nelle acque dolci superficiali (laghi) e in bacini idrici e invasi artificiali (serbatoi di acque potabili): alcune di queste alghe producono sostanze altamente tossiche e pertanto rendono l'acqua non potabile, provocando gravi forme di intossicazione negli animali che la consumano. La loro diffusione investe oggi quasi tutto il mondo: è particolarmente grave in Australia, in Asia, nel Nordamerica e si sta propagando rapidamente in Europa.
g) Inquinamenti nel ciclo della produzione di energia
La produzione di energia mediante mezzi convenzionali quali carbone, idrocarburi, legna costituisce, come è stato precedentemente esposto, una delle fonti più consistenti dell'inquinamento dell'ambiente. Dopo la crisi petrolifera del 1973 e il rilancio delle energie non convenzionali, si sono posti nuovi problemi - che investono non solo l'ambiente, ma anche la salute dell'uomo - con l'adozione di nuovi combustibili come l'alcool etilico, miscele di alcool e benzina (gasohol), benzine di sintesi, carburanti da oli di scisto, che possono produrre nella combustione sostanze di cui si conosce poco la tossicità a lungo termine (aldeidi, composti solforati, ecc.) e il comportamento rispetto agli altri inquinanti, per esempio gli ossidi d'azoto. Inoltre anche le lavorazioni di questi nuovi combustibili possono essere inquinanti. Per esempio, l'alcool prodotto da zucchero di canna pone una serie di problemi per evitare che le ingenti quantità di melasse di rifiuto portino a un inquinamento delle acque superficiali.
L'estrazione e il trasporto del petrolio, d'altra parte, costituiscono un importante fonte diretta di inquinamento soprattutto dei mari, attraverso i quali vengono annualmente trasportati milioni di tonnellate di greggio e dove recentemente sono state installate, al largo, piattaforme per l'estrazione di petrolio da pozzi sottomarini. L'impiego di queste piattaforme per l'estrazione di petrolio e metano, infatti, ha come conseguenza l'inquinamento del mare non solo da parte del greggio, che è molto dannoso per la fauna, ma anche dei liquidi di perforazione che contengono generalmente sostanze, quali barite, tensioattivi, argille, ligninsolfonati, polimeri della cellulosa, soda caustica, ecc., più o meno tossiche per molte specie marine. La contaminazione dei mari da parte di oli minerali durante il trasporto del greggio avviene o per incidenti - si veda quello drammatico della Torrey Canyon sulle coste della Bretagna o per ordinana manutenzione, come il lavaggio dei serbatoi. Recenti dati permettono di calcolare che ogni anno vengono riversati nei mari 3,54 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi, di cui il 42% dovuto al trasporto marittimo (di questa quota il 72% per cause non accidentali e solo il 28% per incidenti). La cifra sopra riportata rappresenta lo 0,1% del greggio trasportato, mentre lo 0,015% è costituito dal petrolio versato in mare durante le operazioni di estrazione nelle piattaforme oceaniche. Gli scarichi da terra di origine industriale o urbana contribuiscono all'inquinamento dei mari per il 39%.
Il progetto dell'Intergovernmental Oceanographic Commission (IOC) e della World Meteorological Organization delle Nazioni Unite (WMO), indicato come Marine Pollution Monitoring Pilot Project (MAPMOPP), ha messo recentemente in evidenza che il petrolio disperso o solubilizzato è presente nei mari fino alla profondità di un metro, e che in superficie si trovano chiazze e masse di catrame, soprattutto sulle rotte delle petroliere, che contaminano anche i litorali. Gli effetti tossici sulla fauna e la flora marine di queste dispersioni di oli minerali, che vengono d'altra parte metabolizzati da alcuni microrganismi, sono ancora poco conosciuti, ma risulterebbero comunque inferiori a quelli di altri contaminanti.
h) Inquinamento radioattivo
Gli impianti per la produzione di energia nucleare dovrebbero essere, per le rigorose misure che si richiedono in fase di progettazione, di esecuzione e di collaudo, fra i più sicuri dell'industria, anche rispetto a quelli per la produzione di energie convenzionali. Rimane sempre, tuttavia, un margine di rischio di inquinamento dovuto ai processi di condizionamento e di smaltimento dei rifiuti radioattivi e all'ipotesi di incidenti alle centrali, dovuti a errori umani o a situazioni imprevedibili. L'AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica delle Nazioni Unite) ha fatto per anni oggetto delle sue direttive la sicurezza degli impianti nucleari, suggerendo a tutti i paesi i criteri da seguire per ottimizzare questa sicurezza ed evitare alle popolazioni il rischio della contaminazione da isotopi radioattivi.
