GRAGNANI, Innocenzo
Nacque il 27 ott. 1807 a Livorno, da Angiolo e da Maria Giovanna Filippini.
Imprenditore e architetto, il suo nome fu, nella storia della città labronica, quasi sempre affiancato a quello del fratello Giovanni Battista, con il quale intraprese, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta e fino alla fine del decennio successivo, una serie di operazioni finanziarie volte alla compravendita di terreni e alla progettazione e realizzazione di edifici spesso architettonicamente rilevanti.
Il periodo nel quale, dopo gli studi di architettura compiuti presumibilmente nel Granducato, il G. comparve sulla scena livornese fu, peraltro, di essenziale importanza nella storia dell'urbanistica della città.
Tra il 1827 e il 1840 circa, infatti, in concomitanza con la maggiore estensione del territorio interessato dal regime di franchigia doganale già in vigore all'interno della cinta muraria buontalentiana, estensione voluta dal governo "perché non si tornasse per l'ingordigia dei contrabbandieri a fabbricare sobborghi nuovi al di fuori" (Il governo di famiglia in Toscana. Le memorie del granduca Leopoldo II di Lorena [1824-1859], a cura di F. Pesendorfer, Firenze 1987, p. 192), Livorno mutò radicalmente la propria fisionomia. L'ampliamento, attuato principalmente a opera di L. de Cambray Digny, allora direttore del dipartimento delle Regie Fabbriche, P. Poccianti, L. Bettarini e in un secondo tempo di M. Chietti, era volto in primo luogo a regolamentare la disordinata crescita edilizia secondo nuove direttrici di espansione sia verso il mare sia verso l'entroterra, inglobando il gran numero di sobborghi sorti a ridosso delle mura e dotando la città di adeguate infrastrutture. Caratteristica del piano fu l'estrema flessibilità dell'impianto, che per lungo tempo consentì di intervenire "senza che i valori urbani si sfigurassero, anzi consentendone una progressiva qualificazione" (L. Bortolotti, Livorno dal 1748 al 1958. Profilo storico-urbanistico, Firenze 1970, p. 136). La particolare struttura proprietaria dei fondi interessati dall'ampliamento - si trattava per la maggior parte di commercianti e industriali - non poneva ostacoli all'attuazione del programma. A partire dalla seconda metà degli anni Venti lo scrittoio delle Regie Fabbriche aveva dato inizio all'alienazione di numerose aree fabbricabili: il G. fu, insieme con il fratello Giovanni Battista, tra i maggiori acquirenti dei terreni posti in vendita dal governo, in specie nella zona a sud della città (ibid. e Arch. di Stato di Firenze, Rr. Fabbriche, 1225, repertorio).
A ulteriore conferma della volontà dei Lorena di rendere Livorno il loro modello di città borghese, questo periodo conobbe una straordinaria fioritura dell'architettura dei luoghi teatrali: a distanza di pochissimi decenni sorsero in Livorno tre grandi teatri, uno dei quali, il Rossini, ideato e realizzato dal G., fu inaugurato nel 1842 e demolito, dopo poco più di un secolo, a seguito della sua pressoché totale distruzione nel corso del secondo conflitto mondiale.
Nel 1839 il G. aveva richiesto l'assenso granducale per la costruzione di un nuovo teatro, da erigersi nei pressi del demolito bastione del Casone, "sopra l'appezzamento di terra a contatto della rampata per cui si ascende alle antiche mura di S. Cosimo […], quale […] acquistarono a tale effetto […] i fratelli Gragnani dallo Scrittojo delle Regie Fabbriche, col Contratto ricevuto dal notaro messer Carlo Redi il dì sette Agosto milleottocento trentanove" (Arch. di Stato di Livorno, Comune preunitario, 2178).
