Gestionale, ingegneria
Nelle precedenti Appendici alcuni aspetti strettamente legati all'i. g. sono stati trattati nelle voci relative all'organizzazione, alla produzione e alla ricerca operativa. Si vedano, per es., le voci organizzative, tecnologie (App. V, iii, p. 779), organizzazione industriale, sviluppata nell'App. IV (ii, p. 677) e poi ripresa nella V (iii, p. 782) e operativa, ricerca, ampiamente trattata nell'App. V (iii, p. 768), dopo che alcuni aspetti collaterali erano stati delineati nelle App. III (ii, p. 315) e IV (ii, p. 669). Il concetto di qualità totale è stato introdotto e analizzato sinteticamente nel sottolemma dedicato alla qualità totale della voce qualità dell'App. V (iv, p. 367). A partire dagli anni Ottanta e soprattutto negli anni Novanta, tuttavia, la profonda trasformazione che hanno subito le tecnologie organizzative insieme alla tendenza sempre più marcata in atto nel mondo produttivo verso la globalità e l'integrazione, hanno contribuito all'affermazione dell'i. g. come settore autonomo. Oggi l'i. g. è diventata ormai una disciplina a sé stante, alla quale concorrono numerose metodologie qualitative e quantitative, quali la teoria delle decisioni, la teoria dei comportamenti individuali, di gruppo e collettivi, la teoria economica, la scienza dell'organizzazione e della gestione, la ricerca operativa, la teoria dell'ottimizzazione, la teoria dei sistemi a eventi discreti e del controllo, la teoria dei sistemi relazionali, la teoria della complessità; tali metodologie sono sia di derivazione strettamente ingegneristica sia provenienti da settori più vicini all'economia o alla sociologia, a testimonianza del fatto che l'i. g. affonda le radici nella 'cultura gestionale', prodotto del processo di definizione dell'organizzazione scientifica del lavoro, associata agli strumenti e ai metodi quantitativi tipici della cultura ingegneristica. Nel seguito vengono esaminati alcuni aspetti fondamentali dell'i. g., relativi in particolare alla realizzazione di sistemi tecnologici complessi e ai requisiti operativi previsti per sistemi compatibili con i caratteri sempre più dominanti di globalità e integrazione presenti nel mondo della produzione. Viene inoltre messa a fuoco la nuova figura professionale dell'ingegnere gestionale che si è andata ridisegnando di recente, in conseguenza delle trasformazioni avvenute nella disciplina di appartenenza. Vengono infine trattati due esempi concreti di pertinenza dell'i. g., il primo relativo alla direzione aziendale, come settore particolare in cui la gestione di organizzazioni complesse richiede necessariamente l'intervento di metodologie e di tecniche quantitative sempre più sofisticate; il secondo, relativo al settore del marketing, consente di illustrare come strumenti nati all'interno di esigenze tipicamente ingegneristiche vengano messi in atto per risolvere un problema di modellizzazione dei fenomeni di mercato (v. anche produzione: Gestione della produzione, in questa Appendice). *
Gestione dei sistemi organizzati
di Lucio Bianco, Mario Lucertini
L'i. g. è basata sulle discipline organizzative e studia il comportamento di sistemi organizzati, in particolare di quelli per la produzione di beni e servizi, nonché gli interventi su tali sistemi che permettono di ottenere comportamenti assegnati. Questi sistemi hanno tipicamente un elevato grado di complessità, in quanto le diverse componenti interagiscono fortemente e concorrono tutte a determinare le prestazioni del sistema complessivo. Ciò significa che le variabili tecnologiche risultano dinamicamente interconnesse con le variabili economiche, ambientali, istituzionali e sociali, e non sono fra loro facilmente scindibili in sede di scelte strategiche o operative.
Le professionalità tipiche dell'i. g. sono legate alle origini dell'ingegneria e allo sviluppo dell'organizzazione scientifica della produzione avvenuta con il taylorismo-fordismo. Alcune attività tipiche sono la gestione di progetti e programmi, la progettazione delle specifiche funzionali dei grandi sistemi tecnologici (in particolare la fabbrica automatica, i sistemi flessibili di produzione manifatturiera, i sistemi logistici e i sistemi informativi industriali), l'allocazione e la gestione di risorse (per es. risorse fisiche, informative, umane, finanziarie), la logistica, la qualità totale, il trasporto e la distribuzione, la produzione manifatturiera o di servizi, la pianificazione, la gestione della configurazione del processo o del prodotto, le analisi costo-beneficio per la valutazione delle prestazioni e degli interventi, l'integrazione delle diverse attività aziendali.
Gli aspetti relativi alla realizzazione di sistemi tecnologici complessi, considerati dall'i. g., riguardano l'integrazione sia di aspetti diversi della progettazione e produzione, sia di interi sottosistemi sviluppati indipendentemente, sia di catene fornitori-clienti. Gli strumenti di analisi per la rappresentazione del sistema e la previsione del suo comportamento si integrano con strumenti d'intervento per ottenere comportamenti caratterizzati da elevate prestazioni. La qualità nelle prestazioni offerte dal sistema complessivo dipende, inoltre, non solo dalle sue caratteristiche tecnologiche e organizzative, ma anche dal modo in cui viene utilizzato. In altre parole gli aspetti culturali, formativi e informativi di operatori e utenti giocano un ruolo fondamentale nella determinazione dell'efficacia dell'intero sistema tecnologico e del grado di soddisfacimento dell'utenza.
Il processo decisionale
Il processo decisionale è l'elemento centrale di un sistema organizzato (v. organizzative, tecnologie, App. V) e la sua strutturazione in termini precisi e quantitativi ha caratterizzato l'evoluzione dei sistemi organizzati negli ultimi decenni. Esso si articola generalmente, per ogni decisore o centro decisionale, in una serie di passi interdipendenti. Perché ogni fase del processo decisionale sia efficace e finalizzata all'obiettivo complessivo, nell'eseguire ogni singolo passo è importante integrare le decisioni in corso con quanto svolto in altre parti del sistema o relativo ad altri passi.
In effetti, bisogna tenere presente che, nei grandi sistemi integrati, il comportamento complessivo non è facilmente spiegabile a partire da quello dei suoi componenti, e questo rende necessario un approccio strutturato che tenga conto esplicitamente delle interdipendenze.
I sistemi a cui facciamo riferimento sono essenzialmente sistemi organizzati in ambito di aziende di produzione manifatturiera o di servizio, in cui sia possibile, almeno in linea di principio: osservare l'evoluzione del sistema attraverso un adeguato sistema di flussi di informazione (tipicamente sotto forma di documenti, moduli, rapporti ecc.); misurare il comportamento sulla base di un opportuno insieme di sistemi di rilevazione e immagazzinamento delle informazioni (automatico o manuale), provvisti di indicatori che forniscono una visione sintetica dei dati disponibili e di sistemi di interrogazione di dati e informazioni; valutare il comportamento attraverso indicatori o modelli di valutazione delle prestazioni; intervenire sull'evoluzione del sistema al fine di ottimizzarne il comportamento nell'ambito di vincoli ambientali assegnati attraverso strumenti di controllo, sia relativi alla struttura organizzativa (quali, per es., organigrammi e matrici di responsabilità), sia relativi alle attività che si svolgono all'interno della struttura organizzativa (per es. procedure, ordini di servizio, gestione progetti) durante tutto il suo ciclo di vita.
In generale si può osservare che l'evoluzione dei moderni sistemi organizzati va nel verso di una maggiore complessità; nel corso dell'evoluzione, i sistemi, anziché semplificarsi adeguandosi a standard di efficienza consolidati, tendono a differenziare la loro struttura e le loro risposte alle sollecitazioni esterne, frammentandosi in una molteplicità di centri decisionali più o meno autonomi. In tale contesto, anche i processi decisionali subiscono una trasformazione che tende a privilegiare, da un lato, procedure relativamente semplici che possono essere efficacemente attuate in sede locale da ogni centro decisionale, dall'altro, procedure di coordinamento a livello centrale di sistemi organizzati strutturati a rete, in cui si cerca di controllare solo alcuni elementi globali (e con effetti tipicamente di medio-lungo termine) dell'evoluzione del sistema. Si crea quindi una gerarchia di attività, sia di pianificazione sia operative, che cercano di catturare nel modo migliore le capacità funzionali del sistema e la loro traduzione in specifiche tecnologiche e organizzative.
