ELETTRICA, INDUSTRIA
Nel periodo tra le due guerre nell'i.e. in Italia si consolidò un oligopolio, il cui perno era costituito dalla società Edison con importanti appoggi nel mondo politico e finanziario del tempo. Nonostante la crisi del 1929 e l'intervento dello stato nel settore elettrico attraverso l'IRI, le decisioni importanti furono appannaggio dei gruppi privati i quali riuscirono a ottenere dal fascismo una serie di provvedimenti favorevoli in materia di politica tariffaria, di contributi alla costruzione degli impianti e delle linee di trasporto, nonché la proroga per cinquant'anni di tutte le concessioni.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale nel 1939 la potenza installata sfiorava i 6000 MW e la produzione superava i 18 miliardi di kWh. La situazione era però fortemente squilibrata: la produzione era localizzata per il 71% nell'Italia del Nord, per il 17,5% nell'Italia centrale e solo per il 9,5% nell'Italia meridionale. Nonostante il 95% dei comuni italiani fosse servito dalle reti di trasmissione, solo il 50% delle famiglie aveva l'allacciamento poiché l'elettrificazione rurale comportava costi difficilmente sostenibili.
Parallelamente all'impegno per la ricostruzione si sviluppò nel dopoguerra un movimento di opinione favorevole alla nazionalizzazione dell'i.e., sostenuto sia dalla sinistra di ispirazione marxista, sia dai socialisti e da esponenti di forze politiche laiche. Dopo una lunga serie di lotte di potere che coinvolsero i maggiori rappresentanti dell'industria e della politica e che provocarono lacerazioni profonde negli stessi partiti di maggioranza, nel dicembre 1962 il governo presieduto da A. Fanfani varò il decreto che nazionalizzava l'i.e., al termine di un vivace dibattito parlamentare. Veniva così creato l'Ente di stato per l'Energia Elettrica più conosciuto con la sigla ENEL (v. App. IV, i, p. 692). Esso assunse la figura giuridica di ''ente pubblico economico'' con finalit'a quindi di utilit'a pubblica, ma con facolt'a di utilizzare strumenti di diritto privato per raggiungere i propri obiettivi. Per l'operazione di nazionalizzazione lo stato non sostenne alcun onere, in quanto tutta l'operazione fu finanziata attraverso l'indebitamento del nuovo ente. Le tariffe elettriche in vigore consentirono non solo di pagare gli indennizzi, ma anche i nuovi investimenti, cosicché l'ENEL fino al 1973 non ricevette alcun fondo di dotazione. Ai privati fu consentita la produzione di energia elettrica per l'alimentazione dei propri stabilimenti industriali, ma solo dietro autorizzazione del ministero dell'Industria e con l'obbligo di cedere gli eventuali esuberi all'Ente di stato.
Fino agli inizi degli anni Sessanta il fabbisogno di elettricità veniva coperto quasi per intero dalla fonte idroelettrica. Il problema più immediato per l'ENEL, appena dopo la sua costituzione nel 1963, fu l'adeguamento dell'offerta alle crescenti esigenze dello sviluppo. Esaurite le risorse idroelettriche, l'ENEL ricorse alla produzione termoelettrica, con grandi impianti fino a 660 MW, che consentivano notevoli economie di scala e un rendimento maggiore del combustibile. Non mancò un impegno anche nel settore nucleare, il cui sviluppo era stato iniziato dalle società elettriche private, e nel settore geotermico, in cui l'ENEL può vantare oggi un'esperienza di prim'ordine.
Organizzare in una struttura unitaria e integrata un complesso di 1200 aziende elettriche richiese uno sforzo intenso per l'unificazione delle tensioni, la razionalizzazione del sistema, l'automazione degli impianti più piccoli, l'ammodernamento delle reti, che comportò prima di tutto di uniformare a 220 V il sistema primario esistente e successivamente di costruire elettrodotti a 380 kV, collegati anche con i paesi limitrofi. Il settore elettrico italiano era appena uscito dalla fase di riorganizzazione seguito alla nazionalizzazione, quando si trovò a fronteggiare le due crisi petrolifere del 1973 e del 1980.
Per sua natura, l'i.e. è ad alta intensità di capitale, il che significa che una volta effettuati gli investimenti il prezzo del kWh viene stabilito in base a un piano di recupero degli investimenti. Proprio per questa peculiarità i prezzi dell'energia elettrica non hanno seguito quelli del petrolio, ma hanno subito oscillazioni molto più contenute. Per raggiungere questo risultato, però, fu necessario un grosso impegno per rifornirsi di materie prime e la stessa Banca d'Italia dovette intervenire impegnandosi a garantire le obbligazioni emesse dall'ENEL sui mercati internazionali per fronteggiare la crisi di liquidità.
