SAMPIETRO, Ines Isabella (Isa Miranda)
– Nacque a Milano il 5 luglio 1905, da Francesco e da Ambrogina Montanari.
Figlia di contadini della Lomellina immigrati a Milano (il padre era impiegato dell’azienda tranviaria municipale), dopo le elementari cominciò a lavorare come apprendista sarta, poi come operaia in piccole industrie e, dopo aver conseguito il diploma serale di dattilografa, come segretaria in studi legali e case editrici. Dalla fine degli anni Venti, invece, iniziò a lavorare anche come modella per pittori. Nel 1923 si sposò con Alfredo Casali, da cui si separò due anni dopo. Nel 1930 si iscrisse, diplomandosi, all’Accademia filodrammatica e l’anno dopo cominciò a lavorare in teatro come generica, approdando infine alla compagnia Fontana-Benassi. Nel frattempo, il 2 giugno 1932, le era morto il padre.
Nel 1934 cominciò a lavorare nel cinema, ottenendo il primo ruolo di protagonista in Tenebre (1934) di Guido Brignone e adottando lo pseudonimo che usò per il resto della carriera, Isa Miranda.
Ma fu il film successivo a lanciarla: per il proprio esordio nella produzione cinematografica, l’editore Angelo Rizzoli aveva lanciato un concorso per la protagonista, che lei vinse. Nel film, La signora di tutti (1934) di Max Ophüls, interpretava una donna che diventava diva del cinema, ma a costo della propria e altrui infelicità e morte. Nei film successivi, l’attrice mostrò una impressionante capacità di modificare la propria immagine, pur all’interno di ruoli che spesso tornavano sull’archetipo della donna perduta o che si sacrificava per amore, con copioni che univano all’icona dell’eroina sofferente quella della femme de vie. Se già nel successivo Come le foglie (1935), Mario Camerini la volle «bruna, modesta, semplice» (Miranda, 1945, n. 15, p. 2), in Passaporto rosso (1935) di Brignone fu un’emigrante italiana in Sudamerica costretta a esibirsi in un locale, e in Il diario di una donna amata (1936) di Hermann Kosterlitz, affetta dalla tubercolosi scacciava il giovane amante Guy de Maupassant per non infliggergli un dolore. Quest’ultimo film fu prodotto in Austria, e in effetti la figura dell’attrice (lunghe gambe, zigomi alti, sopracciglia modellate), lanciata come una Marlene Dietrich italiana anche nella scelta dei ruoli, la proiettava in una dimensione europea: nei due anni successivi girò cinque film in Germania e in Francia, finché non venne contattata dalla Paramount che le offrì un contratto. Imbarcatasi il 26 agosto alla volta degli Stati Uniti, fu dunque «la prima attrice cinematografica italiana che attraversa l’Oceano prefigurando uno degli scenari imprescindibili delle dive avvenire» (Caldiron - Hochkofler, 1978, p. 15). Il soggiorno hollywoodiano si rivelò però deludente: falliti numerosi progetti (tra cui Zazà di George Cukor, poi interpretato da Claudette Colbert), gli unici due giunti a buon fine furono i modesti: Hotel Imperial (1939) di Robert Florey e Adventure in diamonds (1940, La signora dei diamanti), di George Fitzmaurice.
Il 1° luglio 1939, annullato il precedente matrimonio, sposò a Tucson il produttore Alfredo Guarini, conosciuto sul set di Come le foglie e suo compagno da anni, che l’aveva seguita in America. Il 14 dicembre dello stesso anno tornò in Italia, trovando però in patria una certa ostilità da parte dell’ambiente cinematografico, dovuta forse alla sua trasferta americana o forse a un’intervista colà rilasciata in cui l’attrice manifestava la sua solidarietà agli ebrei (Caldiron - Hochkofler, 1978, p. 27): «Una circolare del Ministero fascista della cultura Popolare ordinava ai giornali di non occuparsi più di me» (Miranda, 1945, n. 20, p. 3).
Numerosi furono i progetti non realizzati anche in quegli anni (dalla Signora delle camelie a una biografia di Eleonora Duse); ma dopo tre film diretti da Guarini, passato per l’occasione alla regia, l’attrice trovò la strada per due ruoli che la rilanciarono, nel crepuscolo del fascismo: Malombra (1942), diretto da Mario Soldati (che avrebbe voluto nel ruolo Alida Valli), nel quale la sua bellezza ormai matura e la sua recitazione artefatta, si trasformavano in un monumento gotico, e Zazà (1942), lungamente accarezzato negli Stati Uniti e poi in Italia, che Renato Castellani realizzò in maniera sontuosa, offrendo all’attrice l’occasione per esibirsi in vari numeri musicali. Il successivo, La carne e l’anima di Vladimir Strichevsky, interrotto dopo l’8 settembre, uscì nel dopoguerra e rappresentò, anche nella carriera della diva, un ideale collegamento tra gli sfarzosi film calligrafici precedenti e nuove atmosfere da melodramma realistico: Miranda vi interpreta una cantante che si rifugia in una piccola stazione ferroviaria, inseguita dal suo datore di lavoro.
