Infanzia
Scuola dell'infanzia
Non è del tutto corretto affermare che le iniziative educative destinate alla prima infanzia avviano i bambini agli studi primari. Certamente come precisa l'OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development, in Italia OCSE) nel rapporto relativo all'anno 2004, quelle iniziative consentono di assumere misure per contrastare le ineguaglianze sociali e linguistiche di partenza, e comunque di arricchire il patrimonio educativo ricevuto dall'ambiente familiare. Un tale orientamento, per la verità, è già venuto maturando in alcuni Paesi, e in molti altri si va diffondendo in misura crescente. Nella maggioranza dei Paesi OECD si registra una scolarizzazione ormai superiore al 90%, ma soltanto per i bambini di età compresa fra 5 e 6 anni, accolti in strutture preprimarie o primarie. In diversi Paesi europei, però, la scolarità preprimaria si aggira intorno al 70% per l'età compresa fra 3 e 4 anni. Nel 2002, per quest'ultima fascia di età, è stata raggiunta (e 'superata', in senso statistico) la soglia del 100% in alcuni Paesi, quali Belgio, Francia, Islanda, Italia, Israele. Lo stesso istituto internazionale, tuttavia, esprime l'esigenza di una certa cautela nel valutare le condizioni di accesso e la qualità del servizio educativo svolto dalle istituzioni prescolari. Evidentemente non sono pochi i casi di istituzioni nelle quali l'aspetto dell'accoglienza è preminente rispetto a quello propriamente educativo.
In questo campo l'Italia presenta, dalla seconda metà del 20° sec., una situazione di eccellenza. L'istituzione nel 1968 della scuola materna statale, per i bambini di età compresa fra 3 e 6 anni, ha rappresentato un momento innovativo di grande rilievo nella storia delle istituzioni educative non soltanto del nostro Paese. Gli orientamenti pedagogici dell'attività educativa di tale scuola, definiti una prima volta nel 1969, hanno avuto una nuova e più aggiornata stesura nel 1991, che ne ha ulteriormente accentuato la natura specificamente pedagogica, in modo da renderla più rispondente alle caratteristiche proprie di una scuola dell'infanzia, quasi primo grado del processo dell'istruzione scolastica. Pur essendo la frequenza prevista come facoltativa, si è riscontrata un'adesione crescente da parte delle famiglie, mosse non soltanto dall'esigenza di affidare i bambini a una istituzione pubblica durante l'orario di lavoro dei genitori, ma anche dal riconosciuto carattere formativo della nuova scuola.
Già nel biennio 1991-92 i bambini che frequentavano la scuola materna (1.572.699) erano quasi la totalità degli appartenenti alla classe di età corrispondente; nel 2003-04, i frequentanti erano 1.632.324, con un tasso di scolarità ormai pari al 100% (per l'esattezza 103,7%, considerati anticipi e ritardi) e con una presenza di bambini stranieri pari al 3,8%. Nel frattempo, l'esperienza sul campo delle istituzioni educative, favorita dall'autonomia didattica e organizzativa riconosciuta alle singole scuole (v. autonomia), ha favorito l'emergere di più affinati modelli pedagogici e organizzativi, con particolare riguardo al dialogo costruttivo fra docenti e genitori, all'articolazione funzionale di spazi, tempi e gruppi di bambini, alla cura del rapporto fra esperienze di vita e di apprendimento, all'ag-giornamento professionale del personale educativo.
Dell'esperienza fatta dalle istituzioni scolastiche in questo settore e dagli orientamenti più aggiornati della ricerca psicopedagogica e didattica ha tratto giovamento la l. 28 marzo 2003 nr. 53, che ha delegato il governo alla definizione delle norme generali sull'istruzione. La prima novità di questa legge è che essa ha definitivamente inquadrato la scuola per i bambini dai 3 ai 6 anni di età, chiamata ufficialmente scuola dell'infanzia, all'interno del generale sistema di istruzione e di formazione. Tale scuola viene a costituire di diritto il primo segmento dell'intero sistema educativo, tanto che lo stesso legislatore si preoccupa di assicurare (tramite adeguati stanziamenti in bilancio definiti da appositi decreti legislativi) la generalizzazione dell'offerta formativa e l'effettiva possibilità di frequenza della scuola stessa. Nonostante ciò, tenuto conto della primaria responsabilità educativa dei genitori in materia, la scuola dell'infanzia rimane una scuola formalmente non obbligatoria, anche se il suo obiettivo è proprio quello di realizzare un'effettiva eguaglianza delle opportunità educative. La ricerca pedagogica, infatti, ha segnalato l'incidenza positiva, per un equilibrato sviluppo delle capacità psicofisiche, affettive e cognitive dei bambini, della frequenza di un adeguato ambiente formativo proprio in età infantile e prescolastica. Si tratta, in sostanza, di contribuire a eliminare, per quanto possibile, le forme di svantaggio iniziale, conseguenza di fatto di certi ambienti di provenienza dei bambini. L'obiettivo della scuola è di "concorrere all'educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale", nonché di pro-muovere le potenzialità di relazione, autonomia, creatività dei bambini.
Il soggetto in età evolutiva viene posto al centro delle iniziative e delle attività educative. Ciò comporta l'adozione di un criterio metodologico flessibile, in un ambiente che si presenti ricco di relazioni, di comunicazione, di linguaggi, di stimoli diversi. Le disposizioni attuative della legge nr. 53 sono state emanate con d. legisl. 19 febbraio 2004 nr. 59. La scuola dell'infanzia ha durata triennale: vi possono essere iscritti le bambine e i bambini che compiono i 3 anni di età entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento. Nella sua autonomia e unitarietà didattica, la scuola realizza la continuità educativa con il complesso dei servizi dell'infanzia e con la scuola primaria che la segue. L'orario annuale delle attività educative può consistere da un minimo di 875 a un massimo di 1700 ore, a seconda dei progetti elaborati dalle singole scuole e tenuto conto delle richieste delle famiglie. L'inserimento della scuola dell'infanzia nel sistema generale dell'istruzione, quale suo primo segmento, comporta che anche a tale scuola siano riferiti e applicati, con le peculiarità del caso, i criteri di valutazione della qualità didattica e delle prestazioni del servizio, come previsto dall'art. 3, l. 53/2003 per l'intero sistema di istruzione e di formazione. Naturalmente la fluidità dei ritmi di sviluppo a quel livello di età dei bambini rende problematica e poco significativa la valutazione didattica di tipo individuale e l'applicabilità di prove di verifica oggettiva. Tuttavia gli obiettivi dello sviluppo e degli apprendimenti, se considerati con strumenti adeguati (appunti e diari di osservazione, griglie di rilevazione di condotte, tavole di sviluppo ecc.) e nel contesto aperto e dinamico dell'unità scolastica, si possono rivelare molto utili quanto meno alla cosiddetta valutazione di sistema, concernente la qualità dell'offerta formativa, necessaria innanzi tutto al gruppo docente, anche per ricalibrare il tipo di interventi programmati, e poi all'Istituto nazionale per la valutazione, al quale è appunto demandata la valutazione dell'offerta formativa delle istituzioni scolastiche.
bibliografia
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