CIBO, Innocenzo
Primogenito di Francesco detto Franceschetto, figlio di papa Innocenzo VIII, e di Maddalena, figlia. di Lorenzo de' Medici, nacque a Firenze il 25 agosto del 1491. Fin dall'autunno la madre, tornando a Roma, ove risiedeva la famiglia, lasciò il C. nella casa del Magnifico, dove fu amorevolmente allevato e dove rimase, alla morte di Lorenzo, affidato allo zio Piero. Non è chiaro però con chi egli vivesse quando i genitori lasciarono Roma, dopo la morte di Innocenzo VIII (25 luglio 1492), e in ogni modo dopo la cacciata dei Medici da Firenze (novembre 1494).
Egli abbracciò comunque la carriera ecclesiastica molto presto e ottenne la badia di S. Paolo d'Arno, posta in provincia di Pisa, dallo zio cardinale Giovanni del Medici. Divenuto costui papa con il nome di Leone X nel 1513, il C., creato protonotario nel márzo, fu elevato, con la prima elezione di cardinali, il 23 settembre, alla porpora, con il titolo dei SS. Cosma e Damiano. Da questo, il 26 giugno 1517, passò a quello di S. Maria in Domnica, dopo aver ottenuto, l'11 maggio, l'amministrazione della diocesi di Marsiglia. Già il 13 ott. 1513 aveva avuto il vescovato di Saint Andrews in Scozia, da lui ceduto l'anno dopo ad Andreas Foreman, come passò a Francesco Pallavicini quello di Aleria in Corsica, ricevuto il 19 giugno 1518. Il 27 luglio 1519 gli fu affidata, l'amministrazione della diocesi di Ventimiglia, trasmessa subito dopo al nipote Filippo Cibo Usodimare.
Il giovane cardinale viveva a Roma, menando vita splendida e dispendiosa, vicino al papa, non perché collaborasse con lui alle attività politiche o religiose, ma perché gli era sempre accanto negli svaghi e negli interessi mondani. Il C. fu a Firenze nel 1514, quando Leone X cedette il governo della città al nipote Lorenzo e fu presente ai festeggiamenti che si svolsero in quell'occasione. L'anno dopo intrattenne a cena, insieme con altri due cardinali, il re di Francia Francesco I, che, da poco successo a Luigi XII, veva riconquistato il Milanese, immediatamente prima che il re si incontrasse a Bologna l'11 dic. 1515 con il papa. Subito dopo il C. si recò a Milano, ove assistette ad una giostra in onore del sovrano e dove egli concesse un sussidio di 1.200 ducati alla vedova di Bartolomeo d'Alviano. L'anno successivo, dopo essersi recato a Firenze e probabilmente a Venezia, accompagnò Lorenzo de' Medici, divenuto duca di Urbino, nel suo ingresso in questa città. Agli inizi del 1518 il C., i cui viaggi erano frequenti e causati sempre da motivi semiprivati coMe quelli cui si è accennato, partì di nuOvo da Roma, non si sa dove diretto, ma spinto ad allontanarsi da due motivi: i suoi debiti nei confronti di più persone, ammontanti a 10.000 ducati, e i segni dei "mal franzese" che lo affliggeva. Tornato nell'aprile, nel settembre era di nuovo prima a Firenze, poi a Venezia, dove ricevette accoglienze molto calorose. Continuamente al centro di avvenimenti mondani, il C. durante il carnevale del 1519 offerse al pontefice, dopo la recita di una commedia dell'Ariosto nella sua casa in Castel Sant'Angelo, una memorabile cena, cui parteciparono diciassette cardinali. Continuava intanto ad accumulare benefici, fra cui l'abbazia di S. Saba a Roma, l'arcivescovato di Genova, l'11 marzo 1520, l'abbazia di S. Siro nella stessa città, e il 4 luglio del'inedesimo anno l'amministrazione dei vescovato di Torino, che avrebbe tenuto fino al giugno del 1548, quando la cedette a Cesare Cibo Usodimare.
Nel luglio del 1521 il C. sembrò poter ottenere il camerlengato, dietro annullamento di un credito con il papa di circa 40.000 ducati. Ne prese anche possesso il 7 agosto, ma dovette cederlo ai primi di ottobre, perché gli si preferì il cardinale Armellini, che per averlo aveva versato forse 70.000 ducati.