Nel seguito riportiamo alcune fasi, non tutte sempre presenti, di un generico processo decisionale tipico dell'ingegneria gestionale (v. .). Naturalmente la sequenzialità delle varie fasi non è rigida: alcune fasi collocate in successione possono essere attuate prima o in parallelo e possono verificarsi continui processi di ritorno su fasi già eseguite o di anticipazione di fasi future.
a) Fase di preanalisi, relativa a: riconoscimento del problema o dei problemi interdipendenti da affrontare; identificazione degli elementi essenziali del problema; raccolta dati e informazioni; scelta dei limiti di intervento del processo decisionale; individuazione dei decisori o centri decisionali toccati dal problema e del loro grado di coinvolgimento; individuazione di massima delle alternative di decisione, delle loro implicazioni a breve e a lungo termine, delle loro conseguenze dirette e indirette; classificazione delle azioni possibili in base alla loro urgenza e alla loro dipendenza da eventi futuri incerti.
b) Fase di analisi, relativa a: analisi delle alternative di decisione, delle loro implicazioni a breve e a lungo termine, delle loro (possibili) conseguenze dirette e indirette; quantizzazione degli obiettivi del processo decisionale; scelta del livello di aggregazione con cui rappresentare il sistema e il processo decisionale; individuazione delle entità principali del sistema e del processo decisionale, e delle relazioni tra esse; determinazione dei principali sottosistemi, dei loro attributi e delle relazioni ingresso/uscita per ogni sottosistema; determinazione delle grandezze che descrivono le relazioni tra sottosistemi e delle relazioni stesse; analisi della dinamica del processo decisionale e dei problemi di transitorio nell'implementazione delle decisioni; formulazione del modello o dei modelli quantitativi utili per il processo decisionale in uno dei formati previsti per la risoluzione; scelta dell'ambiente hardware, software e dell'interfaccia utente più idonei; identificazione dei dati necessari, progetto di un primo insieme di esperimenti numerici da effettuare con i modelli scelti e definizione di eventuali elaborazioni dei risultati; valutazione dei tempi e dei costi della realizzazione e delle alternative possibili.
c) Fase di decisione, relativa a: esecuzione degli esperimenti con i modelli quantitativi e loro inquadramento nel modello concettuale complessivo; definizione delle modalità di verifica dei risultati e validazione di ogni modello con valutazione del livello di confidenza, attraverso analisi di sensibilità, analisi parametriche e comportamentali per (limitate) variazioni della struttura del modello; analisi e interpretazione dei risultati, della loro corrispondenza con le caratteristiche del sistema reale, del loro significato operativo; messa a punto di una strategia di decisione parziale o totale, sia sulla base dei risultati degli esperimenti fatti con i modelli, sia sulla base di altre informazioni aggiuntive; determinazione delle risorse (umane, fisiche, finanziarie, informative) necessarie nel tempo per l'attuazione delle decisioni e messa a punto di eventuali strategie per l'acquisizione delle risorse non disponibili (in particolare per le risorse umane, determinazione dei necessari processi formativi e di pianificazione degli skill); messa a punto di strumenti di misura per l'osservazione dei risultati ottenuti attraverso l'implementazione delle decisioni, per il controllo dell'evoluzione del sistema e per la valutazione della strategia adottata; studio degli interventi organizzativi per rendere attuabile la strategia; documentazione del sistema, del processo decisionale, dei modelli utilizzati, delle fasi di messa a punto del processo decisionale e di costruzione del modello, di predisposizione degli ingressi, di pianificazione degli esperimenti e dei risultati ottenuti.
d) Fase di attuazione, relativa a: messa a punto della strategia di attuazione delle decisioni prese; controllo dell'evoluzione del sistema e del processo decisionale; attivazione dei processi formativi per operatori, utenti e persone in vario modo coinvolte dal processo decisionale; modifiche e aggiustamenti della strategia in funzione delle misure fatte in corso d'opera; modifiche e aggiustamenti dell'organizzazione per far fronte all'evoluzione della situazione; completamento della strategia in corso di attuazione e attivazione delle fasi di ridefinizione di nuovi processi decisionali.
L'elemento umano è al centro dell'analisi dei sistemi organizzati e dei relativi processi decisionali. Di conseguenza, gli aspetti di formazione e di acquisizione e gestione del know-how sono un elemento essenziale e ne verranno trattati alcuni più avanti.
Caratteristiche dominanti degli interventi sviluppati dall'i. g. per il controllo dei sistemi organizzati sono globalità e integrazione: ogni intervento viene visto in relazione a tutti gli altri nell'intero ciclo di vita del sistema che si sta analizzando.
La gestione del lungo termine
Una delle caratteristiche dominanti della globalità è la valutazione delle prestazioni sul lungo termine, ovvero l'analisi delle conseguenze di lungo periodo delle scelte effettuate oggi, limitando l'enfasi data alle conseguenze di breve termine delle scelte da fare. Questo non è sempre facile, in quanto strategie di lungo termine richiedono maturità decisionale, ambiente favorevole e disponibilità di risorse.
Un fattore che rende spesso problematiche le scelte di lungo termine riguarda l'avvicendamento nelle posizioni di responsabilità dei decisori o, perlomeno, l'incertezza sulla durata dell'incarico. È naturale la tendenza a voler privilegiare i risultati relativi al periodo in cui il decisore è in carica, rispetto a quelli che interessano presumibilmente un successore. Solo adeguate politiche di formazione che abituino i decisori a farsi carico dei problemi di lungo periodo del sistema, possono contrastare questo fenomeno. In un ambiente in rapida evoluzione, il livello di incertezza tende ad aumentare rapidamente allo spostarsi dell'orizzonte temporale in avanti. È quindi naturale privilegiare il breve termine, relativamente certo, rispetto a un lungo termine incerto, anche quando le conseguenze di errori fatti oggi possono essere catastrofiche nel lungo termine e tali catastrofi sono prevedibili con buona approssimazione. In altri termini, è più facile passare sotto silenzio dubbi anche gravi relativi a un lungo termine parzialmente incerto, piuttosto che accettare penalizzazioni certe nel breve periodo. Anche in assenza di incertezza può essere considerato preferibile dal decisore scegliere linee di azione che permettano di evitare rischi vicini nel tempo, piuttosto che linee di azione che permettano di evitare crisi lontane nel tempo. Questo nella speranza che nel lungo termine intervengano nuovi fattori che modifichino la situazione, permettendo di evitare la crisi. Solo in un processo decisionale in cui si raggiunga la sufficiente fiducia nelle previsioni di lungo periodo, è possibile valutare correttamente il rischio reale di una crisi futura e tenere conto adeguatamente degli effetti di lungo termine. Tra l'altro, il sistema premiante (aumenti di stipendio, promozioni ecc.) adottato dalla maggioranza delle aziende pubbliche e private tende fortemente a privilegiare il breve termine, in base a considerazioni di bilancio, di sopravvivenza in mercati fortemente competitivi e di comportamento analogo di altre aziende. La definizione di sistemi premianti, che riequilibrino il processo decisionale a favore del lungo periodo, è complessa e richiede un alto grado di accordo dei vari decisori su quali siano gli obiettivi complessivi del sistema.
Un problema strutturale riferito a decisioni di lungo termine è legato alla complessità. In effetti, ogni decisione rilevante coinvolge un elevato numero di decisori e di utenti. Prevedere i comportamenti di tutti gli elementi del sistema nel lungo termine è costoso e, in alcuni casi, praticamente impossibile. Nel breve termine possono essere adottate ipotesi di continuità del comportamento che permettono di decomporre il problema di decisione in sottoproblemi più semplici. Solo con strumenti modellistici sofisticati si possono trattare casi sufficientemente complessi. Tali strumenti sono oggi sempre più disponibili, ma il loro uso richiede un ambiente adeguato e una cultura del decisore specifica. Di particolare rilievo sono, in questo quadro, i problemi di trasferimento di tecnologie da piccoli gruppi con funzioni di avanguardia verso applicazioni più ampie. Anche nel caso in cui sia tecnicamente ed economicamente possibile acquisire tutte le informazioni utili per una certa decisione, può risultare tecnicamente ed economicamente impossibile, ossia troppo difficile e/o costoso, per il decisore stabilire una chiara relazione causa-effetto tra decisioni e prestazioni del sistema nel lungo termine. Un'adeguata formazione del decisore e/o un'adeguata assistenza di esperti può consentire di spostare in misura rilevante la frontiera di ciò che è tecnicamente ed economicamente possibile. Il livello attuale di competenza dei decisori è spesso del tutto inadeguato per un uso efficace dei moderni strumenti di analisi delle decisioni. Anche nel caso in cui sia possibile per il decisore definire strategie di decisione efficienti nel lungo periodo, può non esserci il tempo per sviluppare tali strategie. Questo in genere accade quando il costo di acquisizione/distribuzione delle informazioni è elevato e la necessità di sviluppare le strategie di lungo periodo non è stata prevista in tempo utile.
