INCOLUMITÀ PUBBLICA
. La formazione del titolo speciale dei delitti contro l'incolumità pubblica fu una delle più importanti innovazioni che contraddistinguono il progetto di codice penale lasciato in corso di studio dallo Zanardelli nel 1883. Prima d'allora sia nelle legislazioni italiane sia in quelle straniere, questi delitti erano sparsi negli altri titoli dei codici o in leggi speciali, ma prevalentemente compresi tra i delitti contro la proprietà.
Il concetto generale che domina nelle disposizioni concernenti i delitti contro la pubblica incolumità e che ne spiega il raggruppamento, è la potenza espansiva del nocumento che è loro insito, per cui gli effetti che ne seguono o possono seguire assumono le proporzioni di un disastro, di una calamità, di un infortunio pubblico.
Le ipotesi che il diritto antico ci ha trasmesso di tali delitti sono l'incendio, la rovina, il naufragio, la rottura degli argini.
Nell'antichità classica l'incendio, come reato, è oggetto di varie sanzioni sia quando è configurato come un reato a sé (la γραϕὴ πυρκαιᾶς in diritto attico; e, in diritto romano, sino alla lex de sicariis dell'età sillana, il reato che le XII tavole configuravano con le parole qui aedes acervumque frumenti iuxta domum positum combusserit), sia quando rientra come circostanza aggravante in una più ampia categoria di reati (omicidio, violenza, anche, per i Greci, tradimento, se si tratti d'incendio doloso di opere essenziali alla vita dello stato: p. es., gli arsenali). Se l'incendio è colposo obbliga al risarcimento, se doloso è punito con pene severissime (morte, interdizione).
Il progresso della vita sociale e specialmente delle conquiste che l'attività umana ha fatto nel campo delle forze naturali, ha reso possibili altre ipotesi somiglianti a quelle accolte dalla tradizione, perché si è riconosciuto che in altre azioni o omissioni individuali l'effetto trascende la singola persona o la singola cosa eventualmente insidiata o colpita e attenta alla sicurezza di un numero indeterminato di persone o di cose. Ciò spiega perché il numero dei delitti compresi sotto la denominazione di delitti contro la pubblica incolumità sia già nel codice italiano del 1889 notevolmente superiore a quello risultante dalle disposizioni sparse nelle precedenti leggi o codici, alle quali questo carattere veniva riconosciuto, e si sia ancora allargato nel codice penale 1930.
Alcuni scrittori proponevano di dare a questi delitti la denominazione di delitti contro la pubblica tranquillità, ma bene fu osservato che tale denominazione non è adeguata perché il pericolo che inerisce ai fatti incriminati non minaccia la tranquillità ma la sicurezza. La sicurezza è elemento obiettivo, mentre la tranquillità è un fatto subiettivo che non coincide necessariamente con la realtà, la quale può essere diversa dalla valutazione fattane dalla persona interessata. Altri scrittori e alcune legislazioni hanno denominato questi reati delitti di comune pericolo e non si può disconoscere che in tale definizione è colta la nota distintiva essenziale di questa categoria di delitti, ma essa non poteva essere accolta dal codice penale italiano per ragioni di uniformità tecnico-giuridica: questo codice infatti assume ad elementi di classificazione dei delitti non gli effetti dell'azione criminosa, ma i beni giuridici attaccati.
I delitti contro la pubblica incolumità erano preveduti dal codice del 1889 nel titolo VIII ed erano ripartiti in tre capi, che comprendevano, il primo, l'incendio, l'inondazione, la sommersione e altri delitti di comune pericolo; il secondo, i disastri e danneggiamenti ferroviarî e altri attentati alle linee telegrafiche o a opere destinate alle pubbliche comunicazioni per terra o per acqua; il terzo, gli attentati alla pubblica sanità e alimentazione. Un quarto capo conteneva disposizioni comuni ai capi precedenti. Alla distribuzione della materia non presiedeva alcun concetto organico, ma l'ordinamento dei varî delitti veniva fatto in base all'oggetto direttamente preso di mira dal colpevole.