"Disperato" per questo smacco, a dire dell'oratore veneto Alvise Gradenigo (Sanuto, Diarii, XXI, col. 8), si allontanò da Roma, ma, morto Leone X (1° dic. 1521), Vi tornò prima della fine dell'anno per partecipare all'elezione del nuovo pontefice. Entrò in conclave in lettiga, poiché era malato, e per un gioco, che per essere troppo sottile stava per risolversi in una beffa, ottenne ad un certo punto un buon numero di voti, che lo portarono vicino all'elezione. L'opinione corrente su di lui, espressa in una lettera di Francesco Maredini (ibid., XXXII, col. 372), fu compendiata nell'esclamazione: "Hor guardate a che termine era il papato!".
Comè noto, dal conclave il 9 genn. 1522 uscì eletto Adriano VI, uomo di principi e natura del tutto opposti a quelli del giovane e mondano cardinale. Alla messa celebrata il 30 settembre in S. Pietro dal papa, appena giunto a Roma, il C. funse da assistente, ma si allontanò poi speditamente dalla città, perché il papa istruì contro di lui un processo per complicità con il cognato Giovanni Maria da Varano, duca di Camerino, accusato di aver fatto assassinare il nipote Sigismondo. Pare che in effetti il C., che nel giugno del 1515 aveva recato egli stesso a Camerino la concessione pontificia della trasformazione della signoria in ducato, non fosse estraneo a questo fatto di sangue. Comunque se ne andò a Massa, nel ducato della cognata Ricciarda Malaspina, moglie del fratello Lorenzo, e badò a tenersi lontano da Roma, dove pure il papa, il 23 genn. 1523, invitò formalmente ed esplicitamente i cardinali a presenziare al concistoro.
Il C. non tornò nella città che una settimana dopo la morte di Adriano VI. Partecipò quindi al conclave, dal quale dopo più di due mesi fu eletto, il 19 nov. 1523, un altro Medici, che prese il nome di Clemente VII. Naturalmente il C. ne era stato uno dei fautori e con l'assunzione al soglio del parente tornò di nuòvo in auge. Pochi mesi più tardi, l'iI gennaio dell'anno successivo, egli otteneva la legazione di Bologna, già appartenuta ai due papi medicei.
Il C. non prese subito possesso della legazione, ma rimase a Roma, creando intanto vicelegato Altobello Averoldi, vescovo di Pola. Nell'urbe egli non era occupato nei grandi maneggi diplomatici, in cui si era cacciato il papa, che cercava di non alienarsi i due grandi contendenti del tempo, Carlo V e Francesco I, ma si occupava piuttosto degli affari della famiglia, di cui era divenuto il capo, prima ancora della morte del padre, avvenuta nel 1519. Questo non vuol dire che egli non avesse sue opinioni o fosse alFoscuro dei vari intrighi. Il C. allora era considerato un partigiano del sovrano francese, al quale, sceso di nuovo alla conquista del Milanese, inviò il 4 dic. 1524, non si sa per quali misteriose relazioni fra loro intercorse, un suo cameriere, Lorenzo Pallavicini.
Prima e dopo la battaglia di Pavia (24 febbr. 1525), il C. si adoperò, sempre da lontano, sia a tranquillizzare i Bolognesi sia a provvedere in qualche, modo alla loro difesa, mentre intanto sostituiva l'Averoldi con Goro Gheri, vescovo di Fano. Nell'estate del medesimo anno, annunciando finalmente la sua intenzione di raggiungere Bologna, il C. si portò a Carrara. Quando, il 4 agosto, fece il suo ingresso nella città felsinea, nella quale erano stati eretti in suo onore ben otto archi di trionfo, fu accolto da un superbo corteo. I festeggiamenti, per i quali la cittadinanza aveva deliberato un prestito di 1.0000 ducati, furono descritti in centottantatré ottave dal poeta popolare Gerolamo da Casio nel Libro intitulato Bellona... (s. l. né d.), dedicato ad Ercole Gonzaga. Il C. rimase a Bologna più di tre mesi, poi tornò a Roma, passando per Massa. Il 10 ott. 1526 ottenne l'amministrazione dei vescovato di Volturara, che cedette nello stesso anno a Giulio Mastrogiudice, e, morto questo, a Giovanni Battista dei Giudici.