Un'adeguata pianificazione delle necessità, l'esistenza di sistemi informativi integrati e strutture permanenti di supporto alle decisioni, sono la strada maestra da percorrere per affrontare questo problema. Sfortunatamente capita spesso che strategie efficaci di lungo periodo richiedano modifiche alla situazione attuale, sacrifici di alcuni o di tutti e quindi siano impopolari e possano generare conflittualità all'interno dell'azienda o all'esterno. La tendenza a muoversi nella direzione di minima resistenza, rispondendo positivamente alla pressione dell'opinione pubblica o del contesto sociale, è ovviamente molto forte (e apparentemente crescente nelle attuali condizioni in cui la decisione-spettacolo viene privilegiata dai mezzi di comunicazione, rispetto a processi decisionali più seri ma più faticosi e spesso meno comprensibili senza un'adeguata formazione degli 'spettatori'). La riduzione della conflittualità può avvenire soltanto in ambienti favorevoli e in presenza di adeguate politiche di formazione tecnica del personale e degli utenti.
La base per una seria definizione di strategie future in un sistema complesso è un'analisi approfondita del passato. L'unico modo per far sì che previsioni e relazioni causa-effetto siano affidabili è quello di ripetere il processo decisionale correggendo la strategia man mano che sono disponibili i risultati sugli effetti delle scelte. In pratica è inevitabile che, prima o poi, gli approfondimenti necessari per la definizione di strategie future mettano in evidenza errori passati. Poiché molti di tali errori erano probabilmente evitabili, è evidente che i decisori coinvolti in quelle scelte passate non vedano con molto favore tali approfondimenti. Un sistema che non penalizzi eccessivamente errori passati presenta numerose difficoltà nella realizzazione, ma può essere praticabile se vi è una sufficiente comprensione del problema da parte del top management.
Ogni sistema reale articolato in sottosistemi ha un complesso sistema di procedure e di comportamenti organizzativi che ne determina il funzionamento. Tale sistema è per sua natura restio al cambiamento e lento ad adeguarsi a situazioni diverse da quelle per cui era stato originariamente previsto. Bisogna osservare però che questa resistenza al cambiamento è anche un elemento di stabilità che può avere effetti benefici in alcune circostanze. Un processo d'innovazione deve sempre confrontarsi con la realtà organizzativa e procedurale del sistema cui si rivolge, prevedendo tempi e modalità adeguati nell'introduzione dell'innovazione.
Vi è una diffusa tendenza, da parte di singoli decisori e degli organi decisionali, a sottostimare le risorse necessarie per costruire una politica decisionale di lungo termine e successivamente per implementarla. Viene sistematicamente risposto in modo errato (o non viene data risposta) alle domande alla base di qualsiasi processo decisionale strutturato: chi fa cosa? entro quale tempo? con quali informazioni? con quali mezzi di supporto? con quali risorse economiche e di personale? Questo fenomeno non riguarda solo la definizione delle politiche decisionali, ma anche la loro successiva implementazione. È tipico delle organizzazioni non mature intervenire per singoli provvedimenti, senza seguire gli sviluppi causati da tali interventi e senza programmare tutti i necessari interventi di supporto, manutentivi e correttivi, che, nel corso del tempo, sono richiesti. Viceversa, le organizzazioni complesse sono caratterizzate da interventi che richiedono rilevanti strutture di supporto e risorse la cui disponibilità deve essere pianificata, in molti casi, con anni di anticipo. Sistemi, anche molto sofisticati, vengono realizzati e poi tranquillamente lasciati in balia dell'erosione del tempo. Anche in questo caso, solo in un processo decisionale continuativo è possibile arrivare a una valutazione corretta delle risorse necessarie.
Il successo aziendale è legato a un management strategico integrato. Il semplice controllo finanziario e l'intervento su singole tecnologie non sono più sufficienti per conferire all'azienda la padronanza del suo sviluppo e fornirle la capacità di partecipare attivamente allo sviluppo produttivo. Tale controllo non assicura infatti le informazioni e le risorse necessarie per condurre azioni strategiche. La capacità strategica di definire le priorità, allocare le (scarse) risorse, mettere a punto gli obiettivi da raggiungere e i comportamenti finalizzati al loro raggiungimento, è basata su sistemi di informazione e di gestione variati e complessi, che non riguardano solo gli aspetti finanziari, contabili e tecnici ma anche il mercato, la concorrenza, le risorse a medio e a lungo termine, la realtà socio-politica.
Capacità strategica significa in primo luogo avere orientamenti generali espliciti: identificazione degli obiettivi generali per le principali attività del gruppo, definizione delle politiche generali (ossia di un insieme di criteri, norme, regole d'azione, da seguire nei diversi settori aziendali per raggiungere gli obiettivi prefissati, che devono essere sempre rispettati), comportamento allineato e unitario da parte di tutto il management. In secondo luogo, significa avere la padronanza delle decisioni strategiche, delle scelte cioè che l'imprenditore deve fare a fronte dell'evoluzione dell'ambiente economico-sociale e alla luce delle risorse di cui dispone. Per cogliere la strategia di un gruppo non basta più analizzare la situazione "a un determinato stadio tecnologico e organizzativo", bensì occorre sottolineare i fattori che mettono in discussione tale stato, trasformando continuamente tecniche e organizzazione. Le decisioni strategiche poggiano sul cambiamento e tendono a cambiare l'equilibrio e a modificare le condizioni del suo proseguimento.
La capacità strategica delle aziende dipende dall'ampiezza e dalla qualità del sistema di controllo. Il controllo di gestione non si basa infatti solo su strumenti contabili e finanziari, ma sul processo strategico e su tutte le informazioni da esso veicolate. L'informazione strategica, che spesso attiene alle posizioni concorrenziali e allo sviluppo tecnologico, deve essere accessibile rapidamente, in forma adeguata e flessibile, deve fornire ordini di grandezza e non valori precisi. L'informazione contabile e finanziaria deve essere esatta, rigorosamente elaborata secondo schemi standard formalizzati e integrata con i fattori tecnici.
La competenza e il comportamento del gruppo manageriale è un fattore chiave legato alla qualità del processo strategico; la gestione e lo sviluppo delle risorse umane devono pertanto essere assicurati in modo sistematico. Per quanto eccellente possa essere la qualità tecnica dei metodi, solo un loro uso efficace da parte di quadri e manager garantisce il successo. Il processo di pianificazione e di controllo va pertanto gestito con azioni di sviluppo sistematico del personale: definizione della missione individuale, mobilità dei quadri, monitoraggio dei quadri ad alto potenziale, politiche di formazione continua.
La capacità strategica implica che gli elementi principali che la costituiscono (esplicitazione e diffusione degli orientamenti generali del gruppo, padronanza delle decisioni strategiche, controllo strategico, gestione del personale) siano legati fra loro e concepiti come un sistema. In questa prospettiva, la capacità strategica dipenderà fortemente dalla qualità delle relazioni degli elementi che la compongono.
La gestione moderna dovrà sempre più occuparsi di questa interdipendenza tra le attività e tra i diversi elementi dell'impresa. Essa dovrà strutturare sempre più gli insiemi complessi. Ciò comporta uno sforzo di analisi per facilitare tale strutturazione, così come uno sforzo di integrazione in un sistema globale pilotato dagli orientamenti generali e dalle strategie d'insieme. Il processo di pianificazione si inscrive in tale strategia: esso è volto ad aumentare la coerenza generale delle azioni e delle decisioni.
La gestione della complessità
Nell'ambito dei sistemi organizzati il problema della complessità ha diverse sfaccettature.
In generale la complessità dei moderni sistemi organizzati (come, per es., un sistema flessibile di produzione) è legata alla struttura a rete dei flussi di informazione, dei flussi di risorse e dei flussi fisici, con sistemi di decisione multipolari, con ambiti di competenze differenziati e obiettivi multipli (e tipicamente contrastanti). L'esistenza di queste reti è uno degli elementi che ha portato all'introduzione di un livello intermedio di decisione e coordinamento fra il livello organizzativo complessivo dell'azienda e il livello tecnologico-operativo in cui vengono effettuate le operazioni. Questo livello intermedio, sempre più importante in tutti i sistemi organizzati moderni, viene spesso indicato come livello funzionale o di sistema.
La complessità non è generalmente proporzionale al livello di aleatorietà nei comportamenti e nei dati; mentre, infatti, in un sistema completamente casuale è impossibile prevedere il comportamento di ogni singolo elemento del sistema (e quindi il problema di previsione non si pone), è possibile, su base statistica, prevedere il comportamento di opportuni aggregati e stabilire regole di controllo e ottimizzazione delle prestazioni. In altre parole un sistema casuale non è necessariamente complesso: ciò che può essere fatto, in genere, è affrontabile con strumenti aggregati, spesso relativamente semplici, ciò che non può essere fatto non pone problemi di decisione.
Nella realtà, i problemi più difficili da trattare sono quelli in cui il comportamento non è affatto casuale, ma in cui interviene un numero elevato di fattori, con interazioni di diverso tipo, nel determinare il comportamento dell'intero sistema.
