Inconferibilità e incompatibilità degli incarichi
La recente legislazione anticorruzione ha introdotto, quale misura generale di prevenzione dei conflitti tra interessi particolari e interesse pubblico, una nuova disciplina della conferibilità e delle incompatibilità degli incarichi nelle pubbliche amministrazioni, fortemente innovativa rispetto alla disciplina previgente. La disciplina riguarda gli incarichi amministrativi, quelli di vertice e quelli dirigenziali, mentre non si occupa del regime di accesso e permanenza nelle cariche negli organi di indirizzo politico. Le novità più rilevanti concernono le cause di inconferibilità/incompatibilità (condanna per reati penali anche non definitiva; provenienza da imprese regolate o finanziate dalle pubbliche amministrazioni; provenienza da organi di indirizzo politico), l’applicazione a tutti i livelli di governo, la previsione di sanzioni specifiche in caso di violazione delle norme.
Il regime giuridico dell’accesso e della permanenza in incarichi di cura del pubblico interesse è consistito, fino all’entrata in vigore della l. 6.11.2012, n. 190, in una diversificata disciplina: da un lato i regimi dell’accesso alle cariche pubbliche politiche (elettive o di nomina), fondati sugli istituti dell’incandidabilità, dell’ineleggibilità e dell’incompatibilità e disciplinati dalle normative relative alle elezioni ai diversi livelli di cariche istituzionali; dall’altro il regime delle incompatibilità tra rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni e svolgimento di altre attività lavorative o professionali, disciplinati dalla normativa sul rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
1.1 Il problema
La disciplina dell’accesso e della permanenza nelle cariche pubbliche ha subito una significativa revisione con la l. n. 190/20121 e con il d.lgs. 8.4.2013, n. 392. Perché una legge di contrasto alla corruzione si è occupata del tema? Va considerato che la legge si caratterizza per la nuova attenzione dedicata, accanto alla tradizionale repressione penale dei reati (non solo i reati strettamente corruttivi, ma in generale i reati contro la P.A.), alla prevenzione amministrativa di comportamenti corruttivi in senso ampio, cioè di tutti i comportamenti con i quali i funzionari pubblici si discostano dalla cura imparziale dell’interesse pubblico per adottare (o influire sull’adozione di) decisioni amministrative condizionate impropriamente da interessi particolari3. Poiché la repressione penale, per ormai unanime constatazione, riesce a colpire solo una minima parte di tali comportamenti, risultandone così fortemente attenuato l’effetto di deterrenza, la legislazione italiana, anche su pressione delle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia che spingono in questa direzione, interviene in via preventiva. Nel nostro caso la prevenzione si realizza evitando che possano accedere e permanere in incarichi pubblici persone che si trovino in situazioni che facciano dubitare della loro imparzialità. La nuova disciplina si occupa, però, dei soli incarichi di tipo amministrativo, tralasciando di intervenire sulla disciplina vigente in materia di accesso e permanenza negli incarichi politici. L’attenzione agli incarichi amministrativi e in particolare a quelli dirigenziali deriva dall’introduzione, ormai consolidata, nel nostro ordinamento del principio di distinzione tra competenze degli organi politici (all’adozione di atti di indirizzo) e competenze degli organi amministrativi (all’adozione, in via riservata, di atti di amministrazione e gestione). La distinzione, se impone di curare con maggiore attenzione l’imparzialità dei funzionari titolari di organi amministrativi, non dovrebbe autorizzare una minore attenzione all’imparzialità dei funzionari pubblici titolari degli organi (politici) di indirizzo, data la sostanziale unità della figura del funzionario pubblico, alla luce dei principi costituzionali di imparzialità (art. 97), di servizio esclusivo della Nazione (art. 98) e di disciplina e onore nell’adempimento di funzioni pubbliche (art. 54)4.