Il codice penale 1930 assume invece a criterio di classificazione il mezzo usato, richiamandosi alla fondamentale distinzione di ogni forma di attività criminosa: violenza o frode, intendendo per violenza qualsiasi energia fisica, diretta alla cosa o alla persona, e alla quale si ricolleghi la consumazione del reato, e per frode ogni mezzo illecito che non rientri nel concetto di violenza.
Ma poiché in questa materia sono preveduti anche delitti colposi, è evidente che questi restavano fuori della suddetta bipartizione. È stato perciò creato un capo speciale destinato ai delitti colposi. Cosicché tutto il titolo VI dei delitti contro l'incolumità pubblica è diviso in tre capi. Il primo tratta dei delitti di comune pericolo mediante violenza; nel secondo sono contemplati i delitti di comune pericolo mediante frode; nel terzo sono preveduti i delitti colposi di comune pericolo. Nel capo I (articoli 422-437) sono compresi: la strage; l'incendio; il danneggiamento seguito da incendio; l'inondazione, frana o valanga; il naufragio, la sommersione o il disastro aviatorio; il danneggiamento seguito da naufragio; il disastro ferroviario; il pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento; gli attentati alla sicurezza dei trasporti; gli attentati alla sicurezza degl'impianti di energia elettrica e del gas, ovvero delle pubbliche comunicazioni; il crollo di costruzioni o altri disastri dolosi; la fabbricazione o detenzione di materie esplodenti; la sottrazione, l'occultamento o guasto di apparecchi a pubblica difesa da infortunî; la rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortunî sul lavoro. Nel capo II (articoli 438-448) sono compresi: l'epidemia; l'avvelenamento di acque o di sostanze alimentari; l'adulterazione e contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute; il commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate; il commercio o somministrazione di medicinali guasti; il commercio di sostanze alimentari nocive; la somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica; il commercio clandestino o fraudolento di sostanze stupefacenti; l'agevolazione dolosa dell'uso di queste. Nel capo III (articoli 449-452) sono compresi: i delitti colposi di danno; i delitti colposi di pericolo (art. 450); l'omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortunî sul lavoro; i delitti colposi contro la salute pubblica.
Schiarimenti sul concetto di pubblica incolumità. - Alla stregua delle disposizioni del codice del 1889 il bene della pubblica incolumità fu definito come il bene "che consiste nel complesso delle condizioni garentite dall'ordine giuridico, che assicurano la vita, l'integrità personale, la sanità, il benessere e la proprietà, considerati come beni di tutti indipendentemente dai singoli individui". Come facilmente può scorgersi dagli elementi di questa definizione, il concetto di pubblica incolumità si riferisce non solo al nocumento e al pericolo personale, ma anche al nocumento e al pericolo che possano riguardare soltanto i beni, come un incendio di edifici disabitati o di prodotti del suolo, oppure promiscuamente i beni e le persone. E questa nozione della pubblica incolumità risulta accolta non solo dalle testuali parole della relazione definitiva del ministro al re, ma dalla disposizione dell'art. 310 del codice che mantiene il titolo di delitti contro la pubblica incolumità anche nel caso che l'attività del colpevole, in fatti d'incendio, sommersione, inondazione e naufragio, danneggi ed esponga a pericolo solo cose, richiamando le disposizioni sul danneggiamento solo se il danno sia di lieve entità. Dai lavori preparatorî però risulta che molti non concordavano in questo ampio concetto della pubblica incolumità, e la Commissione speciale del Senato esplicitamente affermò che elemento essenziale di questa specie di delitti è il danno o il pericolo alla vita o alla salute delle persone.
