CONTI, Ingolfo
Nacque a Padova (o più probabilmente a Creola, nel comune di Saccolungo, presso Padova) verso il 1572 da Alberto e Giulia Speroni, in una famiglia nobile.
Il padre, conte Alberto, nonostante le sue cospicue ricchezze, condusse vita travagliata e venne anche imprigionato; la madre era la figlia terzogenita del poeta Sperone Speroni. Questi dimostrò sempre nei riguardi della figlia, carattere indipendente e ribelle, e della sua famiglia, un atteggiamento misto di preoccupato interessamento e di amara riprovazione. Ebbe aspri litigi col conte Alberto (da lui definito il più ricco dei suoi generi), ma non cessò di interessarsi, da Roma, dei nipoti, chiamati affettuosamente "puttini" e "puttine". Infatti il C. aveva diverse sorelle e due fratelli: Paolo, nato nel 1561, e Schinella, suo gemello, studioso di storia naturale, morto nel 1627.
Sotto Giuseppe Moletti, assieme a Paolo ed Emilio Gualdo, il C. studiò matematica all'università di Padova, e letteratura e filosofia con Giasone di Nores. Pare inoltre che avesse ascoltato le lezioni di Benedetto dei Dottori e di Giuseppe Scala. Alla morte dello Speroni, per cui scrisse l'epitaffio, venne in possesso dei suoi manoscritti; cominciò allora a essere sollecitato da molti letterati, cardinali e principi, tra cui quelli di Ferrara e di Urbino, affinché li pubblicasse; ma la stampa incontrò molte difficoltà, per la fatica di metter ordine negli scritti speroniani; inoltre il C. si recò a Milano per essere aiutato in questo compito da Giasone di Nores, ma questi morì prematuramente. A Milano il C. fu lettore di filosofia morale nelle scuole canobiane, con il notevole stipendio di 500 scudi, e poi, dopo il 1594, lettore di matematica all'Accademia degli Inquieti. Come gia a Padova, dov'era entrato in quella dei Ricovrati, partecipò a Milano e a Pavia alla vita delle accademie, acquistandosi una certa fama come matematico.
Venne coinvolto nella contesa tra il Magini e lo Scala per la pubblicazione delle effemeridi di quest'ultimo, contesa di cui egli affermò di essere stato scelto come arbitro; ma probabilmente la notizia, contenuta in un promemoria dal C. presentato nel 1611 all'università padovana, va ridotta alla semplice dedica a lui dell'opuscolo dello Scala, Responsio ad iudicium D. Ioan. Baptistae Gazani habitum contra Ephemerides Mag. et excell. viri D. Iosephi Scalae Siculi Noetini Art. et Med. Doct., Venetiis 1590, pubblicato con lo pseudonimo di G. A. Quinquerugio: per far colpo sui provveditori dello Studio il C. esagerò i suoi meriti e le sue amicizie.
Anche dopo il suo ritorno a Padova, il lavoro di edizione delle opere speroniane fu rallentato dagli impegni e dalla scarsa salute; i volumi pubblicati andarono dispersi per l'incuria dei librai e degli editori. I manoscritti, uniti da sommari in parte di mano del C., furono conservati dalla famiglia Conti fino all'edizione veneziana del 1740 in cinque volumi. L'unica edizione rimasta tra quelle curate dal C. è la Canace, tragedia del sig. Sperone Speroni alla quale sono aggiunte alcune altre sue compositioni et una apologia et alcune letioni in difesa della tragedia, Venetia 1597.
La prefazione e la dedica ad Alfonso d'Este, duca di Ferrara, sono del C., che probabilmente trascrisse le "letioni" dalla viva voce dello Speroni. Esse consistono nella difesa che lo Speroni fece della sua tragedia all'Accademia degli Infiammati dalle accuse di un anonimo opuscolo attribuito a Bartolomeo Cavalcanti. Contro di esso lo Speroni aveva già iniziato a scrivere nel 1550 l'Apologia, che rimase incompiuta. La tragedia ci appare in un'edizione riformata rispetto a quella del 1546, con un prologo trovato tra i manoscritti ed una suddivisione in atti e scene da attribuire al Conti.
A Venezia egli conobbe il patriarca Francesco Vendramin, Nicolò Contarini, Giovanni Bembo e altri autorevoli patrizi, dai quali sollecitò un appoggio alla sua candidatura come lettore di matematica e scienze militari nell'Accademia Delia di Padova.