Nel 1944, l’attrice rifiutò di partire per Venezia, dove la Repubblica di Salò stava cercando di riorganizzare l’industria cinematografica, e dalla primavera di quell’anno si dedicò invece al teatro. Dall’estate mise in piedi una compagnia con Vittorio De Sica, e poi da sola (in quella veste recitava tra l’altro in Ritratto di un’attrice di William Somerset Maugham, 1946, per la regia di un giovanissimo Giorgio Strehler). È del 1946 anche uno dei progetti mancati più importanti della sua carriera, Il processo di Maria Tarnowska di Luchino Visconti. Nell’immediato dopoguerra, nel clima del neorealismo, l’attrice faticò a trovare un proprio posto, ma nel 1949 ritornò in grande stile, nelle vesti dimesse di un’ostessa genovese che accoglie il fuggiasco Jean Gabin, nella coproduzione italo-francese Au delà des grilles (Le mura di Malapaga) di René Clément, che le fruttò il premio per la miglior attrice al Festival di Cannes. Negli anni Cinquanta furono comunque in Francia alcuni dei suoi ruoli di maggior rilievo: quello in La ronde (1950, Il piacere e l’amore) di Max Ophüls e in Avant le déluge (1954, Prima del diluvio) di André Cayatte. In quel periodo riprese tra l’altro l’attività di modella, ma in veste di committente: negli anni fu infatti ritratta da alcuni dei più importanti pittori contemporanei, tra cui Mafai, De Pisis, De Chirico, Scialoja e Guttuso, come si può vedere nell’episodio del film Siamo donne (1953) diretto da Luigi Zampa, in cui nei panni di sé stessa, mostra i quadri che la ritraggono e confessa la propria frustrata ansia di maternità. Mentre declinava il proprio impegno cinematografico, si dedicò alla costruzione artigianale di bambole e soprattutto all’attività di poetessa pubblicando due raccolte, Una formica in ginocchio (Rocca San Casciano 1957), con prefazione di Corrado Govoni, e Una viuzza che porta al mare (Firenze 1958).
Nel decennio però intensificò anche l’attività di attrice di teatro, in Italia e soprattutto all’estero: nel 1951, recitò in California Mike McCauley di Fred Finklehoffe e Leo Lieberman, in Francia Luigi Pirandello (Il berretto a sonagli) e Jean Cocteau (Anne, la bonne), e, infine, in Inghilterra Orpheus descending di Tennessee Williams, diretto da Tony Richardson. Fu quello l’inizio di una nuova fase della sua carriera, per la televisione inglese. Dal 1959 al 1967, infatti, visse a Londra, anche se tornò in Italia, tra l’altro per girare, nello stesso anno, i due suoi titoli più significativi del decennio, nei ruoli della madre di Catherine Spaak in La noia (1963) di Damiano Damiani, e della madre depressa del protagonista (Jacques Perrin) in La corruzione (1963) di Mauro Bolognini. Dagli anni Cinquanta svolse per lo più ruoli di contorno, spesso di madri borghesi o di affascinanti aristocratiche (una volta Caterina de’ Medici, due zarina, più volte duchessa, marchesa e contessa, da Gli sbandati, 1955, di Francesco Maselli a Reazione a catena, 1971, di Mario Bava), e poi, con il passare del tempo, anche di sordida maîtresse, da Colpo rovente (1970) di Piero Zuffi in poi. Le due tipologie di personaggi si univano idealmente nel ruolo più noto della tarda fase della sua carriera, la viziosa contessa Erika Stein in Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani. Interpretò il suo ultimo ruolo cinematografico in La lunga strada senza polvere (1977) di Sergio Tau, ma l’attrice continuò a recitare per una breve fase in alcuni sceneggiati televisivi italiani, da Camilla (1976) a Disonora il padre (1978), entrambi diretti da Sandro Bolchi.
Morì a Roma l’8 luglio 1982.
Fonti e Bibl.: I. Miranda, I miei registi, in Star, II (1945), 2, 14-20 (ritratti di registi con cui la Miranda ha lavorato, pubblicati in 8 puntate); Ead., La piccinina di Milano, Milano 1967 (pagine autobiografiche sull’infanzia e l’adolescenza); O. Caldiron - M. Hochkofler, Isa Miranda, Roma 1978; R. Chiti, Dizionario del cinema italiano: le attrici, Roma 1999, ad vocem; Isa Miranda. Light from a star, a cura di E. Mosconi, Pavia 2003.