INFETTIVOLOGIA
In questi ultimi decenni, nel settore della medicina dedicato alle infezioni e in modo particolare alle malattie infettive (v. infezione, XIX, p. 196; infettive, malattie, App. IV, ii, p. 182), hanno avuto particolare sviluppo i temi concernenti l'epidemiologia e l'eziologia, la terapia e la prevenzione: di questi argomenti, in questa sede, saranno esposti un prospetto generale e le notizie più rilevanti; per un'informazione più completa si rinvia a voci più specifiche, dedicate agli antibiotici, a determinate malattie, ai vaccini. Peraltro, in via preliminare, si ritiene utile far presente che la classica distinzione dei microrganismi in patogeni e indifferenti, i cosiddetti saprofiti (ad alcuni dei quali si tendeva financo ad attribuire un ruolo utile), oggi è meno netta che in passato. Il limite tra patogeno e saprofita, correlato com'è alle capacità di difesa immunitaria dell'organismo, è assai vago: in carenza di difesa, ovviamente a seconda del grado di deficit, qualsiasi saprofita può divenire patogeno, così come accade in svariate condizioni morbose e nella sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) in particolare. Tale possibilità consente di definire agenti opportunisti quei microrganismi, abitualmente innocui saprofiti, che della caduta delle difese dell'ospite ''approfittano'' per provocare in esso una malattia (infezioni opportuniste).
Epidemiologia ed eziologia. − Variazioni quantitative di malattie già note. − Tali variazioni sono legate a fattori d'ordine epidemiologico: più precisamente a modificazioni di precedenti standard di equilibri demografici e ambientali. È ben noto che nei paesi a più elevato sviluppo economico la maggior efficienza delle misure d'igiene preventiva, soprattutto di quelle perinatali, e il contemporaneo affinamento dei mezzi diagnostici e terapeutici hanno portato a un aumento della durata della vita media. Di conseguenza, anche rispetto a cinquant'anni or sono, è cresciuto il numero − percentuale e assoluto − sia di soggetti appartenenti alle età estreme della vita, sia dei sopravvissuti a malattie già ritenute fatalmente letali (tumori, leucemie, insufficienze di organi trattate con trapianti o con protesi). Tutti costoro sono ritenuti soggetti ''a rischio'' per determinate infezioni per la possibilità di un immuno-deficit, iatrogeno o naturale, a seconda che sia conseguenza di un intervento terapeutico o sia legato, per i neonati, a un'immaturità fisiologica e, per gli anziani, all'esaurimento del sistema immunocompetente, soprattutto delle risposte cellulo-mediate.
A livello ecologico, con la comparsa e la diffusione dei chemioantibiotici e con lo sviluppo delle immunizzazioni di massa, si sono avute conseguenze ancora più evidenti di quelle ora descritte nell'ambito epidemiologico. In particolare, l'introduzione dei chemio-antibiotici ha avuto sull'ecologia microambientale effetti che si possono dire ''sconvolgenti'': in tempi successivi si sono infatti verificate: a) una rarefazione in genere dei batteri, e quindi delle infezioni da essi prodotte, e un proporzionale, ovvio, aumento percentuale di virus e di miceti (insensibili ai primi antibiotici); b) l'acquisizione da parte di certi batteri della capacità di resistere agli antibiotici, con conseguenti ondate di infezioni resistenti ai trattamenti terapeutici.
Per la preponderanza degli aspetti positivi, tali condizioni, almeno nel mondo occidentale, si sono tradotte in un efficace controllo, se non proprio in una reale scomparsa, di molteplici gruppi di malattie: le infezioni da Streptococcus pyogenes, un tempo devastanti, coi loro attacchi acuti e con le loro conseguenze a distanza (cardiopatie, nefriti); l'eresipela e la febbre puerperale, la malattia reumatica, le glomerulonefriti, la corea reumatica; la polmonite e le meningiti batteriche; la scarlattina e la difterite, sulla quale (v. oltre) ha giocato un ruolo importante la vaccinazione di massa. Al loro posto, alla ribalta sono salite, sia pure con una frequenza ben inferiore a quella delle malattie tradizionali, le infezioni dovute a germi con caratteristiche, acquisite od originarie, di resistenza ai chemio-antibiotici: alcuni stafilococchi e alcuni gonococchi; bacilli gram-negativi poliresistenti.