Dopo l'attacco dei Colonnesi a Roma, il 20 sett. 1526, e la successiva stipulazione di una tregua di quattro mesi fra il papa (che si era associato nel maggio con la Francia e con Venezia nella lega santa) e l'imperatore, rappresentato da Ugo di Moncada, che durante le trattative aveva tenuto il C. quale ostaggio, il legato inviò il suo auditore, Francesco Casati, nella città felsinea, ad informare ed a rassicurare i Bolognesi. Intanto l'avanzata degli Spagnoli di Carlo di Borbone e dei lanzichenecchi del Frundsberg, che si avviavano a congiungersi al Po, minacciava direttamente Bologna. Il C., in costante rapporto con il luogotenente generale della lega, Francesco Guicciardini, si portò allora nella sua legazione. Vi arrivò il 6 dicembre. Oltre a prendere provvedimenti per la difesa dellà, città, fece da tramite fra il papa e il duca di Ferrara, Ercole d'Este, che, pur avendo abbracciato la causa cesarea, continuava a rimanere in trattative con il pontefice. Privi dei soccorsi francesi, gli Stati italiani si chiedevano sospettosamente aiuto l'un l'altro. Il C. voleva che l'esercito della lega si schierasse davanti a Bologna; il Guicciardini, ragguagliando il legato sulla lenta ma inesorabile avanzata degli Imperiali, garantiva che se vi fosse stato pericolo l'esercito alleato si sarebbe schierato di fironte alla città, ma esortava anche ad approntare la difesa e chiedeva denari; contemporaneamente Firenze inviava nella città emiliana Niccolò Machiavelli.
Quando fu evidente che Bologna rimaneva esclusa dall'itinerario seguito dall'esercito di Carlo V, il C., che pare avesse espresso già dal febbraio il proposito di lasciare la città, decise di portarsi a Firenze, ormai a sua volta minacciata. Vi giunse nella terza decade di aprile, pochi giorni prima del tumulto, con il quale si tentò di espellere i Medici e nel quale egli stesso si trovò coinvolto. Mentre gli Imperiali, scartata' anche Firenze, si dirigevano a Roma, il C. si rifugiò a Pisa, ove fu raggiunto dalla cognata, con la quale riparò a Massa. Qui ricevette le drammatiche notizie del sacco dell'urbe e poco dopo cominciò a trattare con la Repubblica di Genova per trasferirsi in quella città, di cui la sua famiglia era originaria ed egli stesso era arcivescovo. Il 12 giugno egli ottenne la facoltà di stabilirvisi, ma le sollecitazioni del vicelegato lo indussero a tornare nella sua legazione. Intanto si rendeva necessario che i cardinali rimasti fuori di Roma si riunissero per far fironte alla situazione di emergenza e per dare in qualche modo continuità alla vita dello Stato pontificio e della Chiesa.
La Francia e l'Inghilterra, intanto, cercavano di indurre i cardinali a riunirsi in Avignone, ma prevalse l'opinione contraria e i porporati si ritrovarono a Piacenza, decidendo di coadunarsi sujccessivamente a Parma o a Bologna. Giunto nella città felsinea nella terza decade di luglio, il C. si adoperò per l'organizzazione del congresso, intrattenendo per questo rapporti epistolari con Francesco I e con Enrico VIII; inoltre riuscì a sedare le discordie interne della città; contemporaneamente si assicurò buoni:rapporti con il duca di Ferrara, con il quale. il 15 novembre. concluse un trattato. Dopo il soggiorno a Parma, ov'erano convenuti i cardinali, il C. tornò a Bologna al primi del 1528. Ma la dimora nella città gli era ingrata, e il papa si era da poco rifugiato a Orvieto che già il C. lo pregava di essere esonerato della legazione. Pur non avendo ottenuto dal pontefice quanto chiedeva, per tutto quell'anno e per metà del successivo alternò al soggiorno in Emilia quello in Lunigiana, fino a che, nell'agosto, da Carrara tornò a Bologna per compiervi i preparativi necessari all'incontro in questa città fra Carlo V e Clemente VII.
