Infangati
In Pd XVI 123 Cacciaguida ricorda gli I. come buoni cittadini, da tempo venuti di contado; il Villani (IV 13, V 39, VI 65) conferma questo giudizio sulla potenza e sulle origini antichissime della consorteria, composta da ricchi dinasti feudali, e amò assegnarle un ascendente diretto nel cavaliere romano Sesto, enumerandone poi le " castella " possedute presso Firenze e le case abitate in città presso la chiesa di Santa Cecilia. Anche i documenti concordano con i cronisti, e presentano gl'I. come una delle casate consolari più rappresentative, i cui membri furono considerati degni di far corte agl'imperatori (Turno di messer Mangino venne compreso fra i cittadini scelti nel 1024 per scortare Enrico II nel viaggio verso Roma, dove fu armato cavaliere dopo l'incoronazione), di rivestire le insegne equestri " a spron d'oro " (Corrado il Salico concedette quella dignità a un messer Alberto nel 1039), e di far parte della magistratura consolare (un Uberto fu console nel 1182), di ricoprire altre cariche pubbliche di rilievo (il giudice messer Infangato, figlio di detto Uberto, membro dei consigli del comune, sottoscrisse l'alleanza stipulata con i Bolognesi nel 1215). Un messer Verdiano fu tra i Fiorentini che parteciparono alla quinta crociata.
La notevole posizione sociale e le tradizioni politiche di potenza portarono gl'I. a militare fra i ghibellini; ma non ne mancarono fra i guelfi, così che nelle alterne fasi delle lotte di parte essi sono ricordati molto spesso dalle fonti archivistiche e dai cronisti come presenti sia fra i vinti che fra i vincitori. Nel 1258 Mangia degli I. fu condannato al patibolo come ghibellino, mentre i suoi consorti venivano esiliati e se ne abbattevano le case e le torri. Nel 1260 gl'I. ghibellini ritornarono in patria vincitori e vi spadroneggiarono fino al 1266; un Donato, un Mazza e un Bindo di Mangiatroia compaiono fra i più autorevoli esponenti del governo comunale di quegli anni. Ma i loro figli e parenti furono nuovamente esiliati, e alcuni di loro si trovano fra coloro che tornarono in città per firmare la pace detta del cardinale Latino; fatto significativo della discordia che ne lacerava la compagine gentilizia fu la presenza fra gli esponenti guelfi garanti della medesima pace di un altro I., messer Banchello di Lapo. Tuttavia, se già i contrasti ideologici ne avevano compromesso la prosperità economica e il prestigio sociale, gl'I. si avviarono al declino dopo che, nel 1282, vennero in gran parte dichiarati ‛ magnati ' ed esclusi dalla vita politica. Contro i partitanti per il ghibellinismo quella condanna fu confermata nel 1293 e nel 1311; ma per gl'I. guelfi fu certo revocata o attenuata, se un Catellino di Aldobrandino poté essere nominato priore nel 1293, nel 1314 e nel 1315, e se il fratello di lui, Migliore, poté conseguire la medesima carica nel 1295. E ancora, un altro Banchello combatté nelle file dell'esercito fiorentino a Montecatini nel 1315, seguito in quella presa di posizione politica da suo figlio Canaffo, che troviamo in armi all'Altopascio nel 1325. Il tracollo politico degl'I. fu determinato, alla metà del secolo XIV, da Uberto di Ubaldino, esponente di quella parte della consorteria che aveva conservato il diritto di accedere agli uffici pubblici. Questo Uberto venne accusato (1346) di aver prestato falsamente i giuramenti che gli statuti richiedevano a coloro che stavano per accedere alle cariche, perché ritenuto ghibellino; ma forse poté giustificarsi, oppure ottenere per grazia di conseguire gli uffici ai quali non aveva diritto secondo le leggi, se nel 1348 riuscì ad arrivare perfino al priorato. Ma fu nuovamente ammonito dalla Parte guelfa - e questa volta perdette in perpetuo i pieni diritti politici - nel 1359; il provvedimento l'offese così profondamente da fargli meditare la consegna di Firenze ai Visconti. Il comune scoprì la trama e lo bandì insieme ai consorti implicati nella congiura; tutti gl'I. vennero privati del diritto di accedere alle cariche pubbliche. Lo riottennero solo durante la signoria di Cosimo il Vecchio de' Medici, il quale volle con quella reintegrazione premiarne - come faceva con le altre famiglie magnatizie divenute sue clienti - là fedeltà politica. Tuttavia i superstiti dell'antica consorteria consolare erano ormai ridotti in povertà, e fu solo un incerto bagliore di rinnovate velleità politiche al seguito dei Medici, l'elevazione di uno di loro, Cambio di Antonio, al priorato nel 1518. Gli ultimi I. si spensero il 29 ottobre 1660 con la morte di un Aldobrandino d'Ignazio. La casata portò uno stemma simile a quello dell'altra sua consorte dei Mangiatroia, cioè uno scudo di argento fasciato a sghembo di bianco e di azzurro.
Bibl. - Sui personaggi di questa famiglia come attori della vita politica ed economica fiorentina fino al secolo XIV si veda quanto scrive Davidsohn, Storia, ad indicem; un profilo della vicenda genealogica degl'I. fu tracciato sulla base dei documenti e dei dati cronistici nell'opera di G.G. Warren Lord Vernon, L'Inferno di D.A. disposto in ordine grammaticale e corredato di brevi dichiarazioni, II (Documenti), Londra 1862, 507-508, ripreso da Scartazzini, Enciclopedia I 1028-1029.