1.2 La disciplina previgente
Partiamo dall’esame della disciplina in materia vigente prima della novella del 2012 (e del suo decreto delegato di attuazione). Il precedente regime si esauriva nella disciplina delle incompatibilità tra il rapporto di pubblico impiego e lo svolgimento di altre attività (o il mantenimento di interessi personali in conflitto con l’interesse pubblico). Secondo questo approccio il dipendente pubblico, una volta reclutato (con concorso), si vedeva attribuito (prima dalla legge in via unilaterale, poi, dopo la privatizzazione, dal contratto individuale sottoscritto in applicazione dei contratti collettivi) uno status giuridico fondato sulla totale incompatibilità tra rapporto di lavoro subordinato e altre attività lavorative. I limiti principali di questa disciplina erano da un lato il suo approccio generale (ad applicazione indifferenziata per tutti i dipendenti pubblici), che non permetteva di considerare la particolare posizione dei dirigenti amministrativi e lasciava non definita la posizione dei funzionari onorari, chiamati allo svolgimento di funzioni amministrative, ma senza un sottostante rapporto di impiego (si pensi alla posizione dei soggetti nominati sulla base di un rapporto di tipo fiduciario con l’organo nominante), spesso attributari di compiti di grande incidenza sulle decisioni amministrative. Dall’altro lato la prevalenza assegnata alla garanzia della prestazione lavorativa del dipendente pubblico. Ci si preoccupava, quindi, più di assicurare che il dipendente si dedicasse in via esclusiva al lavoro pubblico che di assicurare allo svolgimento delle funzioni amministrative la necessaria imparzialità. In questa prospettiva la generale incompatibilità poteva essere mitigata (art. 53, d.lgs. 30.3.2001, n. 165) dall’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza allo svolgimento di incarichi esterni (presso altri soggetti pubblici e privati) ritenuti, di volta in volta, e in modo discrezionale, come compatibili, perché non costituenti un rischio per la prestazione di lavoro da fornire all’amministrazione. Del tutto trascurato, poi, il profilo della provenienza del funzionario da situazioni (in particolare di cura di interessi privati) in potenziale conflitto con la cura dell’interesse pubblico, soprattutto per i funzionari “esterni”, in caso di provenienza immediatamente precedente il conferimento.
Le innovazioni della legislazione anticorruzione (l. n. 190/2012 e d.lgs. n. 39/2013) hanno per oggetto da un lato la modifica del regime di incompatibilità dei dipendenti pubblici, dall’altro l’introduzione di un nuovo regime delle inconferibilità e incompatibilità degli incarichi amministrativi.
2.1 Le modifiche al d.lgs. n. 165 del 2001
Le innovazioni al regime ordinario delle incompatibilità sono realizzate mediante la modifica dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001. Da un lato si interviene sul regime delle autorizzazioni allo svolgimento di incarichi estranei ai compiti d'ufficio rinviando (con il nuovo co. 3 bis) ad apposita fonte normativa (un regolamento del Governo) l’individuazione degli incarichi comunque vietati, distinti per ruoli e funzioni del personale. Il co. 5 è, poi, modificato per indurre le amministrazioni ad adottare «criteri oggettivi e predeterminati che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale di interessi che pregiudichino l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente». Come si vede l’attenzione all’imparzialità del dipendente nell’esercizio delle funzioni torna ad essere elemento centrale della disciplina, riequilibrando la segnalata esclusiva attenzione alla garanzia della prestazione lavorativa. D’altro lato si introduce, mediante l'aggiunta di un co. 16 ter all'art. 53, una nuova incompatibilità, questa volta successiva alla cessazione del rapporto di lavoro, che va anche sotto il nome di divieto di “pantouflage”. Ad imitazione di discipline già adottate in altri paesi (Francia e Germania tra gli altri) si stabilisce che: «I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri». Per rendere efficace il divieto, la stessa disposizione prevede che «i contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti». Con il nuovo divieto si vuole evitare che il dipendente, nella prospettiva dell’assunzione presso un’impresa privata regolata o finanziata da parte della sua amministrazione, possa subire improprie influenze nell’esercizio delle sue funzioni. Il limite della norma stava nella sua applicazione ai soli dipendenti pubblici, con ciò escludendo i dirigenti non legati da un rapporto di lavoro subordinato con l’amministrazione. A colmare la lacuna ha provveduto l’art. 21 del d.lgs. n. 39/2013, stabilendo che debbano essere «considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi» previsti nello stesso decreto, «ivi compresi i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo»5.