La classificazione dei sistemi, organizzati in base alle loro caratteristiche di complessità (sia per sistemi deterministici sia per sistemi con elementi dal comportamento aleatorio), e lo studio di metodi esatti e approssimati di determinazione degli interventi da fare per raggiungere prefissati obiettivi rappresentano alcuni dei problemi centrali della scienza delle decisioni e della gestione.
Una prima caratteristica è la molteplicità delle entità e la difficoltà a mettere insieme aggregati sufficientemente caratterizzati. In effetti, a volte, è addirittura difficile riconoscere in un particolare sistema organizzato le caratteristiche che lo fanno rientrare in un determinato aggregato. La navigazione, nello spazio e nel tempo, attraverso sistemi organizzati di natura e caratteristiche diverse senza una guida per orientarsi è compito difficile e frustrante. Oltretutto, nella maggioranza dei casi, la classificazione deve tenere conto non solo delle caratteristiche dell'oggetto che si sta analizzando, ma anche di quelle dell'ambiente in cui l'oggetto si evolve. Spesso infatti le caratteristiche più importanti di complessità derivano non tanto dai meccanismi di risposta dell'oggetto in esame, quanto dall'interazione dell'oggetto con un ambiente molto articolato e differenziato. Per esempio, un carrello trasportatore dotato di un sistema di guida automatico che gli faccia evitare gli ostacoli può anche avere un programma di controllo e di reazione agli stimoli dei sensori relativamente semplice, ma, se si muove in un ambiente pieno di altri oggetti fermi o in movimento, dalle forme più svariate (come è tipicamente il caso di uno stabilimento industriale), seguirà una traiettoria estremamente complessa e difficile da calcolare a priori. Per calcolare la sua traiettoria è necessaria una simulazione dell'intero stabilimento, in cui sono rappresentate posizioni e movimenti di tutti gli oggetti presenti e potenzialmente interagenti con l'oggetto in esame. La massa di informazioni necessaria per calcolare in modo esatto a priori un'attività così semplice appare del tutto sproporzionata. Si noti che tutte le informazioni sono di fatto disponibili e singolarmente, in genere, facilmente accessibili, ma il processo di misura, di integrazione delle informazioni ed elaborazione, necessario per un loro uso, è improponibile. Nel caso del carrello, l'analisi della complessità porta probabilmente a privilegiare soluzioni in cui si attiva una procedura aggregata di massima e si calcolano le azioni di dettaglio in tempo reale sulla base dello stato effettivo del sistema (sperando che non si verifichino eventi tali da rendere improduttiva o addirittura impossibile l'azione). Eventuali azioni correttive, per modificare le procedure aggregate e/o i meccanismi di produzione delle azioni di dettaglio, sono adottate su tempi più lunghi, in base alle prestazioni del sistema misurate e valutate a posteriori.
Un problema tipico legato all'estrazione di informazioni rilevanti da una massa di dati grezzi è quello dei sistemi di presentazione alla base delle interfacce intelligenti uomo-macchina (per es. simulatori di volo, unità di controllo del traffico aereo, unità di controllo di sistemi di produzione manifatturiera). Questi sistemi devono contenere, oltre a un modello concettuale dei dati disponibili (molto complesso, in particolare se i dati evolvono nel tempo e hanno caratteristiche di precisione, affidabilità e significato molto diverse), anche un modello concettuale dell'applicazione, cioè delle finalità per cui i dati sono utilizzati.
La molteplicità delle entità significative diverse e difficilmente aggregabili è però accompagnata da una molteplicità di collegamenti fra entità, a due a due o per sottoinsiemi. Tali collegamenti portano a una molteplicità delle possibili interazioni che, a fronte di fattori specifici, determinano l'evoluzione delle singole entità e del sistema organizzato nel suo complesso. D'altro lato i collegamenti forniscono una base per la costruzione di una guida che consente di riconoscere le funzioni, prevedere i comportamenti e le evoluzioni possibili. La molteplicità di entità e collegamenti porta a una certa confusione nei linguaggi, una difficoltà a comunicare e a definire scelte collettive (accordi formali, protocolli di intesa o anche solo accordi informali), in cui tutti gli attori abbiano la stessa idea sull'oggetto e sui termini dell'accordo. La formalizzazione della rete delle interazioni fra entità, con la formalizzazione dei protocolli di interfaccia e delle procedure di interazione, è un elemento essenziale di razionalità del sistema organizzato e di efficacia delle comunicazioni fra entità, base quindi di ogni processo decisionale collettivo. La capacità di gestire tale rete è un elemento chiave del successo di molte imprese.
Un aspetto della complessità particolarmente significativo è legato alla minore o maggiore possibilità di fare estrapolazioni o previsioni, a partire da un sistema assegnato, che si trovi in uno stato assegnato.
Nel passato, esaminando un ambiente industriale e conoscendo, anche in modo approssimato, gli interventi fatti e quelli previsti, era relativamente facile per un esperto dire come probabilmente l'ambiente era stato un anno prima e come sarebbe diventato un anno dopo. Previsioni a lungo termine erano comunque difficili, ma sul breve-medio termine le previsioni relative all'assetto generale e alle linee possibili di sviluppo erano altamente affidabili.
Oggi questo non è più vero. La rete di interconnessione fra aziende, a livello azionario e di integrazione produttiva, i meccanismi di diffusione del know-how e dell'innovazione tecnologica, le caratteristiche dei mercati internazionali, la rilevanza e la mobilità delle risorse umane (almeno di quelle critiche per le prestazioni d'azienda) fanno sì che il numero di possibili combinazioni di fattori da valutare, per stabilire le linee evolutive e il numero e tipo di possibili evoluzioni diverse, sia talmente elevato, articolato e strutturalmente legato all'evoluzione di altre entità, da rendere in pratica difficile un'estrapolazione relativa a singole realtà aziendali, anche su intervalli di tempo relativamente brevi.
Ogni processo di estrapolazione richiede l'uso di strumenti concettuali sofisticati, la raccolta e la classificazione di dati e informazioni, la costruzione di modelli logico-matematici complessi, un ambiente di supporto (software, hardware, di comunicazione e di interfaccia) costoso e di uso spesso non banale, un ambiente culturale e formativo in cui i concetti e le metodologie alla base delle estrapolazioni possano essere messi a punto e verificati. Rimane possibile, in alcuni casi e usando opportuni strumenti concettuali di analisi, effettuare estrapolazioni per aggregati sufficientemente ampi e separati dal resto dell'ambiente industriale. In questi casi la rete di interconnessione, con tutte le sue entità, può essere trattata come un unico sistema, con limitate interazioni con il resto del mondo.
Una caratteristica dell'organizzazione del lavoro in ambienti tecnologici avanzati, conseguenza in parte della struttura distribuita e policentrica dei sistemi organizzati moderni, è la molteplicità dei ruoli che ogni attore è tenuto a giocare, sia nel tempo, sia con i diversi interlocutori. L'appartenenza stessa di una persona a una data entità del sistema non è più così chiara. Una persona può, contemporaneamente, appartenere a una data entità per alcuni aspetti della sua attività, e a un'altra (magari con obiettivi contrastanti o, almeno, non omogenei) per altri aspetti. Gli incroci azionari, i consorzi, le associazioni trasversali e le organizzazioni a matrice, sono tipici elementi che producono ruoli incrociati. Questa molteplicità di ruoli è un elemento di stabilità del sistema, in quanto favorisce la comprensione dei punti di vista altrui e delle soluzioni o compromessi a cui è possibile e ragionevole arrivare nei problemi di scelta collettivi. In effetti, la molteplicità dei ruoli aumenta il grado di interdipendenza delle varie parti del sistema e questo fattore di connessione, che nei sistemi fisici può produrre instabilità, nei sistemi organizzativi invece produce tipicamente stabilità.
A fronte di questa molteplicità, una caratteristica della progettazione organizzativa in ambiente tecnologico avanzato e, in particolare, nei servizi di impresa, nei sistemi flessibili e nei settori di ricerca e sviluppo, è la flessibilità degli schemi organizzativi e delle procedure, per cui i contenuti effettivi dell'attività di molte unità elementari del sistema risultano di fatto molto diversi da quanto preventivato e il significato stesso di molte affermazioni si modifica seguendo il percorso che un documento o progetto segue nell'ambito dell'azienda o passando da un'azienda all'atra. Un esempio tipico è quello legato al passaggio di un progetto dal settore della progettazione a quello della produzione.
Inoltre, in molti casi, le decisioni prese in punti diversi del sistema organizzativo sono fortemente interdipendenti. Sorge quindi il problema di prendere decisioni e fissare specifiche in un ambiente che evolve continuamente nel tempo in funzione di altre decisioni. Gli esempi di questo fenomeno sono molti. Un caso studiato in modo sistematico è quello della definizione delle specifiche di un sistema formato da un numero elevato di sottoinsiemi progettati da gruppi diversi. Le specializzazioni dell'i. g., note come ingegneria dei processi correnti, ingegneria simultanea e gestione della configurazione, sono nate per affrontare in modo razionale questo fenomeno. Il grado di parallelismo della gestione dei processi correnti, relativi a decisioni/eventi separati ma fortemente integrati, è un significativo indice di complessità del sistema.