Le vaccinazioni di massa, per loro conto, soprattutto nei paesi più avanzati, hanno contribuito a ridurre la portata di alcune infezioni che in passato, in un modo o nell'altro, alcune con vere e proprie epidemie, avevano interferito sul benessere dell'umanità: la già citata difterite, il tetano, la poliomielite anteriore acuta, l'epatite B, l'influenza, il vaiolo (che si considera eradicato dall'anno 1977), e, almeno in parte, il morbillo e la tubercolosi.
Per i benefici effetti ricavati, in questa sede devono essere citate anche quelle misure di prevenzione, primaria e non, di tipo igienico e rivolte all'ambiente, che in proporzione diretta con l'elevazione del livello igienico delle popolazioni hanno contribuito a determinare una diminuzione della tubercolosi e di molte altre malattie: febbre tifoide, epatite virale A, carbonchio, leptospirosi, brucellosi, e − in alcuni paesi − peste, rabbia, colera, lebbra, tracoma. Una considerazione a parte meritano i risultati ottenuti sulla malaria, che è stata completamente debellata nel mondo occidentale e, in genere, nelle aree temperate, ma che persiste in quelle tropicali.
Purtroppo, due avvenimenti contrastano con tale bilancio ottimistico. La patologia nosocomiale, che si riteneva debellata, in rapporto al più frequente ricorso all'ospedalizzazione e all'uso irrazionale degli antibiotici presenta una certa recrudescenza, con la non rara insorgenza nei ricoverati di infezioni, dette appunto nosocomiali, spesso assai gravi perché sostenute da agenti resistenti anche agli antibiotici più recenti. Analoga ripresa si è verificata nelle malattie a trasmissione sessuale e, nelle donne, nell'ambito delle infezioni delle vie urinarie, conseguenti alle mutate abitudini sessuali o, in buona parte, all'estensione di alcune pratiche contraccettive.
Per la sindrome da shock tossico e per la polmonite da Legionella, che ugualmente esprimono un perturbamento ecologico, v. oltre, assieme alle malattie di nuova identificazione.
Malattie, e rispettivi agenti, di più recente identificazione. − Sindrome di Kawasaki: malattia descritta dal pediatra nipponico Tomisaku Kawasaki nel 1967, da non confondersi con la sindrome asmatica omonima, osservata nella città di Kawasaki e dovuta all'inquinamento atmosferico. La prima è una malattia dell'età pediatrica, assai rara nell'adulto, caratterizzata da febbre elevata della durata di cinque giorni e più, resistente agli antitermici e accompagnata da emorragie sottocongiuntivali, stomatite, glossite, tumefazione dei linfonodi cervicali; completano il quadro un esantema polimorfo del tronco, un eritema palmo-plantare con desquamazione tardiva e la possibilità di complicazioni vascolari (poliarterite necrotizzante) particolarmente gravi a livello delle coronarie, dove possono causare aneurismi, spesso multipli, trombosi e conseguente ischemia miocardica, che può essere causa di morte. Non se ne conoscono le cause: attualmente l'ipotesi più attendibile fa riferimento a una vasculite legata a un disturbo immunitario. In mancanza di una terapia specifica, si ritiene utile, all'inizio, un trattamento antinfiammatorio (aspirina), seguito, a seconda della compartecipazione vascolare, da un trattamento anticoagulante.
Sindrome da shock tossico: malattia descritta nel 1978, diffusa in tutto il mondo, soprattutto negli USA, letale nel 4% dei casi. Secondo le opinioni più recenti sarebbe dovuta alla tossina elaborata da un particolare sottotipo di Staphylococcus aureus, accidentalmente presente in vagina, la cui liberazione sarebbe causata dal contatto, favorito dal sangue mestruale, di determinati oligoelementi contenuti in alcuni tamponi endovaginali.
Polmonite da Mycoplasma hominis: varietà di polmonite molto frequente ma relativamente benigna, per la sensibilità agli antibiotici del suo agente, un batterio privo di parete propria e pertanto dotato di notevoli proprietà ''plastiche'', per cui in passato era considerato un virus (il cosiddetto ''agente di Eaton'').