2.2 Il nuovo regime delle inconferibilità e incompatibilità
Come si è accennato, la vera novità della nuova legislazione anticorruzione sta nella nuova disciplina dell’accesso e della permanenza negli incarichi amministrativi. Ci si preoccupa di evitare che incarichi che richiedono imparzialità e distanza da interessi particolari siano affidati a soggetti che per la provenienza o per precedenti comportamenti tenuti, possano far dubitare della propria personale imparzialità. L’attenzione nasce, nel quadro della distinzione tra compiti di indirizzo e compiti di gestione, alla posizione dei dirigenti amministrativi. Per questo la disciplina della l. n. 190/2012 e del d.lgs. n. 39/2013 è dettata avendo al centro proprio la posizione dei dirigenti amministrativi, cui la legislazione vigente riserva in via esclusiva l’adozione di atti amministrativi e di gestione. Se i dirigenti sono al centro, non di meno la legge prende in considerazione altre figure di funzionari, che, pur non direttamente attributari di compiti di amministrazione attiva e di gestione, hanno un ruolo importante nei processi decisionali all’interno delle amministrazioni, quali gli incarichi amministrativi di vertice (si pensi al Segretario generale o al Direttore di dipartimento nei Ministeri, ai Direttori generali di Regioni ed enti locali, alla direzione delle ASL), cui la disciplina organizzativa delle amministrazioni affida compiti di coordinamento, spesso ravvicinato, dell’azione dei dirigenti. Nella stessa direzione va la comprensione, tra gli incarichi da disciplinare, delle posizioni di «amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico» (co. 50, lett. d), punto 3), l. n. 190/2012), finora non adeguatamente considerati sotto il profilo dell’imparzialità della loro azione amministrativa, soprattutto con riferimento agli amministratori degli enti di diritto privato in controllo pubblico, quando questi svolgano compiti di cura di interessi pubblici. La l. n. 190/2012 adotta, in proposito, un criterio sostanziale, che pone al centro non la natura giuridica dell’ente ma lo svolgimento di funzioni di cura di interessi pubblici. Chiara in questo senso l’indicazione del co. 49, dell’art.1, allorché comprende nella nuova disciplina gli enti privati in controllo pubblico esercitanti «funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici».
La legge sembra adottare un criterio ampio di funzionario pubblico, tendenzialmente coincidente con coloro cui sono affidate funzioni pubbliche (art. 54 Cost.). Questa tendenza è però smentita da una diversa scelta compiuta dal legislatore, quella di escludere dai nuovi interventi normativi i funzionari politici, cioè i componenti degli organi di indirizzo politico. Non è chiaro se l’esclusione derivi solo da una difficoltà contingente (un riflesso automatico di protezione della categoria in sede parlamentare) o da un ritardo di riflessione più strutturale, che ancora fa ritenere la politica come il luogo delle decisioni sottratte ai doveri di imparzialità.
Detto dei limiti soggettivi di applicazione della nuova disciplina va ora sottolineato il suo contenuto fondamentale: la centralità del regime dell’accesso agli incarichi. Non è più sufficiente, come si è visto, regolare la compatibilità tra l’esercizio di un incarico amministrativo conferito e altri interessi in potenziale conflitto. Occorre disciplinare la stessa possibilità di conferire l’incarico a soggetti che provengano da posizioni che possano pregiudicare l’aspettativa di un esercizio imparziale dell’incarico.
In questa prospettiva la legge prima, e il decreto legislativo di attuazione poi, individuano tre cause di inconferibilità: 1) aver tenuto prima del conferimento comportamenti impropri come nel caso di condanna penale, anche non definitiva, del funzionario per reati contro la pubblica amministrazione: la legge (art. 1, co. 50, lett. a), l. n. 190/2012 e art. 3, d.lgs. n. 39/2013) considera questi comportamenti in grado di compromettere la fiducia nell’imparzialità del funzionario sia da parte dei cittadini in generale che da parte dei destinatari della sua azione; 2) la provenienza immediata del soggetto cui deve essere conferito l’incarico da un soggetto/ente di diritto privato la cui attività sia sottoposta a regolazione o a finanziamento da parte dell’amministrazione che conferisce l’incarico (art. 1, co. 50, lett. b), l. n. 190/2012 e artt. 4 e 5, d.lgs. n. 39/2013; il divieto vale a maggior ragione, quando sia da conferire l’incarico relativo all’ufficio che in concreto deve svolgere le ricordate funzioni di regolazione e finanziamento); 3) la provenienza, sempre immediata, da cariche in organi di indirizzo politico (art. 1, co. 50, lett. c), l. n. 190/2012 e artt. 6, 7 e 8, d.lgs. n. 39/2013). Anche questa ultima previsione costituisce un’assoluta novità: il divieto di accesso all’incarico amministrativo non è fondato su potenziali conflitti di interesse (chi ha rivestito cariche politiche non è necessariamente portatore di interessi particolari), né su pregressi comportamenti impropri, ma sul venir meno anche dell’apparenza dell’imparzialità e sul dubbio che l’incarico possa essere conferito per “meriti pregressi” più che sulla competenza professionale necessaria per il suo svolgimento.
L’inconferibilità è introdotta, quindi, come misura generale a spiccato carattere preventivo (il comportamento impropriamente viziato dal peso di interessi impropri viene evitato con il divieto di accesso all’incarico). Il suo carattere di fondo è la temporaneità: essa non mira ad un’esclusione permanente dal conferimento dell’incarico, ma ad impedire che il soggetto che si trovi in una posizione tale da compromettere l’imparzialità acceda all’incarico senza soluzione di continuità. Viene introdotto un periodo di raffreddamento (che la legge non ha voluto particolarmente lungo: «non inferiore ad un anno» secondo la l. n. 190/2012, limite poi portato ad un massimo di tre anni dal d.lgs. n. 39/2013), che garantisce l’imparzialità all’incarico: ad esempio nella ipotesi di provenienza da interessi privati in conflitto, il periodo di raffreddamento serve ad allentare i legami dell’aspirante all’incarico con gli interessi privati in conflitto; nel caso della provenienza da organi politici, esso vale a favorire il conferimento dell’incarico, decorso il periodo di raffreddamento, a persona scelta in virtù dei propri meriti professionali e non dell’appartenenza a organi politici.