Di fronte alla complessità e alle incertezze del mondo reale, i progettisti e gestori di sistemi organizzativi hanno da sempre reagito sovrapponendo alla realtà delle sovrastrutture che, anche se non derivabili direttamente dalle finalità del sistema fisico, permettono tuttavia di gestirlo in modo più o meno efficace. Sono esempi di tali sovrastrutture le linee di montaggio introdotte agli inizi della produzione manifatturiera su larga scala, gli standard che governano il funzionamento dei sistemi di telecomunicazione, la borsa che governa le transazioni di mercato azionario, l'organizzazione interna delle imprese. In generale, scopo della semplificazione è quello di sviluppare architetture complessive del sistema organizzativo tali da poter ricondurre scelte, i cui effetti sono globali, a scelte basate su informazioni e valutazioni locali, in modo che l'architettura complessiva fornisca ragionevoli garanzie di efficacia globale di scelte localmente efficienti. Il gioco tra scelte locali e scelte globali è alla base di molti studi organizzativi e di ottimizzazione delle prestazioni.
La formazione dell'ingegnere gestionale
Pur avendo radici che risalgono alle origini dell'ingegneria industriale, l'i. g. nasce come settore formativo autonomo a partire dagli anni Ottanta. In effetti, le attività tipiche dell'i. g. sono state tradizionalmente svolte da tutti gli ingegneri dopo un certo numero di anni di attività specialistica nella progettazione (meccanica, elettrica o civile); la gestione diventa più una caratteristica legata all'anzianità o all'avanzamento di carriera, che non una disciplina a sé stante. Succedeva quindi spesso che gli ingegneri svolgessero attività gestionali senza una preparazione specifica, ma cercando di adattare alla gestione, a volte anche con successo, metodi sperimentati nella progettazione specialistica.
Partendo da questa esperienza consolidata, si è sostenuto per molto tempo che fosse preferibile, piuttosto che un indirizzo specifico della laurea in ingegneria, una formazione gestionale costruita su una base specialistica assestata in uno dei settori tradizionali dell'ingegneria. Secondo questa tesi, solo avendo sperimentato nel concreto i modi di operare della progettazione, si possono usare efficacemente gli strumenti gestionali; è bene quindi, dovendo intervenire nella gestione di un sistema tecnologico complesso, avere svolto per un certo tempo, possibilmente in modo operativo, almeno alcune delle attività di progettazione specifiche che tale sistema richiede.
Con l'aumentare delle dimensioni e della complessità dei sistemi da gestire, questo tipo di impostazione ha mostrato i suoi limiti e si è progressivamente affermata la figura autonoma dell'ingegnere gestionale, con competenze tecniche di base impiantistiche e di sistema e una preparazione specifica relativa alle discipline caratteristiche dell'ingegneria gestionale.
In effetti, l'esperienza ha dimostrato come sia molto difficile inserire in modo adeguato una formazione gestionale nei curricula di tipo specialistico; l'abitudine a metodi esatti supportati da misure oggettive, mal si concilia con approcci di natura meno deterministica quali quelli tipici dell'organizzazione e della gestione.
D'altra parte, pur ritenendo che l'ingegnere gestionale debba avere competenze di progettazione, si è dimostrato possibile far fare un'adeguata esperienza di progettazione a persone inserite in un curriculum gestionale, rimanendo in tale ambito, senza dover costruire una preparazione specialistica. Infatti, in un ambiente tecnologico in cui tutta la progettazione si sta spostando su aspetti funzionali e viene effettuata attraverso interfacce informatiche, la progettazione di un apparato diventa sempre più simile a quella di un sistema organizzativo, di una linea di produzione o di una procedura di gestione di un servizio.
L'ingegnere gestionale resta perciò, innanzi tutto, un ingegnere, ossia una persona dotata di un bagaglio di conoscenze di tipo metodologico e quantitative da utilizzare in tutte quelle attività in cui la tecnologia interagisce in modo critico con le variabili socio-economiche e ambientali e l'innovazione gioca un ruolo rilevante. Egli diventa uno specialista capace di gestire la complessità che caratterizza oggi il mondo della produzione e dei servizi.
bibliografia
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Direzione aziendale
di Agostino La Bella
La direzione d'azienda è uno dei campi d'intervento dell'i. g., sia dal punto di vista del crescente ruolo manageriale assunto dagli ingegneri all'interno delle imprese in tutti i settori, sia dal punto di vista scientifico, cioè della conoscenza dei processi e della ricerca di nuovi e più efficaci strumenti di supporto alle decisioni aziendali. È infatti da tempo riconosciuta la necessità, imposta dagli sviluppi scientifici e tecnologici, di elaborare metodologie, tecniche e strumenti quantitativi avanzati per la gestione delle organizzazioni complesse.
Per organizzazione s'intende in generale l'insieme dei modi in cui un gran numero di persone (troppe per avere tutti contatti personali diretti ciascuno con tutti gli altri), impegnate in una complessità di compiti, interagisce, anche attraverso l'uso di risorse e/o mezzi tecnici, per la determinazione consapevole e sistematica e la realizzazione di obiettivi comuni. Organizzazione vuol dire quindi, in larga misura, progetto e disciplina delle interazioni. Gli elementi fondamentali della teoria dell'organizzazione riguardano: gli obiettivi, le persone impegnate nel perseguimento degli stessi, i compiti che devono essere svolti, le interazioni, i mezzi attraverso cui le interazioni stesse si esplicano.
L'analisi e/o la progettazione del sistema di relazioni, la definizione formale degli obiettivi, la gestione delle risorse umane, lo studio e l'ottimizzazione delle decisioni costituiscono alcuni degli aspetti fondamentali su cui si è storicamente esercitato il contributo dell'ingegneria e degli ingegneri alla scienza dell'organizzazione.
Non sono mancati nel tempo notevoli richiami all'esigenza di formalizzare una teoria dell'organizzazione e anche una serie di specifici contributi in questa direzione; ma è solo con l'opera di F.W. Taylor che nasce una nuova disciplina, 'l'organizzazione scientifica del lavoro'.
Gli studi di Taylor portarono, tra l'altro, alla definizione delle componenti elementari di ogni mansione ('unità fondamentali di lavoro'), alla loro programmazione nel modo più efficiente possibile in termini di tempi e di costi di lavorazione ('processo di parcellizzazione del lavoro'), all'individuazione dei possibili metodi di lavoro (per es., la catena di montaggio), alle modalità di attribuzione del salario in funzione della produzione del singolo lavoratore (cottimo). L'influenza degli studi di Taylor, considerato il padre della scuola organizzativa classica, penetrò rapidamente nel mondo produttivo e fu molto forte nei primi decenni del 20° sec. (v. organizzative, tecnologie, App. V). Tra i contemporanei di Taylor, altri contributi agli sviluppi dell'organizzazione scientifica del lavoro si devono a F. e L.M. Gilbreth, oltre che a H.L. Gantt, famoso per il metodo di pianificazione e controllo del lavoro che porta il suo nome (diagrammi di Gantt), e a M.P. Follet, per il suo pionieristico contributo alle tecniche di 'risoluzione dei conflitti'. Un posto di rilievo occupa un altro grande ingegnere, il francese H. Fayol, il quale, a differenza di Taylor, che concentrava la sua attenzione sul singolo lavoratore, cercò di capire e ottimizzare il funzionamento del sistema complessivo d'impresa. Il suo libro Administration industrielle et générale (1929) è tuttora considerato un classico, e lo stesso Fayol viene ritenuto il fondatore della 'teoria amministrativa' dell'organizzazione.
I principali contributi di Fayol consistono essenzialmente nella definizione delle funzioni e dei principi del management, ancora oggi per alcuni aspetti attuali. Con la diversificazione operata da Fayol tra funzioni manageriali e funzioni di supervisione, ignorata dai suoi contemporanei, si definisce una concezione secondo cui il manager, per il quale si afferma la necessità di una formazione specifica, è essenzialmente il controllore del regolare svolgimento di mansioni attentamente pianificate. È utile ricordare, sia pure per sommi capi, le funzioni manageriali come definite da Fayol:
pianificazione, previsione di scenari e di eventi futuri; prefigura le possibili strategie dell'impresa;
organizzazione, sia come definizione della struttura organizzativa, sia come individuazione dell'autorità e responsabilità delegata ai manager;
comando, modalità di direzione del personale, di comunicazione, di comportamento manageriale, di compenso e di punizione;
coordinamento, creazione di relazioni tra tutte le componenti e gli sforzi dell'organizzazione rivolti al raggiungimento degli obiettivi comuni;
controllo, valutazione delle prestazioni in relazione agli obiettivi e ai piani.
