indovinelli e enigmi
L’enigma (dal gr. áinigma «discorso coperto») è una forma letteraria tradizionale nella quale un testo, normalmente in versi, fa allusione in modo più o meno criptico a un tema nascosto che il destinatario della comunicazione è sfidato a indovinare. Per indovinello si intende una varietà giocosa e popolare di enigma, che più frequentemente dell’enigma propone trabocchetti verbali o soluzioni particolarmente argute. I due generi non sempre possono esser distinti formalmente e i loro nomi vengono spesso usati in modo intercambiabile, con una connotazione letteraria e colta per enigma e una scherzosa e infantile per indovinello.
L’enigma è una forma di sfida verbale nota in tutti i tempi e a tutti i popoli. Da linguaggio ostile usato dagli dei nei confronti dell’uomo (Colli 1975, 1977) a dispositivo narrativo (Barthes 1970), l’enigma ha da sempre rappresentato un modello di articolazione e distribuzione del sapere e della competenza linguistica e semiotica nella cornice di una sfida tra chi li detiene (il dio, il sacerdote, il profeta, il sapiente, il maestro, il colpevole, l’autore) e chi li ricerca (l’uomo, il fedele, l’allievo, il detective, il lettore). La codificazione criptica del messaggio oracolare rendeva certo che chi arrivava a comprenderlo ne fosse degno; la difficoltà di un enigma conferiva alla sua soluzione lo status di parola d’ordine, prova di ammissione a un circolo ristretto, a una setta dotata di un linguaggio proprio, incomprensibile ai non iniziati.
Ancora in epoca presocratica, l’enigma ha delineato l’esistenza di una funzione non comunicativa, esoterica e potenzialmente mortifera nel linguaggio. In Pindaro («l’enigma che risuona dalle mascelle feroci della vergine», frammento 177 d), e con riferimento diretto al mito edipeo, l’enigma si configura come comunicazione ostile che gli dei rivolgono agli uomini per il tramite di figure intermedie, come la Sfinge.
Con il mito della morte di Omero, con la sfida tra Mopso e Calcante, con la dialettica socratica, però, alle forme sapienziali di enigma se ne affiancarono altre, in cui la sfida si faceva umana (da indovino a indovino, poi da uomo a uomo); il contenuto dell’enigma, neutro; la sua pragmatica, via via più innocua. Nacque così, a fianco dell’enigma, la forma del griphos, trappola linguistica per sfide giocose: il suo orizzonte cognitivo di riferimento non era più la sapienza (sophia) ma l’arguzia o l’astuzia (metis), l’intelligenza artigianale, ingegnosa, astuta di Dedalo e di Ulisse.
Enigmi sono presenti nei testi sacri, sapienziali e mitologici di tutto il mondo. Molti gli episodi enigmatici della Bibbia, dall’enigma di Sansone alla formulazione paolina «per spaeculum in aenigmate». Nel caso di Sansone (Giudici 14, 15-19), l’enigma che propose ai Filistei («Dal divoratore è uscito il cibo / dal forte è uscito il dolce») era irrisolvibile perché si riferiva a un evento osservato solo da lui (un alveare annidato nella carogna di un leone): i Filistei conobbero la soluzione soltanto consultando in segreto la moglie di Sansone («se non aveste arato con la mia giovenca, non avreste risolto il mio enigma»). È un caso di enigma senza soluzione o, essendo l’espressione contraddittoria, di enigma dalla soluzione impossibile. Il funzionamento della macchina testuale dell’enigma può infatti essere garantito soltanto dall’esistenza e dalla reperibilità di una soluzione:
la forma dell’enigma non solo fa sì che chi deve indovinare sappia che la soluzione è, o è stata, nota a qualcun altro, ma è tale da convincerlo che egli stesso può trovare la risposta. Questa convinzione si trasforma però rapidamente in un’altra: egli deve trovarla (Jolles, 1930; trad. it. 1980).
Con il sostanziale declino delle sue radici sapienziali, l’enigma diventa passibile di descrizione formale. Ciò avviene nella Poetica di Aristotele, dove è visto innanzitutto come una contraddizione logica, quasi una forma articolata e capziosa di ossimoro: «La natura dell’enigma è questa: nel dire cose reali, congiungere cose impossibili. Non è possibile far questo, orbene, secondo la connessione dei nomi, ma secondo la metafora è possibile» (Poetica 1458 a, 26-30).
