Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Preceduti nelle esplorazioni e nelle conquiste dalle monarchie iberiche, i primi passi dell’espansione oltre Atlantico di Inghilterra e Francia sono piuttosto esitanti, anche a causa dei conflitti interni che lacerano i due Regni. Preclusa per il momento ogni possibilità di espansione nell’America tropicale, Francia e Inghilterra si dedicano all’esplorazione e a primi, poco riusciti tentativi di colonizzazione sulle coste orientali dell’America settentrionale.
L’altro Atlantico: pescatori e balenieri
Mentre Spagnoli e Portoghesi si lanciano sulle acque dell’Atlantico alla ricerca di nuove rotte verso le terre dell’oro e delle spezie, i popoli che si affacciano sull’Atlantico settentrionale e sul Mare del Nord avviano anch’essi un movimento di espansione alla ricerca di una risorsa più umile ma forse più sostanziale per l’economia europea: il pesce e i cetacei.
Negli ultimi secoli del Medioevo importanti progressi nelle tecniche di salatura del pesce avevano consentito di estendere notevolmente il raggio d’azione dei pescherecci nordici e quindi di passare dalla pesca costiera, imposta dalla necessità di smerciare rapidamente un prodotto molto deperibile, alla pesca d’altura. La necessità di trasportare a bordo dei pescherecci anche il sale per lavorare il pescato già a bordo aveva portato anche a un aumento del tonnellaggio delle imbarcazioni.
Nella seconda metà del Trecento e nel Quattrocento i pescatori inglesi, che gli anseatici hanno escluso dalle acque norvegesi, cercano nuovi banchi di pesca, prima nella acque islandesi e poi in quelle di Terranova, in pieno Atlantico. A loro si aggiungono i Francesi – Bretoni, Normanni e abitanti della costa da Bordeaux a Nantes – e anche Baschi, Galiziani e Portoghesi. La domanda dei pescherecci di Terranova dà impulso alla produzione delle saline francesi e portoghesi, presso cui si riforniscono anche i pescatori del nord, dove la modesta insolazione impedisce l’essicatura del sale.
Nella sola Francia, alla fine del XVI secolo, sono in attività più di 500 grandi pescherecci. La flotta da pesca inglese, in piena espansione nel Quattrocento, era stata messa in crisi dalla Riforma, che aveva abolito il digiuno dalla carne di venerdì. Una crisi tanto grave che William Cecil, ministro di Elisabetta I, avanza una proposta di legge che raccomanda di astenersi dalla carne di venerdì, sabato e anche per mezza giornata di mercoledì. Per non urtare la sensibilità dei protestanti più radicali, Cecil precisa che le motivazioni non sono religiose, ma di natura strettamente economica: si cercherebbe così, infatti, di dare impulso alla pesca e alla navigazione. Tale precisazione non impedisce all’Atto, soprannominato “Il digiuno di Cecil”, di essere rigettato dal Parlamento.
Accanto alla pesca del merluzzo, a partire dalla metà del Cinquecento l’area di Terranova diventa terreno di caccia per i balenieri biscaglini e francesi, che avevano messo a punto le loro tecniche nel golfo di Biscaglia, ricco di cetacei, e che impiantano a Terranova basi per la lavorazione delle loro prede.
Passaggi a nord-ovest e a nord-est
L’attività dei pescatori e dei balenieri nell’Atlantico settentrionale ha senza dubbio contribuito all’ampliamento della conoscenza dei venti e delle correnti di un ambiente marino particolarmente difficile. È anche possibile che pescatori europei operanti nei banchi di Terranova siano arrivati a contatto con il continente americano prima di Colombo. Comunque sia, la familiarità che Inglesi e Francesi hanno acquisito con queste acque è una delle ragioni che li spinge a cercare in questa direzione un’alternativa verso l’Asia alla via portoghese del Capo di Buona Speranza. In fondo si tratta di una variante del progetto di Colombo, ossia raggiungere l’Oriente navigando verso Occidente, aspetto che tiene conto che fra Europa e Asia è stato scoperto un nuovo continente. Occorre quindi trovare un “passaggio a nord-ovest” per oltrepassare le nuove terre.