Nel quadro appena delineato l’incompatibilità mira ad impedire che possa permanere nell’incarico amministrativo (vale anche qui la mancata disciplina della permanenza in carica dei componenti degli organi politici) colui che si trovi in particolari situazioni di conflitto. Le incompatibilità tendono quindi a ricalcare le ipotesi di inconferibilità. Se vi sono situazioni che non consentono di attribuire un incarico dirigenziale, le stesse situazioni, almeno tendenzialmente e salvo verifiche più attente, sconsigliano la permanenza in carica. La nuova disciplina, delineata nella legge delega e precisata nel d.lgs. n. 39/2013 distingue nettamente tra due categorie di cause di incompatibilità: a) l’eventuale assunzione, dopo il conferimento dell’incarico, di «attività, retribuite o no, presso enti di diritto privato sottoposti a regolazione, controllo o finanziati da parte dell’amministrazione che ha conferito l’incarico, o lo svolgimento in proprio di attività professionali, se l’ente o l’attività sono soggetti a regolazione o finanziati da parte dell’amministrazione» (co. 50, lett. e) e artt. 9 e 10 del decreto legislativo). La disciplina delle incompatibilità, in questi casi, mira a completare l’approccio fin qui seguito (garanzia del pieno adempimento della prestazione lavorativa) con una considerazione dei casi in cui il funzionario possa assumere, nel corso del mandato, direttamente, o per il tramite di congiunti, interessi in potenziale conflitto, che pregiudichino la sua posizione di imparzialità soggettiva; b) l’eventuale assunzione, nel corso dell’incarico, di cariche negli organi di indirizzo politico. Anche in questo caso la nuova disciplina deve farsi carico della posizione del titolare dell’incarico, per il quale l’esplicita appartenenza ad un organo di indirizzo politico può pregiudicare l’immagine di imparzialità (del funzionario e dell’amministrazione).
2.3 L’effettiva applicazione del nuovo regime
Un ulteriore carattere innovativo della nuova disciplina sta nell’attenzione dedicata, soprattutto nel d.lgs. n. 39/2013 ai profili dell’effettività. Poiché la nuova disciplina si fonda soprattutto su divieti (di accesso e permanenza negli incarichi amministrativi) ci si preoccupa di garantirne l’effettiva applicazione.
Si registrano, quindi, misure di vigilanza, doveri di dichiarazione, un’articolata gamma di conseguenze giuridiche in caso di violazione dei divieti (e degli obblighi di dichiarazione) che possiamo considerare come “sanzioni” in senso lato.
Le misure di vigilanza si articolano in una vigilanza interna alle singole amministrazioni pubbliche (affidata alla figura del Responsabile della prevenzione della corruzione, RPC) e in una vigilanza esterna (affidata all’Autorità nazionale anticorruzione). Al RPC sono riconosciuti due compiti: a) la contestazione formale all'interessato de «l'esistenza o l'insorgere delle situazioni di inconferibilità o incompatibilità» (art. 15, d.lgs. n. 39/2013), contestazione che comprende anche quella dell’avvenuta decadenza in caso di incompatibilità accertata. Il RPC potrà utilizzare le possibilità offerte dal piano triennale di prevenzione della corruzione (PTPC), nel quale possono essere introdotte le specifiche misure utili ad agevolare e rendere sistematica la (preliminare) verifica del rispetto delle regole su inconferibilità ed incompatibilità, le procedure per l'eventuale accertamento della loro violazione, nonché le modalità per l'attivazione delle misure sanzionatorie; b) la “segnalazione” di casi di violazione dei divieti ad altri soggetti, competenti ad accertare e far valere le specifiche responsabilità per la violazione delle disposizioni del decreto: l'Autorità nazionale anticorruzione (ai fini dell'esercizio dei compiti previsti dalla l. n. 190/20126), l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato (ai fini dell'esercizio delle funzioni di cui alla l. 20.7.2004, n. 215, mantenute ferme dal d.lgs. n. 39/2013), nonché la Corte dei Conti (per l'accertamento delle eventuali responsabilità amministrative). L’Autorità nazionale anticorruzione ha compiti di vigilanza generale sul rispetto dei divieti da parte delle amministrazioni, mediante l'esercizio dei poteri ispettivi e di accertamento (art. 16, co. 1, del d.lgs. n. 39/2013), poteri che possono arrivare fino ad interventi che incidono sulla procedura di conferimento di incarichi dirigenziali (art. 16, co. 2). L'Autorità può sospendere la procedura e