Alla struttura descritta con precisione sintetica da Aristotele si può ricondurre perfettamente un enigma babilonese, forse il più antico di cui si abbia testimonianza:
È gravida senza concepire, ingrassa senza mangiare (II millennio a.C.)
La soluzione è: «la nuvola». La formula è superficialmente contraddittoria poiché nega due implicazioni logiche: se c’è gravidanza, c’è stato concepimento; se c’è aumento di peso, c’è stata alimentazione. Pur in assenza di indicazioni testuali, il solutore deve congetturare che si tratti di un discorso non ‘piano’ bensì ‘coperto’, il cui soggetto non è dichiarato in termini letterali ma nasconde un’analogia morfologica (l’ingrossarsi progressivo della nuvola come ingrossamento di un ventre), con due possibili motivazioni alternative (la gravidanza o la pinguedine). È da notare come il rapporto fra i temi espliciti (la fisiologia della riproduzione e dell’alimentazione) e il tema nascosto (la meteorologia) al tempo stesso ponga e contraddica il rispecchiamento tra corpo e natura, uomo e cosmo. L’uomo estende al cosmo le leggi che ha imparato a riconoscere sul proprio corpo ma si accorge che non sempre corrispondono. Cosa sia stato concepito nella gravidanza delle nuvole, cosa sia stato mangiato nel loro ingrassamento resta un segreto: su questo segreto enigmatico si esercita la casta degli indovini, tecnici e sapienti di ciò che non è palese all’occhio umano.
All’origine dell’enigma c’è l’idea che l’uomo è ignaro, può arrivare alla conoscenza solo tramite un percorso iniziatico. La sua facoltà di vedere si rovescia in una forma di cecità verso le cose nascoste: «Gli uomini si lasciano ingannare rispetto alla conoscenza delle cose visibili, come capitò a Omero che pure era più sapiente di tutti i Greci» (Eraclito, frammento 56). La consapevolezza di questa insufficienza sensoriale e quindi intellettiva è il tema che Giorgio Colli riassume nella formula del «pathos del nascosto», definito come «la tendenza a considerare il fondamento ultimo del mondo come qualcosa di celato» (Colli 1975).
Con Platone e soprattutto Aristotele, gli enigmi ereditati dalla tradizione sapienziale diventano soprattutto formule linguistiche, impiegate a fini letterari o anche pedagogici (Platone, Repubblica 479 b-c).
La prima attestazione dal gr. grîphos (lett. «rete da pesca») nel significato di «enigma» rivolto all’astuzia più che alla sapienza è in Aristofane (Vespe). Conosciamo il titolo di un’opera di Clearco di Soli (III sec. a.C.) dedicata a questi indovinelli: Peri Griphon.
La forma del griphos non sempre è ben distinguibile da quella dell’enigma. Nel mito della morte di Omero, così come lo tramanda Aristotele (Dei poeti) Omero soccombe per la causa che gli era stata profetata dall’oracolo: per non aver saputo risolvere un enigma posto da giovani pescatori. Il testo dell’enigma, «Quelli che abbiamo preso li lasciamo / quelli che non abbiamo preso li teniamo», pare alludere (assurdamente) ai pesci pescati, mentre in realtà si riferisce (sensatamente) ai pidocchi. La forma è quella dell’indovinello, che sfida la metis; la conseguenza pragmatica, per Omero (il «più sapiente di tutti gli uomini», sprovvisto però di metis), è quella, letale, dell’enigma.
Aulo Gellio parla del griphos, da lui chiamato anche scirpus (pianta simile al giunco, usata per costruire nasse; Notti attiche XII, 6), e cita un esempio sul nome del dio Terminus, che secondo il mito impedì lo spostamento di un suo altare sul Campidoglio per fare posto al tempio di Giove:
Se sia minore (minus) una volta o minore due volte non so bene,
o se sia l’una cosa più l’altra; a quanto ho sentito dire,
non volle darla vinta nemmeno al re Giove
La soluzione (ter-minus, Terminus) è imperniata sul meccanismo che poi sarà noto con il nome di sciarada; la presentazione è quella tipica dell’indovinello anglosassone che prenderà il nome di conundrum. Lo scirpo si risolve mediante un gioco di parole arguto (Terminus, ter minus, tre volte minore di Giove) e viene perciò dichiarato da Aulo Gellio «assolutamente divertente».
