Incentivi per favorire l’occupazione
Nel mezzo di una crisi occupazionale di vasta portata, che presumibilmente segnerà anche gli anni a venire, con conseguenze drammatiche in particolare per i giovani, sono state adottate nel corso del 2013 alcune misure legislative volte a stimolare la domanda di lavoro da parte delle imprese, principalmente attraverso incentivi all’assunzione di determinate categorie di lavoratori, segnatamente giovani e beneficiari di sussidi di disoccupazione. Nel passare in rassegna tali interventi, introdotti dal d.l. 28.6.2013, n. 76, il contributo ne analizza criticamente il disegno e ne discute alcuni aspetti attuativi.
1. La ricognizione
La crisi occupazionale, in particolare quella che affligge i giovani, muove il legislatore a prevedere, con il d.l. 28.6.2013, n. 76, alcuni interventi di natura economica, volti principalmente a stimolare la domanda di lavoro attraverso incentivi specifici all’assunzione di lavoratori che si trovino in particolari condizioni. Tali incentivi sono rivolti ai datori di lavoro e riguardano due categorie: lavoratori giovani svantaggiati e lavoratori di qualsiasi età in stato di disoccupazione che fruiscano dell’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) introdotta nell’ordinamento italiano dalla l. 28.6.2012, n. 92. In aggiunta a tali incentivi, il d.l. n. 76/2013 prevede altri interventi economici a favore dell’occupazione giovanile.
Gli incentivi introdotti dal d.l. n. 76/2013 si aggiungono a vari incentivi già esistenti per l’assunzione di numerose categorie di lavoratori.
Per quanto concerne l’assunzione di lavoratori svantaggiati, infatti, la l. n. 92/2012 ha introdotto, con decorrenza 1.1.2013, agevolazioni contributive e assicurative per i datori di lavoro che assumano con contratti di lavoro subordinato, a tempo determinato anche in somministrazione o indeterminato, lavoratori di entrambi i generi di età non inferiore a cinquanta anni, disoccupati da oltre dodici mesi, oppure donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi, oppure da almeno sei mesi se residenti in aree svantaggiate o assunte in settori o professioni con un forte differenziale occupazionale di genere. Devono inoltre essere ricordate le agevolazioni contributive e assicurative previste dalla l. 29.12.1990, n. 407 per i datori di lavoro che assumano a tempo indeterminato lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi. Rispetto a tali incentivi, quelli introdotti (in via sperimentale sino al 30.6.2015) dal d.l. n. 76/2013 riguardano specificamente soggetti di età compresa tra 18 e 29 anni (privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi oppure di istruzione superiore o formazione). Inoltre, a differenza dei precedenti, gli incentivi introdotti nel 2013 non costituiscono agevolazioni contributive, ma vengono computati in percentuale alla retribuzione lorda del lavoratore assunto. Infine, segnatamente rispetto agli incentivi previsti dalla l. n. 92/2012, quelli introdotti dal d.l. n. 76/2013 valgono solo in caso di assunzioni a tempo indeterminato (o trasformazioni in rapporti di lavoro a tempo indeterminato), a tempo pieno o parziale.
Quanto all’incentivo all’assunzione di lavoratori che fruiscono dell’Aspi, l’ordinamento italiano già prevede vari tipi di agevolazioni per l’assunzione di beneficiari di ammortizzatori sociali. Oltre alla l. n. 407/1990, che prevede agevolazioni per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori sospesi dal lavoro e beneficiari del trattamento di integrazione salariale straordinario da almeno 24 mesi, la l. 22.7.1991, n. 223 prevede incentivi economici per l’assunzione a tempo pieno e indeterminato di lavoratori in godimento dell’indennità di mobilità. Tale misura ha costituito il modello per gli incentivi all’assunzione di lavoratori in godimento dell’Aspi.
