Innocenzo III
Papa (Gavignano 1160 - Perugia 1216). Giovanni , figlio di Transmondo conte di Segni, studiò a Parigi e a Bologna; di grande cultura e di vita austera, cardinale nel 1190, fu eletto (1198) a successore di Celestino III. Il suo programma si articolò nella riforma morale e disciplinare della Chiesa, nella lotta alle eresie, nella riconquista dei luoghi santi. Se pure si rivelò politico consumato, i suoi moventi furono sempre essenzialmente religiosi. Autore di vari trattati teologico-ascetici, tra cui il De miseria humane conditionis, più noto sotto il titolo posteriore De contemptu mundi. Riprese e sistemò le concezioni teocratiche di Gregorio VII. Il papa per I. è vicario di Cristo, che è re dei re; il potere spirituale è superiore al temporale, come l’anima al corpo; entrambi i poteri spettano al pontefice, ma egli concede l’uso d’una di esse all’imperatore, che è l’advocatus Ecclesiae. Dovendo sorvegliare tutti gli uomini, il papa ha il supremo controllo su tutte le azioni e può intervenire in ogni campo. A tali dottrine informò la sua politica. Dopo la morte di Enrico VI restava aperta la successione all’impero, alla quale era connessa quella al trono di Sicilia. I. s’impegnò dapprima con Ottone di Brunswick, che promise di cedergli i diritti dell’impero in Italia. Parve poi volgersi al vittorioso Filippo di Svevia; ma, all’uccisione di costui (1208), acconsentì a incoronare Ottone, eletto re di Germania. L’anno dopo, tuttavia, proclamava i diritti del piccolo Federico figlio di Enrico VI, in quel momento legato a lui: riconquistò perciò il regno di Sicilia conteso dai feudatari tedeschi. Anche nell’Italia centrale riaffermò l’autorità della Chiesa; a Roma abbatté, arbitro della nomina dei senatori, ogni autonomia cittadina. Intervenne in Francia lanciando l’interdetto per obbligare il re Filippo Augusto a riprendere la moglie ripudiata, ma con scarso successo. Obbligò invece Giovanni Senzaterra, con la minaccia d’una invasione francese, a riconoscere il suo regno feudo della Chiesa; lo stesso fece con Pietro d’Aragona. Per l’attuazione della crociata, altra meta della sua attività, tentò di ristabilire una buona intesa con l’Oriente, coltivando l’amicizia dei bulgari e cercando di pacificare i principi cristiani in Siria. Ma fu amareggiato dalla deviazione della quarta crociata, che si concluse nella conquista di Costantinopoli. Anche la crociata contro gli albigesi si svolse fuori del suo controllo, e se, visti inutili i suoi sforzi per convincere gli albigesi, proclamò egli stesso la guerra santa, cercò, almeno in linea di principio, di moderare le violenze e le vendette dei feudatari, combattenti più per il proprio vantaggio che per il sentimento religioso. Per attuare la riforma della Chiesa, ribadì il primato assoluto del pontefice, stringendo con Roma i legami dei metropoliti, limitando la libertà delle elezioni vescovili, favorendo il clero regolare e facendo assegnare per lo più a chierici romani i benefici vacanti delle varie Chiese. Nel 1215 coronò la sua opera con il grande Concilio del Laterano, nel quale dichiarò decaduto Ottone di Brunswick (da poco sconfitto a Bouvines) ed eletto Federico II, emanò vari canoni disciplinari e proibì la costituzione di nuove regole religiose. L’anno dopo morì di malaria. Se le sue dottrine politiche poterono essere sommerse dai successivi avvenimenti, la sua opera fu decisiva per la Chiesa, in quanto instaurò un pieno accentramento monarchico e burocratico, e ne rinsaldò la compagine morale e spirituale con la lotta contro l’eresia e l’impegno per la riforma dei costumi.