DEL BUFALO, Innocenzo
Appartenente ad un'antica famiglia patrizia originaria di Pistoia, nacque a Roma nel 1565 o '66, secondogenito di Tommaso e di Silvia de' Rustici.
Il padre esercitò nel corso della seconda metà del sec. XVI importanti cariche municipali, come caporione e consigliere per i rioni Colonna e S. Eustachio, e morì tra il 1592 e il 1599. Il fratello maggiore, Muzio (1561-1625), fu anche lui capo e consigliere del rione Colonna; fu conservatore nel 1599, sposò Drusilla Mattei, dalla quale non ebbe figli. Il secondo fratello, Quinzio (m. nel 1657), fu come il padre e il fratello maggiore magistrato municipale a varie riprese (conservatore nel 1624-1625) e vicecastellano di Castel Sant'Angelo nel 1625; sposò Cassandra Strozzi, che gli diede cinque figli. Rimasto vedovo, abbracciò lo stato ecclesiastico, occupò diverse cariche alla corte pontificia e fu nominato nel 1627 governatore a vita della Fabbrica dell'università della Sapienza.Allievo del Collegio Romano, il D. studiò filosofia, teologia e diritto e sostenne con successo le tesi di dottorato. Il padre gli acquistò nel 1586 una carica di abbreviatore del parco maggiore nella Cancelleria apostolica. Divenne in seguito referendario delle due Segnature e vicario del cardinale Domenico Pinelli, arciprete di S. Maria Maggiore; poi fu nominato governatore di Narni e, nel 1591, governatore di Benevento. L'elezione di Clemente VIII, nel gennaio del 1592, gli fu propizia. Il D. era infatti amico e creatura del nipote del papa, Pietro Aldobrandini, insieme al quale aveva fatto gli studi; creato cardinale il 17 sett. 1593, questi favorì la sua carriera.
Divenuto canonico di S. Pietro il 28 ag. 1594, il D. venne nominato nel 1595 inquisitore apostolico a Malta, dove si sforzò per tre anni di mettere ordine nelle finanze dell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme e di sedare le discordie che dividevano i cavalieri. Rientrato a Roma nella primavera del 1598, fu nominato il 15 luglio 1598 vicegovernatore di Fermo. Il 28 apr. 1601 fu designato infine a succedere a Gasparo Silingardi, vescovo di Modena, come nunzio apostolico in Francia.
Secondo l'uso fu nominato, contemporaneamente, il 14 maggio 1601, vescovo di Camerino. Consacrato nella basilica di S. Pietro il 20 maggio dal cardinale Mariano Pierbenedetti, detto il cardinal di Camerino, prese possesso della sua sede il 20 giugno. Dopo un breve soggiorno nel vescovato, partì per la Francia (probabilmente il 12 luglio), lasciando l'amministrazione della diocesi al vicario generale Marzio Politi, che nell'estate del 1603 condusse la visita pastorale.
Il viaggio durò più di un mese. Enrico IV era assente da Parigi quando vi giunse, il 24 ag. 1601. Ottenne la prima udienza a Fontainebleau il 28 settembre e consegnò al re il breve che lo accreditava. Il giorno precedente, 27 settembre, la regina Maria de' Medici aveva messo al mondo un figlio (il futuro Luigi XIII), al quale un nunzio straordinario, Maffeo Barberini, recò la benedizione del papa.
Al suo arrivo a Parigi, il D. prese alloggio provvisorio nel convento dei cordiglieri, poi si sistemò nell'hôtel de Cluny, che doveva restare la residenza dei nunzi fino alla metà del secolo XVII.
La sua famiglia comprendeva una ventina di persone: maestro di casa, scalco, coppiere, cappellano, camerieri, staffieri, mulattiere, spenditore, credenziere, cavaliere; infine due segretari che svolsero una parte importante durante la sua nunziatura.