Il primo a tentare è ancora una volta un genovese, Giovanni Caboto, al servizio di Enrico VII d’Inghilterra, che aveva in precedenza rifiutato i servigi di Colombo. Caboto parte da Bristol nel 1497 con una piccola nave, la Matthew, e giunge a Terranova. L’anno dopo compie un secondo viaggio durante cui trova però la morte. Nell’ultimo quarto del secolo altri navigatori inglesi moltiplicano i tentativi di trovare l’elusivo passaggio a nord ovest: Martin Frobisher, Humphrey Gilbert e Henry Hudson, dal quale prendono il nome il fiume e la baia omonimi. Il passaggio verso l’Asia non viene trovato, ma si tratta comunque di contributi rilevanti nella conoscenza della costa settentrionale del nord America.
Nel contempo gli Inglesi si muovono anche nella direzione opposta, vale a dire nella ricerca di un passaggio a nord-est, ovvero lungo la rotta minacciata dai ghiacci che passa a settentrione della Scandinavia e della Moscovia. Anche in questo caso l’obiettivo non viene raggiunto ma sia aprono nuovi collegamenti commerciali con la ancora misteriosa Russia degli Zar. Nel 1555 viene appunto costituita la Compagnia della Moscovia che ha per scopo lo sviluppo del commercio con la Russia e che ottiene dallo zar Ivan il Terribile il riconoscimento del monopolio commerciale.
Di un ventennio successivo al viaggio di Caboto è quello di Giovanni da Verrazzano, fiorentino al servizio di Francesco I di Francia, anche questo con lo scopo di trovare il passaggio a nord-ovest. Anche da Verrazzano arriva a Terranova ed esplora successivamente un tratto della costa americana. Più importanti i risultati ottenuti dal secondo grande esploratore al servizio della Francia, Jacques Cartier (1491-1557). Già durante il suo primo viaggio, nel 1534, scopre il fiume San Lorenzo, che, durante il secondo viaggio, verrà risalito fino al sito dove successivamente si fonderà Montreal.
I primi tentativi di collaborazione: Canada, Brasile e Virginia
Il terzo viaggio di Cartier, cominciato nel 1542, più che esplorativo, si pone l’obiettivo di impiantare, sempre nella zona del San Lorenzo, un primo insediamento permanente, con coloni e galeotti. Gli Europei infatti hanno scoperto che l’America del Nord dispone di una nuova, preziosa risorsa, le pellicce, che diventano il movente principale della penetrazione europea nella parte settentrionale del continente. Le condizioni climatiche sono tuttavia molto severe e gli indigeni, indispensabili partner proprio nel traffico delle pellicce, sono spesso ostili. Così, sia i tentativi di Cartier, che quelli successivi di Jean-François de la Roque de Roberval, falliscono. Per la nascita del Canada francese occorrerà attendere il secolo successivo.
Durante la seconda metà del Cinquecento le guerre di religione frenano le iniziative della monarchia. In precedenza però proprio gli ugonotti avevano intrapreso tentativi rivolti soprattutto verso le coste del Brasile, luogo interessante, oltre che per lo zucchero, per il legno colorante brasil del quale l’industria tessile francese fa ampio uso. Nel 1555 l’ugonotto Nicolas Durand de Villegagnon, con tre navi, giunge in quella che è l’attuale baia di Rio de Janeiro dove costruisce Fort Coligny, dal nome del capo ugonotto francese. Quella che viene pomposamente battezzata France antartique ha comunque vita breve. Nel 1560 i Portoghesi riacquistano il controllo dell’area ponendo fine al primo esperimento di colonizzazione francese in America meridionale.
