INCESTO (lat. incestus da in e castus "non casto"; ted. Blutschande)
È la congiunzione carnale tra persone di sesso diverso, legate da vincoli di parentela o di affinità, che costituiscono impedimento al matrimonio.
Etnografia. - Nei gruppi umani la nozione d'incesto è relativa all'organizzazione sociale e si modifica quindi a mano a mano che il gruppo, dallo stato di clan ad abitudini collettive, si sviluppa verso lo stato della famiglia patriarcale di abitudini più individualistiche, sia dal lato della proprietà sia da quello sessuale, in quanto l'uomo sperimenta e vuole assicurarsi il vantaggio economico della proprietà della donna. Nell'interno del clan è incesto accoppiarsi con coloro che secondo le leggi claniche avrebbero potuto essere i proprî genitori o fratelli. Questa norma, che restringe oltremodo le possibilità anche legittime d'accoppiamento e costringe l'individuo a cercare la propria moglie fuori del clan (esogamia, v.), deve essere stata suggerita dalla necessità di assicurare la pace sociale del clan, dove la vita associata di tanti uomini e donne di tutte le età doveva eccitare gl'istinti sessuali e aveva quindi bisogno di una remora etico-sociale. Qui va ricercato il motivo principale della proibizione dell'incesto, piuttosto che nell'orrore di versare il sangue del comune antenato totemico (Durkheim) o nell'avversione sessuale verso persone con le quali si è vissuti familiarmente dall'infanzia (Westermarck) o nel rispetto che si deve a individui che come membri del clan sono in qualche modo cosa propria (Frazer), o, meno ancora, nel maggiore eccitamento sessuale che si prova usando con estranei (W. J. Thomas).
L'obbligo del matrimonio fuori del clan, consolidatosi con il tempo, ha finito con il diventare così sacrosanto che la sua trasgressione fu ed è considerata apportatrice delle più gravi calamità collettive, né più né meno di una possente stregoneria.
I gradi matrimoniali considerati incestuosi sono più o meno dovunque i medesimi: nella linea ascendente il connubio tra genitori e figli, avi e nipoti; nella linea collaterale tra fratelli e sorelle figli degli stessi genitori, tra fratelli uterini, tra zii e nipoti. Si capisce che l'incesto è più o meno grave a seconda della prossimità della parentela naturale e della consapevolezza dell'incesto stesso. Quando l'incesto è grave, la pena è ordinariamente la morte, perché esso attira sul gruppo le più gravi sventure: carestie, sterilità della vegetazione, del bestiame e delle donne, epidemie. Quando l'incesto è piccolo, è possibile il riscatto, in genere mediante un sacrifizio espiatorio, che con la divisione in due dell'animale sacrificato esprime e attua insieme l'annullamento del legame incestuoso.
Il potere stregonico dell'incesto è così efficace, che talora l'incesto viene commesso proprio per fornirsi di poteri magici o per provocare lo sdegno degli dei che lo puniscono scatenando i fenomeni atmosferici. Così i Toragia (Celebes), quando vogliono la pioggia, provocano l'incesto tra due animali; il cacciatore Tonga (Cafri-Zulù), prima d'iniziare la caccia all'ippopotamo si accoppia con sua figlia per caricarsi di forza magica che lo avvalori nella difficile cattura.
L'Oriente classico ha conosciuto l'incesto, giustificandolo, per i membri della famiglia reale, con l'opportunità di conservare nella famiglia stessa la purezza del sangue, come, nel Perù precolombiano, avveniva nella famiglia reale degl'Inca, nella quale i due sovrani fratello e sorella, erano ritenuti figli del sole e della luna. Nell'Egitto, sia faraonico sia ellenistico, il matrimonio tra fratello e sorella era una prerogativa della famiglia reale, e aveva a modello il connubio mitico di Iside e Osiride.
Presso i Medi era autorizzato il matrimonio sia nella linea ascendente sia in quella trasversale (Herod., III, 31; Strab., XV, 735; Cat., XC). Dai Medi l'uso incestuoso passò ai Persiani (Cambise sposa due sorelle, Artaserse Longimano la figlia, Yazdagird II la figlia). Presso i Parsi attuali il matrimonio tra consanguinei è limitato a quello tra cugini, che viene esaltato come efficace a mantenere la purezza della razza.
Diritto. - Nel diritto romano erano vietate come incestuose, a cagione della parentela di sangue o cognazione, le relazioni carnali tra ascendenti e discendenti all'infinito, tra fratelli e sorelle, tra zii e nipoti; a cagione dell'affinità, erano vietate come incestuose le relazioni carnali tra patrigno e figliastra, tra matrigna e figliastro, tra suocero e nuora, tra suocera e genero; nel diritto romano cristiano anche tra cognata e cognato, e, per la parentela spirituale, tra padrino e figlioccia.
Con l'evoluzione della famiglia, divenuta organismo squisitamente etico-sociale, muta la base della punibilità dell'incesto; la quale può consistere nella protezione d'un interesse eugenico (sanità fisica della razza), e insieme del principio dell'asessualità dei rapporti parentali (sanità morale della famiglia); ovvero nella tutela del bene giuridico della pubblica pudicizia contro le relazioni incestuose: nel primo caso la famiglia è comunque garantita dalla legge penale; nel secondo caso gl'interessi familiari trovano una protezione riflessa mediante la tutela del buon costume.
In dottrina è stato autorevolmente contestato il fondamento giuridico della punibilità dell'incesto: F. Carrara sostiene che esso può costituire una circostanza aggravante del reato d'oltraggio al pudore pubblico; E. Pessina dice che le nozze incestuose non devono incriminarsi; il Rossi è per la punibilità.