sottoporre “osservazioni e rilievi” all'attenzione dell'amministrazione, la quale, ove intenda comunque conferire l'incarico, dovrà motivare in ordine alle osservazioni formulate, così eventualmente esponendosi a censura in sede giurisdizionale (o, prima ancora, in sede di visto di legittimità7). Per i procedimenti già conclusi resta all’Autorità il potere di segnalazione alla Corte dei Conti, per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L'Autorità, in parallelo con la previsione dell'art.1, co. 2, lett. e), l. n. 190/2012 in materia di atti di autorizzazione allo svolgimento di incarichi extrafunzionali di dirigenti dello Stato e degli enti pubblici nazionali), era stata chiamata ad esprimere pareri (su richiesta delle amministrazioni e degli enti interessati) «sulla interpretazione delle disposizioni del [...] decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi» (art. 16, co. 3). Ciò faceva dell'Autorità una sorta di interprete qualificato (o preferenziale) della disciplina in questione. Essa aveva anche iniziato a svolgere i nuovi compiti8, allorché è intervenuta una modifica della legge introdotta in altro provvedimento9 che ha trasformato l’Autorità in un soggetto al servizio del Ministro della pubblica amministrazione-Dipartimento della Funzione pubblica, che diviene l’interprete unico della nuova disciplina10.
Quanto agli obblighi di dichiarazione, questi sono imposti ai soggetti che accedono ad incarichi dirigenziali e riguardano l’insussistenza di una delle cause di inconferibilità previste dal decreto. La dichiarazione è condizione di efficacia dell'incarico (art. 20, co. 1 e 4). Analoga dichiarazione circa l'insussistenza di una delle cause di incompatibilità previste dal decreto va presentata, durante lo svolgimento dell'incarico, con cadenza annuale (art. 20, co. 2). Entrambe le dichiarazioni così rese sono oggetto di pubblicazione (obbligatoria) nel sito dell'ente che ha conferito l'incarico (art. 20, co. 3).
Quanto, poi, alle sanzioni, esse sono di varia natura. Innanzitutto vi sono le nullità in caso di violazione delle regole sull’inconferibilità degli incarichi, con riferimento sia all'atto di conferimento dell'incarico, sia al connesso contratto di disciplina del rapporto (art. 17, d.lgs. n. 39/2013), con diversificati effetti da un lato sul destino del rapporto di lavoro (e sulla sorte della retribuzione medio tempore percepita11) e dall’altro sulla validità ed efficacia degli atti posti in essere dall'organo a causa del venir meno del titolo di legittimazione a ricoprire l'incarico12.
Non costituisce sanzione in senso proprio la decadenza dei soggetti incompatibili. Secondo la nozione generale di incompatibilità ribadita dalla l. n. 190/201213, essa comporta per l'interessato l'obbligo di opzione tra la permanenza nell'incarico e lo svolgimento di attività, cariche ed incarichi con esso incompatibili. L’opzione va esercitata entro il termine perentorio di 15 giorni dalla contestazione dell'insorgere della causa da parte del RPC, decorsi i quali (in assenza di rimozione della causa di incompatibilità) l'incarico decade di diritto (art. 19, co. 1, del d.lgs. n. 39/2013). La decadenza non consegue per effetto della mera insorgenza della causa, preesistente o successiva, di incompatibilità, ma può essere attivata solo con la sua contestazione da parte del RPC.
Ulteriori effetti, di tipo “sanzionatorio”, sono connessi alla nullità dichiarata ai sensi dell'art. 17, e si producono nei confronti dei soggetti responsabili del conferimento dell'incarico, che di norma sono i componenti degli organi politici competenti al conferimento. Essi sono, in primo luogo, responsabili «per le conseguenze economiche degli atti adottati»14. Inoltre, «i componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli non possono, per tre mesi, conferire gli incarichi di loro competenza» (art. 18, co. 2), con un intervento sostitutivo affidato, per le amministrazioni dello Stato, al Presidente del Consiglio, nel caso di organi ministeriali; alle amministrazioni vigilanti, nel caso di enti pubblici (art. 18, co. 2). Quanto alle amministrazioni di livello regionale e locale, l’individuazione dell’organo con poteri sostitutivi è rimessa dall’art. 18, co. 3, ad un adeguamento15 dei rispettivi ordinamenti. Decorso tale termine, detti adeguamenti potranno essere operati in via sostitutiva dal Governo, in applicazione della procedura di cui all'art. 8 della l. n. 131/2003.