Il C. andò ad accogliere quest'ultimo a Castel San Pietro e fece con lui il solenne ingresso in Bologna il 24 ottobre. Parimenti ricevette l'imperatore al suo arrivo e partecipò alle trattative che si conclusero il 24 dicembre con la ratifica della pace. Fu presente a tutte le cerimonie dell'incoronazione e quando Carlo V, il 22 marzo 1530, prese la strada della Germania egli fu uno dei cardinali che lo scortarono.
Il 20 marzo 1531 il C. aveva ottenuto l'amministrazione della diocesi di Mariana in Corsica, ceduta il 1° dicembre dello stesso anno, a Cesare Cibo Usodiniare; nella primavera del 1531 affidò la vicelegazione di Bologna al Guicciardini. Compiutasi la sorte di Firenze, il C. vide con molta soddisfazione l'insediamento di Alessandro de' Medici, che egli aveva tenuto sotto la sua protezione, quale duca di Firenze. Quando, il 22 nov. 1532, il Medici si recò a Bologna ad ossequiare l'imperatore, il governo della città fu affidato al Cibo il quale tenne la reggenza di Firenze per quattro mesi. Durante questo periodo, nel quale egli rimase lontano dai grandi problemi, vivendo però con magnificenza di sovrano, accaddero due episodi di una qualche rilevanza: l'esasperarsi dell'inimicizia fra il C. e Filippo Strozzi, il quale poi finì per essere allontanato da Firenze dal duca Alessandro, e l'aprirsi di trattative matrimoniali, poi fallite, per l'unione di Cosimo de' Medici con una nipote del C., figlia della contessa di Caiazzo.
Tornato alla fine di marzo del 1533 il duca Alessandro a Firenze, il C. fu presente alle pubbliche accoglienze che questi organizzò, durante il. soggiomo fiorentino della promessa sposa, Margherita d'Austria. Caterina Cibo, sua sorella, che aveva accolto questa principessa, nel settembre accompagnò Caterina de' Medici in Francia. Anche il C. avrebbe dovuto recarsi con la futura regina a Marsiglia, ma egli interruppe il viaggio a La Spezia a causa di una malattia, forse diplomatica, visto che ormai egli era, divenuto un fedele partigiano dell'imperatore. Prima della fine di settembre il C. era a Carrara, dove era allora la cognata, ormai separata dal marito, con la quale egli intratteneva una intima relazione. Alla fine dell'agosto dell'anno dopo, giungendo da Roma pessime notizie sulla salute del pontefice, il C. si portò in questa città, dove ebbe modo di raccogliere le ultime raccomandazioni che Clemente VII gli fece sulle sorti di Firenze.
Durante il conclave che portò all'elezione di Paolo III (13 ott. 1534) il C. brigò con accanimento per essere fatto papa. Senza doti di ingegno o fama di vita esemplare, privo di ricchezze favolose e del sostegno di un partito, pensò, nientedimeno, di mercanteggiare, in cambio del papato, il matrimonio della nipote, Giulia da Varano, figlia di Caterina, fidanzata a Guidubaldo Della Rovere, poiché ella portava in dote il ducato di Camerino, nel governo del quale era succeduta al padre Giovanni Maria sotto la tutela della madre. La promise a molti, ma la sorella prese una decisione autonoma, mantenendo gli impegni con il Della Rovere. Ciò le procurò :il risentimento del nuovo pontefice, che, concesso Camerino ai Varano di Ferrara, privò le due donne dei feudo, lanciando il 28 marzo 1535 l'interdetto sul ducato. Mentre inoltre i fuorusciti fiorentini trovavano sempre maggior favore presso il papa, il C. decise di lasciare l'urbe, dove era sempre più malvisto, e a metà aprile del 1535 partì per Firenze.
Qui prese dimora nel palazzo già dei Pazzi, appartenente come gli altri beni patemi al fratello Lorenzo, in favore del quale il C. e l'altro fratello ecclesiastico, Giovanni Battista, avevano rinunciato all'eredità paterna e dove già abitavano Ricciarda Malaspina, con la madre e la sorella Taddea, nonché Caterina Cibo, che aveva lasciato Camerino, affidandone la difesa al genero. Anche Giovanni Battista Cibo, vescovo di Marsiglia, soggiornava allora in quel palazzo, ma la sua dimora s'interruppe bruscamente quando fu scoperto un complotto contro il duca Alessandro, che avrebbe dovuto saltar in aria per lo scoppio di una cassa, posta nella camera di Ricciarda, dove egli soleva sedersi. Del progettato attentato, con gran disappunto del C., sembrò autore proprio Giovanni Battista, che fu arrestato e rimase in carcere fino alla primavera 1536.