Le aspettative circa l’effetto delle misure introdotte sono elevate: fonti governative hanno indicato in circa 100.000 nuove assunzioni un obiettivo plausibile per gli incentivi per l’occupazione giovanile sino a metà 2015, a fronte di risorse stanziate per circa 800 milioni di euro. Inoltre, nell’ambito della nuova programmazione dei fondi comunitari nel periodo 2014-2020 potrebbe rendersi possibile una messa a regime di tali incentivi anche oltre il 2015. In assenza di un programma dedicato di valutazione scientifica dell’impatto occupazionale della misura, sarà però difficile riuscire a capire se questa avrà raggiunto i propri obiettivi, e se le notevoli risorse investite saranno state in ultima analisi efficaci.
Gli incentivi economici al datore di lavoro per l’assunzione di lavoratori con contratto a tempo indeterminato introdotti dal d.l. n. 76/2013 riguardano due categorie di lavoratori: giovani svantaggiati (art. 1) e beneficiari di Aspi di qualsiasi età (art. 7, co. 5, lett. b). Vengono poi stanziati (art. 2) dei fondi per tirocini formativi rivolti a giovani nel settore della cultura e presso le amministrazioni dello stato e per tirocini curriculari rivolti a studenti universitari per promuovere l’alternanza tra scuola e lavoro e vengono previste (art. 3) risorse ulteriori per l’attivazione di interventi specificamente rivolti ai giovani nel Mezzogiorno. In quanto segue ci si concentrerà sugli incentivi per assunzioni.
Il d.l. n. 76/2013 introduce, in via sperimentale e nei limiti di risorse prefissate, incentivi per datori di lavoro che, nel periodo dal 7.8.2013 al 30.6.2015, assumano a tempo indeterminato, anche parziale, maggiorenni che non abbiano ancora compiuto 30 anni, privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi oppure privi di un diploma di scuola media o professionale, o trasformino per tali soggetti a tempo indeterminato rapporti di lavoro in essere a tempo determinato. Le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto. L’incentivo è pari a un terzo della retribuzione imponibile lorda ai fini previdenziali, con il limite di 650 euro mensili per lavoratore assunto ed è riconosciuto per un periodo di 18 mesi, attraverso conguaglio nelle denunce contributive mensili effettuate dal datore di lavoro nel periodo di riferimento. Nel caso di trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato, la durata dell’incentivo è di 12 mesi. Le risorse destinate alla misura sono fissate in 794 milioni di euro e sono state allocate, sulla base dei criteri di riparto dei fondi strutturali, per circa due terzi (500 milioni di euro) alle regioni del Mezzogiorno. Gli incentivi sono assegnati ai richiedenti in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande, nel limite delle risorse a ciò rese disponibili nella regione di svolgimento della prestazione lavorativa.
Vari aspetti della misura paiono meritevoli di approfondimento. In primo luogo, i requisiti soggettivi previsti sono volti a garantire la compatibilità dell’incentivazione con il Regolamento (CE) della Commissione 6.8.2008, n. 800, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune. Tra questi, quelli volti all’assunzione di «lavoratori svantaggiati», intendendo quanti appartengano ad alcune categorie, tra le quali l’esser privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, e il non possedere un diploma di scuola media superiore o professionale. Se la definizione dell’ultima categoria non richiede elaborazioni ulteriori, così non è per la prima. In effetti il legislatore comunitario non fornisce ulteriori specificazioni, cosicché tale caratterizzazione viene spesso, nei media e non solo, ritenuta coestensiva a quella di disoccupazione (di durata pari almeno a sei mesi). Così non è, o almeno non è più a seguito dell’emanazione del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 20.3.2013 che stabilisce privi di un impiego regolarmente retribuito «coloro che negli ultimi sei mesi non hanno prestato attività lavorativa riconducibile ad un rapporto di lavoro subordinato della durata di almeno sei mesi ovvero coloro che negli ultimi sei mesi hanno svolto attività lavorativa in forma autonoma o parasubordinata dalla quale derivi un reddito inferiore al reddito annuale minimo personale escluso da imposizione» (previsto per il 2013 in 4.800 euro in caso di lavoro autonomo propriamente detto, e in 8.000 euro per le collaborazioni coordinate e continuative e per le altre prestazioni di lavoro di cui all’art. 50, co. 1, lett. c-bis del t.u.i.r. approvato con d.P.R. 22.12.1986, n. 917)1. Ciò significa che attività di lavoro autonomo che diano luogo a compensi inferiori a tali limiti, oppure rapporti di lavoro subordinato di durata inferiore a 6 mesi devono essere considerati «non regolarmente retribuiti», senza che venga in rilievo l’eventuale stato di disoccupazione ai sensi del d.lgs. 21.4.2000, n. 181. In sostanza, occorrerà considerare il periodo di sei mesi antecedente la data di assunzione e verificare che in tale periodo il lavoratore non abbia svolto un’attività di lavoro subordinato che abbia previsto un contratto di durata pari o superiore a sei mesi, oppure un’attività di lavoro autonomo che abbia dato luogo a redditi superiori ai limiti citati.
