indicativo
L’indicativo è uno dei modi della coniugazione del verbo (➔ modi del verbo; ➔ coniugazione verbale). Con i suoi otto tempi, quattro semplici (presente, imperfetto, passato remoto, futuro; ➔ tempi semplici) tempi semplici e quattro composti (passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato remoto, futuro anteriore; ➔ tempi composti), il paradigma morfologico dell’indicativo è il più ricco di forme nell’ambito del sistema verbale italiano.
L’indicativo è il modo che permette al parlante di presentare la situazione denotata dal verbo asserendone la fattualità, indicandola cioè come un dato di fatto reale. Nelle frasi principali l’espressione della fattualità, pur non essendo l’unica funzione dell’indicativo, lo distingue dagli altri modi. Ad es., confrontando la frase principale all’indicativo in (1) a. con il suo corrispettivo al condizionale in (1) b.,
(1) a. Gianni è partito
b. Gianni sarebbe partito
si osserva che solo la prima permette di asserire l’evento della partenza di Gianni come un dato di fatto, mentre la seconda, al modo ➔ condizionale, lo sottopone a condizioni che ne limitano le possibilità di realizzazione (per es., Gianni sarebbe partito se avesse potuto) o riguardano il modo in cui il parlante è venuto a conoscenza del contenuto della frase (per es., a quanto dicono Gianni sarebbe partito).
Anche gli altri modi che si trovano in frasi principali (➔ congiuntivo e ➔ imperativo) non asseriscono la fattualità dell’evento, che viene piuttosto presentato come un desiderio (congiuntivo ottativo: se solo Gianni partisse!), una congettura del parlante (congiuntivo dubitativo: che Gianni sia partito?) o un ordine (imperativo: Gianni, ora parti!).
Nelle frasi subordinate la distinzione funzionale tra l’indicativo e gli altri modi è meno netta, come dimostrano l’alternanza tra indicativo e congiuntivo in alcuni tipi di subordinate (non sono sicuro se Gianni parte o parta; ➔ interrogative indirette) e la tendenza dell’indicativo a sostituire il congiuntivo in diversi tipi di subordinate (➔ lingue romanze e italiano). A differenza delle principali, nelle subordinate l’interpretazione fattuale non è infatti esclusiva dell’indicativo. Il congiuntivo si trova ad es. in frasi completive (mi dispiace che Gianni sia partito; ➔ completive, frasi) o concessive (sebbene Gianni sia partito …; ➔ concessive, frasi) che presuppongono la situazione presentata nella subordinata (la partenza di Gianni) assumendola come un dato di fatto. L’interpretazione fattuale si trova anche regolarmente con i modi non finiti del verbo come ➔ gerundio (essendo partito Gianni, abbiamo cambiato programma), ➔ participio (partito Gianni, abbiamo cambiato programma), ➔ infinito (partire quel giorno è stato un errore).
L’interpretazione fattuale, pur essendo possibile anche con altri modi, all’indicativo ha comunque una distribuzione più ampia, che riguarda sia frasi principali (Gianni è partito) che subordinate (so che Gianni è partito; poiché Gianni è partito, abbiamo cambiato programma), senza le restrizioni sintattiche che caratterizzano gli altri modi. Anche da un punto di vista semantico l’indicativo soffre di minori restrizioni degli altri modi, ai quali tende a sostituirsi assumendo anche significati modali non fattuali (ad es. nelle forme colloquiali del ➔ periodo ipotetico dell’irrealtà: Gianni partiva, se poteva → Gianni sarebbe partito, se avesse potuto; ➔ colloquiale, lingua).
Sia sintatticamente che semanticamente l’indicativo si caratterizza quindi come il modo verbale meno specificamente marcato e con minori restrizioni d’uso rispetto agli altri modi del sistema verbale italiano.
Per la sua particolare ricchezza morfologica e la presenza di minori restrizioni sintattiche e semantiche, l’indicativo può esprimere un insieme di funzioni ampio e diversificato, in cui si riconoscono tre nuclei semantici principali, riconducibili alle categorie grammaticali di tempo (➔ temporalità, espressione della), ➔ aspetto e ➔ modalità (Bertinetto 1986; Berretta 1992).
L’indicativo è l’unico modo del sistema verbale italiano in cui si trovino forme morfologicamente distinte di ➔ futuro, le quali, aggiungendosi a quelle di passato e presente, formano un sistema con tre valori temporali.