Un altro luogo delle Notti attiche (XVIII, 2) è dedicato a sfide conviviali, consistenti nel ricordare il luogo di un verso, nello spiegare un testo intricato, nel dipanare un paradosso logico o un paralogismo, nel riconoscere correttamente forme verbali rare.
Il genere degli Aenigmata, le raccolte di enigmi o indovinelli conviviali tipiche del VII e VIII secolo d.C., ha come capostipite il libro degli Aenigmata Symposii, che si può datare al V secolo. Molti i dubbi sul nome dell’autore, ma si ritiene probabile che Simposio fosse uno pseudonimo allusivo alla destinazione dei testi. L’indovinello era infatti divenuto un genere di intrattenimento nei banchetti: un genere colto, con riferimenti non rari a letteratura e filosofia, impiegato per introdurre nel corso della libera conversazione le semplici regole ludiche della presentazione e della soluzione (con eventuali premi).
La struttura a contrasti (Colli 1975, 1977, «antifatica»), tipica dell’enigma più antico, è ancora presente (sopravvivrà sia pure debolmente sino ai nostri giorni), ma lascia progressivamente spazio a una tecnica in cui nel testo non si hanno due piani semantici contrapposti, bensì due piani sovrapposti, come capita per esempio nell’allegoria, che è il genere letterario più vicino all’enigma.
Il testo propone un’isotopia indeterminata, che descrive alcune proprietà bizzarre (ma non più necessariamente contraddittorie) di un soggetto; la soluzione rende esplicito e letterale l’unico soggetto che può conciliare le incongruenze e dare consistenza alle indeterminazioni del testo:
Legata, sono messa in ceppi per tenere molti legati.
Sono vincolata io stessa prima, ma vincolata vincolo a mia volta.
E ho sciolto molti, ma io non sono stata sciolta
(Aenigmata Symposii, V)
La soluzione è: «la catena». L’arguzia dell’autore di questo indovinello consiste nel mettere in luce il carattere vincolato (la catena è formata da anelli legati indissolubilmente) e assieme vincolante (la catena serve per serrare) dello stesso soggetto; nell’enigma della Sfinge, a soluzione «l’uomo», il soggetto occulto è descritto attraverso un tratto assolutamente idiosincratico.
La tecnica della composizione di un enigma o di un indovinello prevede sempre una «descrizione straniata» di una categoria, in cui a essere messa in evidenza non è la differenza specifica che la designa (l’uomo è un animale senziente) o un proprium che la caratterizza (l’uomo è un animale senziente capace di riso), ma una proprietà molto distante dal nucleo della sua area semantica (l’uomo è l’animale senziente che con l’età cambia il numero di appoggi grazie a cui deambula).
È stato anche ipotizzato che almeno alcuni degli enigmi di Simposio potessero avere una vera e propria doppia isotopia, ossia una seconda soluzione ancora più nascosta della prima. Il primo enigma della serie è:
Di sopra sono piano, ma non sono piano in fondo.
Mi gira da una parte e dall’altra la mano
e svolgo opposte funzioni:
una parte annulla tutto ciò che l’altra ha fatto
La soluzione è «lo stilo», in cui la punta è opposta alla spatola che serve per spianare la cera cancellando lo scritto. Nella sua edizione degli Aenigmata, Manuela Bergamin nota come il testo si adatta anche al funzionamento dell’indovinello stesso, che ha una superficie testuale «piana» ma cela un secondo livello di senso più intricato e in cui la soluzione «annulla» quel che il testo dice esplicitamente (Bergamin 2005). L’ipotesi è molto suggestiva, anche in considerazione della funzione introduttiva del testo, posto come primo della serie dei cento indovinelli, ma non pare possibile dimostrarla con certezza.
La raccolta di Simposio può essere presa almeno convenzionalmente a testimonianza del passaggio dell’arte dell’enigma dall’oralità alla scrittura, dalla convivialità alla letteratura.
