inganno
Il sostantivo è strettamente legato al verbo della stessa radice (v. INGANNARE), con cui ha comuni le accezioni fondamentali. Un inganno vero e proprio, premeditato, è quello che i conti di Casalodi, " nobiles comites... dominatores civitatis mantuanae ", ‛ ricevono ' da Pinamonte de' Bonacolsi, che " fallaciter et sagaciter [eos] seduxit... et invasit dominium Mantuae " (Benvenuto), restandone signore dal 1272 al 1291 (If XX 96).
Altrettanto premeditati gl'inganni di cui sarà vittima la semenza, i figli di Carlo Martello, e specialmente Carlo Roberto (v.), che verrà fraudolentemente privato del regno di Sicilia per opera dello zio Roberto (Pd IX 2; anche qui con il verbo ‛ ricevere '). Con lo stesso valore, ma in senso più generico, in Cv IV XXVII 5 non è da dire savio chi con sottratti e con inganni procede, e I XII 12, dove l'i. è presentato come una forma d'ingiustizia, in un elenco che ricalca quello di If XI 58-60. In forma di locuzione avverbiale, in If XIX 56: qui D. fa sue le accuse mosse a Bonifacio VIII di aver ‛ tolto ' a 'nganno / la bella donna, la Chiesa; di averla sposata " fraudulenter... Nam ipse papa Bonifatius per fraudem et artem suam procuravit in tantum quod frater Petrus de Morono, qui tunc temporis erat Pontifex et dicebatur Papa Cilestrinus, renuntiavit Pontificatui " (Bambaglioli, e così altri commentatori. Cfr. anche G. Villani VIII 6; ma storici e dantisti moderni mettono in dubbio la veridicità di tale accusa).
Negli altri passi i. vale " opinione erronea ", dovuta a mancanza di discernimento - è il caso dei prodighi, che con il loro atteggiamento si espongono al danno, / che si aggiunge a lo 'nganno / di loro e de la gente / c'hanno falso iudicio in lor sentenza (Rime LXXXIII 29), i. " in cui cadono essi stessi (credendo di essere leggiadri) e chi giudica falsamente (chiamandoli leggiadri) ", Barbi-Pernicone (nel commento ai vv. 26-31) -; o a un eccesso di condiscendenza verso di noi da parte di un amico che, nel giudicarci, non si tiene a li termini del vero per inganno di caritade, cioè derivante dall'affetto che svia la mente (Cv I III 8); tale i. si riflette poi su noi stessi, che siamo indotti a ingrandire ancora le lodi fatteci dall'amico (§ 9). Ancora " opinione erronea " è quella legata ai falsi beni, viziose delettazioni, ne le quali [l'anima] riceve tanto inganno che per quelle ogni cosa tiene a vile (Cv I I 3; si noti di nuovo l'uso del verbo ‛ ricevere ', e si colleghi il passo con Pg XVI 92). Qui l'i. si carica del senso di ‛ delusione ' che ne deriva, ancora più accentuato nel caso di Flegiàs, che alle parole di Virgilio - più non ci avrai che sol passando il loto, If VIII 21 - reagisce come colui che grande inganno ascolta / che li sia fatto, e poi se ne rammarca (v. 22): " Flegias si credette allegrare di vedere Virgilio e Dante in pena... e quando intese che l'avea fallata, si duole e rammarica " (Ottimo): l'i. dunque consiste propriamente nel sentir dire una cosa diversa - e quindi nel trovarsi di fronte a una realtà diversa - da quella che si credeva.