INDUZIONE
Embriologia. - L'induzione embrionale è uno dei fenomeni fondamentali della morfogenesi, ampiamente analizzato dalla moderna morfologia causale o embriologia sperimentale e la cui scoperta ha completamente rinnovato il problema morfogenetico dell'organizzazione embrionale. Consiste in quell'effetto morfogenetico che si attua in un territorio embrionale che possiede un particolare stato di reattività (competenza) all'azione di uno stimolo, estraneo a quel territorio, che normalmente agisce per intimo contatto, e che imprime una determinata direzione al differenziamento cellulare. Si collega perciò ai vecchi e classici concetti di autodifferenziamento e differenziamento dipendente o correlativo di W. Roux (1912), secondo i quali in un territorio dell'uovo o dell'embrione, sono presenti, nel primo caso, tutti i fattori necessarî alla realizzazione del normale destino di sviluppo di quel territorio; laddove, nel secondo caso, per tale realizzazione è indispensabile l'intervento di influenze estranee a quel territorio ed emananti dai territorî adiacenti.
In passato tali influenze furono genericamente indicate come stimoli morfogenetici e distinte da altri stimoli della più varia natura (gravità, temperatura, luce, ecc.) pur si dimostravano capace di influenzare lo sviluppo embrionale (C. Herbst 1894, 1895). Un'antesignana analisi dello sviluppo dell'occhio negli Anfibî, compiuta indipendentemente da H. Spemann (1901) e da W.H. Lewis (1903), dette la prima concreta dimostrazione sperimentale dell'esistenza di tali stimoli nella dipendenza di sviluppo della lente cristallina dalla vescicola ottica che, trapiantata, era capace di "indurre" tale formazione nell'ectoderma di ogni parte del corpo. La parola "induzione", sebbene non con lo stesso significato, era stata usata dai botanici, a proposito dei tropismi e delle tassie e precisamente nel 1891 da W. Pfeffer in rapporto all'azione dei fattori esterni, come la luce e la gravità, nell'"indurre" specifiche conformazioni. La formazione delle galle o cecidî nei vegetali, cioè quelle formazioni dovute ad anormale sviluppo di tessuti meristematici in seguito a punture di Insetti parassiti, fornisce un'altra chiara prova di differenziamento dipendente da uno stimolo morfogenetico.
Il concetto di i. embrionale assume, tuttavia, un più preciso significato con la scoperta di H. Spemann (1921-24), del centro organizzatore nella giovane gastrula degli Anfibî Urodeli (Triton) realizzata con un celebre esperimento (H. Spemann e H. Mangold, 1924) di trapianto di materiale blastoporale al disotto dell'ectoderma nel fianco di una giovane gastrula. Il materiale trapiantato (porzione del territorio dell'endoderma faringeo e di quello presuntivo della corda e dei somiti) si autodifferenzia, nella nuova sede, in una parte delle formazioni assili cordo-mesodermiche, inducendo in pari tempo il materiale ectodermico sopra-adiacente dell'ospite (presunta epidermide banale), a differenziarsi in piastra midollare: è questa la i. neurogena che si accompagna a una i. mesoblastogena in quanto il materiale mesodermico trapiantato, oltre che autodifferenziarsi, contribuisce a indurre il resto di somiti e di corda, non aggregati caoticamente, ma organizzati in un tutto armonico sul fianco dell'embrione ospite a formare un embrione secondario. Non a torto Spemann chiamò "organizzatore" il territorio trapiantato e "centro organizzatore" la regione del labbro dorsale del blastoporo da cui tale territorio proveniva. L'i. neurogena o neurale fu denominata i. complementare in quanto il suo effetto, cioè la formazione di una piastra e di un tubo neurale, completa le formazioni assili dell'embrione secondario; quella mesoblastogena, i. assimilatrice in quanto tessuto mesodermico delle lamine laterali dell'ospite si differenzia, incorporandosi armonicamente con esse, in strutture identiche a quelle derivate per autodifferenziamento del trapianto. Il differenziamento di un territorio embrionale presuppone perciò la determinazione del suo destino operata per i. da un altro territorio. Il territorio "indotto" acquista così la capacità di autodifferenziarsi: la morfogenesi, in tal senso è intesa come effetto di una concatenazione di azioni induttrici o organizzatrici (primarie, secondarie, ecc.) a partire da un territorio precocemente determinato, il centro organizzatore, di cui furono ampiamente analizzate le proprietà, le capacità regolative, il funzionamento, così come la sua regionalità e bilateralità. Un'altra verifica sperimentale dell'i. neurogena provocata dal materiale cordo-mesodermico scaturì più tardi da risultati di esperimenti di J. Holtfreter (1933) sulla exogastrulazione negli Anfibî che dimostrarono l'incapacità dell'ectoderma a differenziarsi in tipiche strutture ectodermiche, in mancanza dello stimolo morfogenetico del sostrato endo-mesodermico.