Questo spiega come sia possibile godere degli incentivi in corrispondenza della trasformazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato al di fuori del caso di lavoratori a bassa scolarizzazione: secondo l’interpretazione offerta dall’Inps, la condizione di assenza di «impiego regolarmente retribuito» deve sussistere al momento della trasformazione: «ne consegue che, ai fini dell’ammissione al beneficio, la trasformazione deve iniziare entro sei mesi dalla decorrenza del rapporto da trasformare, eventualmente anche in anticipo rispetto l’originaria scadenza».
Inoltre, così come prescritto dal suddetto regolamento comunitario, le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto, che va mantenuto per la durata dell’incentivo2. Esso viene calcolato con riferimento alla media dei lavoratori occupati (con qualunque contratto, fatto salvo il lavoro accessorio) nell’anno precedente l’assunzione o la trasformazione3. La valutazione viene effettuata prendendo in considerazione le unità di lavoro annuo, pertanto l’apporto dei lavoratori a tempo parziale viene ponderato in base alle ore di lavoro svolte. Come detto, l’incremento occupazionale netto va mantenuto per ogni mese di calendario di vigenza dell’incentivo, pena la perdita dell’incentivo per il periodo di non mantenimento.
Nei casi di trasformazione, è possibile soddisfare il requisito dell’incremento occupazionale attraverso un’assunzione compensativa di un altro lavoratore con contratto di lavoro dipendente (anche, ovviamente, a tempo determinato), senza che questa debba necessariamente riguardare un giovane svantaggiato. Qualora necessaria, essa può aver luogo entro un mese dalla trasformazione.
Per quanto concerne i rapporti di lavoro incentivati, essi consistono in tutti i rapporti a tempo indeterminato (inclusi quelli a tempo parziale) a carattere stabile, compresi quelli di somministrazione e, in virtù dell’art. 1, co. 1, d.lgs. 14.9.2011, n. 167, quelli di apprendistato, ma esclusi quelli di lavoro intermittente e ripartito4. Sono poi esplicitamente esclusi dal legislatore i rapporti di lavoro domestico.
La corresponsione degli incentivi è subordinata all’adempimento di obblighi di regolarità contributiva e al rispetto degli accordi e contratti collettivi, nonché dei principi stabiliti all’art. 4, co. 12, 13 e 15, l. n. 92/2012, introdotti al fine di garantire un’omogenea applicazione di tutti gli incentivi all’assunzione presenti nell’ordinamento, principi ai quali conviene rinviare5.
Il d.l. n. 76/2013 inserisce nell’art. 2 della l. n. 92/2012 il co. 10-bis, che introduce in modo strutturale incentivi economici per i datori di lavoro che, senza esservi tenuti, assumano a tempo pieno e indeterminato lavoratori in godimento dell’Aspi6. Essi prevedono che al datore di lavoro sia concesso un contributo pari al 50 per cento dell’indennità mensile residua che sarebbe stata corrisposta al lavoratore. I lavoratori in questione non devono esser stati licenziati, nei sei mesi precedenti, da un datore di lavoro con assetti proprietari coincidenti o collegati con chi assume; una disposizione, quest’ultima, che riprende l’art. 4, co. 12, lett. d) l. n. 92/2012.