Con gli esempi biblici, quelli mitologici e quelli comparsi nell’opera di autori come Esopo, Marziale, Ovidio e Virgilio, la raccolta di Simposio e la sua diffusione ad opera di imitatori determinò l’esistenza di un vero e proprio filone culturale enigmatico per tutto il medioevo. Un filone in cui l’aspetto giocoso della sfida dell’enigma si combinava con i riferimenti filosofici, letterari, simbolici e mistici (Zumthor 1975). Dall’Exeter book (raccolta di indovinelli in inglese antico, VII-VIII sec.) all’«indovinello veronese» (considerato a lungo la prima testimonianza scritta di volgare italiano) sino all’uso della perifrasi in ➔ Dante, l’enigma si configura come una costante nell’uso virtuosistico dell’ambiguità linguistica. Al gusto dell’enigma si possono così riportare fenomeni come l’uso di senhal, gli acrostici e paragrammi nella poesia provenzale (Zumthor 1975), l’ermetismo delle rime petrose dantesche, i sovrasensi e messaggi nascosti nella poesia figurata (Pozzi 1981) e, nei secoli successivi, la voga delle imprese e quindi degli emblemi, la contemporanea nascita del rebus moderno, la metaforica barocca.
Diversi elementi di tipo enigmatico (se non di diretta derivazione dall’enigma) concorsero a determinare altrettanti aspetti della poesia moderna, dai suoi albori a oggi. Pure occorre distinguere tra la forma dell’enigma e le sue diverse componenti. Allusione, costruzione a contrasto, metafora inedita e sorprendente, sfida al lettore (o a un autore rivale, come nella tenzone enigmatica fra il Burchiello e ➔ Leon Battista Alberti), uso di codici crittografici, pathos del nascosto e gusto dell’ambivalenza semantica sono tutti elementi che, diversamente combinati, l’enigma ha avuto costantemente in comune con le più svariate tendenze letterarie e che lasciano sospettare la presenza almeno sotterranea di una componente enigmatica nella letteratura. In quanto alla forma compiuta ed esplicita dell’enigma, la sua presenza è rimasta sporadica ed episodica, confinata in opere come Le piacevoli notti di Giovanni Francesco Straparola o La sfinge di Antonio Malatesti o al puro divertimento letterario, come nel caso di ➔ Galileo Galilei, cui lo stesso Malatesti ha attribuito un sonetto enigmatico che ha come soluzione «l’enigma»:
Mostro son io più strano e più diforme
Che l’Arpía, la Sirena o la Chimera;
Né in terra, in aria, in acqua è alcuna fiera,
Ch’abbia di membra così varie forme;
Parte a parte non ho che sia conforme,
Più che s’una sia bianca e l’altra nera;
Spesso di cacciator dietro ho una schiera,
Che de’ miei piè van rintracciando l’orme.
Nelle tenebre oscure è il mio soggiorno,
Che se dall’ombre al chiaro lume passo,
Tosto l’alma da me sen fugge, come
Sen fugge il sogno all’apparir del giorno,
E le mie membra disunite lasso,
E l’esser perdo con la vita, e il nome
Il sonetto impiega una tecnica mista, in cui predomina sul piano sintattico la predicazione di un soggetto ‘vuoto’ (definito direttamente solo come «mostro») e sul piano semantico l’allusione allegorica. Con qualche consonanza con l’enigma della Sfinge, «l’enigma» è visto come una congerie mostruosa di membra. Non vi è la presenza di parole a doppio senso (salvo, forse, piè, che è possibile interpretare anche nel senso di «componente del verso»); notevole è il finale, dove l’enigma risolto perde la sua «alma», l’«esser», la «vita» e il «nome».
L’idea della soluzione dell’enigma come suo dissolvimento tornerà nei secoli successivi, in brani di autori come Jorge Luis Borges o Emily Dickinson («l’indovinello indovinato / è subito disprezzato / nulla vi è di più stantio / della sorpresa di ieri») e pare determinare un carattere dominante nella sensibilità contemporanea per l’enigma. Tale carattere, però, non è necessario: gli enigmi e gli indovinelli popolari del passato (come avviene ancora nel gioco infantile degli indovinelli) venivano continuamente ripetuti, «non morivano una volta risolti» (Jolles 1930; trad. it. 1980).
A partire dal Rinascimento, l’enigma viene registrato come fenomeno di costume e a volte anche biasimato come istigazione all’insincerità in trattati come Il libro del Cortegiano (1528) di ➔ Baldassarre Castiglione o il Galateo (1558) di monsignor Della Casa. L’enigma diventa oggetto di riflessioni più approfondite nella disamina delle possibilità di impiego virtuosistico dell’ambiguità che incomincia con la trattatistica delle imprese e culmina, in epoca barocca, con la Dissimulazione onesta (1641) di Torquato Accetto, con l’Agudeza y arte de ingenio (1648) di Baltasar Gracián, con il Cannocchiale aristotelico (1654) di Emanuele Tesauro.