Il primo, Vincenzo Ungarino, di Fabriano, era il suo uomo di fiducia, redigeva la gran parte dei dispacci indirizzati dal D. al cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII, scriveva anche gli avvisi e teneva il registro della corrispondenza in partenza. Nel 1602 egli tenne l'interim della nunziatura a Parigi mentre il D. veniva trattenuto da una malattia a Poitiers, dove aveva seguito la corte. Tra le altre ricompense il D. ottenne da Enrico IV per questo suo fedele collaboratore, nel dicembre del 1602, lettere di naturalizzazione che gli permettessero di godere benefici in Francia (Paris, Archives nationales, X 1A 8645, f. 36r). Il secondo era un "secretario della lingua francese", Agostino Gioiosi, di San Severino Marche. Fu lui che restò a Parigi come incaricato d'affari dopo il richiamo del D. a Roma nell'autunno del 1604 e assicurò l'interim della nunziatura fino all'arrivo del nuovo nunzio ordinario Maffeo Barberini. Ungarino e Gioiosi restarono al servizio del D. fino alla sua morte. Egli aveva inoltre un agente a Roma, Ottavio Marazzi, e si serviva di altri informatori temporanei.
La carica di nunzio in Francia all'inizio del sec. XVII era una delle più prestigiose della diplomazia pontificia, ma vari fattori concorrevano a renderla particolarmente delicata. Il rappresentante del papa doveva tenere conto anzitutto dell'esistenza di una forte tradizione gallicana, oltre che della nuova situazione determinata dall'editto di Nantes, che nel 1598 aveva dato uno statuto legale ai protestanti francesi. Enrico IV d'altra parte tardava a dare soddisfazione alla S. Sede su due punti essenziali: l'introduzione in Francia dei decreti del concilio di Trento (condizione posta da Clemente VIII all'assoluzione concessa al re nel 1595) e il richiamo dei gesuiti, banditi dal Parlamento di Parigi in seguito all'attentato commesso nel 1594 da Jean Chastel contro la persona del re. Il nunzio doveva ricordargli questi due impegni, doveva adoperarsi, infine, per attenuare la tensione internazionale favorendo il riavvicinamento dei principi cattolici (re di Francia e Spagna e duca di Savoia), sempre in concorrenza malgrado i trattati recenti di Vervins (1598) e di Lione (1601), in vista di una lega contro il Turco.
Impreparato a fronteggiare questa situazione, tanto complessa e sconcertante per un prelato italiano, il D. fece del suo meglio per risolvere i diversi problemi davanti ai quali si venne a trovare.
Il suo intervento si concluse con un fallimento per quel che concerne le due questioni principali: non poté ottenere l'introduzione dei decreti del concilio di Trento, e il richiamo dei gesuiti con l'editto di Rouen del settembre 1603 fu conseguenza di negoziati ai quali egli non partecipò. Essi furono condotti direttamente dal padre Pierre Coton, futuro confessore del re, e dal padre Ignace Armand, provinciale di Francia, ed imposero ai gesuiti francesi condizioni che furono accettate controvoglia da Clemente VIII e dal padre C. Acquaviva, generale dell'Ordine.
Visto che non riusciva ad ottenere la pubblicazione ufficiale dei decreti tridentini, il D. cercò di favorire la diffusione, già avanti in Francia, della riforma cattolica: controllò realmente la scelta dei vescovi, lottò contro gli abusi (non residenza dei prelati in particolare), assecondò il generale dei carmelitani e quello dei cordiglieri nella visita dei conventi dei loro Ordini intrapresa rispettivamente nel 1602-04 e nella primavera del 1604. Si preoccupò inoltre di difendere la giurisdizione ecclesiastica e di favorire l'applicazione delle norme liturgiche definite dal concilio.
Ottenne soddisfazione contro il Parlamento di Parigi nel 1603-04 in una causa d'abuso relativa all'uso del breviario romano; quindi ottenne una nuova soddisfazione nell'estate del 1604, in una questione di ordinazioni la cui validità era dubbia e che il S. Offizio aveva prescritto di rifare. Egli fece condannare o censurare varie opere che attaccavano i papi e la Chiesa romana o che non erano conformi all'ortodossia cattolica, come le tesi sull'Anticristo del pastore protestante Jérémie Ferrier (1602), La fournaise ardente di Palma Cayet (1603), il primo volume della Histoire universelle di Jacques Auguste de Thou (1604).
Assai vigile nei confronti dei protestanti, moltiplicò contro di loro gli interventi presso il re, il cancelliere Pomponne de Bellièvre e il segretario di Stato Villeroy tutte le volte che furono in gioco gli interessi della S. Sede e della Chiesa cattolica. Desiderosi di compiacere Clemente VIII, il re e i suoi ministri diedero di solito soddisfazione al D., quando le misure che egli sollecitava non rischiavano di provocare ripercussioni internazionali. Il D. ottenne così una migliore protezione del Contado Venassino dai protestanti della Linguadoca e del Delfinato, come il ristabilimento del cattolicesimo nel Béarn. Invece nel Paese di Gex, ceduto alla Francia nel 1601 dal trattato di Lione, a Casteldelfino e Pragelato, dove voleva reintrodurre la messa e restituire i beni alle chiese, ottenne un successo a metà, perché Enrico IV non volle scontentare gli ugonotti di queste regioni che lo informavano sulle mene del duca di Savoia. Non riuscì infine a convincere Enrico IV a rinunciare a proteggere e sovvenzionare potenze protestanti come le Province Unite e la Repubblica di Ginevra.