La reazione alle impennate dei prezzi petroliferi determinò ovunque nel mondo una ristrutturazione dell'i. elettrica. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta si sono compiuti notevoli sforzi per riconvertire l'i.e. e aumentare l'impiego di combustibili alternativi agli idrocarburi. A un uso più intenso del carbone e soprattutto del gas naturale si è aggiunta nel corso degli anni Ottanta una consistente produzione di energia da fonte nucleare, che in alcuni paesi come la Francia e il Belgio copre oltre il 60% del fabbisogno. È mancato invece uno sviluppo delle fonti rinnovabili, su cui si erano appuntate le speranze di ottenere energia pulita a basso costo. Solo alcune applicazioni di bassa potenza, per l'alimentazione di utenze isolate, sono oggi economicamente sfruttabili, ma l'alimentazione delle grandi reti di distribuzione resta un obiettivo di lungo periodo.
In Italia si è cercato di approntare un Piano Energetico Nazionale (PEN) che, sulla base di previsioni del consumo di elettricità per gli anni a venire, stabilisse i modi e i tempi per gli approvvigionamenti elettrici del paese. Tuttavia, mentre la discussione sui contenuti del PEN si protraeva, iniziò a manifestarsi con sempre maggiore intensità un'avversione diffusa verso l'impiego dell'energia nucleare. Tale avversione si concretizzò con la raccolta di firme per sottoporre a referendum la politica nucleare italiana. In queste consultazioni, svoltesi a pochi mesi dal gravissimo incidente occorso al reattore nucleare di Černobyl in Ucraina, gli elettori si espressero a favore dell'abbandono del programma nucleare dell'Italia, circostanza che rese necessaria la revisione del PEN. Un nuovo documento d'indirizzo della politica energetica fu predisposto nel corso del 1988. In esso si prevedeva un più ampio ricorso ai combustibili tradizionali per la copertura del fabbisogno elettrico e l'adozione di una serie di misure, volte a incentivare lo sviluppo delle fonti rinnovabili, la conservazione dell'energia, e una maggiore autoproduzione di energia elettrica da parte dei privati. Queste indicazioni furono tradotte in disposizioni legislative alla fine del 1990.
Il settore elettrico negli anni Ottanta, in mancanza di un quadro di riferimento generale, ha incontrato difficoltà ad adeguare l'offerta di energia alla domanda degli utenti e ha fatto ricorso alle importazioni (soprattutto dalla Francia), che ormai coprono l'80% dell'aumento di domanda e il 15% del fabbisogno totale. Bisogna inoltre tener presente che la costruzione di nuove centrali incontra sempre maggiori ostacoli per l'avversione delle popolazioni, per la complessità delle procedure da seguire e per la difficoltà nell'ottenimento dei permessi delle autorità locali.
La produzione elettrica italiana destinata al consumo, grazie a un uso più intenso del parco esistente, è aumentata costantemente nel decennio Ottanta raggiungendo nel 1989 161 miliardi di kWh, nonostante un calo nella produzione idroelettrica provocato da una crisi della portata idrica dei corsi d'acqua. La richiesta di elettricità (tab. 1) ha subito aumenti inaspettati, soprattutto negli ultissimi anni, sfiorando i 240 miliardi di kWh nel 1991, nonostante che in Italia i consumi domestici, tra i più bassi dei paesi industrializzati, vengano limitati da una politica tariffaria che scoraggia gli allacciamenti di grossa potenza.
