siderurgica, industria
Insieme delle imprese e delle attività volte alla produzione e alla prima lavorazione del ferro, della ghisa, dell’acciaio e delle ferroleghe, fino alla produzione di semilavorati.
Fin da epoche remote furono sviluppate tecniche di trasformazione dei metalli per la produzione di attrezzi agricoli e di armi per la caccia e la difesa. In una lunga fase il principale minerale utilizzato fu il rame, che venne in seguito addizionato con alluminio, nichel, berillio e soprattutto stagno; fu proprio la lega di rame e stagno, cioè il bronzo, a identificare un lungo periodo della civiltà. La lavorazione del ferro e le prime leghe furono introdotte per ottenere un materiale più lavorabile e aumentarne le caratteristiche d’utilizzo. Dal 12° sec. a.C. i luoghi di estrazione, come l’Isola d’Elba, divennero anche i primi centri di trasformazione del ferro.
Benché le tecniche di lavorazione si siano sviluppate costantemente nel tempo, fu durante la rivoluzione industriale che si accelerarono le innovazioni tecnologiche, per rispondere a una domanda rapidamente crescente. Le tecnologie introdotte servirono per garantire qualità e affidabilità anche per elevati volumi di produzione, registrando economie di scala sempre più rilevanti. L’introduzione di nuove leghe, come l’acciaio inox, estesero l’uso dei derivati del ferro, che furono impiegati nella costruzione di edifici residenziali, e impianti industriali, ferrovie e infrastrutture, navi, mezzi di trasporto e armamenti, rendendo l’i. s. un fattore di modernizzazione dell’intera struttura economica e sociale. Alla fine del 19° sec. le grandi imprese produttrici di ferro e acciaio divennero strategiche per lo sviluppo e l’affermazione delle nazioni nell’età dell’imperialismo.
In Italia le grandi aziende siderurgiche e le imprese meccaniche a esse legate erano strettamente intrecciate con le grandi banche miste. Con la Prima guerra mondiale questi conglomerati crebbero in modo esponenziale; alla fine del conflitto dovettero però affrontare una crisi, che si tradusse nel fallimento delle banche. Il salvataggio pubblico portò nel 1933 all’istituzione dell’IRI (➔) che acquisì gli istituti di credito e le loro partecipazioni, tra cui proprio le imprese siderurgiche e in particolare l’Ilva già legata alla Banca Commerciale.
Nel 1946 vi fu un ampio dibattito alla Costituente sull’opportunità di privatizzare l’impresa pubblica, ma si giunse presto alla conclusione che un Paese in rapida crescita in mercato aperto necessitasse di ingenti disponibilità di ferro e acciaio, da cedere a prezzi competitivi alle imprese trasformatrici, direttamente esposte sul mercato internazionale. Venne dunque lanciato nei primi anni 1950 un vasto programma della siderurgia pubblica, chiamato piano Sinigaglia (➔ Sinigaglia, piano), che portò alla riorganizzazione del comparto nella Finsider, di proprietà dell’IRI, con la creazione di diversi grandi poli ad alta tecnologia, l’ultimo dei quali a Taranto. Nel contempo, la produzione di carbone e acciaio divenne oggetto delle prime sperimentazioni volte all’integrazione del mercato europeo con la creazione della CECA (➔).
Il settore in Europa crebbe rapidamente negli anni 1950 e 1960; tuttavia, successivamente alle crisi petrolifere degli anni 1970, si verificò una profonda crisi strutturale che richiese una radicale riorganizzazione, con fusioni significative nei diversi Paesi; nella Germania Federale, per es., le tradizionali imprese leader (Krupp, Thyssen) si fusero in una sola grande impresa. In Italia la privatizzazione dell’IRI (giugno 2000) ha ceduto le imprese siderurgiche pubbliche a un numero di nuove imprese specializzate, cresciute nel dopoguerra soprattutto nella rilavorazione del rottame. Nel 2010 la produzione mondiale di acciaio è stata stimata in 1.413 milioni di tonnellate, di cui ben il 63,6% prodotto in Asia, il 12,2 nella UE, il 7,9% in America Settentrionale, il 7,7% in Russia e Confederazione Stati Indipendenti, e il restante 8,6% nel resto del mondo.