FRANCUCCI, Innocenzo (Innocenzo da Imola)
Figlio dell'orafo Pietro, nacque a Imola intorno al 1490. La data di nascita, variamente collocata dai biografi tra il 1489 e il 1494, si deduce dal Vasari il quale già nella prima edizione a stampa delle Vite (1550) scrive che il F. morì all'età di cinquantasei anni. Il primo documento che, se pur con qualche incertezza, dà notizie del F. è l'atto del marzo 1506 con il quale la Magistratura imolese concedeva a Pietro Francucci un sussidio a favore del figlio "Bononie artem picture discentis". Il giovane F. quindi, dopo un probabile avvio all'arte nella bottega del padre, nel 1506 studiava a Bologna; nel documento non viene citato l'artista presso il quale il F. svolgeva l'apprendistato e con cautela va assunta la notizia data dal Malvasia (1678, p. 119), secondo la quale il 7 maggio 1508 il F. sarebbe stato accolto nella bottega di Francesco Francia. All'alunnato bolognese, che significò per il F. il contatto in città con il clima del "classicismo prematuro", va sicuramente affiancato il soggiorno fiorentino testimoniato dal Vasari, a detta del quale il F. lavorò "molti anni in Fiorenza con Mariotto Albertinelli" (1568, p. 185), e confermato dai numerosissimi legami stilistici presenti nelle opere dell'artista ormai evidenziati concordemente da tutta la critica.
La definizione della fisionomia giovanile del F. si è mossa a lungo fra queste due componenti: la lettura in chiave bolognese, inaugurata dal Malvasia in polemica antivasariana e seguita a lungo dalla critica d'ambito regionale, e quella in chiave fiorentina sostenuta, oltre che dal Vasari, anche dal Lanzi (1789, pp. 42, 44), che definiva lo stile del F. "simile a' miglior fiorentini di quell'età".
La permanenza a Firenze, che dovrebbe collocarsi fra il 1509 e il 1514, permise al F. di entrare in contatto e di trovare affinità con l'ambiente del classicismo fiorentino, con la sobria e devota pittura della scuola di S. Marco - da cui ricavò una sorta di "marchio" che lo apparenta a pittori fiorentini della stessa estrazione da G. Bugiardini ad Antonio del Ceraiolo, a Raffaello Botticini - e di cogliere le novità del linguaggio di Raffaello, come mostra la sua produzione immediatamente successiva al suo ritorno a Imola (I. da Imola, 1993). Dal 1515 al 1517 il F. risulta aver avviato la propria attività nella città natale: nel 1515 data e firma la pala con la Vergine con il Bambino e i ss. Sebastiano, Rocco, Cosma e Damiano e nel 1516 la Madonna con il Bambino, i ss. Apollinare e Caterina e un vescovo, rispettivamente per la chiesa arcipretale di Bagnara e per S. Apollinare a Casola Valsenio, due località nei dintorni di Imola. Al periodo della permanenza imolese, attestata fino all'estate del 1517 da documenti notarili, si riferiscono anche il dipinto della Pinacoteca di Imola con la Madonna in trono fra i ss. Cassiano e Pier Crisologo, e il Battesimo di Cristo (ora Milano, Arcivescovado).
Le opere d'esordio presentano alcuni rimandi all'ambito bolognese (Francia e Costa) uniti a una forte presenza della cultura figurativa fiorentina nella sottigliezza disegnativa, nella nitida misura spaziale, nonché in certe tipologie di visi e figure. Le assonanze sono esplicite, pur in assenza di puntuali trascrizioni, con i modelli di Albertinelli, fra Bartolomeo, Lorenzo di Credi, con il Raffaello delle Madonne fiorentine - mediato anche dalle incisioni di Marcantonio Raimondi - e con un artista come Piero di Cosimo nella limpida e smaltata superficie del Battesimo, probabilmente l'ultima opera eseguita in città. In queste prime quattro tavole il F. mostra di aver già messo a punto un linguaggio sapiente e originale all'interno del panorama della pittura bolognese e romagnola dei primi decenni del Cinquecento. Scegliendo con prontezza i modelli più alti e più nuovi offerti dalla cultura contemporanea, in primis quello di Raffaello, il F. acquisì quello stile di classico equilibrio e di perfetta misura cui rimase sempre fedele e che ebbe il momento migliore nelle opere fino alla metà degli anni Venti, offuscato successivamente dalla ripetitività e dalla mancanza di aggiornamento.