Già nel marzo 1979, però, l'incidente all'impianto nucleare di Three Miles Island, negli Stati Uniti, aveva destato qualche allarme. Nel 1986, poi, in seguito all'emissione di una nube radioattiva dalla centrale nucleare di Černobyl (Ucraina), in conseguenza di un gravissimo incidente avvenuto il 26 aprile, è stata rimessa in discussione la stessa energia nucleare, sia a livello tecnico - aumento delle misure di sicurezza dei reattori e creazione, a livello internazionale, di una rete di rilevamento adeguata - sia a livello politico, e si è messa addirittura in dubbio l'opportunità di perseguire lo sviluppo nucleare dato l'alto margine di rischio a esso collegato, rischio che va ben al di là dei confini nazionali poiché la contaminazione radioattiva non ha solo effetti locali, ma anche globali.
Non si vuole qui entrare nel merito di queste decisioni che dipendono anche dalla conoscenza delle cause (ancora non note, nel momento in cui scriviamo) che hanno provocato a Černobyl la combustione incontrollata del materiale fissile del reattore, dando origine alla liberazione, allo stato gassoso o di sospensione, di ingenti quantità di materiale radioattivo (v. Norman, 1986); rimane il fatto che nella troposfera sono stati immessi, secondo attendibili valutazioni, 7,3 milioni di curie (1 curie equivale a 3,7 • 1010 becquerel, cioè disintegrazioni al secondo) di iodio-131, oltre a minori quantità di altri radioisotopi quali il cesio-137, il rutenio-103, lo stronzio-90, il tellurio-132, ecc. (Nell'incidente di Three Mile Island l'emissione era stata di soli 13÷17 curie di iodio-131).
Questo materiale gassoso o comunque sospeso nell'aria si è diffuso rapidamente - date le caratteristiche della troposfera, percorsa da correnti, venti e nuvole - in molte regioni dell'emisfero settentrionale, soprattutto europee, ricadendo al suolo come deposizione secca (polveri) o umida (piogge, nebbie, neve, ecc.) per un periodo di circa 10-15 giorni.
Va ricordato che negli anni sessanta le esplosioni nucleari nell'atmosfera, effettuate a titolo sperimentale da Stati Uniti e Unione Sovietica, avevano creato una pericolosa situazione di contaminazione radioattiva su tutta la Terra: infatti i prodotti della fissione nucleare, soprattutto stronzio-90 (90Sr) e cesio-137 (137Cs), che dall'esplosione venivano portati nella stratosfera, ricadevano per un periodo valutabile in alcuni mesi sulla superficie terrestre come piogge radioattive, capaci di contaminare la catena alimentare. L'isotopo 90 dello stronzio, per esempio, elemento molto simile al calcio, può essere direttamente ingerito da animali al pascolo o può entrare, attraverso il suolo, nel ciclo biologico delle piante. Esso viene cosi assimilato dalle mucche, che in parte lo fissano nelle ossa ma soprattutto lo trasferiscono nel latte; le persone che consumeranno questo latte riceveranno quindi dosi di 90Sr radioattivo, che si fisserà nelle loro ossa creando nell'organismo una sorgente radioattiva che potrà dar luogo a danni genetici o a tumori. Lo 90Sr, infatti, emette particelle β e ha un tempo di semitrasformazione di circa 28 anni (cioè la sua radioattività si dimezza ogni 28 anni) e anche il suo ricambio biologico è molto lento.
Questi pericoli cui si esponeva tutta l'umanità hanno indotto nel 1963 Stati Uniti e Unione Sovietica a impegnarsi con un trattato a non effettuare esplosioni nucleari nell'atmosfera.