Se il sonetto attribuito a Galilei testimonia della presenza di ingegnosi divertimenti enigmatici nel costume dell’epoca, è forse più significativa sul piano culturale la presenza di elementi enigmatici nella famosa citazione dal Saggiatore:
La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.
Continuando a tenere separati l’enigma come gioco in sé compiuto dall’enigma come assieme di pratiche e forme testuali e pragmatiche, è possibile vedere che in questa seconda accezione la riflessione sull’enigma si sia legata all’idea del mondo come libro, a una gnoseologia della ricerca come svelamento, a una metafisica della domanda senza risposta sia in campo esoterico (ermetismo, cabalismo) sia in campo filosofico (per es., nell’estetica hegeliana) sia in campo letterario (nel romanzo d’avventure, e poi nella detective story).
Nella riflessione filosofica del Novecento l’enigma ha interessato, tra gli altri, il pensiero di Walter Benjamin, l’antropologia di Claude Lévi-Strauss, la psicoanalisi di Sigmund Freud, di Carl Gustav Jung e di Jacques Lacan: nella maggior parte dei casi l’enigma non viene visto come testo, ma come elemento testuale, condizione di significazione o suggestione narrativa.
Le veglie dei contadini, che si radunavano a turno nelle diverse case o stalle per svolgere lavori notturni al coperto, sono state l’equivalente popolare dei banchetti patrizi e poi dei salotti altoborghesi. Ne restano tracce nelle raccolte di indovinelli che dal Seicento – lo ha notato Giuseppe Pitrè (1897) – portano titoli come Opera molto piacevole et bella da indovinare et da far ridere nelle veglie per passarsi tempo.
Nel suo studio sugli indovinelli popolari, Pitrè ha seguito soprattutto due filoni: la diffusione geografica dello stesso indovinello e l’origine popolare o colta del testo. In particolare, ha rintracciato in tutta Europa (dalla Sicilia alla Scozia, dalla Spagna alla Russia) versioni equivalenti in diversi dialetti italiani e in diverse lingue europee del seguente indovinello:
Fui assalito dalli miei nemici,
Ed assaltato nella casa propria;
La casa scappò fuor dalle finestre,
Ed io restai prigion fuori di casa.
La soluzione è «il pesce nella rete»; è probabile una reminiscenza dell’indovinello VII della raccolta di Simposio, a soluzione flumen et piscis, dove il fiume è dichiarato «la casa del pesce».
L’esempio mostra come sia probabile un’origine colta anche dell’indovinello popolare, specialmente quando si è in presenza di metrica e rima regolari.
Rispetto all’enigma di tradizione scritta, l’indovinello di tradizione orale si caratterizza anche per la presenza, frequente anche se non obbligatoria, di formule di ingresso («Indovina indovinello», «Cosa è che ...») e di congedo («... Chi lo indovina sarà dottore»; «... Enne e ne, indovina che cos’è»). Spesso, inoltre, gli indovinelli contengono nomi e parole inventate, per esigenze di rima ma anche per il vezzo di usare «un linguaggio di difficile intelligenza, con voci onomatopeiche e furbesche» (Pitrè 1897): «Sbrindoli e sbrandoli va in campagna» (indovinello trevigiano sul pulcino). Questo elemento ravvicina al nonsense e alla filastrocca l’indovinello che, per altri versi, si può accostare anche al proverbio per la concisione e per la trasmissione analogica di un sapere condiviso.
Fra i diversi tipi di indovinello, una certa importanza ha avuto l’indovinello in cui una descrizione apparentemente oscena nasconde una soluzione affatto anodina:
Il papa ce l’ha e non l’adopera,
il prete ce l’ha e non può darlo a nessuno,
l’uomo ce l’ha e lo dà alla donna,
la donna quand’è sposata lo prende.
