sostantivato, infinito
L’infinito sostantivato (detto anche, meno spesso, infinito nominale), secondo la definizione tradizionale è l’➔infinito introdotto da un determinante e accompagnato dai tipici elementi di un ➔ sintagma nominale (aggettivi, frasi relative, ecc.). Il determinante, in particolare, può essere l’➔articolo
determinativo (1), l’articolo indeterminativo (2) oppure un dimostrativo (3):
(1) Poteva mai esimersi, il marchese Barbicinti, dal condire ogni sua prosa di qualche svista ortografica? (Bassani 1991: 402)
(2)
a. udir mi parve un mormorar di fiume (Dante, Par. XX, 19)
b. Ma sarà proprio giusto, fare così? – riflette ancora, – o non è un appiattire la persona umana al livello delle cose, considerarla un oggetto, e quel che è peggio, considerare oggetto ciò che nella persona è specifico del sesso femminile? (Calvino 1994: 12)
(3) Mi offendeva quel suo parlarmi della domenica come se io fossi uno scolaro modello (Vittorini 1948: 18)
L’articolo determinativo può anche essere omesso. Nell’es. (4) l’infinito deve considerarsi sostantivato perché ha un aggettivo:
(4) s’alzarono a volo uno dopo l’altro con gran sbattere d’ali (Calvino 1993: 29)
Nell’italiano moderno di regola solo le ➔ preposizioni in e con (anche articolate) reggono l’infinito sostantivato. Anticamente, tali preposizioni comparivano anche seguite dall’infinito non sostantivato (➔ infinito):
(5) Cominciò col portargli una fetta di carne avvolta nella carta oleata (Pratolini 1963: 59)
(6) Il mio lavoro è consistito nel cercar di fare di questo materiale eterogeneo un libro; nel cercar di comprendere e salvare, di fiaba in fiaba, il «diverso» che proviene dal modo di raccontare (Calvino 1996: 46)
L’infinito sostantivato può essere considerato come una peculiarità eminente dell’italiano rispetto alle lingue romanze (➔ lingue romanze e italiano), dato che è la sola lingua in cui questa risorsa esista con un tale sviluppo di forme e di tipi. Lo spagnolo, che condivide con l’italiano questa peculiarità, non ne presenta la stessa varietà di forme.
Va notato che il termine infinito sostantivato è discutibile. Tra le costruzioni in questione occorre operare una distinzione tra gli infiniti sostantivati in senso proprio e quelli che invece, pur introdotti dal determinante, conservano proprietà verbali. La distinzione è valida in tutte le fasi storiche della lingua letteraria fino ai tempi moderni. Nel primo caso, l’infinito si presenta come testa di un sintagma nominale; nel secondo, è da intendersi come una specie di subordinata infinitiva (➔ infinitive, frasi). L’infinito in quanto sintagma nominale è modificato da un aggettivo (7), mentre con l’infinito verbale si ha modificazione avverbiale (8):
(7) Perché pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare (Dante, Inf. V, 21-22)
(8) et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno (Petrarca, Canz. I, 12-14)
L’infinito sostantivato può comparire in forma composta (➔ tempi composti), cosa che indica proprietà verbali piuttosto che nominali (9 e 10). Lo stesso vale per il caso in cui sia accompagnato dalla negazione (11):
(9) Giulia, dopo l’aver amaramente buona pezza pianto la violata verginità, racconciatasi in capo i suoi disciolti pannicelli […] se ne venne tosto a Gazuolo e a casa sua se n’andò (Bandello 1990: 131)
(10) Di ritorno dall’avere sepolto Ezio, trovò la casa saccheggiata (Pratolini 1963: 42)
(11) Nello spazio di questi due primi anni d’Accademia, io imparai dunque pochissimo, e di gran lunga peggiorai la salute del corpo, stante la total differenza e quantità di cibi, ed il molto strapazzo, e il non abbastanza dormire (Alfieri 1949: 30)
Tuttavia, nel caso dell’infinito sostantivato, la forma composta non significa che ci sia spostamento temporale rispetto alla forma semplice. In altre parole, dall’avere sepolto Ezio in (10) non segnala un significato diverso da dal seppellire Ezio (Simone 2004).
Anticamente, il costrutto poteva avere proprietà puramente nominali, visto che l’infinito poteva comparire al plurale:
(12) Per che a ’ntelletti sani
è manifesto i lor diri esser vani [«è evidente che i loro discorsi sono vani»];
e io così per falsi li riprovo,
e da lor mi rimovo (Dante, Conv. IV, canzone terza, 74-77)
(13) O eletti di Dio, li cui soffriri [«le cui sofferenze»]
e giustizia e speranza fa men duri,
drizzate noi verso li alti saliri [«verso le altezze»]
(Dante, Purg. XIX, 76-78).