Le cinque funzioni manageriali individuate da Fayol, benché oggi appaiano scontate, ebbero un impatto rivoluzionario sulle imprese dell'epoca. La stessa cosa si può dire per i principi del management, enunciati come segue:
a) divisione del lavoro: individuazione di attività elementari, ripartite tra i lavoratori in modo che ciascuno si specializzi al massimo in quella assegnatagli;
b) autorità: legittimazione del potere e della sua suddivisione ai vari livelli di responsabilità. Responsabilità e autorità devono essere collegate e proporzionate tra loro; non deve esistere autorità senza responsabilità, né responsabilità senza autorità, pena il fallimento dell'organizzazione;
c) disciplina: sistema di penalità collegato a cattive prestazioni e al mancato rispetto dell'autorità;
d) unità di comando: ogni lavoratore deve ricevere ordini da un solo capo;
e) unità di direzione: l'intera organizzazione deve avere un unico obiettivo comune al cui perseguimento tutte le attività devono essere rivolte;
f) subordinazione dell'individuo: gli scopi e gli interessi dell'organizzazione sono più importanti di quelli personali, e hanno quindi la precedenza su quelli individuali;
g) remunerazione: chiarezza dei compensi, secondo criteri che si applicano a ogni dipendente; forme e ammontari devono essere definiti tenendo conto delle seguenti variabili: costo della vita, condizioni economiche generali, condizioni specifiche di lavoro, qualificazione dei lavoratori, condizioni del mercato del lavoro per ogni profilo professionale, livello di prestazione;
h) centralizzazione: la delega di potere ai subordinati non deve andare oltre il livello di responsabilità e autorità che è strettamente necessario per lo svolgimento dei compiti assegnati; i manager devono essere i responsabili effettivi delle prestazioni dell'organizzazione;
i) gerarchia (o principio scalare): la catena di comando, con i corrispondenti livelli di autorità e responsabilità, deve essere accuratamente definita, insieme con i meccanismi di trasmissione delle informazioni lungo la catena;
l) ordine: tutte le risorse di un'impresa, dai materiali al lavoro, devono essere sempre disponibili nel posto e nel momento giusto;
m) equità: tutti gli appartenenti all'organizzazione devono percepire di essere trattati in modo equo e giusto, e ciò può essere ottenuto definendo un insieme chiaro di regole da applicare a tutto il personale;
n) stabilità del personale: persone qualificate e impegnate con successo nell'organizzazione sono una risorsa importante, e il management deve quindi operare per trattenere il più a lungo possibile queste risorse nell'impresa;
o) iniziativa: il management deve incoraggiare l'iniziativa individuale e orientarla a beneficio dell'organizzazione;
p) spirito di corpo: il management deve incoraggiare la comprensione degli interessi comuni e lo stabilirsi di condizioni di armonia e buone relazioni nell'ambiente di lavoro.
Il contributo della teoria classica, stimolato dalle necessità di una produzione industriale in rapida espansione, con fabbriche sempre più vaste e complesse, è stato importante per l'incremento della produttività del lavoro e per l'espansione economica dei grandi paesi sviluppati nei primi decenni del 20° secolo. Anche se oggi parte di tale teoria appare datata, è opportuno tenere conto che a essa spetta comunque il merito di aver affrontato per la prima volta in modo scientifico i problemi dell'organizzazione d'impresa e del ruolo e delle funzioni dei manager. Il lato negativo, che ha spesso portato le organizzazioni dei lavoratori a opporsi all'approccio della scuola classica, è essenzialmente costituito dall'assoluto (o quasi) disinteresse per gli aspetti umani dell'organizzazione e dalla considerazione totalmente meccanica del contributo dei lavoratori alla produzione.
L'attenzione verso gli aspetti motivazionali nella direzione aziendale è stata caratteristica della 'scuola comportamentale', di taglio più sociologico, nata dal famoso Hawthorne experiment (1927) di E.G. Mayo, sociologo australiano, professore presso l'Università di Pennsylvania e presso la scuola di Business administration della Harvard University. Mayo e altri - tra i quali C.I. Barnard, presidente della New Jersey Bell e autore del libro The functions of the executive (1938) e D.M. McGregor, che approfondì la natura delle differenze tra le scuole classica e comportamentale sulla base di osservazioni sperimentali - conclusero che altri fattori, tra cui appunto quelli legati all'ambiente di lavoro, alle relazioni interpersonali, alla psicologia dei lavoratori, possono avere la stessa influenza degli aspetti fisici della mansione svolta. Si iniziò così a considerare le imprese non solo come macchine per produrre, ma anche come microsistemi sociali. Questi studi influenzarono profondamente non solo la pratica del management, ma anche la formazione degli stessi manager, cui è richiesta non solo la necessaria competenza tecnica ma anche una notevole abilità nel campo che da allora è stato definito delle relazioni umane.
Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale il successo, e quindi l'affermarsi dell'applicazione in campo aziendale delle tecniche di ricerca operativa, ha richiamato l'attenzione verso un approccio quantitativo ai problemi di direzione. È nata così la scienza della gestione (management science), caratterizzata negli anni da un tumultuoso sviluppo di diverse discipline, indotto dall'aumento dei problemi di decisione, organizzazione e controllo che sempre meno si prestavano a soluzioni empiriche improvvisate e sempre più esigevano una trattazione formale e generalizzata. Questo processo ha portato alla formazione di approcci disciplinari basati sulla suddivisione delle attività in aree funzionali (tipicamente: finanza, approvvigionamenti, gestione del personale, produzione, vendite, marketing, amministrazione, contabilità) o sull'irrigidimento di tematiche ricorrenti a carattere interfunzionale (tipicamente: analisi di fattibilità, metodi di scelta degli investimenti, oppure varie ed eterogenee tecniche risolutive per problemi di localizzazione e dimensionamento degli impianti, lanci di nuovi prodotti, decisioni quali 'produrre o acquistare', sostituzione o innovazione degli impianti, determinazione del prezzo e del margine di contribuzione). Una cultura dominante, per specializzazioni, si è così venuta imponendo sia nell'impresa (strutture interne a carattere funzionale, con relativo sviluppo di staff), sia nelle istituzioni esterne all'impresa (università, centri di ricerca, società di consulenza, associazioni di categoria), sia, ancora, nell'ampia pubblicistica basata su manuali.
Ma la mentalità esclusivamente funzionale del management e le strutture specialistiche, rinchiuse in un'operatività ricorrente e codificata, entrarono in crisi di fronte ai fenomeni che cominciarono a verificarsi verso la fine degli anni Sessanta, con avvenimenti che hanno impresso rapidi cambiamenti nei confini, nella struttura e nella dinamica dell'ambiente di impresa: inflazione, instabilità monetaria e nel sistema dei prezzi, aggressività della concorrenza estera, protezionismo, estensione degli interventi e dei controlli statali, cambiamento nei modelli di comportamento dei consumatori, salti tecnologici, nuovo ruolo dei sindacati divennero da allora determinanti quotidiane nel processo di decisione. Se in precedenza ciascuno di questi fattori rappresentava un singolo ed eccezionale elemento di disturbo per le attività operative e di marketing dell'impresa, essi iniziavano a rappresentare la norma e, nel loro insieme, a divenire componenti fondamentali dell'attività di direzione aziendale.
Gli approcci analitico-funzionali, che limitavano e frammentavano la complessità del mondo reale, erano divenuti insufficienti a interpretare e a predire il comportamento del sistema impresa-ambiente, in cui intervengono simultaneamente numerose determinanti e in cui le interrelazioni fra le parti del sistema originano situazioni, cambiamenti e instabilità dinamiche imprevedibili e contro-intuitive. Si determinò così una frattura fra strumenti conoscitivi e di supporto alle decisioni e complessità del management, che crebbe di pari passo con l'inevitabile spostarsi dell'attenzione delle imprese verso i problemi strategici e di pianificazione a livello corporate. Infatti le scienze della gestione, basate in gran parte sulla ricerca operativa, proponevano allora soprattutto la costruzione di modelli ad hoc per la soluzione di singoli e codificati problemi gestionali. In tale approccio si evidenziavano limiti che provocarono, soprattutto a partire dagli anni Settanta, una rilevante crisi di sfiducia da parte degli utilizzatori, a causa sia della semplificazione prodotta dall'approccio funzionale (aggravata dall'esigenza di ridurre la complessità del problema, al fine di garantire la soluzione e la determinazione dell'ottimo), sia del fatto che l'ottimizzazione corrisponde al comportamento effettivo del management solo in un numero assai limitato di casi, mentre struttura e complessità del problema erano divenute tali da evidenziare forti incertezze nella conoscenza dell'ambiente. La conseguenza più evidente è che i metodi di programmazione matematica hanno trovato campo di applicazione abbastanza esteso nell'area delle microdecisioni operative e delle scelte parziali di carattere intermedio, caratterizzate da elementi di oggettiva razionalità, mentre sono stati relativamente poco utilizzati nell'area delle macrodecisioni strategiche dell'impresa.