Incaricato, insieme al nunzio in Fiandra, degli affari d'Inghilterra, il D. si preoccupò di trasmettere alla S. Sede le notizie che gli giungevano da quel paese, protesse i seminari e i preti cattolici inglesi rifugiati in Francia e favorì l'azione dei missionari inglesi oltre Manica. Dopo la morte di Elisabetta (24 marzo 1603) e la successione di Giacomo I, si sforzò di migliorare per vie diplomatiche le sorti dei cattolici inglesi. Nel giugno del 1603 riuscì a far passare in Inghilterra un agente della S. Sede, Giovanni degli Effetti, al seguito del marchese di Rosny, ambasciatore straordinario incaricato di felicitare il nuovo re. Nel 1604 raccomandò gli interessi dei cattolici inglesi agli ambasciatori del duca di Lorena Carlo III. A Parigi strinse rapporti con l'ambasciatore inglese Thomas Parry e riuscì a far pervenire per suo tramite una lettera a Giacomo I. Questi vari tentativi non ebbero però quasi alcun effetto.
Gli sforzi del D. per mantenere la pace tra i principi cattolici furono nel complesso più felici. Egli svolse un ruolo importante nelle crisi che alterarono le relazioni franco-spagnole nel corso della sua nunziatura.
Nella notte dal 17 al 18 luglio 1601, in seguito a una rissa nel corso della quale il nipote e due altri familiari del conte di La Rochepot, ambasciatore francese in Spagna avevano ucciso alcuni spagnoli, la residenza dell'ambasciatore fu violata e i colpevoli incarcerati. Questo incidente provocò la rottura delle relazioni diplomatiche e commerciali tra la Francia e la Spagna. La mediazione di Clemente VIII e l'intervento dei nunzi in Francia e Spagna permisero la riconciliazione delle due corti: i tre colpevoli, liberati nel gennaio del 1602 da Filippo III e rimessi a Clemente VIII, furono condotti in Francia nel luglio del 1602 da un nunzio straordinario, il cameriere segreto Bartolomeo Powsinski. Ma la congiura ordita in quel momento dal maresciallo di Biron avvelenò di nuovo i rapporti franco-spagnoli. Caduto malato a Poitiers alla fine di maggio del 1602 e immobilizzato in questa città più di un mese, il D. assistette impotente all'evoluzione della crisi che fu risolta solo con l'esecuzione del maresciallo il 31 luglio. Nel gennaio del 1603 un nuovo ambasciatore, M. de Barrault, prese il cammino per la Spagna. Ma nel corso di questo stesso anno, un conflitto commerciale oppose di nuovo le due Corone: l'istituzione da parte di Filippo III e degli arciduchi sovrani dei Paesi Bassi di un dazio del 30% sull'importazione e l'esportazione di tutte le merci provocò rappresaglie immediate di Enrico IV, che introdusse un dazio corrispondente nel novembre del 1603 e finì col proibire ogni commercio con la Spagna e le Fiandre l'8 febbr. 1604. Negoziati intrapresi a Londra nell'agosto del 1604 per iniziativa di Giacomo I tra gli ambasciatori di Francia e Spagna in Inghilterra fallirono all'inizio di settembre. Il D. propose allora la sua mediazione; le discussioni ripresero a Parigi all'inizio di ottobre del 1604 e si conclusero il 9 ottobre con un accordo firmato all'hôtel de Cluny tra l'ambasciatore di Spagna in Francia Balthazar de Zuniga e il senatore di Milano Alessandro Rovida da una parte, il sovrintendente alle Finanze marchese di Rosny e il consigliere di Stato Brulart de Sillery dall'altra.