Tale accademia, di carattere cavalleresco, per volontà del suo fondatore Pietro Duodo, aveva unito all'esercizio delle armi lo studio delle scienze matematiche, per cui mancava un lettore di solida fama. L'elezione fu piuttosto contrastata, in quanto alla lettura concorrevano anche Giulio Zabarella, figlio dél conte Giacomo, e il Galilei. In realtà Galileo non aspirava affatto ad essa; il suo nome era stato proposto soltanto per impedire al C., sostenuto da Giovanni de Lazara ma malvisto da altri accademici, di ottenere il posto, visto che la candidatura dello Zabarella, famoso più per i suoi vizi che per le sue doti matematiche, non otteneva l'appoggio della maggioranza. Allo scontato rifiuto del Galilei sarebbe stato così riproposto lo Zabarella. Tuttavia molti accademici non si lasciarono ingannare e votarono il C., che il 20 marzo 1610 ottenne 28 voti contro 17 dello Zabarella e 15 del Galilei.
Così ebbe inizio il suo insegnamento, che, secondo le indicazioni del Duodo (di cui l'anno successivo il C. scrisse l'elogio funebre Oratione ... per la morte dell'ill. Pietro Duodo cavalier, Vicenza 1611), avrebbe dovuto essere eminentemente pratico e trattare, oltre gli elementi di Euclide, la sfera, la meccanica, gli strumenti militari, l'arte della fortificazione, il disegno (in particolare di fortezze), l'artiglieria, le virtù del capitano; insomma un insegnamento aderente ai fini cavalleresco-militari dell'Accademia. Pare che alle sue lezioni accorresse buon numero di scolari, ma il C., insoddisfatto anche del magro compenso (150 scudi), riprese a brigare per ottenere la successione alla cattedra del Galilei allo Studio padovano, resasi vacante dal settembre del 1610. Erano molti coloro che, oltre al C., aspiravano a quella cattedra (retribuita, tra l'altro, assai bene: al Galilei erano pagati 1.000 scudi l'anno) da Keplero, favorito dallo stesso Galilei, al Magini a Luca Valerio, al Gloriosi (che effettivamente l'ottenne), allo Zabarella. Nonostante le "scritture" che egli mise insieme - di esse non si sa nulla - e il curriculum già citato, il C. non ottenne la cattedra; in realtà i Riformatori dello Studio; piuttosto sospettosi verso gli studi matematici, e intenzionati a pagare come un principiante un matematico di fama, non avevano fretta, tant'è vero che il Gloriosi fu eletto soltanto nel 1613. Il C. invece ottenne un'altra carica: nel 1614 risulta come agente del Magistrato dei riformatori.
Morì a Padova nell'agosto del 1615.
Oltre all'Oratione citata e a De perfecto hominis concentu liber singularis, Venetiis et Patavii 1589, pare che il C. non abbia lasciato opere di rilievo. Prima di morire aveva raccolto molto materiale per un lavoro sulla storia delle più rinomate scuole pubbliche di Padova, ma tutte le sue carte andarono disperse. Il suo nome è legato soprattutto a quello dello Speroni, di cui fu editore, del Galilei, col quale intrattenne buoni rapporti, e del Tassoni, di cui fu amico il fratello Schinella. Nella Secchia rapita (VIII, 18) i due fratelli sono scherzosamente enumerati tra i seguaci di Ezzelino, "dal tiranno ambeduo amati", alla testa dei loro soldati provenienti dai monti della Creola, cioè dai Colli Euganei.
Fonti e Bibl.: G. Galilei, Opere (edizione nazion.), X, pp. 303 s.; XI, pp. 43, 100, 417, 447, 503; XIX, pp. 125, 231; G. A. Salici, Historia della fam. Conti di Padova, Vicenza 1605, pp. 94 s.; B. Bulgarini, Antidiscorso, Siena 1616, p. 7; I. P. Tomasini, Illustrium virorum elogia, Patavii 1630, pp. 369 ss.; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, I, Milano 1739, p. 86; S. Speroni, Opere, Venezia 1740, I, pp. X s., XVI, XX s.; V, pp. VII, XXIX, XXXVIII, XLV; J. M. Paitoni, Lettere d'uomini ill. che fiorirono nel principio del sec. XVII, Venezia 1744, p. 119; F. M. Colle, Storia scientifico-letter. dello Studio di Padova dalla sua fondazione, I, Padova 1824, p. XXV n.; G. Vedova, Biografia degli scrittori Padovani, I, Padova 1832, p. 275; P. P. Martinati, Sopra un fatto ined. della vita di G. Galilei, Padova 1839, pp. 29-34; A. Favaro, G. Galilei e lo Studio di Padova, Firenze 1883, I, p. 359; II, pp. 2 s., 6, 10, 13, 81, 241 s., 246 s., 283, 294; V. Santi, La storia nella "Secchia rapita", II, Modena 1909, pp. 403 s.; M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia, II, Bologna 1927, p. 159; C. Roaf, A Sixteenth-Century Anonimo in Italian Studies, XIV (1959), p. 53; A. Tassoni, La secchia rapita, a cura di P. Papini, Firenze 1962, p. 135 n. 18.