Al termine del 1517 il F. ottenne la prima importante commissione bolognese per il convento olivetano di S. Michele in Bosco comprendente gli affreschi del coro notturno, con l'Annunciazione, l'Assunzione e il Transito della Vergine, la pala con S. Michele arcangelo per la quale ottenne il saldo di pagamento nel 1522 (Gualandi, 1840, I, pp. 59-62) e gli affreschi con la Resurrezione e un Profeta.
Si tratta di un complesso di lavori che consentì al F. di imporsi sugli altri artisti romagnoli attivi nello stesso cantiere e assicurò l'avvio della sua fortuna commerciale e artistica. Il tramite che con molta probabilità permise al F. di conquistare l'ambiente bolognese - a Bologna l'artista risiedette fino alla morte - è da individuarsi nell'umanista imolese Giovanni Antonio Flaminio, amico del nobile Giovan Battista Bentivoglio, garante del F. per il contratto del 1517 a S. Michele in Bosco, e in stretto contatto con l'ambiente degli intellettuali del circolo bolognese di Achille Bocchi (I. da Imola, 1993, pp. 35-40). Nei lavori per S. Michele il F. piegò la cultura fiorentina delle sue prime opere a un fare più aulico e monumentale, inserendosi pienamente e con una propria autonoma personalità nel clima del raffaellismo emiliano. I rimandi a Raffaello in alcuni casi sono puntuali, come nel S. Michele che atterra il demonio o nel particolare dello strumento ai piedi del Re David che riprende la viola della S. Cecilia nella Pinacoteca nazionale di Bologna, ma soprattutto il F. mostra di aver assimilato la novità dei modi e della misura compositiva del Raffaello maturo, tanto da aver fatto avanzare l'ipotesi di un suo viaggio a Roma nel 1517 (M. Lucco, I. da Bologna, in Arte a Bologna, 1993, n. 3, p. 189), anche se forse la sola esperienza fiorentina e la conoscenza indiretta, tramite incisioni e repliche, delle opere mature di Raffaello possono essere sufficienti a dar conto dell'evoluzione dello stile del Francucci. Nei visi dei monaci olivetani il F. manifestò le proprie sensibili capacità ritrattistiche espresse ripetutamente durante la sua carriera.
Appartengono ai primi anni dell'attività bolognese (entro il 1525) opere per altre chiese della città; fra le prime (Bernardini, 1987), le due tavolette con S. Petronio e S. Lorenzo, già conservate in S. Maria dei Servi, che si avvicinano ancora alla nitida qualità toscana della pala della Pinacoteca imolese. Per la stessa chiesa il F. dipinse l'Annunciazione per la cappella dei Bolognetti famiglia legata all'umanista G.A. Flaminio.
Quest'ultimo dipinto è concordemente datato dalla critica intorno al 1520 ed evidenti sono i rimandi alle Annunciazioni dell'Albertinelli e alla tradizione fiorentina del primo Cinquecento. Entro il 1525 è da datarsi la pala per la chiesa del Corpus Domini (ora a Monaco, Alte Pinakothek), in cui il disegno dei quattro santi anticipa i sapienti profili, l'allungamento e la torsione della figura degli scomparti con S. Francesco, S. Antonio da Padova, S. Giovanni Battista e il Cristo risorto per il cero pasquale, già in S. Francesco, recentemente acquisiti al corpus del F. (Bacchi, 1992).
In seguito il F. lavorò per commissioni faentine e imolesi. Nel 1526 datò e firmò la pala per il duomo di Faenza e nel 1527 la pala Bazzolini ora nella Pinacoteca di Forlì, raffigurante la Madonna in trono con il Bambino, santi e l'arcangelo Gabriele con Tobia, probabilmente terminata nel 1530. A Imola eseguì la tavola con Madonna e santi datata 1532, ora all'Ermitage di San Pietroburgo. In queste opere della piena maturità il F. mostra di aver raggiunto un linguaggio classicista serioso e sorvegliatissimo che ripropone formule già ampiamente collaudate mostrandosi artista invariabilmente ancorato alla lezione di Raffaello e dei suoi eredi più fedeli, Giulio Romano in particolare, e alle traduzioni grafiche di Marcantonio Raimondi.