Secondo il contesto, l’infinito sostantivato può svolgere tutte le funzioni sintattiche di un ➔ sintagma preposizionale, avverbiale, come in (14) e (15), ed argomentale, come in (16):
(14) Il freddo aumentava col cader della sera (Deledda 2007: 107)
(15) credeva di scorgere il suo berretto in cima all’attaccapanni, nel punto dove lui l’aveva lasciato quel giorno all’entrare (Morante 1974: 82)
(16) scegliere in una lista di vivande che lui, per parte sua, si sarebbe guardato bene dall’assaggiare (Bassani 1991: 474)
Inoltre, l’infinito sostantivato compare nella funzione di ➔ soggetto (17 e 18) e di predicato (19). Restano piuttosto circoscritti alla lingua antica e letteraria gli esempi di infinito sostantivato in funzione di oggetto diretto (20) (ma cfr. Vanvolsem 1983: 96-98):
(17) Egli è ben doloroso il cominciare la Storia dei pregiudizi degli antichi, da quello che li perdeva senza riparo (Leopardi 2003: 13)
(18) così era suo dovere il rendergli cortesia con qualche saetta (Nievo 1981: 7)
(19) Ma sarà proprio giusto, fare così? – riflette ancora, – o non è un appiattire la persona umana al livello delle cose, considerarla un oggetto, e quel che è peggio, considerare oggetto ciò che nella persona è specifico del sesso femminile? (Calvino 1994: 12)
(20) Perché pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare (Dante, Inf. V, 21-22).
Il soggetto dell’infinito può essere espresso in più modi a seconda che la costruzione abbia carattere verbale o nominale.
Il soggetto pronominale può comparire nella forma di soggetto, come nella frase subordinata (21), o come pronome possessivo, come nel sintagma nominale (22):
(21) Ma il non esser io in tanto tempo andato a vederla è non picciolo argomento de la sua vertù e de la mia fede (Bandello 1990: 146)
(22) Insomma, il mio non guardare presuppone che io sto pensando a quella nudità (Calvino 1994: 12)
Nell’italiano moderno, il primo caso è limitato ad un registro letterario o formale.
Il soggetto non pronominale è espresso come sintagma preposizionale, che nella lingua letteraria talvolta compare prima dell’infinito:
(23) Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggiera e presta molto (Dante, Inf. I, 31-32)
(24) un libraccio il quale veniva immediatamente occultato al di lui apparire (Alfieri 1949: 30)
(25) Però questo sorvolare dello sguardo non potrebbe in fin dei conti essere inteso come un atteggiamento di superiorità (Calvino 1994: 13)
(26) il ritirarsi dell’acqua ora rivela un lembo di spiaggia costellato di barattoli (Calvino 1994: 19)
Nella lingua moderna, l’oggetto diretto del verbo transitivo è normalmente espresso come tale (27), ma nella lingua antica e letteraria si ha anche il caso dell’oggetto diretto reinterpretato come complemento preposizionale (28):
(27) il proprio orgoglio, il timore, l’incertezza della sorte altrui, la facevano rifuggire dal visitare le antiche conoscenze e dal recare in case che la conobbero signora e contenta, la propria pena e desolazione (Pratolini 1963: 53)
(28) E noi vedemo che in ciascuna cosa di sermone lo bene manifestare del concetto è più amato e commendato [«in ogni discorso è cosa lodevole il manifestare bene il concetto»] (Dante, Conv. I, 12).
Dal punto di vista della funzione, l’infinito sostantivato serve almeno a:
(a) compensare la mancanza, nel vocabolario italiano, di nominalizzazioni appropriate, specialmente per nomi di azione e di processo (➔ nomi):
(29) il continuo bere gli ha distrutto il fegato ~ il continuo *bevimento gli ha distrutto il fegato
(30) tutto questo discorrere mi disturba ~ tutto questo *discorrimento / *discorso mi disturba
(b) esprimere in particolare il carattere indefinito e processuale dell’evento descritto. In questa chiave, in italiano, come è stato notato (Vanvolsem 1982), l’infinito sostantivato è una risorsa tra le più antiche, dotata per giunta di una straordinaria stabilità diacronica. Infatti, esso appare in una catena ininterrotta di testi di tutte le aree d’Italia con funzioni costanti, anche se con una sintassi via via semplificata, al punto che lo si potrebbe considerare come uno dei caratteri originali della nostra lingua e uno dei contrassegni più eloquenti della sua derivazione latina (➔ latino e italiano; ➔ lingue romanze e italiano).