Il codice penale 1930, come è detto nella relazione che accompagna la presentazione del progetto definitivo, assume la nozione d'incolumità nel suo preciso significato filologico, ossia come un bene, che riguarda la vita e l'integrità fisica delle persone, e perciò solo i fatti che possono esporre a pericolo un numero indeterminato di persone sono presi in considerazione nel titolo dei delitti contro la pubblica incolumità. Del danno o del pericolo alle cose si tien conto solo in quanto da esso possa sorgere un pericolo per la vita e per l'integrità delle persone. Il codice 1930 non solo precisa così la nozione della pubblica incolumità ma abbandona la disposizione dell'art. 310 del codice 1889, che fu oggetto di critica da parte della più autorevole dottrina perché con esso, solo in vista dell'entità del danno, si degradava un delitto contro la pubblica incolumità in delitto contro il patrimonio (danneggiamento). Il nuovo cDdice invece riconosce che vi sono fatti di danneggiamento, che sono ben diversi dall'incendio, dall'inondazione, dalla sommersione, dal disastro ferroviario e stabilisce che tali fatti alcune volte, per i mezzi con i quali sono commessi o per le cose che colpiscono, possono produrre pericolo per la pubblica incolumità e solo in tal caso vanno considerati tra i delitti contro la pubblica incolumità. E cosi accanto all'incendio prevede il danneggiamento mercé l'appiccamento del fuoco, a cui consegua il pericolo per la pubblica incolumità; accanto al delitto d'inondazione prevede il danneggiamento a chiuse, sbarramenti, argini, dighe o altre opere destinate a difesa contro acqua, valanghe o frane; accanto al naufragio, alla sommersione o al disastro aviatorio prevede il danneggiamento a navi o ad altri edifizî natanti con pericolo di naufragio; accanto al disastro ferroviario prevede il pericolo di disastro causato da danneggiamento.
Elemento essenziale del delitto. - È riposto, si è già detto, nel pericolo che il danno si propaghi a un numero indeterminato di persone. La necessità di tale elemento porge anzitutto occasione al rilievo che alcune volte non è fatta dal legislatore menzione del pericolo, e altre volte invece ne è fatto espresso richiamo. Esempî della prima ipotesi sono le disposizioni degli articoli 423 (incendio), 426 (inondazione), 428 (sommersione o naufragio), 430 (disastro ferroviario). Esempî della seconda ipotesi sono le disposizioni degli articoli 423 capoverso (incendio su cosa propria), 428 ultimo capoverso (naufragio, sommersione o disastro aviatorio di navi o natanti o aeromobili proprî).
Pericolo in astratto e pericolo in concreto. - Si sogliono definire delitti di pericolo comune astratto quelli per i quali tra gli elementi del reato non è fatto cenno esplicito della condizione del pericolo e delitti di comune pericolo concreto quelli per i quali è preveduta espressamente la condizione che dal fatto derivi pericolo per la pubblica incolumità.
Si deve però osservare che la nomenclatura che viene adottata per chiarire il sistema del legislatore potrebbe essere causa di equivoci, inducendo a ritenere che vi siano delitti di comune pericolo ove il pericolo sia un'astrazione, fuori della realtà. La verità è tutt'altra. Il legislatore non costruisce ipotesi delittuose su congetture e astrazioni, ma sull'id quod plerumque accidit e poiché vi sono fatti che nel maggior numero dei casi hanno insita la forza espansiva di nocumento che abbiamo visto essere l'elemento peculiare di questi delitti, opportunamente ha ritenuto che basta che quei fatti siano messi in essere perché il pericolo debba aversi per verificato. Così si deve dire per l'incendio, per l'inondazione, per il naufragio, per il disastro ferroviario: si tratta, invero, di fatti ai quali il pericolo comune inerisce normalmente e naturalmente così da farlo ritenere dagli stessi essenzialmente irreparabile. Vi sono altri casi, invece, nei quali solo eventualmente il pericolo per la pubblica incolumità può essere conseguenza dell'attività del colpevole, e per tali casi la logica vuole che si pretenda la prova dell'effettivo insorgere del pericolo.
La distinzione tra pericolo in astratto e pericolo in concreto, intesa nei termini ora esposti, deve essere tenuta presente per fissare alcuni principî fondamentali in tema di delitti contro la pubblica incolumità, che riassumiamo.