L’ambito temporale del passato è il più ricco morfologicamente, con due forme semplici (passato remoto e imperfetto) e tre composte (➔ passato prossimo, ➔ trapassato prossimo, ➔ trapassato remoto), mentre al futuro si distinguono due forme (➔ futuro semplice e ➔ futuro anteriore). Il presente è rappresentato da una sola forma, ma in realtà anche il passato prossimo condivide alcuni tratti temporali del presente, come dimostra la compatibilità con avverbi di tempo (adesso, a quest’ora, ecc.) che si riferiscono al momento in cui si parla (adesso Gianni è già partito).
Questo comportamento si spiega considerando che il passato prossimo rientra tra le forme composte, la cui caratteristica dal punto di vista temporale è quella di indicare anteriorità rispetto a un momento di riferimento. Nel caso del passato prossimo il momento di riferimento coincide con il momento in cui si parla, e per questo sono anche ammessi avverbi con valore temporale di presente. Il trapassato prossimo indica invece anteriorità rispetto a un momento di riferimento passato (alle 5 di ieri Gianni era già partito), mentre con il futuro anteriore il momento di riferimento si colloca nel futuro (alle 5 di domani Gianni sarà già partito).
Rispetto alle altre forme composte, il trapassato remoto presenta maggiori restrizioni sintattiche. Non diversamente dal trapassato prossimo, indica anteriorità rispetto a un momento di riferimento collocato nel passato, ma ricorre solo in subordinate temporali (non appena Gianni fu partito, cambiammo programma) in cui denota eventi anteriori al tempo indicato dal verbo della frase reggente (cambiammo programma). In italiano antico invece, il trapassato prossimo non aveva restrizioni sintattiche, essendo ammesso anche in frasi principali:
(2) E lo favolatore fue ristato [si fermò], e non dicea più (Novellino XXX, da Squartini 2010: 534)
Tra le forme di passato, il passato remoto e il trapassato remoto possono riferirsi esclusivamente a situazioni che sulla linea del tempo precedono il momento in cui si parla, mentre l’imperfetto e il trapassato prossimo ammettono anche un’interpretazione temporale di presente e futuro. In registri informali di italiano, l’imperfetto sostituisce il condizionale nell’espressione del futuro del passato:
(3) a. Gianni mi ha detto che partiva ieri [o adesso o domani]
b. Gianni mi ha detto che sarebbe partito ieri [o adesso o domani]
In questa funzione non ha nessuna restrizione temporale, come dimostra la compatibilità con avverbi di tempo passato (ieri), presente (adesso), futuro (domani). La stessa neutralizzazione delle distinzioni temporali si osserva negli impieghi modali dell’indicativo imperfetto nei periodi ipotetici dell’irrealtà, che possono avere valore temporale di passato, presente e futuro:
(4) se Gianni partiva ieri [o adesso o domani] era meglio
Come l’indicativo imperfetto, anche l’indicativo trapassato prossimo può comparire in periodi ipotetici dell’irrealtà senza restrizioni temporali: se ieri [o adesso o domani] Gianni era già partito, era meglio.
Coerentemente con quanto avviene al congiuntivo e al condizionale, in cui il presente ha valore sia di ➔ presente che di futuro, anche l’indicativo presente può assumere valore temporale di futuro:
(5) appena Gianni parte, decideremo cosa fare
D’altra parte, il futuro come espressione di una congettura del parlante (il cosiddetto futuro epistemico) può anche essere interpretato come presente (adesso Gianni starà partendo), neutralizzando totalmente la distinzione temporale tra presente e futuro. Lo stesso tipo di neutralizzazione si osserva nell’opposizione tra passato prossimo e futuro anteriore: il passato prossimo può assumere valore di futuro (appena Gianni è partito, decideremo cosa fare), mentre il futuro anteriore congetturale è compatibile con un’interpretazione di presente (adesso Gianni sarà già partito).