Sostanzialmente diversa è stata la dinamica della contaminazione atmosferica dovuta all'incidente di Černobyl, che ha interessato la sola troposfera. Le ricadute sono avvenute in un tempo limitato (circa due settimane) e i contaminanti principali sono stati lo iodio-131 (che ha una vita media di 8 giorni circa) e il cesio-137 (che ha una vita media di circa 30 anni).
In molti paesi, per esempio l'Italia, sono state riscontrate nel maggio 1986 medie che indicavano una contaminazione radioattiva dell'aria di 0,1-0,2 nanocurie per m3, e livelli più consistenti nei vegetali (70-100 nanocurie/kg) e nel latte (1-10 nanocurie/kg) espressi come iodio-131. Questi risultati hanno indotto vari governi a vietare per alcune settimane il consumo di vegetali a foglia larga e di latte e a sconsigliare il pascolo, per evitare la contaminazione radioattiva delle popolazioni. In alcuni paesi è stato anche vietato il consumo di carni.
Nelle zone intorno alla centrale di Černobyl le ricadute sono state, come è logico, molto più consistenti, tanto da indurre le autorità a far sgombrare l'area circostante per un raggio di circa 30 km, per evitare l'esposizione della popolazione. Il danno della contaminazione ai terreni e alle coltivazioni andrà valutato in relazione alle caratteristiche dei vari isotopi radioattivi che vi si sono depositati e dovrà essere accuratamente controllato prima di permettere il ritorno degli abitanti.
L'incidente di Černobyl, in conclusione, ha reso evidente la necessità di una nuova riflessione, con una collaborazione internazionale e su un piano non più nazionale ma globale, sul problema della produzione di energia nucleare, sulle sue tecniche (fissione o fusione), sulla sicurezza degli impianti e, quindi, sulla loro economicità.
In quanto allo smaltimento dei rifiuti, va ricordato che il tempo di dimezzamento di alcuni radioisotopi presenti nei rifiuti di lavorazione delle centrali è dell'ordine di alcuni secoli; per esempio il plutonio-229 ha 24.300 anni di vita media. Questo fatto pone problemi di difficile soluzione. Oggi si adotta il procedimento di immagazzinare questi residui in blocchi di cemento, chiusi in recipienti di acciaio entro caverne naturali o artificiali, oppure di affondarli nelle parti più profonde degli oceani, dove il ricambio delle acque risulta estremamente lento.
Anche se le attuali misure ci garantiscono per molti anni, il fatto di aver accumulato notevoli concentrazioni di radioisotopi tossici in talune parti del globo rappresenta un inquinamento potenziale di cui si deve tener conto per il futuro, per la possibile contaminazione delle falde acquifere e delle profondità marine, con conseguenze imprevedibili per l'ambiente e per gli esseri viventi.
Altra causa di inquinamento è rappresentata dalla immissione nei mari di tracce di radioisotopi provenienti da centrali nucleari, da navi a propulsione nucleare, da scarichi di industrie e di ospedali. Generalmente i livelli di radioattività sono dell'ordine di quella naturale e non desterebbero preoccupazioni se alcuni radioisotopi, come lo stronzio-90 e il plutonio-239, non venissero, per le loro proprietà, fissati da organismi marini e quindi concentrati nella catena alimentare. Per questo motivo in varie parti del mondo molti laboratori seguono con attenzione attraverso continue ricerche e misure la distribuzione della radioattività nelle acque superficiali, nei mari e nei vari organismi marini.
Non bisogna dimenticare che le radiazioni ionizzanti - non solo quelle emesse da isotopi radioattivi, ma anche quelle provenienti da altre sorgenti, per esempio da apparecchi che producono raggi X - possono indurre sia mutazioni geniche, sia mutazioni cromosomiche.
3. Inquinamento degli insediamenti umani
a) Aree urbane e zone industriali
L'inquinamento ambientale assume caratteristiche estremamente particolari nei grandi agglomerati urbani e industriali.
Diversi fattori socioeconomici spingono le popolazioni dai campi verso le città, specie nei paesi in via di sviluppo nella fascia dei tropici, dando origine a megalopoli di molti milioni di abitanti, che non possono disporre di mezzi igienici adeguati e di un'organizzazione per lo smaltimento dei rifiuti, dato il rapidissimo accrescimento della popolazione urbana e la scarsità dei mezzi finanziari a disposizione.