Un altro oscuro episodio di quel periodo e di quell'ambiente coinvolse direttamente il Cibo. Uno dei frequentatori della casa delle marchesane era Francesco Berni, il quale, al pari del duca Alessandro, pare fosse innamorato di Taddea Malaspina. A costui si vuole che si rivolgesse il C. per averne la collaborazione in un progetto di avvelenamento del cardinal Salviati, oppositore del duca, e presente a Firenze nel maggio 1535. Sarebbe stato il rifiuto del poeta di prestarsi a questo delitto ad indurre il C. a procedere all'avvelenamento del Berni stesso. Tutt'altro che provato questo sospetto, resta il fatto che quest'imputazione al C. fu ripetuta dai fuorusciti fiorentini fra le accuse e le recriminazioni che essi esposero a Carlo V durante il soggiorno dell'imperatore a Napoli alla fine del 1535.
In questa città si concluse il matrimonio di Margherita d'Austria con il duca Alessandro, che aveva lasciato, anche in questa sua assenza, il governo di Firenze al Cibo. Questi, che nel settembre era stato privato dal papa della legazione di Bologna, accolse l'11 maggio dell'anno dopo a Massa l'imperatore, ivi giunto reduce da Napoli e da Roma. Dopo il ritomo del duca a Firenze il C. continuò a vivere alla sua corte, essendogli compagno anche nelle imprese meno edificanti. Comunque il cardinale partecipò anche ai festeggiamenti che si svolsero all'arrivo (31 maggio 1536) della novella sposa del Medici.
Uno dei primi ad essere informato del ritrovamento del corpo del duca, assassinato il 6 genn. 1537, fu il Cibo. Egli, tenuta nascosta la notizia, perché né la, cittadinanza fosse presa da desiderio di novità, né gli esuli cogliessero l'occasione per il ritorno in città, provvide immediatamente a richiamare Alessandro Vitelli con le milizie. Inoltre inviò messi ad avvertire l'imperatore ed a chiedergli aiuti militari. Questa volontà di tenere segreta la morte dei duca anche agli ottimati della città, si spiega con ogni probabilità con il suo desiderio di favorire la successione di un figlio naturale del duca Alessandro, Giulio, ancora bambino, di cui egli sarebbe stato senza alcun dubbio il tutore. Ma non c'era un vero e proprio partito che appoggiasse questa soluzione e dopo, la prima adunanza dei Quarantotto, l'8 gennaio, in cui il C. fu invitato a porsi provvisoriamente a capo della città, prese corpo la candidatura di Cosimo de' Medici, che, portatoSi opportunamente a Firenze, fu proposto nella successiva adunanza come duca dallo stesso C., che aveva avuto alleato nei suoi falliti progetti solo il Vitelli. allettato dalla speranza del dominio di Borgo San Sepolcro.
Una delle principali cure del C. fu allora quella di provvedere alla vedova dei duca ucciso, conducendola nel castello in compagnia della sorella Caterina ed in seguito accompagnandola a Prato e a Empoli, prima che ella lasciasse definitivamente la Toscana.
Fu questo un momento in cui tutti cercarono di lusingare il C., verso il quale anche Cosimo si mostrava ossequente. Carlo V, in opposizione alla Francia che mirava a Firenze per il duca di Orléans, era favorevole all'avvento di Cosimo, purché il ducato rimanesse nella sua orbita; per questo promise al C. benefici per 10.000 ducati. Anche il papa gli fece sapere, mentre propiziava per il Medici il matrimonio con una sua nipote, che gli avrebbe reso la legazione di Bologna. Il C. sembrava così avviato a mantenere con il nuovo signore di Firenze quella considerazione e quella posizione di cui aveva goduto con l'antico. Ma Cosimo, oltre che provare risentimento nei suoi riguardi per il suo disegno di portare alla successione Giulio, non gradiva la devozione del C. agli Spagnoli, che occupavano il castello in nome di Carlo V.