Come per le distinzioni temporali, anche per quanto riguarda il valore aspettuale l’indicativo presenta un sistema più complesso degli altri modi. Tra le forme di passato si riconosce un’opposizione fondamentale tra aspetto imperfettivo e perfettivo. Il primo è rappresentato dall’➔imperfetto, in cui la situazione viene visualizzata senza focalizzarne il limite finale:
(6) Gianni leggeva il giornale
Con le forme perfettive (passato remoto e passato prossimo) si focalizzano invece i limiti temporali della situazione (7 a.) o il raggiungimento di un punto finale eventualmente previsto dalla semantica del predicato (7 b.):
(7) a. Gianni lesse [o ha letto] il giornale per pochi minuti
b. Gianni lesse [o ha letto] tutto il giornale in pochi minuti
Nell’ambito di una visualizzazione imperfettiva è possibile riferirsi a eventi singoli (quando sono entrato, Gianni leggeva il giornale) o alla ripetizione indeterminata dello stesso evento (quando andavo a trovarlo, Gianni leggeva sempre il giornale; ➔ iterazione, espressione della), purché non se ne focalizzino i limiti temporali, che richiederebbero invece una forma perfettiva (per tanti anni Gianni lesse il giornale ogni giorno).
A questa distinzione principale, che caratterizza tutte le varietà di italiano, si aggiunge la possibilità di interpretare in senso aspettuale l’opposizione tra passato remoto e passato prossimo, che mostra gradi di vitalità diversi a seconda delle varietà di ➔ italiano regionale (Bertinetto & Squartini 1996). L’interpretazione aspettuale del passato prossimo si fonda sul valore di anteriorità che questo condivide con le altre forme composte. Indicando anteriorità temporale rispetto a un momento di riferimento che coincide con il presente (adesso Gianni è già partito), il passato prossimo permette di focalizzare l’attenzione non tanto sull’evento (la partenza di Gianni) quanto sulle sue conseguenze presenti (Gianni non c’è). Per questo motivo passato prossimo e passato remoto possono riferirsi allo stesso evento, che può anche essere collocato alla stessa distanza temporale dal presente, ma ciò che cambia è la prospettiva aspettuale. Mentre il passato prossimo descrive l’evento in base alle sue conseguenze presenti (Gianni è partito da molti anni), il passato remoto si concentra piuttosto sull’evento (Gianni partì molti anni fa).
In quelle varietà di italiano in cui il passato remoto non è più vitale, questa distinzione aspettuale viene neutralizzata e la forma di passato prossimo si usa con entrambe le funzioni:
(8) Gianni è partito molti anni fa ~ Gianni è partito da molti anni
In tal modo si ricostituisce in un certo senso la distribuzione funzionale del sistema latino, in cui le forme composte non esistevano e c’era quindi un’unica forma (in latino quella di perfetto semplice) che permetteva di esprimere la focalizzazione aspettuale sia sull’evento (lat. perii «andai in rovina») che sulle sue conseguenze attuali (lat. perii «sono rovinato»).
Per completare il quadro delle funzioni aspettuali bisogna anche ricordare che all’indicativo, come in altri modi dell’italiano, appare un’altra forma verbale con funzione aspettuale, la perifrasi stare + gerundio, che non esisteva in latino e il cui ruolo nel sistema verbale si è gradualmente consolidato nella storia dell’italiano (Squartini 1990; Brianti 2000; ➔ perifrastiche, strutture). All’indicativo, stare + gerundio è compatibile con tutte le forme semplici del verbo tranne il passato remoto (come accade invece in spagnolo), ammettendo quindi un’interpretazione temporale di passato (stava partendo), di presente (sta partendo) e di futuro (starà partendo).
Oltre al passato remoto, stare + gerundio esclude tutte le forme composte, dimostrando una specializzazione funzionale nell’ambito dell’imperfettività, all’interno della quale la perifrasi viene usata per denotare eventi in corso in un determinato momento del tempo (ieri alle 5 Gianni stava partendo). L’uso della perifrasi non è obbligatorio, ma rispetto alle forme semplici stare + gerundio permette di indicare senza ambiguità l’interpretazione imperfettiva. Ad es., nella frase Gianni parte il presente indicativo può indicare un evento in corso nel momento in cui si parla (in questo momento Gianni parte), ma anche un evento futuro che viene visualizzato perfettivamente nella sua globalità (domani Gianni parte). Disambiguando tra queste due interpretazioni la perifrasi progressiva seleziona soltanto quella imperfettiva (in questo momento Gianni sta partendo).