Mentre per le industrie é possibile esigere un rigoroso controllo sui cicli di lavorazione e sulle immissioni, in modo da ridurre la contaminazione dell'ambiente sia con il razionale riciclo dei sottoprodotti, sia con l'abbattimento dei prodotti tossici, nel caso dell'urbanizzazione non è possibile per ora intravedere valide e concrete soluzioni di fronte al disordinato accrescimento della popolazione e alla formazione di agglomerati di abitazioni provvisorie prive di ogni misura igienica.
Questi inconvenienti, oltre al pericolo di malattie, portano anche a un eccessivo carico biologico dei corsi d'acqua, all'inquinamento del suolo da parte di rifiuti vari (plastiche, metalli, sostanze organiche) e quindi alla contaminazione anche di falde acquifere e a un profondo degrado ambientale.
Va tenuto presente che in una città campione di 1 milione di abitanti si può calcolare che una unità uomo nelle 24 ore porti un contributo inquinante - attraverso le sue molteplici attività, dalle combustioni ai trasporti - pari a 0,15 kg di diossido di zolfo, a 0,15 kg di polveri, a 0,10 kg di ossidi di azoto, a 0,10 kg di idrocarburi e a 0,45 kg di monossido di carbonio. Il carico inquinante delle acque di scarico è calcolato pro capite nelle 24 ore in 3 g di fosforo, 12 g di azoto, 20 g di detergenti e un consumo biologico di ossigeno (BOD) che corrisponde all'ossigeno necessario a ossidare la massa organica di 54 g.
I rifiuti solidi, di natura sempre più complessa - in un secolo si è passati da una composizione si può dire prevalentemente di origine organica, soprattutto vegetale come i prodotti cellulosici (carte, cartoni, ecc.), ad alcune materie plastiche contenenti cloro (come il PVC), difficilmente degradabili, e a materiale metallico -, pongono gravi problemi per il loro smaltimento, cosicché oggi si è orientati al recupero e al riciclaggio di molti componenti invece che all'incenerimento.
È un dato di fatto che la quantità di rifiuti solidi cresce più rapidamente della popolazione e che il costo per il loro smaltimento - già molto impegnativo per società ricche - diventa difficilmente sostenibile per economie deboli, per esempio nei paesi in via di sviluppo.
b) Inquinamento e opere d'arte
Un aspetto particolare degli effetti dell'inquinamento ambientale nelle zone urbane è rappresentato dai danni causati alle opere create dall'uomo.
L'inquinamento ambientale e in particolare le ricadute acide hanno provocato enormi danni, dando luogo a reazioni che portano a trasformazioni più o meno profonde della natura chimica e fisica delle superfici delle opere d'arte. I monumenti, siano essi di marmo o di metallo, hanno subito in questi ultimi anni danni superiori a tutti quelli dei secoli precedenti. La componente acida della ricaduta atmosferica ha infatti la proprietà di attaccare il marmo - carbonato di calcio cristallino - per trasformarlo in solfato e in minor misura in nitrato di calcio, amorfi. Si produce cosi un'alterazione profonda della superficie delle opere d'arte: ne sono esempi le colonne Traiana e Antonina a Roma, i palazzi e i monumenti di Venezia e di Firenze. Lo stesso fenomeno avviene per i monumenti di metallo, sui quali l'attacco acido dà luogo a vari sali solubili che ne danneggiano la superficie: si pensi alla statua di Marco Aurelio a Roma.
Attualmente, per evitare ulteriori danni alle opere d'arte una volta ripristinate, o si cerca di proteggerle con pellicole di materiale trasparente per salvaguardare le superfici dagli inquinanti, oppure - soluzione più drastica - si sostituisce con una copia l'opera collocata all'aperto, conservando l'originale in un museo. Più complessa è, invece, la soluzione da adottare per la protezione degli edifici, soprattutto facciate, bassorilievi, ecc.
Nei climi tropicali l'inquinamento può essere biologico, generalmente ad opera di microrganismi del genere Aspergillus che provocano vasti danni e anneriscono le facciate di edifici antichi. Anche alcune alghe provocano spesso danni ai materiali calcarei delle costruzioni.