Natura e carattere del pericolo. - Nei reati di comune pericolo astratto nessuna questione sui caratteri che deve avere il pericolo: questo è inviscerato nel fatto considerato delitto dal legislatore e non occorre che l'interprete faccia altra indagine oltre quella sull'obiettiva esistenza di quel fatto.
Diversamente avviene per l'altra ipotesi nella quale deve essere provato il concreto insorgere del pericolo: si discute in questo caso per determinare quale sia il concetto di pericolo. Pensano alcuni che nella valutazione dell'esistenza di questo elemento del reato debba porsi mente alle sensazioni della vittima del reato (teorica subiettiva); affermano altri che debbano prevalere le risultanze obiettive dell'azione criminosa (teorica obiettiva); e altri che sia richiesto il concorso dell'apprezzamento subiettivo e della reale esistenza del pericolo (teorica mista). La maggioranza a buona ragione propende per la seconda opinione. Se, infatti, il legislatore ha voluto condizionare il reato alla concreta esistenza del pericolo, è chiaro che la condizione si può ritenere verificata solo quando oggettivamente l'incolumità abbia corso pericolo.
Volontarietà del delitto. - Nei delitti di comune pericolo astratto la volontarietà, elemento soggettivo dei reati, non può che riferirsi alla materialità dell'azione o dell'omissione tassativamente prevedute dalla legge come costitutive di delitto. Nulla di più. Il legislatore ha preveduto l'esistenza del pericolo in quelle forme di attività umana e perciò basta voler queste perché l'elemento soggettivo sia completo. Nei casi in cui la legge esige il pericolo concreto per la sussistenza del reato, si ritiene che a tenore dell'art. 42 del codice penale, secondo il quale la volontarietà deve investire tutti gli elementi del reato, anche il pericolo deve essere voluto dall'agente.
Questa opinione però non è pacifica, perché si osserva contro di essa che la circostanza dell'insorgere del pericolo è considerata dal legislatore condizione obiettiva di pericolosità del fatto, e come tale va posta a carico dell'autore del fatto anche se egli non l'ha voluta e non l'ha preveduta come conseguenza della sua azione o omissione. La questione in rapporto al codice del 1889 non era di facile soluzione, perché quando esso fu compilato non era ancora elaborata la teoria delle condizioni obiettive di punibilità e mancano però nel testo elementi per discernerle, e per stabilirne il regolamento giuridico voluto dal legislatore. Il codice penale 1930, invece, ha avuto cura di usare locuzioni identiche in tutte le definizioni dei delitti, che debbano intendersi condizionati a determinati eventi e, nell'art. 44, detta la regola secondo la quale, quando per la punibilità del reato la legge richieda il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato ancorché l'evento da cui dipende il verificarsi della condizione non sia da lui voluto. Deve perciò ritenersi che l'elemento della volontarietà non debba in questi delitti involgere anche la condizione dell'insorgere del pericolo per la pubblica incolumità.
Momento in cui il reato si perfeziona. - In proposito non sorge discussione nei delitti di comune pericolo astratto, perché evidentemente tale momento coincide con la consumazione del fatto costitutivo del delitto. Invece nei delitti di pericolo comune concreto il reato non è perfetto se non si verifichi il pericolo stabilito come un elemento del delitto. Dipende da ciò la necessità di un giudizio di fatto, che spesso presenta difficoltà non lievi, in relazione alla infinita varietà dei casi che la pratica presenta, e alle interferenze anche d'indole tecnica, che spesso incidono nelle azioni e nelle omissioni costitutive del materiale del delitto. È impossibile dettare norme generali, regole fisse, principî assoluti, idonei a dare l'indirizzo da seguire nelle decisioni che occorrano nei varî casi. Può solamente affermarsi che condizione elementare della sussistenza del pericolo sia l'avvenuta modificazione del mondo esteriore che renda possibile il danno a un numero indeterminato di persone, e che a ritenere verificato il pericolo non occorre attendere il danno effettivo. Entro questi termini precisi e inderogabili spazia l'apprezzamento di merito dell'interprete, al quale alcune volte basterà, per formulare un giudizio, il semplice richiamo alla coscienza comune della nozione di pericolo e altre volte occorreranno indagini tecniche decisive nella valutazione della fattispecie.