La soluzione è: «il cognome». Questi indovinelli erano diffusi soprattutto nel periodo di Carnevale:
la plebe però ripeteva che il buon Dio in quei dati giorni chiudesse un occhio: ma, cessato il Carnevale, cessava anche la tolleranza; e neppure il più vituperato ribaldo avrebbe osato ripetere il meno sozzo di quegli enigmi, perché la ’nnivinagghia fora tempu diventa uffisa di Dio (Amabile Guastella, Indovinelli di Modica, Chiaramonte e Comiso, inedito del 1880; cit. da Pitrè 1897)
Data la necessità di alludere al soggetto osceno mentre ci si riferisce al soggetto anodino, suggerendo l’uno mentre si occulta l’altro, questo tipo di indovinello è il più vicino alla tecnica del doppio soggetto, poi perfezionata dall’enigmistica del Novecento (v. oltre, § 9). Per l’italiano è inoltre interessante che la prima attestazione scritta della parola indovinello sia riferita a questa variante licenziosa del gioco. Si tratta di un cenno che ➔ Giovanni Boccaccio fa, nel Corbaccio, alla trecentesca Canzone (o Novella) dello Indovinello, dove indovinello sta per il membro maschile, secondo un particolarissima forma di metonimia in cui il soggetto di un’allusione (il pene) viene nominato tramite la tecnica allusiva scelta (l’indovinello).
Altri tipi di indovinello popolare sono i chiapparelli e i conundrum anglosassoni. I chiapparelli (o chiapperelli) sono indovinelli a trabocchetto, il cui scopo è canzonare l’interlocutore. Il più delle volte si tratta di domande con risposte bizzarre e giocose: «Qual è il mese in cui le donne parlano meno?» «Febbraio»; «Che distanza c’è tra il cielo e la Terra?» «Quanto dalla Terra al cielo». A volte però la canzonatura consiste in una coda beffarda, il più delle volte in rima con la soluzione enunciata:
Sotto il ponte di Rinaldo
C’è quattr’occhi di cristallo,
Una veste persichina;
cavaliere chi c’indovina (proponente)
Il ranocchio (solutore)
Che ti sia cavato un occhio (proponente)
Per chiapparello è stato a volte anche inteso l’indovinello il cui trabocchetto contiene un gioco di parole, che il più delle volte consiste nell’enunciare la soluzione per via di ambiguità (il più delle volte un’omofonia).
Ve lo dico e ve l’ho detto
Ve lo torno a dir di nuovo
E se non lo capirete
Pezzo d’asino sarete.
La soluzione è: «il velo» («Ve-lo dico»...)
Oppure:
È una terra in Lombardia,
Non è Parma né Pavia,
Te lo dico e non lo sai,
Com’ha nome nol saprai
Soluzione: «Como» («Com’ha nome» ...). La burla appare molto semplice, ma non ha un grado basso di sofisticazione: consiste infatti nel mettere sotto gli occhi ciò che si pretende di nascondere, con un trabocchetto metasemiotico che non può che ricordare La lettera rubata di Edgar Allan Poe (grande scrittore enigmista, del resto).
Altri indovinelli che contengono giochi di parole – nella soluzione o nel testo – sono gli anglosassoni conundrum: Why Sahara is a beautiful place for a pic-nic? «Perché il Sahara è un ottimo posto per un picnic?»; la soluzione è: Because of the sand-which-is there «Per tutta la sabbia che c’è»; che però a seconda della lettura può assumere anche il significato di «Per i panini (che ci sono) là». Ancora: Which is the greatest Friday in the year? «Qual è il venerdì più importante dell’anno?». Soluzione: Mardi gras «Martedì grasso»; la soluzione si spiega perché Friday «venerdì» si legge come fry day «giorno della frittura».
Un altro tipo di indovinello tradizionale, popolare ma nel contempo letterario, è infine costituito dai dubbi, tenzoni poetiche spesso farsesche in cui ogni verso contiene una domanda o una risposta (famose varianti in prosa sono praticate in testi come Bertoldo).
Per ➔ enigmistica, nome coniato nell’ultimo decennio dell’Ottocento, si intende la produzione e la risoluzione di testi criptici a fini esclusivamente di gioco, prima su almanacchi e quindi su riviste e giornali. Può sorprendere che per tutto l’Ottocento, il secolo che si può definire proto-enigmistico, l’enigma abbia avuto una presenza soltanto sporadica in quel campo di cui sarebbe divenuto eroe eponimo. Più che enigmi e indovinelli, riviste e raccolte d’epoca proponevano sciarade e logogrifi (nome generico, derivato in tutta evidenza dall’antico griphoi, per giochi combinatori di vario tipo; in seguito per logogrifo si sarebbe inteso il gioco degli anagrammi parziali). Del resto, in quello stesso decennio finale dell’Ottocento che vide i primi tentativi di codificazione di questo gioco, Giuseppe Pitrè scriveva: «potrebbe dirsi che la sciarada sia oggidì l’indovinello delle persone civili».