In questo ambiente di contrastanti correnti dottrinarie furono formulati i codici penali moderni. Di essi, alcuni (codici germanico, austriaco, ungherese, zurighese, ticinese, bavarese, scozzese) puniscono l'incesto indipendentemente dal pubblico scandalo; altri (italiano del 1889) subordinano la punibilità al pubblico scandalo; altri, infine, non lo incriminano affatto (codice francese, belga, olandese, portoghese, di S. Marino, Ginevra, Vaud, Monaco). Le leggi canoniche, ammettendo anche una parentela spirituale, chiamano incesto spirituale quello commesso tra monaco e monaca, tra confessore e penitente (codex iuris can., can. 2359, n. 3). Tra i codici italiani preesistenti al codice del 1889, non prevedevano l' incesto il codice delle Due sicilie e il regolamento gregoriano, mentre lo punivano, indipendentemente dal pubblico scandalo, il codice sardo e il codice toscano.
Durante l'elaborazione del codice penale del 1889, prevalse ora la tendenza abolizionista, osservandosi che l'incesto come fatto isolato, non commesso in pubblico, non può formare oggetto di sanzione penale (commissione ministeriale del 1869; controprogetto Pessina); ora la tendenza di subordinare la punibilità al pubblico scandalo (progetto Zanardelli 1883; progetto Savelli; progetto Zanardelli 1887); e finalmente, si ebbe la formula di compromesso dell'art. 337. Tali divergenze si sono ripresentate in seno alla commissione ministeriale per il progetto preliminare del codice penale 1930.
Nell'art. 564 del codice penale vigente l'incesto è considerato come reato e l'oggettività giuridica di tale reato "non consiste soltanto nell'offesa della moralità, in genere, ma anche nella violazione della norma di condotta, che impone l'asessualità nei rapporti parentali". Ciò spiega inoltre il collocamento di questo delitto, nello stesso codice, tra i delitti contro la famiglia. L'elemento materiale del reato normalmente consiste nell'esistenza d'una relazione incestuosa tra due persone di sesso diverso; occorre poi la commistione del sangue, e non è sufficiente un qualsiasi atto di libidine. Il codice 1930 usa l'espressione "commette incesto", richiedendo inequivocabilmente per l'incriminazione un solo congresso carnale. L'incesto è di regola reato bilaterale: per imputarsi a entrambi i soggetti, l'atto dev'essere consensuale. Altro elemento del reato è l'esistenza tra gl'incestuosi di un vincolo di parentela o affinità che costituisca, secondo la legge, impedimento assoluto al matrimonio.
Si commette l'incesto: tra ascendenti e discendenti anche illegittimi (si comprendono gli adottivi: art. 60 cod. civ.); tra affini in linea retta (suocero e nuora, suocera e genero, patrigno e figliastra, matrigna e figliastro; anche dopo la morte dell'affine: art. 52 cod. civ.); in linea collaterale tra fratello e sorella (si comprendono i figli adottivi di una stessa persona: art. 60 capov. 2° cod. civ.). Non v'è incesto tra affini illegittimi in linea retta, perché manca in tale ipotesi la violazione dell'ordine della famiglia, che sussiste soltanto ove concorra il vincolo di legittimità, l'unico che determina lo "stato di affine". Per l'art. 540 del codice 1930 quando il rapporto di parentela naturale sia considerato elemento costitutivo, circostanza aggravante o attenuante, o causa di non punibilità, alla filiazione legittima è equiparata la filiazione illegittima, la quale si stabilisce osservando i limiti di prova indicati dalla legge civile, ancorché per effetti diversi dall'accertamento dello stato delle persone. In conseguenza di questo nuovo principio in materia di prova dei rapporti parentali, le norme sul delitto d'incesto hanno una più larga applicazione. Del vincolo parentale gl'incestuosi devono avere conoscenza.
Condizione di punibilità dell'incesto è lo scandalo pubblico, che deve nascere dalla modalità di esecuzione del fatto, e non dalla narrazione del fatto stesso; occorre la prova della notorietà e dello scandalo realmente avvenuto: il modo incauto determinante lo scandalo deve essere imputabile agl'incestuosi, ma non si richiede che la volontarietà dei colpevoli sia diretta a determinare lo scandalo.
L'art. 564 punisce l'ipotesi base (un solo atto d'incesto) con la reclusione da uno a cinque anni; la relazione incestuosa da due a otto anni; e aumenta la pena se l'incesto sia commesso da persona maggiore d'età con persona minore degli anni 18; in tal caso l'aggravamento di pena si applica soltanto alla persona maggiore d'età. La condanna per incesto pronunciata contro il genitore importa la perdita della patria potestà o della tutela legale.
Bibl.: Etnografia: E. Durkheim, La prohibition de l'inceste et ses origines, in L'année sociologique, I (1898), pp. 1-79; E. Westermarck, The history of human marriage, voll. 3, 5ª ed., Londra 1921, II, cap. 19; J. G. Frazer, Totemism and exogamy, IV, Londra 1910, p. 96 segg.; W. I. Thomas, Sesso e società, Torino 1911, pp. 173-194; H. Többen, Über den Inzest, Vienna 1925; F. R. S. Raglan, Incest and Exogamy, in Joural Anthrop. Inst. of Gr. Brit. and Ireland, LXI (1931), pp. 167-180; L. Levy-Bruhl, Le surnaturel et la nature dans la mentalité primitive, Parigi 1931, pp. 227-269.
Diritto: C. Ferrini, Diritto penale romano, Milano 1889; F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale, Parte speciale, voll. 7, Lucca 1872-74; E. Pessina, Elementi di diritto penale, Napoli 1882-85; V. Manzini, Trattato di diritto penale, IV, Torino 1911; M. Manfredini, Delitti contro il buon costume e l'ordine della famiglia, Milano 1922.