La missione del D. in Francia si concluse così con un successo diplomatico. Il suo cattivo stato di salute l'aveva obbligato sin dalla fine di novembre del 1603 a sollecitare il suo richiamo. Gli fu concesso nel marzo del 1604. Creato cardinale nel concistoro del 9 giugno, ricevette dalle mani di Enrico IV nel castello di Montceaux (Seine-et-Marne, cantone di Meaux) il 19 luglio la berretta portata da Roma dal cameriere segreto Alessandro Strozzi. Dovette passare ancora tutta l'estate in Francia, perché il suo successore, Maffeo Barberini, fu designato solo all'inizio di settembre. Il 26 settembre ricevette l'autorizzazione di rientrare a Roma, ma rinviò la partenza fino alla firma dell'accordo franco spagnolo concluso grazie alla sua mediazione. Lasciò Parigi il 13 ottobre, prese congedo a Fontainebleau dal re e dalla regina che gli offrirono una croce d'oro ornata di diamanti. Il cancelliere Pomponne de Bellièvre l'accompagnò fino a Lione dove arrivarono il 25 ottobre. S'imbarcò a Marsiglia su una galera reale in compagnia del cardinale F. de Joyeuse. Arrivò a Roma il 25 novembre. Clemente VIII gli impose solennemente il cappello cardinalizio il 27, gli assegnò il 10 dicembre il titolo presbiterale di S. Tommaso in Parione e lo nominò membro delle congregazioni dei Vescovi e regolari, del S. Offizio e de Auxiliis divinae gratiae. IlD. partecipò nella primavera del 1605 ai due conclavi che seguirono la morte di Clemente VIII e, sia il 1° aprile sia il 16 maggio, votò per i candidati del partito francese, contribuendo così all'elezione di Leone XI (Alessandro de' Medici) e poi di Paolo V (Camillo Borghese). Restò fedele a Enrico IV che, a partire dal 1605, gli fece versare una pensione annuale di 5.000 lire. Il 1° giugno 1605 optò per il titolo presbiterale di S. Marcello. Dal luglio al dicembre 1605 soggiornò a Camerino. All'inizio del 1606 resignò il vescovato conservando una pensione sulle sue rendite. Il 30 gennaio 1606 optò per il titolo di S. Pudenziana, al quale doveva rinunciare il 19 nov. 1607 per quello dei Ss. Nereo e Achilleo. Si era stabilito a Roma nel palazzo di piazza Colonna, ma la cattiva salute e le difficoltà finanziarie l'obbligarono a fare frequenti soggiorni fuori Roma negli ultimi anni. Sempre più sofferente, fece testamento il 9 febbr. 1610 davanti al notaio capitolino Alessandro Palladio. Nominò legatario universale il fratello maggiore Muzio, riservò una pensione annua di 300 scudi al fratello minore Quinzio e dette disposizioni per la costituzione di doti a favore delle nipoti.
Il D. morì a Roma, nel palazzo Del Bufalo, il 27 (Acta camerarii Sacri Collegii: cfr. Hierarchia catholica, IV, p. 7, nota) o 29 (come si legge nella lastra funeraria) marzo 1610. Il fratello Muzio gli fece erigere un sontuoso monumento sepolcrale nella cappella di S. Andrea in S. Maria in Via.
Fonti e Bibl.: Correspond. du nonce en France I. D., évêque de Camerino (1601-1604), a cura di B. Barbiche, Rome-Paris 1964; Y.-M. Bercé, La carrière politique dans l'État pontifical au XVIIe siècle, in Journal des savants, 1965, pp. 645-52; B. Barbiche, Le voyage de st. François de Sales à Paris en 1602 et le rétablissement du catholicisme au pays de Gex, in Revue savoisienne, 1967, pp. 91-101; F. Combaluzier, Sacres épiscopaux à Rome de 1565 à 1662, in Sacris erudiri, XVIII (1967-68), p. 156; P. Gasnault, Manuscrits envoyés d'Italie à la Bibliothèque du roi par Mabillon, in Bibliothèque de l'Ecole des chartes, CXXIX (1971), pp. 417 s.; B. Barbiche, Doctrine catholique et diplomatie romaine au début du XVIIe siècle: le cas de Catherine de Bourbon, duchesse de Bar, in L'université de Pont-à-Mousson et les problèmes de son temps, Nancy 1974, pp. 321-32; Die Hauptinstruktionen Clemens' VIII. für die Nuntien und Legaten an den europäischen Fürstenhöfen, 1592-1605, a cura di K. Jaitner, Tübingen 1984, ad Ind.; P.Gauchat, Hierarchia catholica …, IV, Monasterii 1935, pp. 7, 131.