Ulteriore misura di carattere latamente sanzionatorio consiste nella pubblicazione obbligatoria dell'atto di accertamento della nullità dell'incarico nel sito dell'amministrazione che ha conferito l'incarico.
Vengono, infine, le misure sanzionatorie consistenti in ricadute negative sui soggetti che hanno fornito dichiarazioni mendaci. Le dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 20 del d.lgs. n. 39/2013 che si rivelassero non veritiere (l'accertamento della dichiarazione come mendace va fatta nel rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio dell'interessato) producono un doppio ordine di effetti: da un lato le conseguenze di carattere penale (in primo luogo, con riferimento all'art. 76 del d.P.R. 28.12.2000, n. 445) o disciplinare (si pensi alla sanzione del licenziamento, ai sensi dell'art. 55 quater, co. 1, lett. d), d.lgs. n. 165/2001 per «falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera»); dall’altro (innovazione del d.lgs. n. 39/2013, art. 20, co. 5) la temporanea inconferibilità soggettiva: per tutti i cinque anni successivi, al soggetto interessato non potrà essere conferito nessuno degli incarichi contemplati nel decreto. La violazione del dovere di fare dichiarazioni veritiere viene considerata come violazione anche del principio di affidamento sulla qualità e capacità della persona a ricoprire in generale incarichi nelle pubbliche amministrazioni
La disciplina fin qui descritta ha molti tratti di innovatività, forte, rispetto alla disciplina previgente. Si tratta di innovazioni non indolori, perché toccano comportamenti fin qui consentiti e aspettative di incarichi prima considerati pacificamente conferibili. Si pensi al continuo intrecciarsi di carriere negli organi politici, nelle società di diritto privato controllate, nel settore privato cui la nuova disciplina mira a porre un freno (sia pure nella direzione di una solo temporanea inconferibilità). Proprio l’innovatività delle nuove norme spiega alcune difficoltà attuative, siano esse emerse in termini di difficoltà interpretativa ovvero vere e proprie resistenze opposte alla loro applicazione. Se ne fa di seguito una schematica ricostruzione.
3.1 I discostamenti del decreto dalla legge delega
In primo luogo vi sono i casi in cui il d.lgs. n. 39/2013 contiene disposizioni non espressamente previste nei principi e criteri di delega contenuti nella l. n. 190/2012. Si segnalano i casi: a) della comprensione delle autorità amministrative indipendenti tra le amministrazioni cui si applica la nuova disciplina, operata dall’art. 1, co. 2, lettera a), d.lgs. n. 39/2013. L’estensione non vale tanto per i componenti degli organi delle autorità (già sottoposti ad un proprio regime di accesso alle cariche) quanto per i loro funzionari, di cui va sicuramente garantita l’imparzialità in ragione del rilevante concorso da loro assicurato allo svolgimento di funzioni regolative di rilevanti interessi economici privati; b) la previsione del richiamato ampio spettro di misure di vigilanza e sanzione, anch’essi non espressamente indicati in sede di legge delega, ivi compreso il potere dell’Autorità nazionale anticorruzione di intervenire nei procedimenti di conferimento degli incarichi o, ancora nel procedimento di revoca dell’incarico del RPC. In entrambi i casi il decreto delegato integra positivamente la legge, rispettandone appieno lo spirito e gli obiettivi.
3.2 Le lacune
Vi sono, poi, alcune evidenti lacune. Casi di lacune della l. n. 190/2012 e casi in cui il decreto interviene in misura minore di quanto la legge lo avesse autorizzato. Tra le maggiori lacune della legge abbiamo già segnalato la mancata comprensione dei componenti degli organi politici tra i funzionari pubblici. La scelta è dovuta alla volontà di non toccare il regime delle incandidabilità (peraltro modificato in altra parte della legge, all’art. 1, co. 63-65), ineleggibilità e incompatibilità delle cariche politiche, ai diversi livelli di governo. Restano così disciplinati i casi di accesso e permanenza nelle cariche politiche quanto ai comportamenti pregressi (aver riportato condanne penali, definitive, per l’incandidabilità), i casi di impropria influenza sugli elettori (ineleggibilità), i casi di cumulo di cariche diverse (incompatibilità), mentre non sono regolati i casi di conflitto di interessi, quali la provenienza immediata dalla cura di interessi privati, che possono essere risolti solo con la inconferibilità degli incarichi (cioè di incandidabilità per le cariche elettive e di inconferibilità per le cariche politiche conferite con nomina).