Se i primi tentativi francesi di colonizzazione sono motivati dalla volontà di accedere a specifiche risorse economiche – pellicce, coloranti – quelli inglesi si situano nel contesto del conflitto, aperto o latente, con la Spagna di Filippo II. Nel 1584 Walter Raleigh ottiene dalla regina una licenza per l’esplorazione e la conquista di terre nel Nuovo Mondo. La scelta, per un primo tentativo di insediamento, della regione che prenderà il nome di Virginia, in onore di Elisabetta, dipende sia dalle presunte potenzialità economiche della regione che dal suo essere in una buona posizione come base per minacciare le comunicazioni navali spagnole. Anche in questo caso, tuttavia, i ripetuti sforzi finiscono in un fallimento completo e nel 1591 della piccola colonia inglese non è rimasta più alcuna traccia. In sostanza, nonostante l’impegno profuso dalle due potenze europee rivali della Spagna e del Portogallo, fino a tutto il Cinquecento queste ultime mantennero saldamente il controllo del Nuovo Mondo.
La sfida a Spagna e Portogallo sugli oceani
Francesi e Inglesi non limitano le loro ambizioni alle acque atlantiche. Nel 1530, ad esempio, tre caravelle francesi raggiungono l’isola di Sumatra. Nonostante tutto, la presenza portoghese è ormai consolidata e il viaggio non ottiene alcun risultato pratico. Lo stesso può dirsi del tentativo inglese del 1591. Delle tre navi partite, solo una fa ritorno. Apparentemente quindi la sfida lanciata da Inghilterra e Francia all’egemonia iberica si risolve in uno scacco. Le puntate esplorative e colonizzatrici dei Valois e dei Tudor non riescono per il momento a intaccare la supremazia iberica.
Ciò non significa però che Spagnoli e Portoghesi potessero dormire sonni tranquilli. Francesi, Inglesi e, alla fine del secolo, anche gli Olandesi, ricorrono infatti con successo allo strumento tipico degli sfidanti, che per il momento non possono competere in uno scontro aperto sul mare, ovvero la pirateria o, meglio, la guerra di corsa. Nella prima parte del secolo sono soprattutto i corsari francesi dalle loro basi di La Rochelle, Saint-Malo, Dieppe, Bordeaux, Dunquerque, a insidiare i galeoni spagnoli che attraversano l’Atlantico e le caracche portoghesi di ritorno dall’Asia cariche di spezie. Nel 1522, ad esempio, Jean Fleury riesce a impossessarsi del tesoro di Guatemozino, ultimo imperatore azteco, inviato in Spagna da Cortés. Nella seconda metà del Cinquecento sono invece soprattutto le potenze navali inglese e olandese, entrambe in forte ascesa, a rappresentare un problema. Francis Drake, negli anni Settanta e Ottanta del secolo, prima di coronare la sua carriera di uomo di mare contribuendo alla distruzione dell’Invencible Armada, mette a segno alcuni clamorosi colpi di mano contro le colonie e le flotte spagnole nell’Atlantico, da Panama, alle Canarie, a Capo Verde. Neppure le remote acque del Pacifico sono sicure. Nel 1586 un altro famoso corsaro inglese, Thomas Cavendish, riesce a impadronirsi del celebre galeone di Acapulco che collegava il Messico a Manila, nelle Filippine. Qualche anno dopo gli Inglesi metto a segno un altro colpo, questa volta a danno dei Portoghesi. Nel 1592 John Burrough si impadronisce della gigantesca caracca Madre de Deus, di ritorno dall’Oriente con centinaia di tonnellate di pepe, spezie e in più pietre preziose.
Nelle acque dell’Atlantico i confini fra commercio, contrabbando, guerra di corsa e vera e propria pirateria sono spesso labili. Gli Spagnoli cercano comprensibilmente di salvaguardare il proprio monopolio sulle rotte atlantiche, ma non sempre gli interessi delle economie coloniali in espansione coincidono con quelli della madrepatria, il che spiega le connivenze e le complicità di cui godono talvolta anche nelle colonie spagnole i corsari nemici della Maestà Cattolica. I piantatori hanno bisogno di schiavi e di manufatti europei, e non vanno tanto per il sottile quando si tratta di procurarseli. Richard Hawkins e Francis Drake negli anni Sessanta fanno affari lucrosi come contrabbandieri di schiavi, nonostante l’opposizione delle autorità.