L'assenso era stato accordato a condizione che gli elaborati fossero sottoposti ad approvazione da parte della R. Deputazione ai lavori di pubblica utilità e ornato, istituita nel 1837; l'edificio, con portico "rivestito a bozze" sormontato da un ordine corinzio dell'altezza di tre piani e un timpano triangolare a coronamento, venne respinto in quanto prevedeva l'occupazione di una porzione della strada pubblica di accesso (Arch. di Stato di Livorno, R. Deputazione alle opere di pubblica utilità e ornato, 1, pp. 75 s.). La seconda redazione modificata fu approvata dalla deputazione nella seduta del 14 febbr. 1840. L'edificio successivamente realizzato presentava alcune importanti variazioni rispetto alla descrizione riportata nel Programma a uso degli attendenti all'acquisto dei palchi: il portico a bugnato, scandito da tre arcate a tutto sesto, era sormontato non già dall'ordine gigante, ma da un ulteriore livello trattato a bugne più piccole e lisce e da quattro paraste a doppia altezza con capitelli ionici in luogo dei corinzi originariamente indicati. La pianta di Livorno di M. Chietti pubblicata nel 1849 (Livorno, Biblioteca Labronica, Raccolta Minutelli, 85) mostra, inoltre, una conformazione ovoidale: rispetto alle tipologie a ferro di cavallo ed ellittica, adottate rispettivamente nel teatro degli Avvalorati e nel S. Marco, tale schema planimetrico, caratterizzato da una maggiore ampiezza della curva di fondo sala, si addiceva particolarmente "a rendere più armoniosi e raccolti i teatri di non grandi dimensioni" (Garbero Zorzi). Intitolato a G. Rossini, il teatro riscosse, sotto l'egida dell'Accademia dei Fulgidi, un notevole successo tra i contemporanei, per la sua comodità (per la prima volta in un teatro livornese i palchi erano stati dotati di un'anticamera), e per la raffinatezza delle decorazioni, tra le quali sono da ricordare alcune cariatidi, opera del giovanissimo G. Duprè.
L'attività progettuale del G. comprende anche il palazzo Rosso, terminato nel 1840, situato nella piazza del Casone (l'attuale piazza Cavour), così detto per l'uso del mattone a faccia vista che ne caratterizza il prospetto anche dal punto di vista cromatico.
Anche a questa realizzazione il G. seppe conferire ritmo e movimento chiaroscurale mediante la marcata scansione orizzontale data dai tre ordini sovrapposti di paraste rispettivamente doriche, ioniche e corinzie con sottostante basamento a bugnato; sulla sommità dell'edificio era una sorta di tiburio ottagonale a uso di belvedere.
Pressoché contemporaneo fu l'edificio posto tra le vie Michon e dei Ss. Pietro e Paolo adiacente all'omonima chiesa progettata da L. de Cambray Digny, "ornato di eleganti balconate e ringhiere di ferro fuso egregiamente lavorato" (Volpi), al tempo sede di un istituto di istruzione femminile.
I primi anni Quaranta videro il G. impegnato, insieme con il fratello, nella costruzione di alcune ville nella zona di Antignano; tra il 1845 e il 1849 il G. avrebbe fornito il proprio apporto alla progettazione, oppure alla sola realizzazione (Wiquel), della chiesa presbiteriana scozzese agli scali degli Olandesi, realizzata in stile gotico e oggi comunemente attribuita a Rumball.
Tra il 1845 e il 1847 il G. portò a compimento un grande edificio agli scali Cerere da adibirsi a deposito di granaglie. Assai interessante è la soluzione architettonica adottata: un volume puro, privo di aggetti, con copertura piana forata da ampi lucernari, internamente caratterizzato da volte in mattoni a faccia vista sorrette da pilastri e da un sistema di scale di accesso dimensionate quasi a mo' di rampe per agevolare il trasporto delle merci (Ciorli).
Nel 1851, con sovrano rescritto del dicembre, il G. fu ammesso alla cittadinanza livornese. Nelle Guide cittadine di quegli anni si trova menzionato negli elenchi degli architetti, dei capi mastri muratori e dei periti del tribunale, con recapito al teatro Rossini.