Un caso di grande interesse in quest’ambito è offerto da taluni procedimenti correttivi di ➔ Alessandro Manzoni. Nella seconda riscrittura dei Promessi sposi Manzoni rielaborò una quantità di snodi verbali del suo testo, con un puntiglio rispondente alla sua acutissima sensibilità verso l’arte verbale, il linguaggio e le peculiarità della lingua. Tra le altre cose, intervenne per l’appunto sull’infinito sostantivato: alcuni infiniti sostantivati della seconda edizione del romanzo furono cancellati, altri confermati, altri introdotti ex novo. Si è calcolato che «per i 21 infiniti soppressi nell’edizione definitiva, l’autore ne introduce 29 nuovi» (Vanvolsem 1982). Ecco alcuni esempi in cui, al posto di un nome pieno della prima versione, Manzoni inserisce un infinito sostantivato (da Vanvolsem 1982):
.
Come si vede, le correzioni tendono tutte ad accentuare il carattere durativo e indefinito degli eventi descritti, che non era codificato in modo sufficientemente chiaro nella prima versione.
Alcuni infiniti sostantivati sono lessicalizzati in quanto tali (➔ lessicalizzazione) e sono quindi usati, nella lingua moderna, come ➔ nomi. Fanno parte di questa categoria le forme sostantivate della ➔ copula (l’essere), del verbo avere di possesso (l’avere), dei verbi modali (il dovere, il potere, il sapere, il volere). Il fatto che questi infiniti possano comparire al plurale (gli esseri, i doveri, ecc.) suggerisce che si tratta di veri nomi. Va peraltro notato che alcuni infiniti sostantivati non ammettono il plurale: il fare, l’operare, l’agire, il levare (del sole), ecc.
Inoltre, il processo di nominalizzazione (➔ nominalizzazioni) ha interessato anche verbi lessicali quali l’ardire, il desinare, il piacere. Sono inclusi nella categoria perfino il mangiare e il parlare, limitatamente a contesti idiomatici o antichi (i mangiari d’Italia, i parlari d’Italia).
Alfieri, Vittorio (1949), Vita, in Id., Opere, a cura di L. Fassò, Torino, UTET, vol. 1° (Vita, rime e satire).
Alighieri, Dante (1995), Convivio, a cura di F. Brambilla Ageno, Firenze, Le Lettere, 3 voll.
Alighieri, Dante (1988), La Divina Commedia, a cura di di U. Bosco & G. Reggio, Firenze, Le Monnier.
Bandello, Matteo (1990), Novelle, introduzione di L. Russo, note di E. Mazzali, Milano, Rizzoli.
Bassani, Giorgio, (1991), Il giardino dei Finzi-Contini, in Id., Il romanzo di Ferrara, Milano, Mondadori, 2 voll., vol. 1° (Dentro le mura, Gli occhiali d’oro, Il giardino dei Finzi-Contini).
Calvino, Italo (1993), I racconti, Milano, Mondadori, 2 voll.
Calvino, Italo (1994), Palomar, Milano, Mondadori (1a ed. 1983).
Calvino, Italo (1996), Sulla fiaba, Milano, Mondadori (1a ed. 1988).
Deledda, Grazia (2007), Il vecchio della montagna, Nuoro, Ilisso edizioni (1a ed. 1900).
Leopardi, Giacomo (2003), Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, a cura di A. Ferraris, Torino, Einaudi (1a ed. 1846).
Morante, Elsa (1974), La storia, Torino, Einaudi.
Nievo, Ippolito (1981), Le Confessioni d’un Italiano, a cura di M. Gorra, Milano, Mondadori (1a ed. 1867).
Petrarca, Francesco (1964), Canzoniere, testo critico e introduzione di G. Contini, annotazioni di D. Ponchiroli, Torino, Einaudi.
Pratolini, Vasco (1963), Un eroe del nostro tempo, Milano, Mondadori (1a ed. 1949).
Vittorini, Elio (1948), Il garofano rosso, Milano, Mondadori.
Simone, Raffaele (2004), L’infinito nominale nel discorso, in Generi, architetture e forme testuali. Atti del VII congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Roma, 1-5 ottobre 2002), a cura di P. D’Achille, Firenze, Cesati, pp. 73-96.
Vanvolsem, Serge (1982), L’uso dell’infinito sostantivato nelle due edizioni dei “Promessi Sposi”, «Studi di grammatica italiana» 10, pp. 29-50.
Vanvolsem, Serge (1983), L’infinito sostantivato in italiano, Firenze, Accademia della Crusca.