Si preparava intanto il convegno di Nizza e il C. vi fu inviato dal Medici insieme con Francesco Campana. Il duca voleva infatti sposare la vedova di Alessandro ed ottenere il pieno possesso delle fortezze. Incontrato a Massa Paolo III diretto al convegno, il 10 maggio 1538 anche il C. con il Campana si pose in viaggio; da La Spezia essi si imbarcarono per Genova e di qui per Nizza. Ricevuto più volte da Carlo V e constatando di non poter ottenere Margherita in sposa per il Medici, il C. trattò con l'imperatore la mano di una figlia del vicerè di Napoli. Inoltre richiese la restituzione delle fortezze e la consegna del fuoruscito Filippo Strozzi. Tornato a Firenze, si adoperò ancora perché quest'ultimo pervenisse in potere di Cosimo, finché nel dicembre lo Strozzi fu trovato morto e ancora una volta si fece risalire la responsabilità diretta di questo misfatto, che ufficialmente passò per un suicidio, al Cibo.
Il 14 giugno 1538 il C. otteneva l'amministrazione del vescovato di Messina, per diretto interessamento di Carlo V; nello stesso giorno cedeva al cardinale Gerolamo Ghinucci l'amministrazione della diocesi di Tropea, avuta nel febbraio. Agli inizi del 1539 si adoperò per sedare una delle crisi della disgraziata unione fra Ricciarda Malaspina e il firatello Lorenzo, che aveva compiuto a quell'epoca (nel 1538) un tentativo di provocare una rivolta dei cittadini di Massa contro la marchesa.
Intanto i legami di convenienza che avevano legato Cosimo al C. si andavano allentando; contribuivano a ciò sia le relazioni che il C. manteneva fuori del ducato, sia la protezione accordata al piccolo Giulio, che egli prese con sé dopo la partenza della duchessa Margherita, della quale fino ad allora il bambino era rimasto in custodia; inoltre la cieca devozione agli Spagnoli e la sua disposizione agli intrighi fecero sì che Cosimo si disgustasse del tutto di lui.
Il C., che prima di lasciare la città inviò un memoriale a Carlo V in cui illustrava l'opera svolta in favore degli Imperiali alla morte del duca Alessandro e sosteneva che la diffidenza di Cosimo non era giustificata, partì da Firenze nel maggio del 1540 e si ritirò a Carrara. Con questo suo tempestivo allontanamento egli riuscì quanto meno a non rompere definitivamente con il Medici, con cui continuò a mantenere frequenti se non intrinseci rapporti. Quando, nel 1541, Carlo V tornò in Italia, il C., quale arcivescovo della città, fu fra gli autorevoli personaggi che lo accolsero il 2settembre a Genova. A Massa inoltre il cardinale ospitò l'imperatore, dopo i colloqui di quest'ultimo con il papa a Lucca. Nell'aprile del, 1542 divenne il cardinale protettore di Alemagna.
Fin dall'inizio della dimora del C. in Lunigiana il papa lo sollecitò insistentemente a tornare a Roma. Le richieste, le scuse, le ingiunzioni, le pratiche, in cui ebbe parte anche la Malaspina, si alternarono fino a che, ai primi di maggio del 1544, il pontefice giunse a minacciare che lo. avrebbe privato della dignità cardinalizia per questa sua pertinace disobbedienza. Dopo aver ricevuto un altro sollecito alla fine del 1545, fra la primavera e l'estate del 1546 il C. stette così male : egli che prendeva sempre a scusa le sue condizioni di salute - da essere in pericolo di vita.
Già aveva avuto inizio intanto la contesa per lo Stato di Massa fra la marchesa e il figlio Giulio. Anche seTintesa con la cognata era solidissima, il C., che si interpose fra i due con la sua autorità, parve sinceramente interessato ache il giovane trovasse una sistemazione e assegnò alla Malaspina le entrate dell'abbazia di S. Saba perché fossero impiegate al mantenimento di Giulio. Il suo giudizio sul nipote era comunque durissimo e quando costui, per volere dell'imperatore, dovette consegnare lo Stato di Massa (di cui nell'autunno del 1546 si era impadronito con la forza) nelle mani di un depositario, dovette farlo in quelle del cardinale. Decapitato Giulio, per essersi compromesso con i Francesi, nel maggio 1548 a Milano, sul C. pesò l'onta di non aver fatto molto per evitare questa sorte al nipote. In effetti, già in una lettera del maggio 1546 alla cognata il C. aveva specificato di non voler mettere a repentaglio per alcuno quanto aveva acquistato in cinquantacinque anni di vita.