Nella i. embrionale si deve inoltre tener conto della condizione del territorio reagente che permette la manifestazione dell'effetto, cioè la sua "competenza", ciò che C.H. Waddington (1932) definisce lo stato fisiologico di un tessuto, che rende possibile la sua reazione specifica a stimoli morfogenetici. Nel caso dell'i. neurale, la "competenza" dell'ectoderma a reagire in senso neurale, va dall'inizio alla fine della gastrulazione, poi dallo stadio iniziale di neurula, decresce fino a scomparire del tutto, come dimostrano anche gli espianti ectodermici coltivati in soluzione fisiologica standard che danno risultati diversi a seconda dello stadio in cui vennero isolati (Holtfreter 1934-39). Verso la fine della neurulazione e negli stadî di bottone codale, l'ectoderma manifesta una diversa reattività nelle varie regioni del corpo dell'embrione e anche nelle varie specie. Studiando il funzionamento dell'organizzatore si è potuto inoltre dimostrare che gli effetti dell'induzione sono regionali, che cioè il territorio cordo-mesodermico (tetto archenterico) anteriormente induce formazioni cefaliche, posteriormente formazioni del tronco, ciò che è stato attribuito da alcuni autori a proprietà regionali qualitativamente differenti dell'induttore da altri a una differenza quantitativa di capacità induttrici, distribuite secondo un gradiente cefalo-caudale: tenuto presente, nell'una o nell'altra alternativa, il grado di "competenza" dell'ectoderma che, col progredire dello sviluppo, varia come si è detto, e nello spazio e nel tempo. Circa la natura dello stimolo induttore, fin dalla scoperta del centro organizzatore, si avanzò l'ipotesi che si trattasse di uno stimolo chimico: si era, infatti constatato che l'azione induttrice non ha alcuna specificità zoologica, che essa si esplica per un'azione di contatto dell'induttore o "organizzatore primario" su un altro territorio; che una struttura indotta acquista capacità induttrici e le conserva a lungo attive e che il materiale blastoporale conserva, anch'esso, le proprietà induttrici se sminuzzato, narcotizzato o addirittura ucciso (congelamento, calore, alcole). Tutto ciò avvalorava l'idea che qualche sostanza chimica contenuta nell'organizzatore, e da esso liberatasi, potesse essere responsabile dell'induzione, tanto più che sottoponendo l'organizzatore a estrazioni con varî reagenti e separando da questi estratti le varie frazioni, queste provocavano evidenti induzioni in ectoderma indifferente. Esperimenti di J. Holtfreter (1933), dimostrarono poi che tessuti embrionali non induttori potevano diventarlo se sottoposti a brutali trattamenti e uccisi, ciò che suggeriva che la sostanza chimica responsabile dell'i. fosse presente non solo nel territorio dell'organizzatore, ma anche, distribuita largamente, più o meno mascherata, nei varî territorî del germe dai quali, con la morte delle cellule, si sarebbe liberata e manifestata. Successivi esperimenti mettevano in evidenza che fenomeni di i. potevano essere provocati dai più varî tessuti, non solo embrionali, ma anche dell'adulto di Vertebrati e Invertebrati, sia viventi sia uccisi, dai loro estratti, dai loro centrifugati o da altre sostanze (induttori eterogenei o xenoinduttori) ciò che mostrava una vastissima distribuzione del principio o dei principî attivi inducenti, diffusibili, e senza un'origine specifica (Holtfreter, 1934). Da questo momento le ricerche sulla chimica dell'induzione embrionale ebbero un grandissimo impulso. Ma, analizzate che furono le i. neurogene ottenute con questi varî agenti (i tessuti dei Vertebrati davano le più tipiche), confrontandole con quelle prodotte dall'organizzatore vivente, si dovettero distinguere nell'i. due componenti: l'evocazione cioè il processo di richiamo nel sistema reagente di potenze morfogenetiche latenti che si manifestano in genere disordinatamente e l'individuazione che dipende dal sistema reagente e conferisce la qualifica della struttura indotta, cioè la sua regionalità. Tutti gli induttori eterogenei sono dunque evocatori e non organizzatori.