I pochi indovinelli presenti erano perlopiù brevissimi, e spesso sembrano risentire dell’antica impostazione a contrasti:
Chi mi nomina, mi viola
La soluzione è: «il silenzio». È stato nel Novecento che si è affinata la tecnica detta del doppio soggetto (dal 1924 estesa anche a enigmi ‘su combinazione’, come la sciarada o l’anagramma), che consiste nella costruzione di un testo a doppia isotopia semantica (il senso apparente e il senso reale) secondo canoni di un certo rigore.
Il precedente, nell’indovinellistica popolare, è quello dell’indovinello licenzioso, in cui il senso apparente è sorretto da ciò che Sigmund Freud denominava la «latenza del discorso osceno».
Nel caso dell’indovinello enigmistico, invece, il tema del senso apparente è fissato da un titolo, l’unica parte del testo non soggetta alla doppia isotopia, come nel caso de La bambina ha tardiva dentizione, di «Odisseo» (Giulio Cattaneo):
Si mangia le parole e le trattiene
fra i labbri; ma il suo dire non è privo
di senso e un po’ sospesi sol ci tiene;
credo che stia mettendo un incisivo.
Il senso apparente deve essere consistente, coerente e compiuto, secondo il canone che gli enigmisti chiamano consequenzialità. Un medesimo grado di consistenza testuale è richiesto alla seconda isotopia, quella non palese, il cui argomento costituisce la soluzione del gioco. Nel caso dell’indovinello di «Odisseo», la soluzione è: «la parentesi».
La doppia isotopia si regge su diversi procedimenti semantici.
(a) «Si mangia le parole»: metafora concettuale («mangiare» come inglobare).
(b) «Le trattiene tra i labbri»: metafora morfologica («labbri»: elementi longitudinali lievemente curvati, come le parentesi).
(c) «Il suo dire non è privo di senso»: descrizione polisemica («dire», pronunciare / esporre; «senso», chiarezza linguistica / pertinenza di una digressione).
(d) «E un po’ sospesi sol ci tiene»: descrizione polisemica (sospensione dovuta a incertezza nell’eloquio / a digressione dal discorso principale).
(e) «Credo che stia mettendo un incisivo»: espressione polisemica («mettere un incisivo»: essere soggetti alla crescita di un dente / porre un inciso in una frase).
Le eventuali rotture della consistenza del senso apparente non sono problematiche nell’indovinello tradizionale, che anzi dichiaratamente pone davanti all’interlocutore lo straniamento di qualcosa di incongruo (avveniva anche in «Chi mi nomina, mi viola», espressione priva di un tema, nel suo senso apparente). Nell’indovinello enigmistico, invece, eventuali carenze di consistenza e verosimiglianza del discorso apparente sono possibili solo se assorbite nel registro umoristico della scena descritta, come nel caso de Ho una fidanzata timida, di «Fan» (Gianfranco Riva):
Forse perché è un modello di virtù
o perché sono in tanti ad osservarla,
lei mi costringe a entra’ nella credenza
ogni volta che decido d’abbracciarla
La soluzione è: «la fede». Per l’enigma contemporaneo il discorso è analogo a quello dell’indovinello, salvo che le incoerenze testuali saranno assorbite non dal registro umoristico bensì da quello poetico, come è in Pena d’amore di «Parisina» (Maria Fagnani Failla):
Dorme lontano da me
la sola persona
cui ho dedicato la mia vita.
E io rimango solo e piango
cercando rifugio in un bicchiere
e resto in piedi tutta la notte
finché mi ritrovo al mattino
coperto di polvere
a ondeggiare davanti allo specchio
con la bocca impastata
Soluzione: «lo spazzolino da denti». In questo esempio si può vedere come, specialmente nella dimensione testuale più dilatata dell’enigma, l’uso della polisemia può essere ridotto a pochissimi interventi, capaci di per sé di distanziare le due isotopie concorrenti («piangere»: lacrimare / far colare acqua; «rifugio in un bicchiere»: senso metaforico / senso letterale; «resto in piedi»: rimango desto / rimango ritto; «ondeggiare ... con la bocca impastata»: ondeggiare ... avendo la bocca impastata / oscillare assieme alla bocca piena di dentifricio).
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