infarto
Lesione anatomica, seguita da necrosi dei tessuti, dovuta alla cessata irrorazione sanguigna per occlusione di un vaso arterioso terminale. Nell’accezione più comune il termine è riferito all’infarto miocardico acuto, consistente nella necrosi di una porzione di parete cardiaca, legata all’occlusione di un vaso coronarico con formazione di un trombo. Il tessuto muscolare necrotico non si può rigenerare e viene sostituito da tessuto fibroso, formando una cicatrice priva delle caratteristiche di contrattilità proprie del miocardio sano. Il processo di cicatrizzazione ha inizio già dopo 48 ore dall’occlusione dell’arteria e si completa dopo 2÷3 mesi. La funzione di pompa del cuore viene quindi alterata in maniera irreversibile e con una entità che varia a seconda della dimensione dell’infarto. Meno frequentemente, un infarto può essere causato da un embolo, da anomalie congenite dell’origine e del decorso coronarico, da uno spasmo coronarico, da patologie sistemiche, soprattutto di origine infiammatoria, o dall’effetto di sostanze quali la cocaina. Il primo sintomo dell’infarto miocardico acuto è il dolore in sede retrosternale, descritto come oppressivo, costrittivo, spesso con irradiazione al braccio sinistro o al dorso, analogo a quello dell’angina pectoris, sebbene di durata e intensità maggiori. Talvolta però i sintomi decorrono in modo atipico tanto da essere sottovalutati e non riconosciuti dal paziente, soprattutto se diabetico, anziano e di sesso femminile. Nella fase acuta dell’infarto sono frequenti le aritmie, che possono avere un esito anche fatale. Altre complicanze gravi sono lo shock cardiogeno, la rottura della parete libera o del setto interventricolare, l’insufficienza mitralica acuta da rottura del muscolo papillare, l’aneurisma ventricolare. Possono verificarsi inoltre trombosi intracavitaria e conseguenti embolie, pericardite e infarto del ventricolo destro. Oltre la storia clinica e l’esame obiettivo, fondamentali per la diagnosi sono l’esame elettrocardiografico ed ecocardiografico, che possono fornire indicazioni importanti sull’estensione e la sede dell’infarto monitorando eventuali complicanze, e il dosaggio degli enzimi cardiaci. A seconda dei danni subiti, della gravità dell’occlusione coronarica e delle eventuali complicanze, sono comunque disponibili diverse terapie per superare la fase acuta e limitare le conseguenze dell’infarto miocardico: cardioversione elettrica, installazione di pacemaker temporaneo, riapertura meccanica dell’arteria occlusa, farmaci che limitino la coagulazione o trombolitici, o che stabilizzino l’attività cardiaca. I pazienti che hanno avuto un infarto miocardico devono innanzitutto correggere i fattori di rischio controllando la colesterolemia, la pressione arteriosa, abolendo il fumo di sigaretta, migliorando l’alimentazione con un incremento nella dieta di grassi poli- o monoinsaturi e una drastica riduzione dei grassi saturi, riducendo il peso corporeo, aumentando l’attività fisica e migliorando la qualità della vita. Eventuali terapie farmacologiche di supporto comprendono l’uso di aspirina, di statine o farmaci che ne impediscano l’ulteriore ingrandimento e controllino il compenso cardiaco. (*)
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