Polmonite da Legionella pneumophila: varietà di polmonite di particolare gravità ma fortunatamente rara. Il suo agente, Legionella pneumophila, è stato identificato di recente e deve il suo nome all'aver provocato un numero notevole di decessi tra i partecipanti a un congresso dell'American Legion svoltosi a Filadelfia. Il contagio, avvenuto nei saloni riservati ai congressisti, era stato causato dalla contaminazione dell'aria a opera di condizionatori a cui affluiva acqua inquinata dai detti germi. Agenti di diffusione possono essere anche docce e innaffiatoi meccanici dei giardini.
Epatite virale: ne è stata chiarita l'eziologia, che nella stragrande maggioranza dei casi è attribuita a uno dei virus epatici A, B, C (già denominato ''non A non B'') e D: il primo è un virus a habitat intestinale che provoca una malattia benigna a contagio orofecale; gli altri sono gli agenti delle forme più gravi, trasmesse attraverso il sangue umano.
Malattia di Lyme: prende il nome dalla cittadina del Connecticut (USA) dove è stata descritta per la prima volta nel 1975. È una malattia a decorso subacuto o cronico, provocata dalla spirocheta Borrelia burgdoferi che, penetrata nell'organismo per la puntura di una zecca, può diffondersi a vari organi interni, con conseguenze anche gravi.
Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS): per la sua importanza è oggetto di trattazione a parte (v. immunodeficienza acquisita, Sindrome da, in questa Appendice).
Terapia. − Le grandi scoperte sulle cause e sui meccanismi delle malattie infettive a ben poco sarebbero valse, nell'economia dell'umanità, senza l'avvento della chemio-antibioticoterapia antinfettiva. Senza addentrarci in particolari che esulerebbero dal presente argomento e che sono ampiamente esposti in questa Appendice (v. antibiotici; farmacologia) o in quella precedente (v. chemioterapia, App. IV, i, p. 413) ci si limiterà ad accennare ai capitoli che l'applicazione terapeutica dei chemio-antibiotici ha aperto.
Farmacodinamica antibatterica: studia le modificazioni indotte dai chemioantibiotici sulla sostanza vivente e quindi sia i meccanismi di azione dei vari agenti sui diversi microbi e le dosi necessarie per distruggerli in provetta, sia gli effetti collaterali degli antibiotici sui tessuti e sulle cellule dell'ospite.
Farmacocinetica dei chemio-antibiotici: studia l'assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l'escrezione di questo tipo di farmaci, e dei loro metaboliti, a livello dei tessuti dell'ospite.
Dosaggi terapeutici: dal confronto dei dati emersi dagli studi sui due punti sopraddetti è possibile conoscere di ciascun farmaco i margini di dosaggio unitario e giornaliero entro i quali dev'essere somministrato al malato, per ottenere e mantenere nel suo siero e nei suoi tessuti − senza provocare danni − concentrazioni superiori a quelle attive in vitro su quel dato microbo.
Monitoraggio della terapia chemioantibiotica: riguarda lo studio e la messa in opera dei sistemi atti a controllare che i livelli dell'antibiotico raggiungano e mantengano i valori desiderati (monitoraggio di attività) senza indurre danno agli organi e ai tessuti dell'ospite (monitoraggio tossicologico).
Associazioni terapeutiche: sono oggetto di studio le modalità e gli effetti della reciproca integrazione di più antibiotici somministrati contemporaneamente e anche l'associazione di sostanze che, agendo sull'organismo ospite, modifichino i livelli ematici dei primi.
Costi. − L'enorme diffusione delle terapie antibiotiche e l'immissione nel mercato di farmaci sempre più cari hanno fatto sorgere il problema del contenimento dei costi di questi tipi di trattamento, che sono oggi una delle maggiori voci della spesa sanitaria. Tale problema è affidato agli infettivologi delle commissioni terapeutiche ai diversi livelli e riguarda la scelta fra antibiotici di pari efficacia ma di costo minore. Si ricordi che questa scelta dovrà tener conto non tanto del prezzo delle singole confezioni quanto dei costi prevedibili, giornalieri e per ciclo di cura, oltre che dell'eventuale interferenza di costi aggiuntivi, quali possono essere quelli per trattamenti venosi.