Nei molti tentativi fatti, dal 1930 al 1940, per isolare il principio attivo dell'i., furono chiamate in causa le più svariate sostanze: il glicogeno, acidi organici ad alto peso molecolare (acido adenilico del muscolo, acido timonucleinico), i composti sterolici, varî idrocarburi sintetici, acidi grassi, sostanze citolizzanti (cefalina, digitonina); queste ultime avrebbero liberato indirettamente il principio induttore presente, mascherato, nelle cellule reagenti. Che un meccanismo di tal genere possa essere implicato nella i. sembrerebbe potersi dedurre da esperimenti compiuti (1945) su espianti trattati con sostanze tossiche svariate (blu di metilene, acidi, basi, ossidanti) che producono una citolisi delle cellule e conseguenti induzioni. Tutti questi tentativi di isolamento del principio responsabile dell'i. non hanno dato tuttavia, una risposta definitiva ed il problema, di estrema complessità, non si può dire ancora completamente e definitivamente risolto. I risultati delle ricerche più recenti sono favorevoli a sostenere una pluralità di stimoli induttori: alcuni autori (S. Toivönen e collab. 1948-55) sosterrebbero infatti, l'esistenza di due sostanze induttrici qualitativamente differenti, l'una funzionante come induttore di strutture cefaliche, l'àltra di strutture del tronco (spino-mesodermiche) ed in favore di questa ipotesi sono anche i risultati di esperimenti di autori giapponesi che attribuiscono la i. a complessi proteinici che, in seguito a trattamenti termici, darebbero tutti i tipi di induzioni regionali.
L'indagine si è così venuta spostando verso il possibile ruolo che, nell'induzione, avrebbero i complessi proteinici del citoplasma. J. Brachet (1940-50) fermò la sua attenzione sugli acidi nucleici (acido ribonucleico) localizzati nei granuli citoplasmatici (separabili con l'ultracentrifugazione) dell'uovo e dell'embrione. Estratti embrionali ricchi di tali granulazioni (acido ribonucleico, fosfatasi, gruppi sulfidrilici) manifestano spiccati poteri inducenti che decrescono, in presenza di ribonucleasi (enzima che degrada l'acido ribonucleico) fino a scomparire completamente. Il principio inducente attivo corrisponderebbe all'acido ribonucleico il quale liberato nelle cellule ectodermiche dell'ospite, vi determinerebbe l'i.: anche in questo caso l'attenzione più che sull'induttore, viene portata sul tessuto reagente. I fenomeni di neuralizzazione dell'ectoderma in espianto ottenuti per citolisi, descritti da L.G. Barth e W. Graff (1938) e da Holtfreter (1945), sembrarono essere favorevoli a questa tesi che presuppone un meccanismo indiretto (effetto citolitico) di liberazione dell'evocatore. Successivamente fu possibile appurare che certi trattamenti (blu di metilene, centrifugazione), fatti subire all'ectoderma in espianto potevano provocare la sua neuralizzazione senza l'intermediario di un induttore, né della citolisi: la cosiddetta neuralizzazione autonoma. In questo caso, come in quello dell'i. normale e dell'i. indiretta per citolisi, il meccanismo della neuralizzazione sarebbe, secondo J. Pasteels (1951), sempre da riferirsi all'azione dei granuli ribonucleici, detti ribosomi, presenti nel tessuto reagente e precisamente nell'ectoderma.
