induismo
Il termine «indù» (dal medio-pers. hinduk) fu coniato ai tempi della diffusione dell’islam in India per indicare la regione del Fiume Indo (sanscr. Sindhu, ar. al-Hind) e, per estensione, i territori dell’intero subcontinente insieme ai loro abitanti e alla civiltà da essi prodotta. Furono per primi i colonizzatori inglesi, dalla fine del sec. 18°, a interpretare hindu in senso collettivo religioso e a derivarne il neologismo hinduism nell’ambito di un progetto di catalogazione e separazione delle principali fedi e filosofie dell’India (i., jainismo, buddhismo, sikhismo e islamismo). Da allora il termine ha acquisito valore corrente in quanto riferito al corpus articolato di credenze, costumanze e tradizioni comunitarie esistenti in India prima dell’arrivo dell’islam, e sviluppatesi dal 10°-11° sec. in poi come prosecuzione del brahmanesimo. Pur presentando una fisionomia estremamente diversificata nei contenuti delle tradizioni regionali (dalle arti al diritto consuetudinario, dalle vie di salvezza agli stili di regalità), l’i. ha garantito un continuum culturale fondamentalmente unitario nello spazio e nel tempo. A livello religioso, l’integrazione fra divinità locali e panindiane si è strutturata nel binomio fra le cd. Piccola e Grande tradizione, dove i due piani si rafforzavano e legittimavano reciprocamente. A ciò si è collegato l’importante istituto del pellegrinaggio, che ha notevolmente contribuito a rinsaldare insieme il territorio sulla base di un condiviso senso del sacro. A livello sociale, aspetti salienti dell’i. sono la natura gerarchica delle relazioni fra soggetti titolari di identità ascrittive (caste) inserite nel dharma (l’esistente visto come mondo organico) e la presenza di una pluralità di fonti di autorità complementari investite in centri-persona, ciascuno competente in una particolare sfera dell’esperienza umana. Le relazioni castali, in particolare, si sono configurate guardando a un modello ideale di funzioni di base (i quattro varna: brahmana, sacerdoti; kshatriya, guerrieri; vaishya, agricoltori/commercianti/artigiani; shindra, servitori), concretizzatosi nella prassi in un’articolazione mutevole di legami rituali, economici e politici fra le unità effettivamente presenti sul territorio (le jati, ossia le comunità per «nascita»). Nel loro insieme le jati hanno organizzato il rapporto fra uomo, natura e mondo sovrumano; l’i. ha così attribuito larga autonomia alla società nei confronti del potere politico, concepito soprattutto come custode e garante di un equilibrio complessivo. Ciò ha determinato una notevole dinamicità sociale in conseguenza delle opportunità di trasformazione di volta in volta offerte dal divenire storico: eventi bellici, ascesa e declino di Stati, migrazioni, messe a coltura di territori vergini, nuove professioni rese possibili dall’avanzamento tecnologico, hanno preparato il terreno alla nascita di sistemi sociali aperti che, pur nella riaffermazione di valori culturali condivisi, hanno prospettato sempre nuove soluzioni alle istanze della convivenza umana.