La disciplina è lacunosa anche nella definizione delle posizioni all’interno delle imprese private regolate o finanziate dalle pubbliche amministrazioni che determinano la inconferibilità degli incarichi. Manca nel decreto (art. 1, co. 2, lett. e), il riferimento alla posizione del proprietario o comunque del titolare del controllo sull’impresa, che si deve ritenere interessato a condizionare le decisioni amministrative che riguardino la sua impresa almeno quanto il presidente, l’amministratore delegato o il dirigente della medesima impresa.
Contraddittoria è, poi, la mancata previsione di inconferibilità degli incarichi amministrativi per coloro che provengono da cariche politiche nazionali (per i quali viene mantenuta la blanda disciplina della legislazione vigente16), mentre la nuova disciplina va a regolare coloro che provengono da cariche politiche regionali e locali.
È stata presentata come lacuna la mancata previsione di una disciplina transitoria, volta a graduare nel tempo l’applicazione delle nuove disposizioni. La l. n. 190/2012 nel delegare al Governo la definizione delle nuove norme non prevede una tale disciplina, per ragioni evidenti: in primo luogo perché di una tale disciplina non vi è bisogno per le regole sulla inconferibilità, che valgono per tutti gli incarichi da conferire dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina. Diversa la situazione per i casi di inconferibilità sopravvenuta, che si traducono in casi di incompatibilità. Anche qui nessun problema per i casi di condanna penale, anche non definitiva: la inconferibilità comporta decadenza dell’incarico (sancita in modo esplicito dall’art. 3, co. 6, d.lgs. n. 39/2013). Maggiori problemi ha creato l’applicazione immediata della legge per quanto riguarda le incompatibilità, particolarmente penetranti allorché gli incarichi amministrativi si cumulano con cariche e incarichi in imprese regolate e finanziate, in enti privati in controllo pubblico ovvero con cariche politiche. Ma nella l. n. 190/2012 non vi era traccia di una volontà di applicazione progressiva: le nuove norme comportavano nuove incompatibilità che andavano affrontate nei termini ordinari (opzione tra le cariche incompatibili). In materia si è registrata un vera e propria azione di resistenza da parte delle Regioni e degli enti locali, che hanno chiesto al Governo (in sede di intesa sull’applicazione delle norme anticorruzione di cui al co. 60, art. 1, l. n. 190/2012)17 l’introduzione di una disciplina transitoria, finalmente ottenendo una modifica che riduce fortemente l’efficacia della nuova disciplina, perché fa salvi tutti gli incarichi conferiti prima dell’entrata in vigore del decreto e per tutta la loro durata18. Più opportuna sarebbe stata la previsione di un termine di qualche mese per consentire alla diverse amministrazioni di adeguarsi alla nuova disciplina.
3.3 L’applicazione negli enti territoriali
La nuova disciplina pone il problema della sua diretta applicazione alle Regioni e agli enti locali. Il d.lgs. n. 39/2013 sceglie apertamente questa soluzione e a tal fine rivendica quale titolo di legittimazione la diretta attuazione dei principi di cui agli artt. 54 e 97 Cost. che si realizza con la nuova disciplina. Di cui viene stabilita (art. 22, co. 1) la prevalenza su diverse diposizioni di legge regionale o di statuto o regolamento di ente locale. Anche se “forzato”, il titolo legittimante appare giustificato, poiché da un lato la legge non invade la sfera di autonomia organizzativa degli enti territoriali, ma si limita a far ricadere dall’esterno conseguenze organizzative (quali la sostituzione dei soggetti cui l’incarico non può essere conferito); dall’altro non tocca lo stato giuridico dei funzionari ma disciplina i caratteri, minimi e indefettibili, della funzione amministrativa a tutti i livelli di governo19.
1 Per un primo commento alle disposizioni della l. n. 190/2012 in materia di inconferibilità e incompatibilità si veda Merloni, F., Nuovi strumenti di garanzia dell’imparzialità delle amministrazioni pubbliche: l’inconferibilità e incompatibilità degli incarichi (art. 1, commi 49 e 50), in Mattarella, B.G.-Pelissero, M., La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013.
2 Per un commento al d.lgs. n. 39/2013 si veda Merloni, F., Il nuovo regime delle inconferibilità e incompatibilità nella prospettiva dell’imparzialità dei funzionari pubblici; Sirianni, G., Incompatibilità ed inconferibilità: la necessaria distanza tra cariche politiche e incarichi amministrativi;Ponti, B., Il d.lgs. n. 39 del 2013. Vigilanza e sanzioni, tutti in Giorn. dir. amm., 2013, 8/9.
3 Sulla problematica generale dell’imparzialità dei funzionari si veda Merloni, F.-Cavallo Perin, R., a cura di, Al servizio della Nazione. Etica e studio dei funzionari pubblici, Milano, 2009 e Ponti, B., Indipendenza del dirigente e funzione amministrativa, Rimini, 2012.
