INNOCENZO X papa
Giambattista Pamfili, d'illustre famiglia di Gubbio stabilitasi in Roma dal sec. XV, nato a Roma il 7 maggio 1574, era stato avvocato concistoriale e uditore di Rota, nunzio a Napoli (1621) e nella Spagna (1626), cardinale (in pectore 1627, pubblicato nel 1629), prefetto della S. Congregazione del concilio; aveva fama "di gran letteratura e di profondo sapere". Fu eletto a successore di Urbano VIII il 15 settembre 1644, contro la volontà della Francia, ma con grande giubilo dei Romani. Negl'inizî del suo pontificato processò i Barberini, nipoti del suo predecessore, invisi per orgoglio e ricchezza male acquistata; ma essi fuggirono in Francia (1645-46), e le minacce del Mazzarino costrinsero il papa a restituirli nei loro beni. Colta occasione dall'insolvenza di Ranuccio II Farnese, duca di Parma, e dall'uccisione del vescovo di Castro, fece prendere e distruggere Castro (1649) e ottenne che questo feudo e quello di Ronciglione tornassero alla Chiesa. Diede aiuti a Venezia nella guerra di Candia, sebbene venisse poi in contrasto con lei per la sua politica religiosa, tollerante verso i protestanti e non rispettosa delle prerogative ecclesiastiche. Amante dell'Italia, non vedeva tuttavia la possibilità di sostituire il predominio spagnolo se non col francese, anche più grave; tenne perciò contegno riservato durante la rivoluzione di Napoli (1647), offrendo prima la sua mediazione, disapprovando poi le vendette e il malgoverno spagnolo. E fu in generale poco amico della Francia e del Mazzarino; benevolo invece alla Spagna, alla quale tuttavia resistette nella questione delle nomine vescovili. La questione stessa, più assai che l'opposizione della Spagna, gl'impedì di riconoscere Giovanni IV a re del Portogallo ribellato. Nel congresso di Vestfalia si adoperò per la pace, ma avversò le concessioni imperiali ai protestanti; conchiusa la pace, che affermava il principio della chiesa di stato, pubblicò, non senza lungo indugio (20 agosto 1650), il breve Zelus domus meae, antidatato dal 26 novembre 1648, nel quale dichiarava nulli gli articoli dannosi alla Chiesa.
Ma, più assai della protesta inascoltata, giovò l'opera del pontefice per ricondurre, con missioni, con seminarî, con riforme, i dissidenti all'unità religiosa. E nel campo religioso l'opera d'I. non fu scarsa: solenne giubileo nel 1650, al quale accorsero 700.000 pellegrini, opportunamente ospitati a cura del papa; riforma degli ordini religiosi; sviluppo delle missioni nell'Oriente e nell'Africa con più larghi poteri alla Propaganda; istituzione di una università domenicana a Manilla (1645) e di un collegio maronita a Ravenna (1648). Nella celebre contesa tra il vescovo Palafox e i gesuiti si dichiarò favorevole al primo, restringendo le facoltà di questi ultimi a profitto dell'autorità vescovile. Ordinò (1645) la pubblicazione della bolla In eminenti di Urbano VIII contro l'Augustinus di Giansenio, fece condannare dal S. Ufficio la dottrina dell'Arnauld sull'uguaglianza perfetta fra i due principi degli Apostoli (1647), e pronunziò la condanna di cinque proposizioni, che riassumevano la dottrina di Giansenio sulla grazia e sul libero arbitrio (bolla Cum occasione, 31 maggio 1653).
Il pontificato d'I. non fu tuttavia un pontificato glorioso. Uomo pio, desideroso di giustizia, ma diffidente, indeciso, troppo amante dei suoi, si lasciò dominare dalla cognata Olimpia Maidalchini, donna energica, ambiziosa, "di nauseante ingordigia". Le voci di relazioni colpevoli fra i due non hanno fondamento; ma la potenza di donna Olimpia, "erario unico, onde uscivano le grazie", il favore ai cardinali nepoti e i loro intrighi scandalosi, lo sperpero delle rendite della Chiesa, il riscatto delle pene per danaro, la poca sicurezza interna di Roma, l'opera di falsario del sottodatario Mascambruno oscurarono la fama d'I. Egli ebbe invece il merito di avere provveduto a lenire la carestia, di avere protetto gli studî storici, di avere dato nelle Carceri nuove l'esempio di una "più sicura e mite custodia dei rei", di avere continuato le grandi opere costruttive dei suoi predecessori; la decorazione dei pilastri delle cappelle longitudinali e il pavimento della navata centrale in San Pietro, affidati al Bernini, il rifacimento della basilica lateranense, opera del Borromini, la sistemazione di piazza Navona col nuovo palazzo Pamfili e la chiesa di S. Agnese, del Borromini stesso e di Girolamo Rainaldi, la fontana dei quattro fiumi, del Bernini, la continuazione del palazzo del Museo Capitolino, la villa Pamfili, sono opere compiute o promosse da questo papa, il cui ritratto il Velásquez dipinse con meraviglioso realismo. I. morì il 7 gennaio 1655 e la sua salma rimase più giorni "in un canto, in una cassaccia", per l'avarizia dei familiari. (V. tav. LXXX).
Bibl.: L. Pastor, Storia dei papi, XIV, i, Roma 1932, e op. ivi cit.