Ciò venne riconosciuto da H.A. Simon e dai suoi colleghi alla Carnegie Mellon University, che introdussero nelle scienze della gestione importanti concetti basati sulla teoria dell'informazione, stabilendo il principio della 'razionalità limitata' per il quale Simon, fino ad allora più noto per sue ricerche nel campo dell'intelligenza artificiale, ricevette nel 1978 il premio Nobel per le scienze economiche. In condizioni di razionalità limitata, riscontrabili soprattutto nelle decisioni strategiche, si iniziò a teorizzare un comportamento di soddisfacimento, anziché massimizzante, escludendo improbabili procedure di ricerca dell'ottimo. Successivamente, molti altri significativi sviluppi sono stati rivolti a sanare la frattura tra i modelli di supporto alle decisioni e la complessità dell'elaborazione strategica dell'azienda.
Nel frattempo, era iniziata la diffusione delle tecniche gestionali utilizzate in Giappone: con l'indiscutibile successo dell'industria e dei prodotti giapponesi durante almeno un paio di decenni, vengono estesamente studiati i modelli ritenuti alla base delle prestazioni aziendali in termini di produttività e qualità. Diventano così popolari e largamente utilizzati anche in occidente i concetti e i metodi, tra loro legati e anch'essi di derivazione prevalentemente ingegneristica, di produzione snella, just in time, circoli di qualità, difetti zero (v. qualità: Qualità totale, App.V).
Dall'impostazione assolutamente tecnocentrica del taylorismo/fordismo si è passati così gradualmente a un nuovo modello di produzione, con un'impostazione sociotecnica capace di integrare la soluzione dei problemi deterministici con quella di problemi nuovi, probabilistici. Prevalgono oggi una cultura e una scienza della flessibilità del gruppo di lavoro, e più in generale dell'intera organizzazione, ottenibile solo se si mette in moto un processo di apprendimento continuo.
Il bisogno di una sempre maggiore flessibilità sembrò essere soddisfatto, fra gli anni Settanta e Ottanta, dall'introduzione dei nuovi sistemi automatizzati di produzione e di coordinamento informatico ideati per reagire e per adattarsi ai cambiamenti attraverso risposte incorporate di routine. Tali apparati avevano il compito di abbattere i precedenti limiti di razionalità del management, grazie alla capacità di trattamento delle informazioni consentita dalle tecnologie informatiche. Il tempo ha dimostrato però che la flessibilità non può essere il risultato esclusivo della tecnologia informatica, la quale può aumentare le prestazioni dinamiche dell'impresa, ma non può essere l'unica variabile di un processo decisionale complesso in cui molteplici elementi (organizzazione, risorse umane, capacità cognitive e innovative) interagiscono tra loro determinando la posizione competitiva dell'impresa.
In questa nuova prospettiva le risorse umane hanno riconquistato il loro valore strategico, perché si è capito che esse, attraverso la ridefinizione dei ruoli e delle professioni e attraverso il processo di apprendimento, sono l'elemento essenziale della flessibilità intertemporale. La necessità di raggiungere un'elevata flessibilità produttiva e di perseguire congiuntamente obiettivi di miglioramento di prestazioni che una volta erano ritenuti antitetici (si cerca, per es., di ridurre i costi di produzione e insieme le scorte e i tempi di consegna ai clienti) spinge infatti le aziende verso una competizione basata essenzialmente sulla riduzione dei tempi complessivi di svolgimento sia dei processi di sviluppo di nuovi prodotti, sia dei processi operativi più ripetitivi.
Attualmente la direzione aziendale non si preoccupa più solo dell'efficienza delle singole risorse, ma, soprattutto, delle prestazioni complessive del sistema produttivo (qualità del prodotto, tempo di attraversamento, flessibilità di risposta ecc.). In concreto, si abbandona la tradizionale visione funzionale a favore di una visione sistemica. Le regole che governano le interazioni tra i sottosistemi, tra le diverse fasi e attività del processo produttivo, tra attività decisionali e attività operative necessariamente cambiano; cambiano anche i criteri di assegnazione di obiettivi, di responsabilità, di valutazione, incentivazione e gestione delle risorse umane. Questi cambiamenti sono innovazioni incrementali e radicali, il cui raggio d'azione può essere circoscritto o ampio, e portano a una vera e propria riprogettazione dei processi produttivi.
Nella progettazione organizzativa si parla oggi di 'ingegneria dei processi', per indicare metodi e strumenti con cui l'impresa ridisegna radicalmente, in modo integrato, la struttura dei propri processi produttivi, informativi e decisionali. Gli aspetti organizzativi nuovi, rispetto ai paradigmi tradizionali, consistono nel fatto che è cambiato l'oggetto stesso dell'integrazione e del coordinamento.
Un processo è costituito da un insieme di attività logicamente interrelate e da un insieme di elementi che ne permettono il funzionamento. Tali elementi sono: le risorse umane, le strutture organizzative, i sistemi di gestione, le tecniche di pianificazione e controllo, i sistemi informatici di supporto (di automazione e di integrazione) e le tecnologie di processo. L'ingegneria dei processi interviene sulla struttura logica delle attività e/o sui singoli elementi che compongono i processi stessi, al fine di ottenere:
a) il miglioramento continuo dell'efficacia, intesa come soddisfazione del cliente esterno e del cliente interno;
b) il miglioramento continuo dell'efficienza economica del processo, cioè la riduzione del costo del processo sostenuto per le risorse umane, tecniche, materiali consumate per produrre i risultati;
c) la riduzione del tempo di attraversamento (tempo che intercorre tra l'arrivo dell'input o dell'evento che avvia la prima attività del processo e la disponibilità del risultato);
d) la riduzione del tempo che intercorre tra l'ideazione di un prodotto e la sua commercializzazione (time to market);
e) l'aumento della flessibilità (capacità di rapido adattamento alle mutate condizioni del contesto);
f) lo stimolo a un'intensa integrazione tra gli attori del processo;
g) l'incentivazione alla produttività dei singoli attori valorizzandone le competenze e le professionalità.
La raccolta e la gestione delle informazioni necessarie per il governo, il sistema di misura delle variabili fondamentali, la definizione degli indicatori di efficienza, la modellizzazione e la conseguente ottimizzazione del processo sono tutte attività a elevato contenuto ingegneristico. Tutto ciò, insieme con l'evoluzione, brevemente ricordata, di alcune delle tecniche di direzione aziendale, che comunque costituiscono solo una parte di un patrimonio di ricerca e di conoscenza accumulato soprattutto nel corso di questo secolo, ha reso la direzione aziendale un'attività fortemente interdisciplinare, basata su diversi contributi scientifici e processi conoscitivi. In questo contesto s'inserisce il contributo dell'i. g., relativo soprattutto all'integrazione tra discipline quali la teoria dell'organizzazione, l'economia industriale, la ricerca operativa, soprattutto per la modellizzazione dei sistemi aziendali, gli aspetti tecnologici fondamentali degli impianti e della produzione. L'i. g. si è dimostrata dunque in grado di conciliare la cultura gestionale con la natura tecnica dei moderni strumenti di supporto alle decisioni, e di trattare la complessità e la dinamicità dei sistemi aziendali con un elevato grado di flessibilità, consentendo rapidi adattamenti alle mutate condizioni dell'ambiente di impresa. La direzione aziendale può così vagliare, in tempi rapidi, numerose alternative strategiche, di scenario e di politiche decisionali, valutandone gli effetti sulle prestazioni aziendali.
bibliografia
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Marketing
di Agostino La Bella
È uno dei settori in cui il contributo dell'i. g. è particolarmente importante. Prevale oggi infatti il concetto di marketing totale, come risposta all'orientamento alla produzione, tipico delle prime fasi della rivoluzione industriale, e all'orientamento al mercato, tipico delle fasi successive in cui le attività connesse al mercato dominavano le attività operative a scapito dell'efficienza produttiva. Marketing totale significa che le imprese pongono la massima attenzione nel rilevare i bisogni dei loro clienti effettivi e potenziali e si organizzano in modo da rispondere con prodotti nuovi o migliorati all'evoluzione di questi. Il concetto di marketing nell'accezione più moderna è quindi fortemente legato all'innovazione di processo e di prodotto, e fa uso di tecniche e strumenti che costituiscono anche i riferimenti metodologici dell'ingegneria gestionale. Essi trovano particolare spazio in tre specifici aspetti: la misurazione, la modellizzazione dei fenomeni di mercato e il supporto alle decisioni.