4. Inquinamento degli ambienti confinati
Nel quadro dell'inquinamento ambientale è necessario considerare anche l'inquinamento degli ambienti confinati, cioè degli interni delle case o delle fabbriche, dove milioni di persone trascorrono molte ore ogni giorno, per periodi complessivi che si possono misurare in anni: per tale ragione non è possibile trascurare questo settore dell'inquinamento globale.
a) Ambienti domestici
La contaminazione negli interni delle case, forse tenuta in minor considerazione come fonte di tossici, non è, malgrado ciò, meno importante. Nelle case il riscaldamento domestico e la cottura dei cibi possono portare alla formazione di monossido di carbonio, di diossido di carbonio, di idrocarburi policiclici, di particelle sospese, le cui concentrazioni possono raggiungere livelli pericolosi.
Nei paesi in via di sviluppo l'uso in cucina di combustibili non adeguati, spesso residui agricoli e legna, ma anche letame disseccato, può portare alla produzione di sostanze tossiche e di particelle sospese che possono arrecare danni alla salute. Per esempio, in tre ore di uso di questi combustibili si vengono a formare concentrazioni di particelle sospese di 30 mg per m3, di cui 4.000 ng/m3 di benzopirene (l'equivalente del fumo di 7-8 sigarette).
b) Ambienti di lavoro
Le lavorazioni industriali sono generalmente considerate inquinanti a causa delle sostanze e delle particelle che riversano nell'ambiente esterno. Negli ultimi anni si è anche considerato l'inquinamento che i cicli produttivi possono provocare negli ambienti di lavoro. In questi, che possono essere industriali, minerari o anche artigianali, si possono trovare infatti inquinanti specifici per ogni tipo di attività e di lavorazione o produzione. Rispetto all'inquinamento dell'ambiente esterno, l'inquinamento dell'ambiente di lavoro è caratterizzato da una più elevata concentrazione di contaminanti.
L'inquinamento dell'ambiente di lavoro è attualmente oggetto di estese ricerche sia per rimuoveme le cause che per correlare la presenza di contaminanti con alcune malattie professionali. Alcune di queste sono ben note nella loro eziologia, per esempio la silicosi dovuta all'esposizione a polveri contenenti diossido di silicio (SiO2) libero, il saturnismo causato da vapori di piombo, le allergie da polveri di legno; altre, invece, richiedono ancora accurate ricerche.
L'impiego di solventi organici in varie industrie, da quella dei collanti alla manifattura delle scarpe, provoca nell'ambiente di lavoro una pericolosa concentrazione di solventi. Per esempio, la presenza nell'ambiente di vapori di benzene o di solventi clorurati risulta pericolosa per le persone che vi trascorrono molto tempo, talora molti anni. Nell'industria chimica si sintetizzano sempre nuovi prodotti, di cui è ignota la tossicità, utilizzati come intermedi per processi di produzione; essi, diffusi nell'ambiente di lavoro, possono provocare, anche a distanza di tempo, gravi danni nell'organismo umano. Un esempio di tali intermedi è il cloruro di vinile - il monomero utilizzato nella preparazione della materia plastica nota come polivinildoruro o PVC che, essendo gassoso, tende a diffondersi facilmente nell'ambiente durante i processi di produzione del PVC. La sua capacità cancerogena, riconosciuta recentemente, ha portato all'emanazione di norme rigorosissime sul suo impiego e sulle concentrazioni massime ammissibili. Problemi simili, dovuti non solo alla tossicità dei prodotti, ma anche a quella degli intermedi e dei solventi, si hanno nella produzione di composti chimici industriali quali gli esteri fosforici e altri pesticidi (v. pesticidi) e il piombo tetraetile. Diverse sostanze usate nell'industria chimica hanno azione mutagena e quindi potenzialmente cancerogena: per esempio alcune ammine aromatiche, alcuni idrocarburi aromatici policiclici, la formaldeide (v. trasformazione delle cellule).
In talune lavorazioni di industrie manifatturiere, come la tessitura, si possono verificare inquinamenti ambientali non solo da polveri, ma anche da coadiuvanti tecnologici. Per esempio, i lubrificanti usati nelle filature meccaniche provocano degli acrosoli pericolosi per chi vive a lungo in questi ambienti.