Il valore aspettuale dei tempi dell’indicativo si riflette anche sul loro uso come mezzo per esprimere i rapporti temporali all’interno delle strutture narrative dei testi (Bertinetto 2003). I tempi perfettivi (passato remoto e passato prossimo), focalizzando il punto finale, permettono di costruire sequenze di eventi ordinati in successione temporale e concatenati in modo da far procedere temporalmente la trama narrativa (Gianni preparò i bagagli, salutò tutti e partì). Al contrario l’imperfetto, in virtù della funzione aspettuale imperfettiva, non focalizza la conclusione delle situazioni rappresentate, che vengono così a costituire lo sfondo descrittivo della sequenza narrativa:
(9) era una bella giornata, quel giorno Gianni partiva e tutti erano indaffarati
In italiano antico gli usi testuali dei tempi dell’indicativo erano in parte diversi e il passato remoto si poteva anche trovare per indicare situazioni di sfondo, come dimostra il passato remoto furo nel seguente esempio:
(10) Due donne furo in Roma: a ciascuna morì il figliuolo (Novellino LXXI, da Squartini 2010: 524).
Tra le funzioni dell’indicativo rientrano anche impieghi modali, che permettono al parlante di modulare il grado di certezza, ammettendo anche il riferimento a situazioni non reali o immaginarie. Tempo futuro e aspetto imperfettivo sono i due ambiti da cui si sviluppano i valori modali delle forme dell’indicativo.
Esprimendo sia aspetto imperfettivo che valore di futuro del passato (Gianni mi ha detto che partiva oggi), l’imperfetto si presta particolarmente bene all’interpretazione modale (Bazzanella 1994: 97-107). Oltre all’impiego nei periodi ipotetici dell’irrealtà (se partiva oggi, era meglio), più generalmente l’imperfetto si può trovare in ogni contesto in cui vengano creati mondi fittizi e immaginari, ad es. nel racconto di sogni o nella descrizione di giochi da bambini.
I tempi del futuro (futuro semplice e futuro composto) permettono invece di segnalare che l’informazione espressa dal verbo è il prodotto di un ragionamento congetturale del parlante, rispetto al quale sono ammessi diversi gradi di certezza:
(11) forse [o probabilmente o sicuramente] Gianni starà partendo [o sarà già partito]
A partire dal valore congetturale si sviluppano altri impieghi modali (Bazzanella 1994: 108-121) utilizzati soprattutto nell’interazione dialogica, come il futuro concessivo (sarò piemontese, ma mica scema!, da Berretta 1997) o il futuro usato polemicamente per ritorcere un’offesa contro l’interlocutore (maleducato sarai tu!).
▻ schemi di flessione
Bazzanella, Carla (1994), Le facce del parlare. Un approccio pragmatico all’italiano parlato, Firenze, La Nuova Italia.
Berretta, Monica (1992), Sul sistema di tempo, aspetto, e modo nell’italiano contemporaneo, in Linee di tendenza dell’italiano contemporaneo. Atti del XXV congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana (Lugano, 19-21 settembre 1991), a cura di B. Moretti, D. Petrini & S. Bianconi, Roma, Bulzoni, pp. 135-153.
Berretta, Monica (1997), Sul futuro concessivo: riflessioni su un caso (dubbio) di de/grammaticalizzazione, «Linguistica e filologia» 5, pp. 7-40.
Bertinetto, Pier Marco (1986), Tempo, aspetto e azione nel verbo italiano. Il sistema dell’indicativo, Firenze, Accademia della Crusca.
Bertinetto, Pier Marco (2003), Tempi verbali e narrativa italiana dell’Otto-Novecento. Quattro esercizi di stilistica della lingua, Alessandria, Edizioni dell’Orso.
Bertinetto, Pier Marco & Squartini, Mario (1996), La distribuzione del perfetto semplice e del perfetto composto nelle diverse varietà di italiano, «Romance philology» 49, pp. 383-419.
Brianti, Giovanna (2000), Diacronia delle perifrasi aspettuali dell’italiano. Il caso di ‘stare’ + gerundio, ‘andare’ e ‘venire’ + gerundio, «Lingua nostra» 41, pp. 35-52 e 97-119.
Squartini, Mario (1990), Contributo per la caratterizzazione aspettuale delle perifrasi italiane ‘andare’ + gerundio, ‘stare’ + gerundio, ‘venire’ + gerundio. Uno studio diacronico, «Studi e saggi linguistici» 30, pp. 117-212.
Squartini, Mario (2010), Il verbo, in Grammatica dell’italiano antico, a cura di G. Salvi & L. Renzi, Bologna, il Mulino, 2 voll., vol. 1º, pp. 511-545.