Il primo caso di Hiv in Indonesia venne reso noto nel 1987. Da quel momento la situazione si è notevolmente e inarrestabilmente aggravata, facendo dell’Indonesia uno dei paesi asiatici in cui tale epidemia si diffonde con maggiore velocità. Nonostante la stima degli adulti che hanno contratto l’Hiv si attesti intorno allo 0,2%, dipingendo un paese a bassa propagazione del virus, allarma la forte incidenza dell’epidemia tra i consumatori di droghe pesanti e tra i cosiddetti ‘lavoratori del sesso’, senza parlare dei loro partner o clienti. Malgrado il conservatorismo religioso di questa nazione, a prevalenza musulmana, l’abuso di droghe pesanti è in costante aumento e il commercio del sesso è estremamente diffuso, considerato che dalle stime sembra che almeno dieci milioni di uomini facciano ricorso ai lavoratori del sesso ogni anno. Moltissimi sembrano essere i tossicodipendenti che sfruttano il proprio corpo per soddisfare il bisogno di sostanze stupefacenti: tale mescolanza di abitudini ad altissimo rischio intensifica la minaccia di una costante epidemia. Numerosi sono peraltro i fattori che espongono l’Indonesia a tale minaccia: come già ricordato i comportamenti sessuali a rischio sono comuni, mentre è estremamente limitata la conoscenza dell’Hiv nella popolazione. D’altro canto, se il rigido codice di moralità non impedisce alle persone di indulgere in certi comportamenti, certamente gioca un certo ruolo nell’ostacolare l’adozione di pratiche più sicure, che potrebbero bloccare o limitare fortemente la diffusione dell’Hiv. La polizia sanziona molto pesantemente, per esempio, sia i tossicodipendenti trovati in possesso di aghi sterili, sia le donne in possesso di preservativi.
Un cambiamento positivo di estremo rilievo per l’Indonesia è stato l’aumento sensibile nella percentuale di persone facenti parte dei gruppi maggiormente a rischio di infezione – come i camionisti o i tassisti – che decidono di sottoporsi al test dell’Hiv. Nonostante ciò lo stigma sociale e la discriminazione nei confronti di coloro che contraggono la malattia persistono e molti sono quelli che convivono con l’Hiv nascondendo le loro condizioni per timore che ciò possa ripercuotersi pesantemente sulla loro occupazione, status, integrazione sociale: in questo modo, però, le possibilità che questi soggetti ricevano un trattamento medico adeguato diminuiscono, mentre aumentano sensibilmente quelle di lasciare che l’epidemia possa propagarsi prepotentemente. In alcuni casi, però, qualche cambiamento ha cominciato a farsi largo: nel 2005, la remota provincia di Papua, dove più dell’1% della popolazione è affetto dall’Hiv, ha implementato una legge in cui si stabilisce la comminazione di una multa sostanziosa per i ‘clienti’ dei lavoratori del sesso allorché si rifiutino di usare il preservativo. Il locale dipartimento della salute, inoltre, ha dato inizio a un programma attraverso cui i lavoratori del sesso vengono sottoposti a check-up mensili e, nel caso vengano trovati positivi a una malattia sessualmente trasmissibile, smettano di lavorare finché la loro situazione fisica non lo permetta nuovamente.
L’Indonesia ha dato vita alla Commissione nazionale sull’Aids (Nac) nel 1994, con l’obiettivo di prevenire la diffusione dell’epidemia, fornire supporto alle persone colpite dall’Hiv/Aids, e coordinare il lavoro delle organizzazioni governative, non governative, del settore privato e della comunità. A questo riguardo, il budget destinato dal governo indonesiano al Nac è andato aumentando sensibilmente negli ultimi anni. Questo ha consentito l’ampliamento dei programmi di prevenzione e supporto, con particolare attenzione alla prevenzione della trasmissione dell’Hiv da madre a figlio. Il supporto finanziario alle attività di prevenzione e trattamento dell’Hiv arriva primariamente da organizzazioni internazionali, mentre la quota annuale stanziata dal governo indonesiano si attesta all’incirca sul 30%.