L'edificio agli scali Cerere parrebbe essere l'ultima realizzazione architettonica del G., il quale presumibilmente a partire dagli anni Cinquanta si dedicò, in società con il fratello, alla gestione di una fornace alla Cigna, a nord della città, specializzata nella produzione di terre cotte per uso di giardini e oggetti artistici, con deposito in via dei Ss. Pietro e Paolo. Premiata con una medaglia d'argento all'Esposizione del 1854, la ditta fornì i modelli in terracotta delle due fontane a grotta disegnate da P. Avoscani per la città di Alessandria d'Egitto.
L'attività alla fornace distolse il G. dalla professione, tanto che in quegli anni il suo nome non è riportato negli elenchi degli architetti contenuti nelle guide cittadine; vi risultò nuovamente incluso a partire dal 1867, con recapito in via della Madonna. La menzione non implicò di fatto una ripresa dell'attività progettuale: in quest'ultimo periodo della sua esistenza svolse prevalentemente attività di appaltatore.
Il G. morì a Livorno il 18 genn. 1871.
Dal matrimonio con Antonietta Mei nacque una figlia, Giovanna. Il fratello Giovanni Battista, anch'egli architetto, con il quale il G. aveva condiviso ogni sua attività imprenditoriale, ricoprì in Livorno numerosi incarichi pubblici: sostituto camarlingo nel 1849, fu dal 1859 al 1864 priore supplente, membro del Consiglio di ricognizione della guardia nazionale e consigliere della Comunità cittadina.
Le successive generazioni dei Gragnani svolsero almeno fino agli anni Sessanta del Novecento attività legate all'amministrazione e alla gestione di numerose sale cinematografiche e teatrali di Livorno; Emilio (Livorno, 1900-66), critico musicale, direttore d'orchestra e compositore, fu il fondatore, nel 1937, dell'Orchestra labronica. Autore di saggi e studi su P. Mascagni, collaborò alla stesura del volume dedicato al compositore edito in occasione del centenario della nascita (Wiquel).
Fonti e Bibl.: Oltre alle indicazioni documentarie e bibliografiche citate nel testo, si veda, Arch. di Stato di Livorno, Comune preunitario, voll. 1685, 1801, 1812; Livorno, Biblioteca comunale Labronica, sala Livorno, Raccolta Minutelli, n. 1586, e Carte Vivoli, filza 33, a. 1839. Si veda, inoltre, P. Volpi, Guida del forestiere per la città e contorni di Livorno…, Livorno 1846, p. 123; Guide civili e commerciali di Livorno (denominazione e luogo di edizione cambiano di anno in anno; dal 1858 il frontespizio riporta il nome dell'autore, V. Meozzi), ad vocem; G. Duprè, Pensieri sull'arte e ricordi autobiografici, Firenze 1879, pp. 85-87; G. Piombanti, Guida storica ed artistica della città e dei dintorni di Livorno, Livorno 1903, pp. 83, 248, 352; M. Conti, "I vecchi teatri di Livorno", tesi di laurea, Università degli studi di Pisa, facoltà di lettere, a.a. 1978-79, pp. 118 s.; C. Cresti, La Toscana dei Lorena. Politica del territorio e architettura, Cinisello Balsamo 1987, p. 220; P. Castiglioli, La Reale Deputazione per le opere di pubblica utilità e ornato (1837-1862), in La fabbrica del "Goldoni". Architettura e cultura teatrale a Livorno (1658-1847), Venezia 1989, p. 36; E. Garbero Zorzi, Alcune considerazioni sui teatri livornesi, ibid., p. 60; S. Mazzoni, Il teatro Rossini, ibid., pp. 124-131; R. Ciorli, Livorno: storia di ville e di palazzi, Pisa 1994, pp. 35 s.; V.A. Hewitt, I teatri di Livorno tra Illuminismo e Risorgimento: l'imprenditoria teatrale a Livorno dal 1782 al 1848, Livorno 1995, pp. 26 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 491; G. Wiquel, Diz. di persone e cose livornesi, Livorno s.d., p. 281.