Le conoscenze sempre più perfette, alla luce delle moderne tecnologie analitiche, sulla presenza di inquinanti, previsti e imprevisti, nell'ambiente di lavoro hanno indotto le industrie a prendere drastici provvedimenti tecnici (aspirazione, cappe, sistemi di abbattimento) e ad adottare anche nuovi cicli produttivi per ridurre la concentrazione di queste sostanze e tutelare la salute del lavoratore.
Pericoli si hanno anche per i lavoratori agricoli nel maneggio e nella irrorazione di sostanze tossiche (come gli esteri fosforici e altri anticolinesterasici impiegati per fronteggiare l'attacco di insetti nocivi), che richiedono una serie di misure protettive per gli operai.
5. Inquinamento globale e suoi riflessi politici e internazionali
Le preoccupazioni sorte in molti Stati per il degrado dell'ambiente dovuto all'inquinamento - che non ha confini, in quanto viene trasportato nella troposfera e quindi distribuito su zone molto vaste, secondo il prevalere di talune condizioni meteorologiche - come pure le reazioni alla pubblicazione del Club di Roma sui limiti dello sviluppo, secondo la quale la contaminazione ambientale crescente sarebbe una conseguenza dello sviluppo e uno dei fattori che incidono sulla qualità della vita, hanno contribuito a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale su questo problema. Queste constatazioni hanno portato alla promozione di una Conferenza per la protezione dell'ambiente, organizzata dalle Nazioni Unite a Stoccolma, nel 1972, per stabilire gli indirizzi tecnici atti a ridurre gli effetti dell'inquinamento ambientale nei vari paesi e per giungere a concordare internazionalmente le norme per il rispetto dell'ambiente naturale. La Conferenza di Stoccolma ha, in effetti, messo in moto molti meccanismi e ricerche sia a livello nazionale che internazionale.
L'Accademia Svedese delle Scienze ha fatto della lotta all'inquinamento ambientale uno degli scopi fondamentali della sua attività di ricerca e di studio, ma anche di promozione del rispetto dell'ambiente, sostenuta da un periodico scientifico a diffusione mondiale. Molti Stati hanno creato a questo scopo organi amministrativi, dai ministeri dell'ambiente o per l'ecologia ad agenzie nazionali, come l'Environmental Protection Agency (EPA) negli Stati Uniti, per stabilire, di concerto con gli scienziati, le norme per la tutela dell'ambiente, le caratteristiche di qualità dell'aria, la disciplina d'impiego delle sostanze tossiche.
Queste norme si riflettono soprattutto sulla produzione industriale, per il controllo delle immissioni, e su quella agricola, per evitare l'abuso, o meglio il cattivo uso, di pesticidi e di fertilizzanti impiegati per aumentare la resa dei raccolti. Le misure di tutela dell'ambiente, impegnative e costose, trovano però spesso resistenze, non solo per le difficoltà inerenti alla ricerca di soluzioni adeguate, ma anche per i riflessi economici.
L'effetto del ‛dopo Stoccolma' ha messo in moto una serie di ricerche, ha sviluppato un'importante industria per i processi di purificazione e di smaltimento, ha orientato la progettazione industriale verso nuovi cicli tecnologici e in agricoltura ha dato impulso alla lotta integrata tra sistemi biologici e chimici per la protezione dei raccolti. Queste ricerche hanno permesso di acquisire un gran numero di dati, prima sconosciuti, sul riconoscimento, il dosaggio e la tossicità di sostanze, anche in tracce, comunque nocive all'ambiente. Ciò consente oggi di pianificare con maggiore esattezza una strategia per la protezione dell'ambiente da varie forme di inquinamento, anche se le nuove conoscenze hanno rivelato altresì meccanismi di inquinamento - soprattutto secondario - per i quali non sono state trovate adeguate misure di difesa.
Lo studio dell'inquinamento globale ha trovato in questi ultimi anni un notevole aiuto nelle nuove metodologie analitiche e nei mezzi di rilevamento. Con sistemi di fluorescenza a laser su elicotteri si possono studiare le variazioni del contenuto di clorofilla nella vegetazione, che sono un indice della presenza di sostanze tossiche. L'uso di complessi sisterni di rilevamento elettronico e di lidar (laser infrared radar, radar a laser infrarosso) consente oggi una precisa misura degli aerosoli e delle nebbie. Inoltre, con l'impiego di satelliti, come il Landsat, e di particolari apparecchiature, come il sistema multispettrale a scansione, si possono ottenere mappe caratteristiche dell'inquinamento ambientale soprattutto per i mari e gli estuari.