Da questa vasta serie di esperimenti e di risultati, non sempre concordanti e talora confusi, sono scaturite varie teorie e ipotesi di lavoro: la teoria del doppio gradiente di A. Dalcq e J. Pasteels (1937-41), ispirata a quella dei gradienti di C. M. Child, ipotizza che le differenze qualitative tra le i. siano dovute a diverse concentrazioni di un ipotetico agente, l'organizina che, nella giovane gastrula degli Anfibî sarebbe concentrata secondo un gradiente citovitellino e un gradiente corticale dalla cui interreazione dipenderebbe il potenziale morfogenetico delle varie parti. I granuli citoplasmatici di acido ribonucleico di J. Brachet, con la loro esatta localizzazione secondo un gradiente, potrebbero materializzare questo potenziale. Plausibile anche la concezione di J. Holtfreter che vede un intimo legame tra i. e movimenti morfogenetici della gastrulazione, proprietà di aggregazione e di dispersione delle cellule, e la loro organizzazione polare, ciò desumendo da osservazioni sulle tendenze cinetiche delle cellule isolate. Nell'i. neurale l'orientamento delle cellule, il loro allungarsi e approfondirsi, la tendenza a distaccarsi dalle altre, queste e altre attività cinetiche, che si possono manifestare indipendentemente da stimoli induttori, sarebbero determinate dall'organizzazione assiale delle cellule e principalmente da variazioni temporanee e localizzate della capacità di espansione della membrana cellulare, dovute a cambiamenti della composizione e distribuzione molecolare. Sulla base di un simile meccanismo Holtfreter spiega le i. neurogene legate a certi effetti citolitici, ribadendo che la spiegazione degli effetti induttivi più che nell'induttore debba essere ricercata nel sistema reagente.
In questi ultimi anni si è venuta affermando anche l'idea, fortemente sostenuta dai risultati delle ricerche di S. Ranzi (1953-55) che nell'i. e perciò nella determinazione, abbiano un ruolo fondamentale le modificazioni strutturali delle proteine protoplasmatiche: nelle condizioni della loro denaturazione o stabilità si troverebbe la possibilità o meno che esse partecipino alle sintesi in giuoco nella morfogenesi.
L'orientamento attuale delle ricerche ci conduce così ad ammettere un possibile legame tra struttura molecolare e morfogenesi. Sono favorevoli a tali vedute J. Needham (1942), J. Holtfreter (1944) e P. Weiss (1947). Needham, escludendo la trasmissione di una sostanza chimica, attribuisce l'i. a un orientamento polare e a un'attrazione di una lunga catena di molecole nelle cellule del territorio reagente dalla faccia rivolta all'induttore; l'effetto si estenderebbe alle estremità opposte delle cellule producendo un aumento di complessità strutturale che porterebbe al differenziamento neurale. Anche per Holtfreter al processo induttivo non sarebbero estranee le forze attrattive delle interfacie e i fenomeni di adsorbimento molecolare fra le superfici di contatto tra induttore e territorio reagente, ipotesi che P. Weiss ha elaborato ed esteso nella sua originale concezione della "ecologia molecolare" che, pur criticata da alcuni, ha il merito di aver portato il problema dell'i. al livello delle ultrastrutture del citoplasma e della sua architettura molecolare. Tale ricerca urta contro gravi difficoltà, ma dallo studio delle ultrastrutture dei colloidi del citoplasma embrionale, dell'ordinamento spaziale degli edifici proteici, dell'orientamento delle molecole, della loro forma e attività, potranno scaturire le cause e le circostanze che fanno variare, secondo un tipico modello, la "competenza" dei varî tessuti e che instaurano coll'i. embrionale, le differenze qualitative tra i varî territori presuntivi dell'embrione.
Bibl.: Analysis of development, a cura di B.H. Willier, P. Weiss, V. Hamburger, Philadelphia e Londra 1955; P. Pasquini, Induzione embrionale e organizzazione, in Pubbl. della Staz. Zool. di Napoli, suppl. volume XXI (1949), pp. 106-130; J. Brachet, The biochemistry of development, Londra, New York, Parigi, Los Angeles 1960.