La misurazione in questo contesto si riferisce alle variabili fondamentali del mercato, tra cui in primo luogo la domanda; tali variabili possono assumere varie forme e vengono in genere ricostruite come funzione di una serie di variabili indipendenti. La stessa domanda, per es., a seconda del problema e della sua modellizzazione, può essere espressa semplicemente in termini di quantità complessivamente richiesta di un determinato bene o servizio, oppure come variabile discreta (in particolare di tipo 0 o 1) nei modelli di scelta con cui si rappresenta la decisione d'acquisto individuale per una data marca in una specificata occasione. La costruzione di modelli di questo tipo è divenuta via via più sofisticata anche a causa dell'enorme disponibilità di dati oggi facilmente ottenibili dagli scanner. Le tecniche utilizzate variano dall'econometria alla simulazione.
La modellizzazione dei fenomeni è fondamentale per la comprensione dei meccanismi di funzionamento dei mercati e per verificare ipotesi a essi relative. Hanno importanza sia teorica, sia applicativa, in quanto forniscono la base per modelli operativi in grado di generare prescrizioni per la gestione delle complesse attività di marketing.
I modelli di supporto alle decisioni si basano sulle metodologie dell'ottimizzazione e del controllo ottimo; incorporano tra i loro componenti fondamentali anche modelli dei precedenti due tipi, e forniscono indicazioni al decisore sul marketing mix più adeguato rispetto alle condizioni del mercato e agli obiettivi dell'impresa. Il marketing mix, secondo la definizione di P. Kotler, è la combinazione delle variabili controllabili di marketing che l'impresa impiega al fine di conseguire il volume previsto di vendite nell'ambito del mercato, e fa parte della strategia di marketing, cioè della logica per cui un'impresa ritiene di conseguire i propri obiettivi sul mercato. Una strategia di marketing comprende, oltre alle decisioni sul marketing mix, anche quelle in materia di spese, di marketing e di ripartizione dello sforzo in relazione alle condizioni ambientali e competitive previste. Molteplici sono gli elementi che compongono il marketing mix; una classificazione molto nota si basa su quattro macrovariabili, le cosiddette 'quattro P': prodotto, prezzo, punto di vendita e promozione.
Una sintesi delle principali metodologie utilizzate nell'approccio quantitativo ai problemi di marketing viene data in tab., dove è evidente l'influenza che hanno assunto tecniche di derivazione ingegneristica come la teoria dei sistemi, la teoria dei controlli e i metodi di simulazione in numerose aree di intervento. Di recente, inoltre, il ridursi del ciclo di vita dei prodotti e la dinamica accelerata dei processi economici hanno reso sempre meno realistici i modelli basati sui vari concetti di equilibrio. La modellistica del comportamento dei consumatori è stata così riesaminata tenendo conto della natura dinamica degli stimoli che lo influenzano; l'analisi dei nuovi prodotti è stata ampliata includendo le mosse e contromosse dei diversi competitori, che tengono il mercato in uno stato permanente di disequilibrio; nuovi approcci modellistici sono emersi anche per l'area degli accordi e negoziati tra imprese, dove le offerte e contro-offerte di una parte forniscono informazioni all'altra, determinando così andamenti nonlineari nel flusso degli stati economici risultanti.
L'esempio seguente illustra la complessità della modellistica correntemente utilizzata negli studi di marketing. Il problema consiste nel determinare un programma di incentivi per la sua forza di vendita in modo da evitare problemi di moral hazard. Nel caso specifico, poiché l'impegno profuso non può essere direttamente osservato, anche perché i risultati derivano spesso da fattori aleatori non del tutto riconducibili all'opera del venditore (per es., un favorevole andamento della domanda), il moral hazard consiste nella possibilità per il venditore stesso di dissimulare un impegno inferiore a quello contrattualmente previsto. Problemi di questo tipo vengono affrontati ricorrendo a un opportuno insieme di incentivi volti a rendere conveniente il rispetto degli impegni contrattuali, calcolati ottimizzando il rapporto tra gli ulteriori costi per l'impresa e il beneficio ricavabile in termini di maggiore impegno per gli addetti. In altre parole, si tratta di far sì che gli operatori, agendo secondo il proprio interesse, finiscano comunque per perseguire gli obiettivi dell'impresa, qui per semplicità individuati nella massimizzazione del profitto. Secondo la moderna teoria dell'impresa il problema deve essere affrontato sulla base di tre assunzioni fondamentali: a) il risultato dell'impegno del venditore è osservabile con un certo grado d'incertezza; b) lo stesso impegno è osservabile in modo imperfetto; c) l'impresa è neutrale mentre il venditore è avverso al rischio ed entrambi basano le proprie decisioni sulla massimizzazione del valore atteso dell'utilità. Detto allora x il volume delle vendite e t l'impegno profuso dal venditore nella propria attività (che si suppone qui, per semplicità, misurato dal tempo a essa dedicato) si può introdurre una funzione densità di probabilità f(x|t) del conseguimento di un dato volume di vendite, condizionata all'impegno: il problema nasce dal fatto che in genere l'impresa conosce f(x|t) ma non può osservare t.
L'obiettivo del venditore può essere rappresentato in termini di massimizzazione del valore atteso dell'utilità totale W(s, t) specificata come W(s, t)=U(s)−V(t), dove con s si è indicato il reddito totale e con U(s) e V(t) rispettivamente le utilità del reddito e dell'impegno (nel caso dell'impegno o, meglio, nell'esempio in questione, del tempo dedicato al lavoro, si tratta più propriamente di una disutilità). Si assume inoltre, per completare l'esempio, che ogni agente richieda un livello minimo di utilità, m, per continuare a lavorare per l'impresa considerata e che il costo marginale, c, sia una frazione costante del prezzo; m dipende evidentemente dalle opportunità esterne cui l'agente può accedere e che generalmente sono tanto maggiori quanto più egli è riconosciuto come produttivo.
Il problema dell'impresa è quello di determinare s(x) in modo da massimizzare il proprio profitto, dato dalla relazione:
In altre parole, l'impresa cerca uno schema di remunerazione che massimizza il valore atteso del profitto; è interessante notare che tale schema è collegato solo indirettamente all'impegno dell'agente. Devono inoltre essere rispettati i seguenti due vincoli:
il primo, detto vincolo di partecipazione, è la condizione essenziale perché l'agente presti la sua opera, richiedendo che il sistema di remunerazione soddisfi almeno il requisito dell'utilità minima; il secondo, detto vincolo di incentivazione, rappresenta il comportamento dell'agente basato, come si è detto, sulla regola della massimizzazione dell'utilità attesa. Il problema rappresentato dalle tre equazioni di cui sopra può essere risolto, ipotizzando forme specifiche delle funzioni di utilità coinvolte e assumendo che f(x|t) sia di tipo gamma o binomiale, ricorrendo ai metodi della teoria del controllo ottimo, di chiara derivazione ingegneristica.
La strategia moderna di produzione implica uno stretto collegamento tra le diverse funzioni aziendali, con una particolare enfasi nell'interfaccia tra marketing e produzione; si riconosce infatti che integrando decisioni ottimali funzionalmente si ottiene solo un sub-ottimo a livello di impresa: la tendenza è quindi quella di ricercare decisioni ottimali a livello globale, integrando nel processo decisionale le diverse funzioni. Si dimostra che ciò implica considerevoli riduzioni di costo e migliora la posizione competitiva; richiede tuttavia competenze di tipo trasversale sia sul piano delle tecnologie di processo e di prodotto, sia sul piano della gestione strategica dell'impresa, che sono tipiche dell'ingegneria gestionale.
Un altro aspetto importante è quello delle nuove tecnologie di misura delle variabili collegate al comportamento dei consumatori. Il crescente uso di forme elettroniche di comunicazione e di gestione dei dati di vendita, degli ordini, l'uso sempre più diffuso di codici a barre che rendono veloce ed economica la memorizzazione di grandi masse di dati stanno generando un'esplosione della quantità di dati disponibili sulle diverse grandezze oggetto delle analisi di mercato. Le implicazioni di queste tecnologie sullo sviluppo di nuovi modelli, sulla loro sperimentazione, calibrazione e utilizzazione sono enormi, e consentono di ridurre la distanza tra le esigenze del cliente e il prodotto fin dalla fase di progettazione e realizzazione; ancora, nuovi aspetti dell'interazione tra i prodotti e il cliente, in particolare durante l'uso o il consumo dei beni stessi possono essere analizzati e i risultati incorporati in miglioramenti sia dei prodotti stessi sia delle tecniche di vendita e assistenza post-vendita. La possibilità di studiare in modo più fine i fenomeni di mercato, informazioni abbondanti e tempestive, l'uso di nuovi e più sofisticati modelli, comportano come conseguenza la necessità di usare procedure più avanzate di calibrazione dei modelli di marketing, come per esempio quelle bayesiane, già ampiamente utilizzate in molti settori dell'ingegneria.
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