INCUBO (dal lat. [daemon] incŭbus; fr. cauchemar; sp. pesadilla; ted. Alp)
Spirito, genio, spettro o demone, l'incubo è rappresentato nelle tradizioni popolari sotto forma d'un animale, di un omiciattolo rosso e gibboso, o d'una donna nera o d'una vecchia dal lungo naso (succube). In qualche luogo si crede all'esistenza di uomini-incubi (riconoscibili agli occhi bruni, allo sguardo freddo, alle labbra livide, alla doppia fila di denti, ai piedi piatti) la cui anima lascerebbe temporaneamente il corpo per opprimere i dormienti. Tale oppressione l'incubo esercita sedendo sul petto dell'addormentato, privandolo del respiro e talvolta accoppiandosi sessualmente. Da ciò, i nomi di Pantapeche (Abruzzo), Pesantola (Istria), Pundaccia e Ammuntadore (Sardegna), ecc. Per liberarsene, bisogna sorprendere l'incubo, afferrarlo per i capelli o ferirlo leggermente, così che dalla ferita escano 9 gocce di sangue. Vari gli amuleti preventivi, nascosti di solito fra le lenzuola o sotto i guanciali: palma benedetta, zanne di lupo, corna di becco, coltelli, ecc.; caratteristico lo Schrattgatterl usato nell'Alto Adige e altrove, che consiste in cinque asserelle di legno incrociate fra loro e poste sotto il letto. Talvolta il popolo confonde l'incubo col folletto (v.).
Bibl.: J. Börner, Über d. Alpdrücken, Würzburg 1855; C. Cubasch, Der Alp, Berlino 1877; Ranke, Alp, in Handwörterb. d. deutschen Aberglaubens, Berlino-Lipsia 1927. Per l'Italia: G. Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizî del pop. sicil., Palermo 1887-1889, IV, pp. 66-70; G. Finamore, Tradiz. pop. abruzz., Torino-Palermo 1894, p. 113; F. Babudri, Fonti vive dei Veneto-Giuliani, Milano s. a., p. 319; S. La Sorsa, Superstiz., pregiud. e cred. del popolo pug., in Lares, IV (1915), p. 52; G. Bottiglioni, Leggende e tradiz. di Sardegna, Ginevra 1922, p. 3.