Nel settore industriale l'intensità elettrica (tab. 2) presenta nel 1990 un valore medio (0,079 tep/milioni 1985) in linea con il dato del 1980; infatti da un lato l'automazione nei processi industriali spinge la domanda di energia elettrica al di sopra della crescita della produzione; dall'altro i nuovi processi permettono diminuzioni nei fabbisogni unitari. Scendendo nell'analisi dei singoli comparti si può notare che l'intensità energetica nel 1990 è diversa a livello settoriale da quella del 1980: a fronte di una consistente riduzione dell'intensità elettrica nei comparti a più alto impiego di questo fattore, quali la chimica, i minerali e metalli ferrosi e non ferrosi e i minerali non metalliferi, si rileva un generalizzato aumento negli altri settori, con punte significative nelle industrie alimentari e tessili. A ciò va aggiunto che l'elettricità per le sue caratteristiche di duttilità e trasportabilità rappresenta la forma più pregiata di energia. I settori più innovativi, per es. l'elettronica, le telecomunicazioni, l'aeronautica, sono ad alta intensità elettrica. Il loro sviluppo nel corso degli anni Ottanta è stato determinante per l'aumento dei consumi e ha in parte controbilanciato gli effetti del processo di risparmio energetico attuato nei settori manifatturieri tradizionali. Nel settore civile, il terziario ha aumentato nell'ultimo decennio i consumi elettrici di circa il 96%, contro il 43,5% degli usi domestici (tab. 3). Tra le branche del terziario quelle che hanno avuto nello stesso periodo gli incrementi più consistenti sono il settore del credito, assicurazioni e gestioni finanziarie (+201,4%), dei servizi (+128,1%), del commercio (+123,8%) della pubblica amministrazione (+81,2%). I prezzi dell'elettricit'a sia per le famiglie che per l'industria hanno subito oscillazioni molto contenute, soprattutto se considerate in termini reali, mentre al fine di limitare i consumi la componente di prelievo indiretto ha subito un forte aumento in concomitanza con la seconda crisi petrolifera. Successivamente è seguita una crescita più contenuta ma costante.
Nel resto della CEE l'andamento della domanda è molto simile a quello che si osserva in Italia. Nonostante i massicci impegni nello sviluppo dell'energia nucleare, che copre oltre un terzo del fabbisogno contro il 5% nel 1973, i combustibili fossili continuano ad alimentare la maggior parte della produzione, 56% contro l'83% del 1973. Tra questi il petrolio, sostituito progressivamente dal carbone e dal gas naturale, ha un rilievo sempre minore (8% circa) nella produzione. L'Italia è tra i paesi che ancora sono in ritardo nel processo di diversificazione delle fonti e rispetto ai partners comunitari dipende in misura maggiore dalla fonte petrolifera. Stabile intorno al 12% è il contributo della fonte idroelettrica. Tra il 1970 e il 1985 il consumo di elettricità nella CEE è aumentato del 60% (3,2% in media annua), mentre nel triennio successivo il ritmo di crescita è rallentato al 2,9%. Parallelamente l'intensità elettrica, tra il 1970 e il 1985, ha registrato un incremento medio dell'1,1% all'anno anche se non uniforme in tutta la CEE.
La quota di elettricità sul PIL è stata più alta in quei paesi, come la Francia, che hanno fatto ricorso più ampio all'energia nucleare. Dal 1986 comunque l'intensità elettrica è rimasta invariata, da un lato perché i prezzi degli idrocarburi sono scesi in modo molto pronunciato e perché vi è stato un rallentamento nella costruzione di centrali nucleari, dall'altro perché − anche a seguito delle crisi petrolifere degli anni Settanta − l'utilizzo di energia in generale tende a essere più efficiente.
La crescente importanza dell'elettricità è però evidenziata dalla sua penetrazione: tra le fonti di energia copre oltre il 18%, dal 14,7% del 1980. Questo dato però varia da paese a paese secondo il livello di automatizzazione dell'industria, la diffusione degli elettrodomestici, la disponibilità di fonti alternative. L'Italia in questo processo è sostanzialmente allineata con i paesi più industrializzati.
In questi ultimi anni, non solo in Italia, si è manifestata una preoccupazione sempre maggiore per i danni che la produzione elettrica provoca all'ambiente. Per questo motivo vi è un impegno costante a sviluppare e applicare tecnologie che consentano di ridurre le emissioni di agenti inquinanti nell'atmosfera, in particolare l'anidride carbonica prodotta dalla combustione degli idrocarburi e del carbone. Nel novembre 1988 la Commissione delle Comunità Europee ha emanato una direttiva per il controllo delle emissioni dai grandi impianti elettrici, con l'obiettivo di riportarle ai livelli del 1980.
Bibl.: E. Scalfari, Storia segreta dell'industria elettrica in Italia, Bari 1963; Energia e sviluppo: l'industria elettrica italiana e la società Edison, a cura di B. Bezza, Torino 1986; V. Bitetto, La nazionalizzazione tradita: cent'anni di industria elettrica tra privato e pubblico, Milano 1988; AA.VV., La nazionalizzazione dell'energia elettrica: l'esperienza italiana e di altri paesi europei, Bari 1989; Centro studi di politica economica, Situazione energetica e politiche di intervento, Roma 1990; Commissione CEE, Panorama de l'industrie communautaire, Bruxelles 1990.