Profilassi. − Nell'ambito della prevenzione delle malattie infettive fondamentalmente si distinguono una profilassi primaria e una profilassi secondaria. La prima si avvale di interventi prevalentemente igienici intesi a eliminare le condizioni ambientali favorenti l'insorgenza di determinate malattie, come la bonifica dei territori nella lotta antimalarica, quella delle navi e degli impianti portuali per la prevenzione della peste e di altre malattie esotiche, la vigilanza degli acquedotti e degli impianti fognari a protezione dalle malattie intestinali. In una concezione più allargata, anche la lotta contro le tossicodipendenze può essere considerata profilassi primaria nei confronti dell'AIDS e delle epatiti B, C e D.
La profilassi secondaria è rivolta ai soggetti esposti al rischio tanto di contrarre quanto di trasmettere l'infezione, e a tal fine utilizza la vaccinoprofilassi e l'immunoprofilassi passiva.
La vaccinoprofilassi comprende misure sia di libera elezione, sia obbligatorie sul piano nazionale, per tutti, e su quello internazionale per chi si rechi in località ''a rischio'' per determinate malattie (peste, colera, febbre gialla, tifo esantematico, ecc.).
Per l'età infantile, come anche per l'adulto, vaccinazioni particolarmente efficaci sono state ottenute col ricorso a differenti agenti: l'antidifterica (obbligatoria dal 1935) con la relativa anatossina; l'antipoliomielitica (obbligatoria dal 1966), dapprima con virus uccisi (J. E. Salk, 1952) e poi, meglio, con virus vivi e attenuati (A. B. Sabin, 1956); l'antipertosse con germi uccisi; l'antitubercolare BCG con batteri attenuati; l'antiepatite B (nei neonati da madre portatrice di virus HB) col virus inattivato; l'antinfluenzale coi polisaccaridi di Haemophilus influenzae.
Nell'adulto le vaccinazioni sono selettivamente rivolte alle categorie e alle situazioni a ''rischio''. Ne elenchiamo le principali: l'antitetanica, con la relativa anatossina, nei lavoratori dell'industria o dell'agricoltura, a titolo preventivo e in situazione di post-esposizione (cioè dopo aver subito un evento capace d'indurre l'infezione); l'antimorbillosa e l'antiparotitica (nei maschi, per il rischio di orchite), con virus attenuati, nel rischio di esposizione o di post-esposizione; l'antirubeolica, con virus attenuati, nelle donne suscettibili e in previsione di gravidanze; l'antirabbica con virus inattivati in condizione di post-esposizione; l'antinfluenzale (v. sopra) negli anziani, nei soggetti con gravi malattie debilitanti o che svolgono attività di elevato valore sociale o economico, negli esposti a rischio per ragioni professionali (personale sanitario) o in corso di gravi pandemie; l'antipneumococcica, con polisaccaridi pneumococcici, nelle due prime indicazioni dell'antinfluenzale; l'antiepatite B, con virus attenuati, nel personale sanitario non immune, nei conviventi coi portatori di HBV, nelle condizioni di post-esposizione e nei neonati (v. sopra); l'antitifoidea, con immunogeni attenuati, obbligatoria per lavoratori addetti alla preparazione e alla distribuzione di alimenti e bevande e, com'è ben noto, durante il servizio militare.
L'immunoprofilassi passiva si realizza con la somministrazione di anticorpi specifici in soggetti esposti a rischio e in caso di post-esposizione. Mentre, però, all'inizio si usavano sieri eterofili, cioè di altre specie di animali, da circa un decennio sono utilizzate esclusivamente le immunoglobuline umane (IgG) ottenute da donatori immuni nei confronti di quella data malattia, evitando, in tal modo, le pericolose reazioni anafilattiche e il rischio della trasmissione delle epatiti B e C. L'immunoprofilassi passiva si applica soprattutto nei confronti delle epatiti A e B, del morbillo, della parotite, della rabbia, del tetano e della varicella-zoster (nei soggetti immunodepressi).
Bibl.: R.D. Mayer, Legionella infections. A review of five years of research, in Reviews of Infectious Diseases, 5 (1983), p. 258; J.N. Sheagren, Staphylococcus aureus: the persistent pathogen, in New England Journal of Medicine, 310 (1984), pp. 1368-1437; A.C. Steere, Lyme disease, ibid., 321 (1989), p. 258; Infectious diseases, a cura di P.D. Hoeprich e M. Colin Jordan, Filadelfia 19894; M. Moroni, R. Esposito, F. Di Lalla, Manuale di malattie infettive, Milano 19902; M. Piazza, Epatite virale acuta e cronica, ivi 19904.