A livello internazionale le Nazioni Unite hanno creato un'organizzazione - la UNEP, United Nation Environmental Programme - che ha lo scopo di fornire agli Stati membri, soprattutto ai paesi in fase di industrializzazione, raccomandazioni e consulenze per evitare il degrado dell'ambiente, mentre l'UNESCO ha promosso un vasto programma di ricerche sui rapporti tra l'uomo e il suo ambiente, denominato MAB (Man and biosphere, Uomo e biosfera), operante in tutto il mondo.
I danni dovuti all'inquinamento ambientale hanno anche provocato, nell'opinione pubblica di vari paesi, reazioni dalle quali sono sorti movimenti di opinione, associazioni e anche partiti politici, che hanno coagulato attorno ai temi della protezione della natura e della lotta all'industrializzazione anche una serie di tendenze e movimenti protestatari, da quelli antitecnologici e anti scientifici a quelli pacifisti. L'opposizione all'installazione delle centrali nucleari per la produzione di energia è uno dei punti qualificanti di questi movimenti di opinione.
Per quanto riguarda le armi atomiche, il terrore delle conseguenze per l'umanità di un impiego bellico degli esplosivi nucleari ha per ora evitato - anche per la saggezza dei governanti - un confronto diretto. Molti scienziati, estrapolando i dati sperimentali noti, sono in grado di calcolare gli effetti degli ordigni eventualmente impiegati in termini di quantità di energia termica liberata e di radioattività formata e gli effetti sulla biosfera di tonnellate di polveri e di vapori immessi nell'atmosfera. Tali dati permettono di tracciare scenari drammatici per l'ambiente, senza considerare gli effetti catastrofici sulla popolazione. L'ambiente terrestre e i suoi equilibri sarebbero profondamente turbati e si creerebbero condizioni eccezionali che vanno sotto il nome di ‛inverno nucleare': l'oscuramento del Sole da parte delle polveri sospese, il conseguente raffreddamento della superficie terrestre e il blocco della fotosintesi clorofilliana, la distruzione per radioattività di innumerevoli specie animali e vegetali. Questo scenario rappresenterebbe lo stato limite di inquinamento ambientale e determinerebbe condizioni che metterebbero in dubbio la stessa possibilità di sopravvivenza dell'uomo sul suo pianeta: esso può perciò costituire un valido deterrente psicologico all'uso delle armi nucleari, dato che nessuna parte trarrebbe profitto da una catastrofe globale. Ciò fa sperare che questi scenari apocalittici non si verificheranno mai e che la saggezza potrà prevalere.
6. Conclusioni
Gli eventi degli ultimi anni hanno risvegliato nel mondo l'interesse per la protezione dell'ambiente; questa pressione dell'opinione pubblica, anche a livello politico, favorisce il potenziamento delle ricerche sull'inquinamento ambientale e lo sviluppo di nuove tecniche per combatterlo. Tuttavia la cosa non è facile, perché le necessità dovute alla crescita della popolazione mondiale portano automaticamente a un maggior carico inquinante. Per evitare che lo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo comporti il degrado ambientale dovuto a un'industrializzazione incontrollata e caotica, è necessario che venga tenuta presente l'esperienza, sia pure negativa, dei paesi a più elevato sviluppo industriale.
Scenari non meno inquietanti di quelli sopra descritti si profilano infatti se l'umanità non adotterà tempestivamente misure atte a proteggerla dall'autoinquinamento dovuto alle numerose cause sopra analizzate, anche in vista del raddoppio della popolazione, previsto entro il XXI secolo (v. popolazione). Se mancherà una regolamentazione oggi, i nostri discendenti potranno assistere a un lento processo di degradazione dell'ambiente in cui viviamo, processo che potrebbe diventare irreversibile, con la conseguenza di distruggere le bellezze e le risorse naturali del nostro pianeta e di renderlo, in un lontano futuro, inabitabile.
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