4 Sul punto si veda Merloni, F., Introduzione. L’etica dei funzionari pubblici, in Merloni, F.-Cavallo Perin, R., a cura di, Al servizio della Nazione, cit.
5 Vedi anche Ponti, B., Le modifiche all'art. 53 del testo unico sul lavoro alle dipendenze della p.a. (art. 1. commi 39-40 e 42-43), in Mattarella, B.G.-Pelissero, M., La legge anticorruzione, cit.
6 Il potere di segnalazione appare funzionale a consentire all'Autorità di esercitare i compiti di vigilanza di cui al co. 2, lett. f), e (eventualmente) i compiti ispettivi ed ordinatori di cui al successivo co. 3; sul punto, si veda Mattarella, B.G., La prevenzione della corruzione in Italia, in questa rivista, 2013, 2, 123, nonché Sciullo, G., L’organizzazione amministrativa della prevenzione della corruzione, in Mattarella, B.G.-Pelissero, M., a cura di, La legge anticorruzione, cit., 71 ss.
7 Cfr. Nespor, S., Conferimento di incarichi dirigenziali presso l’Amministrazione dello Stato: criteri e limiti secondo la giurisprudenza della Corte dei Conti, in Riv. critica del dir. del lav. pubblico e privato, 2005, disponibile in http://www.datalexis.it/Archivio/impiegopubblico/nespor_incarichi_dirig.htm.
8 Si vedano le delibere della CiVIT nn. 46, 47 e 48/2013.
9 Si veda il d.l. 21.6.2013, n. 69, art. 54 bis.
10 Il nuovo testo gli affida, infatti, il potere di emanare «proprie direttive sulla interpretazione delle disposizioni del presente decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e di incompatibilità degli incarichi».
11 Alla fattispecie si applica quindi l’art. 2126 c.c.. Si veda, da ultimo Cons. St., V, 8.6.2011, n. 3464, che ribadisce del Cons. St., Ad. Plen., 8.4.1995, n. 7
12 Secondo Ponti, B., Il d.lgs. n. 39 del 2013. Vigilanza e sanzioni, cit., si applica in questo caso la figura (giurisprudenziale) del c.d. “funzionario di fatto”, che consente di riferire all'amministrazione i soli atti e provvedimenti ad effetti favorevoli per i terzi (in ossequio ai principi di affidamento e buona fede), mentre gli atti ad effetti sfavorevoli vanno invece inquadrati come nulli.
13 Ai sensi dell'art. 2, co. 1, lett. f) del decreto, per incompatibilità si intende «l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche» indicati come incompatibili con il primo.
14 Potrà essere attivata la responsabilità amministrativa per danni alla p.a. derivanti non solo per l'elargizione di compensi senza titolo (in ragione della nullità), ma anche per gli effetti patrimoniali eventualmente conseguenti alla nullità degli atti adottati dagli organi dirigenziali il cui incarico sia stato dichiarato nullo. In considerazione della pubblicità particolare, ai sensi dell'art. 18, co. 5, d.lgs. n. 39/2013, disposta sugli atti di conferimento e sugli atti di «accertamento della violazione» potrebbe configurarsi anche una responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione.
15 La norma assegna per l’adeguamento il termine di tre mesi dall’entrata in vigore del decreto, decorso il quale gli adeguamenti potranno essere disciplinati in via sostitutiva dal Governo, in applicazione della procedura di cui all'art. 8, l. 5.6.2003, n. 131.
16 Si vedano la l. 13.2.1953, n. 60 per le incompatibilità dei parlamentari e la l. n. 215/2004 (sui conflitti di interesse). Per un commento critico di questa contraddizione si veda Sirianni, G., Incompatibilità ed inconferibilità, cit..
17 L’intesa è intervenuta il 24.7.2013 e contiene come condizione per l’efficacia dell’intesa l’impegno al Governo «a modificare il decreto legislativo n. 39/2013 inserendo una adeguata disciplina transitoria».
18 Si veda l’art. 29 ter del d.l. n. 69/20132013 che dispone: «in sede di prima applicazione, con riguardo ai casi previsti dalle disposizioni di cui ai capi V e VI del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, gli incarichi conferiti e i contratti stipulati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo in conformità alla normativa vigente prima della stessa data, non hanno effetto come causa di incompatibilità fino alla scadenza già stabilita per i medesimi incarichi e contratti».
19 Per una più ampia motivazione si veda Merloni, F., L’applicazione della legislazione anticorruzione nelle Regioni e negli enti locali tra discipline unitarie e autonomia organizzativa, in Ist. fed., 2/2013.