Tornò a Roma dopo la morte di Paolo III (10 nov. 1549), di nuovo preso dalla speranza di conseguire la tiara. Aveva dimostrato la sua devozione all'imperatore, manteneva buoni rapporti con il duca Cosimo, ma non godevadella considerazione né della simpatia dei colleghi, che elessero Giovanni Mariadi Ciocchi Del Monte. Il C., al quale era stata diretta durante il conclave una pasquinata che lo definiva il più tristo uomo in tutto il mondo, quale decano consacrò il 22 febbr. 1550 il nuovo pontefice.
Trasferito il 28 febbraio al titolo di S. Maria in via Lata, egli mori pochi mesi dopo, il 14 aprile del 1550, a Roma, lasciando suoi eredi universali i figli naturali e legittimati, Alessandro e Clemente, che in caso di, morte se eredi dovevano essere sostituiti nella successione dal nipote Alberico, figlio della Malaspina e del fratello Lorenzo, ma con ogni - probabilità generato da lui; alle due figlie, Ricciarda ed Elena, andava un legato di 6.000 ducati. Fu sepolto in S. Maria sopra Minerva a Roma, dove fu anche posta una lapide in suo onore, ora scomparsa.
Privo di solida cultura e di una visione politica a largo raggio, tutto teso al conseguimento del successo personale, egli era passato accanto a grandi personalità e in mezzo a grandi avvenimenti storici senza afferrame che i particolari minuti, non riuscendo a lasciare di sé che un'immagine di trista mediocrità.
Di lui, che si avvalse anche dell'opera di Raffaello e di Benvenuto Cellini, si conservano più ritratti (Staffetti, Ilcardinale..., pp. 24 s.), di cui uno dì Cristoforo dell'Altissimo nella Galleria degli Uffizi a Firenze. Il cod. 1263 della Biblioteca universitaria di Bologna, contiene fra l'altro il bollario del C., il cui- archivio è conservato nell'Archivio di Stato di Massa.
Fonti e Bibl.: M. Sanuto, Diarii, XVI-LII, Venezia 1886-1898, ad Indices; Nuntiaturberichre aus Deutschland, s. 1, X, Berlin 1907, pp. 279, 548, 656, 699; XI, ibid. 1910, pp. 243, 781; L. Staffetti, Il libro di ricordi della famiglia Cybo, in Atti e mem. della Soc. ligure di storia patria, XXXVIII (1908), ad Indicem;F. Guicciardini, Carteggi, a cura di P. G. Ricci, VIII, Roma 1956, pp. 89 s.; XI, ibid. 1965, ad Indicem;XII, ibid. 1967, Ad Indicem;XIV, ibid. 1969, pp. 116-119; XVII, ibid. 1972, pp. 241, 251, 254, 297-303, Diario fiorent. di anonimo delle cose occorse l'a. 1537, a cura di R. Ridolfi, in Arch. stor. ital., CXVI(1958), pp. 548-50, 555, 557; Archivio mediceo avanti il Principato, IV, Roma 1963, pp. 74, 126, 354, 365, 423; F. M. Vialardi, Historia delle vite dei ss. pp. Innocenzo ottavo, Bonifazio nono et del card. I. Cybo, Venezia 1613, pp. 81r-84v; L. Staffétti, Il cardinale L Cybo, Firenze 1894 (con bibliografia precedente); Id., La politica di papa Paolo III e l'Italia, in Archivio storico italiano, s.5, XXXIII (1904), pp. 61, 81 s., 84-87, 89-94; F. Cavicchi, Girolamo da Casio, in Giorn. stor. della lett. ital., LXVI(1915), pp. 38 s.; L. v. Pastor, Storia dei papi, IV-VI, Roma 1926-27, ad Indices; Inventario sommario dell'Archivio di Stato [diMassa], Roma 1952, p. 31; R. Ridolfi, F. Guicciardini e Cosimo I, in Archivio storico italiano, CXXII(1964), pp. 575 s., 589; Id., Vita di Niccolò Machiavelli, Firenze 1972, pp. 371, 374.382, 586, 588; G. Gulik-C. Eubel, Ilierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, pp. 14, 22, 102, 108, 215, 235, 238, 242, 309, 319, 334, 337; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XII, coll. 824 s.