Tentativo. - Nei delitti di comune pericolo astratto si applicano le norme ordinarie sul tentativo, in relazione al fatto che ne costituisce l'elemento materiale in cui il pericolo è preveduto, e nel maggior numero dei casi il tentativo è ammissibile. Invece nei delitti di comune pericolo concreto il tentativo non è giuridicamente ammissibile perché o il pericolo non è sorto e manca la condizione di punibilità del fatto, o il pericolo è sorto e l'ultimo atto del colpevole coincide con l'effettiva e completa consumazione del delitto.
Pene. - Gravi sono le pene comminate dal codice 1930 per questi delitti. È opportuno ricordare che per alcune ipotesi di strage (art. 422), di epidemia (art. 438 capoverso) e di avvelenamento di acque e di sostanze alimentari (art. 439 capoverso) è stabilita la pena di morte. È altresì da segnalare l'opportuna disposizione dell'art. 448 il quale stabilisce che la condanna per taluno dei delitti di comune pericolo mediante frode importa la pubblicazione della sentenza. Questa sanzione, che colpisce l'attività commerciale illecita e delittuosa, non solo si traduce in severo trattamento dei colpevoli, ma anche concreta un mezzo perché i cittadini possano diffidare degli esercizî commerciali disonesti. L'inasprimento delle pene per i più gravi delitti contro l'incolumità pubblica è conforme alle esigenze della coscienza generale.
Bibl.: F. Carrara, Programma, VI, 9ª ed., Firenze 1925; E. Pessina, Elementi di diritto penale, II, Napoli 1882-1883; A. Rocco, Il concetto del danno e il concetto del pericolo nel diritto penale, in Scuola positiva, 1909; F. Campolongo, I reati ferroviari o di pericolo, Napoli 1910; E. Florian, Dei delitti contro l'incolumità pubblica, Milano 1901; E. Jannitti di Guyanga, Concorso di più persone e valore del pericolo nei delitti colposi, Milano 1913; V. Manzini, Trattato di diritto penale, 2a ed., Torino 1920; VI; A. Zerboglio, Delitti contro l'incolumità pubblica, Milano 1913; Digesto italiano s. v.; Lavori preparatori del progetto di nuovo codice penale del guardasigilli Rocco; IV, i, Roma, p. 310 e V, iii, p. 158; C. Saltelli e E. Romano Di Falco, Commento teorico pratico del nuovo codice penale, Roma 1930, II, i, pp. 488-563.
Incendio, deterioramento e devastazione nel diritto penale militare.
Incendio. - Il militare che appicca il fuoco agli edifici, magazzini, opere militari, arsenali, cantieri, officine o navi dello stato (anche non militari) indipendentemente dalla distruzione delle cose, che può anche non avvenire o essere scongiurata con opportuno intervento, è punito sia in tempo di guerra che di pace con la pena di morte, previa degradazione (art. 227 cod. pen. es.; 259 cod. pen. mil. mar.). A questa ipotesi dell'appiccato fuoco è parificata quella del militare che distrugge gli edifici e oggetti sopra indicati col mezzo di mina o di altra esplosione qualunque; per la consumazione del reato occorre che si avveri una distruzione totale o parziale, a differenza dell'ipotesi dell'appiccato incendio ove basta che la cosa sia stata investita dal fuoco.
Il movente e lo scopo dell'agente sono irrilevanti e basta la volontarietà del fatto. Ma, se gli atti fossero commessi sia dal militare sia dall'estraneo alla milizia per attentare alla sicurezza dello stato e quindi per tradire, per mandato di potenza estera, ecc., subentra la sanzione della legge 25 novembre 1926, n. 2008 coi provvedimenti per la difesa dello stato, integrata dall'art. 1 delle norme per l'attuazione di tale legge approvate col r. decr. 12 dicembre 1926, n. 2002, e che commina la pena di morte. Qualora la pericolosità del fatto sia minore, e cioè non vi sia stato pericolo di morte per le persone, o il danno sia inferiore a L. 5000, la pena è congruamente diminuita, sempre che però non si tratti di fattispecie nelle quali esista l'intenzione di attentare alla sicurezza dello stato. L'art. 232 cod. pen. es. (225 cod. pen. mil. maritt.) si occupa dell'ipotesi dell'incendio o dell'esplosione colposa, che avviene per imprudenza, negligenza o altro fatto non volontario.