Seguono nel quarto decennio del secolo la pala per la chiesa di S. Mattia a Bologna (1534), smembrata in antico e ricomposta quasi completamente da Zeri (1970-71), e, sempre a Bologna, gli affreschi raffiguranti l'Assunzione della Vergine, Cristo benedicente e S. Paolo (post 1533) e la pala con lo Sposalizio di s. Caterina (1536) per la cappella Scardova in S. Giacomo Maggiore. Stilisticamente vicina a quest'ultima pala è lo Sposalizio della Vergine ricordata dal Malvasia (1678, p. 119) in S. Maria dei Servi a Bologna, da tempo dispersa e acquisita di recente nella collezione della Cassa di risparmio di Forlì.
Il F. attinse al suo consueto e non più aggiornato panorama di riferimento, prediligendo soluzioni tratte dal Raffaello romano e citazioni da fra Bartolomeo. Migliori le scene delle predelle dove le composizioni meno auliche lasciano spazio a un diverso ritmo compositivo e a una maggiore disinvoltura che accostano il F. ai più rustici Bagnacavallo e Girolamo Marchesi (Roli, 1967).
Un raffaellismo ampiamente acquisito mostra ancora la Crocifissione del 1539 per la chiesa di S. Salvatore a Bologna che, nella semplificata chiarezza dei personaggi sotto la croce, sembra un'anticipazione della pittura di Controriforma (Ferriani, 1986, p. 65).
Le ultime prove dell'attività del F. sono la Maddalena conservata alla Galleria estense di Modena datata 1543, un'immagine appesantita e stereotipata del canone raffaellesco di bellezza, e il ciclo, databile dopo il 1541, per la palazzina della Viola a Bologna commissionato dal cardinale legato Bonifacio Ferrero.
I cinque affreschi bolognesi, che raffigurano Diana ed Endimione, Apollo, Cibele e Marsia e il Mito di Atteone, costituiscono un unicum nella produzione dell'artista. La loro riscoperta nel 1797 sollecitò i tre discorsi che nel 1812 Pietro Giordani dedicò al F. nel clima purista d'inizio secolo favorevole al recupero dell'ideale di classicità e di perfezione formale. Il Giordani stesso (1856, p. 198) notò le capacità compositive espresse nelle scene (valida specialmente quella con Atteone assalito dai cani) e come il F. mostrasse di aver guardato con profitto al tardo Raffaello delle logge.
Il 1543 è il termine post quem per la morte dell'artista ammalatosi, dice il Vasari (1568, p. 188), perché "si affaticava più di quello che potevano le forze sue".
Per tutta la sua carriera il F. aveva affiancato alle opere pubbliche una copiosissima produzione di piccoli dipinti per la devozione privata che ha contribuito assai alla sua fama (Ferriani, 1986, pp. 63, 66; S. Vicini, in I. da Imola 1993, pp. 103-105). Tali dipinti, che ripropongono spesso con minime variazioni gli stessi modelli, vennero ampiamente replicati, con diversi esiti qualitativi, all'interno della bottega e da imitatori delle fortunate soluzioni del Francucci.
La vicenda critica del F. ha registrato alterne fortune: dalle lodi quale eccellente imitatore e seguace di Raffaello riservategli dal Seicento fino agli inizi dell'Ottocento, secoli in cui le sue opere furono contese da collezionisti italiani e stranieri; alla insofferenza della critica del Novecento culminata nella stroncatura di R. Longhi nel 1940. Dopo le ricerche principalmente documentarie di R. Galli del 1927 edite nel 1951, con commento di R. Buscaroli, una prima rivalutazione e acuta lettura dell'opera del F. si deve a Ph. Pouncey che nel 1945 e più estesamente nel 1969 costituì un inedito corpus di disegni del F. e ricondusse nel giusto alveo interpretativo la produzione dell'artista.
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