INCISA DELLA ROCCHETTA, Leopoldo
Nacque in Asti il 12 febbr. 1792, dal marchese Bonaventura e dalla contessa Marianna Gromo di Ternengo.
Dopo avere studiato sotto la guida di un precettore, si trasferì a Milano e nel 1812 iniziò una carriera nella pubblica amministrazione che si concluse nel 1840 come vicesegretario generale presso il Magistrato camerale del Regno Lombardo-Veneto. Costretto al pensionamento, a seguito di un'affrettata visita medica, si ritirò a Rocchetta Tanaro presso Asti e iniziò a occuparsi dell'amministrazione del patrimonio familiare. Nel castello avito l'I. si dedicò all'industria dei bachi da seta e agli studi vitivinicoli che lo impegnarono ben presto a pieno tempo.
Divenuto membro corrispondente dell'Accademia di agricoltura di Torino nel 1843, due anni dopo vi presentò una relazione in cui trattava delle difficoltà di maturazione rilevate nella vendemmia 1841 e della collocazione del suo vino che, alla fine, riuscì a fare accettare sul mercato di Milano (Intorno allo svinare, in Annali della R. Soc. agraria di Torino, IV [1845], pp. 11-20; poi, con il titolo Sullo svinare, in opuscolo, Torino 1850). Il confronto fra i vini di annate diverse lo indusse a concludere che il momento della "svinatura" doveva essere stabilito in base al grado di maturazione delle uve.
Proprio in quegli anni si era manifestata in Italia l'infezione delle viti da "oidio", e l'I. si accorse che lo zolfo, usato in vigna per combattere la crittogama, si rivelava utile sotto forma di solforazione durante il processo di vinificazione, e non soltanto per conservare i vini dolci di moscato, malvasia e aleatico, ma anche per lavorare le uve alterate dalla crittogama. Delle sue esperienze in materia diede conto nel saggio La solforazione applicata con somma utilità nella fattura dei vini da bottiglie…, stampato a Torino nel 1855. Nello stesso periodo si dedicava all'esame delle varietà di vite, a cominciare da quelle di Rocchetta Tanaro, dove erano estesamente coltivati soprattutto vitigni a uva nera, per distinguere i migliori, adatti a fare ottimo vino da bottiglia, da quelli più apprezzati dai viticoltori perché più fertili.
D'altra parte in quel tempo stavano anche diffondendosi varietà estere e, in una memoria manoscritta, l'I. ne citava come primo esempio il vitigno detto tokai d'Ungheria (da non confondere con il celebre vino di Tokay, fatto con l'uva furmint coltivata in quella regione ungherese). Riconobbe infatti che il primo era molto simile al pinot grigio, corrispondente al Tokai rosso d'Ungheria, mentre il pinot bianco non diversifica da quest'ultimo se non nel colore della buccia.
La notorietà dell'I. è infatti legata all'ampelografia: "negli ultimi anni della sua vita, il marchese Leopoldo, trattenuto in casa per paralisi alle gambe, si faceva portare nello studio le viti della sua collezione coltivate in vasi, così da poter continuare utili confronti e pazienti ricerche. Fu in corrispondenza coi migliori ampelografi del suo tempo e diffuse in Piemonte ottimi vitigni. Dell'opera sua disinteressata molti vignaioli conservarono a lungo grata memoria" (cfr. Molon, p. XXIX).
Lo scambio di materiale fra studiosi era allora consuetudine diffusa, dato che ciascuno conduceva gli studi nella propria collezione, che si andava creando e ampliando man mano che i diversi vitigni venivano collocati fianco a fianco per poterli facilmente confrontare. L'I. realizzò la collezione nella sua proprietà di Rocchetta Tanaro e il relativo Catalogo, descrittivo e ragionato, fu uno fra i primi a comparire in Italia. Egli ne curò due edizioni: la prima (Descrizione dal vero di n. 105 varietà di uve parte indigene e parte di origine estera) vide la luce a Torino nel 1862; nella seconda (Catalogo descrittivo e ragionato della collezione di vitigni italiani e stranieri posseduta dal marchese L. I. in Rocchetta Tanaro, Asti 1869) l'elenco è ampliato a 376.
Una terza edizione è stata pubblicata ad Asti nel 1974 per interessamento della locale Camera di Commercio: curata da G.A. di Ricaldone, si avvale delle note scritte a mano dall'I. sulla copia custodita presso l'archivio di famiglia relative a nuove accessioni e a vitigni che erano giunti a fruttificare fra il 1869 e il 1871. Il testo è completato da un estratto della corrispondenza dell'I. con H. Bouschet e V. Pulliat, che annota gli scambi di talee e di opinioni su probabili casi di sinonimie, omonimie - come nel caso dei Brachetti - ed errori di etichettatura o trascrizioni fantasiose di nomi di vitigni italiani in collezioni francesi.
Il Catalogo, pur non presentando descrizioni complete dei vitigni, si sofferma sulle sinonimie e sulle somiglianze, con giudizi sulle attitudini all'impiego come uve da tavola o da vino, sul loro livello qualitativo, con qualche cenno sulle condizioni più adatte alla loro coltura. Il lavoro dell'I., infatti, mirava non soltanto ad approfondirne la conoscenza, ma anche a propagare i vitigni migliori per promuoverne la vendita.
Fin dal 1852, l'I. aveva quindi istituito un vivaio per distribuire ai viticoltori barbatelle di buone varietà di viti garantendone la qualità, giacché il materiale di base proveniva dalla sua collezione. Nel pubblicizzare il suo "grandioso vivaio di viti" affermava che poteva fornire "oltre trecento varietà tutte di merito sia per far vino, che ad uso mangereccio, come si vede dal catalogo che verrà spedito a richiesta" (cfr. La collezione ampelografica…, p. 45). Infatti per quest'attività vivaistica egli si concentrava soprattutto sulle varietà più ricercate per estese piantagioni, mentre riduceva la moltiplicazione di quelle meno richieste, sebbene egualmente pregevoli, perché poco conosciute o considerate di lusso e destinate al consumo come uve da tavola.
Ogni anno un catalogo - parziale, essendo separatamente disponibili anche vitigni specifici - indicava ai viticoltori quantità e prezzi dei più comuni. Anzi, per consentire ai clienti di valutare personalmente un gran numero di vitigni, ogni anno il vivaio proponeva la vendita di vere e proprie collezioni di venticinque, cinquanta o cento varietà diverse in due esemplari ciascuna. La personale collezione dell'I., comprendente (nel 1867) 175 vitigni, in vaso, collocati in fila, l'uno accanto all'altro, in esposizione permanente, permetteva agli studiosi che si recavano in visita a Rocchetta di rilevare i caratteri morfologici delle foglie, dei tralci, del grappolo e dell'acino, confrontandone il colore e, nel caso del frutto, il sapore.
L'I. morì a Rocchetta Tanaro il 5 ag. 1871 e fu sepolto a Torino nella tomba di famiglia. La sua collezione, come quelle di molti altri ampelografi, gli sopravvisse di poco.
Fonti e Bibl.: Rocchetta Tanaro, Archivio della famiglia Incisa della Rocchetta; G. Molon, Ampelografia. Descrizione delle migliori varietà di viti per uve da vino, uve da tavola…, Milano 1906, ad ind.; G.A. di Ricaldone, La collezione ampelografica del marchese L. I. d. R. (1792-1871), Asti 1974.