In tempo di guerra è punito chiunque (quindi anche non militare), senza ordine superiore e senza esservi costretto dalla necessità di difendersi, appicchi volontariamente, anche in paese nemico, il fuoco a una. casa o altro edificio. La pena è quella di morte, e la stessa disposizione si applica anche al caso d'incendio di tende, baracche, magazzini e di qualunque altra opera di difesa e di deposito delle provviste sia di guerra sia da bocca. Il codice penale militare marittimo (art. 276) ha disposizioni congeneri.
Con queste sanzioni il legislatore italiano, ispirandosi a un civile principio di solidarietà umana, volle impedire che tanto i militari quanto gli estranei alla milizia commettano, anche in paese nemico, atti lesivi della proprietà altrui, senza necessità. Se però l'agente avrà avuto l'intenzione di nuocere alla resistenza delle truppe nazionali o di comunque intral-. ciarne le operazioni, saranno applicabili le sanzioni del tradimento o le altre del genere dirette a impedire che venga recato danno o diminuita l'efficienza dell'azione bellica.
Deterioramento. - Con questa parola posta nell'intitolazione dei capi XVIII del codice penale eserc. e del cod. pen. mil. maritt., il legislatore si occupò delle ipotesi della distruzione di edifici, magazzini, opere militari, arsenali, cantieri, officine, navi dello stato, che avviene con mezzi diversi dall'incendio e dall'esplosione; del guasto arrecato a tali edifici e cose; della distruzione dei registri, delle armi, munizioni, ecc. Il guasto non è necessario che cada sulle parti essenziali dell'edificio o cosa ma può avere per oggetto gli accessorî considerati come immobili per destinazione o quali parti inseparabili dell'edificio (battenti delle porto, vetri delle finestre, ecc.). Per quanto riflette il dolo basta la volontà del fatto diretta al fine di danneggiare la cosa, e per i moventi si deve ripetere quanto venne osservato per il reato d'incendio, e cioè se l'agente si sarà proposto di attentare alla sicurezza dello stato, subentreranno le disposizioni della citata legge sulla difesa dello stesso. Il deterioramento che riguarda la distruzione mediante incendio, o altro mezzo, di registri, minute, atti originali amministrativi o giudiziarî dell'autorità militare è punito dall'art. 229 cod. pen. eserc. (252 cod. pen. maritt.). Finalmente come ultima ipotesi di deterioramento si presenta quella della distruzione o dei guasti volontarî di armi, munizioni di guerra o da bocca, effetti da caserma, di vestiario, di allestimento o qualunque altra cosa appartenente ai corpi o all'amministrazione militare, nonché del ferimento o danno recato ai cavalli dell'amministrazione stessa (art. 230 cod. pen. es.). Il codice penale militare marittimo (art. 253) ha dizione diversa a causa della qualità degli oggetti e stabilisce una pena più grave quando dal guasto degli oggetti derivi la perdita della nave.
Il legislatore del 1869 non ha potuto prevedere la distruzione o guasto degli aeroplani e altri mezzi dell'aviazione, ma è da ritenere che questi debbano parificarsi alle navi.
Devastazione. - I codici penali militari (articoli 253 e 277) stabiliscono che in tempo di guerra chiunque senza ordine superiore o senza essere costretto dalla necessità di difendersi distruggerà o guasterà, con qualunque mezzo che non sia l'incendio (e quindi anche con l'esplosione), case, tende, baracche, provviste, ecc., strade ferrate, acquedotti, ponti e altre opere di pubblica utilità, per cui possa venire danno all'esercito o a una parte di esso, o allo stato, sarà punito di morte. Se la distruzione non cagiona danno all'esercito la pena è diminuita.