Al riguardo, sebbene relativamente agli incentivi in oggetto l’Inps non abbia ancora emanato circolari attuative, è da presumere che esso intenda applicare tutti i principi introdotti dalla l. n. 92/2012 «al fine di garantire un’omogenea applicazione degli incentivi all’assunzione» (cfr. supra), i quali peraltro già escludono la corresponsione del beneficio se l’assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente7. Allo stesso modo, è plausibile ritenere che il beneficio verrà reso operativo attraverso il conguaglio nelle denunce contributive mensili. In assenza di specifica menzione, si ritiene che gli incentivi in oggetto non si estendano a soggetti in godimento della mini-Aspi, una prestazione di disoccupazione introdotta anch’essa dalla l. n. 92/2012 per soggetti in possesso di requisiti contributivi affievoliti rispetto all’Aspi.
Il panorama italiano degli incentivi all’occupazione si arricchisce, con il d.l. n. 76/2013, di due ulteriori misure. Circa l’assunzione di lavoratori beneficiari di Aspi, salta agli occhi come, essendo la convenienza del datore di lavoro tanto maggiore quanto più lunga sia la durata residua della prestazione di disoccupazione, la misura fornisca incentivi economici a comportamenti già nelle corde del datore di lavoro. Questi infatti vorrà presumibilmente assumere alle proprie dipendenze lavoratori da poco tempo privi di occupazione, e come tali non ancora soggetti al processo di obsolescenza delle capacità e delle professionalità (le cd. skills) che rendono poco profittevole l’assunzione di lavoratori da più tempo disoccupati. Per come è congegnata, insomma, tale previsione fornisce minori incentivi per l’assunzione dei lavoratori in possesso di minore occupabilità. Al contempo, essa potrebbe spingere i lavoratori in godimento dell’Aspi ad attivarsi alla ricerca di un’occupazione quanto prima, senza attendere che tale prestazione volga al termine, sì da poter portare in dote al datore di lavoro un’agevolazione maggiore e rendersi così maggiormente appetibili.
Quanto agli incentivi all’assunzione di lavoratori giovani svantaggiati, una misura nella quale il decisore pubblico ripone molte aspettative, sono state sollevate perplessità in merito alla necessità della realizzazione di un incremento occupazionale netto, previsione che appare però imposta dal diritto comunitario, per una misura che difficilmente può esser ritenuta un aiuto di stato di importanza minore nel regime cd. de minimis. Tale considerazione vale a fortiori se si considera che il Governo italiano vorrebbe estendere l’ambito temporale della misura sino a farlo coincidere con l’intero periodo di programmazione comunitaria 2014-2020, utilizzando a tal fine i fondi comunitari, una strategia che richiede una negoziazione con la Commissione europea.
Piuttosto, le aspettative riposte nella misura in oggetto richiamano considerazioni più generali, che attengono all’effettiva efficacia (e alla convenienza economica) del sistema di incentivi presente nell’ordinamento italiano. Non si intende qui argomentare a favore o contro l’efficacia o l’economicità di tali incentivi. Semplicemente, è impossibile dirne, in assenza di una loro valutazione rigorosa. Essa richiederebbe la previsione di un disegno di tipo sperimentale, con raccolta di informazioni e un piano di implementazione delle misure a ciò preposto. Il d.l. n. 76/2013 stabilisce che la misura prevista all’art. 1 venga sottoposta a monitoraggio e a valutazione, ai sensi della l. n. 92/2012. Il problema è che previsioni simili si ripetono stancamente nella legislazione italiana, già prima della legge citata, ma vengono di regola interpretate in modo lasco, raccogliendo – nel migliore dei casi – dati di ridotta utilità e senza un disegno delle misure che possa condurre ad una valutazione scientifica della loro efficacia. In tale situazione di carenza informativa su che cosa funziona e che cosa no, ogni aspettativa circa la reale efficacia di un intervento di politica pubblica appare, in Italia, un atto di fede.
1 Vedi anche la circ. Ministero del lavoro e delle politiche sociali 25.7.2103, n. 34.
2 L’art. 40 del regolamento, al quale si rinvia, prevede eccezioni a tale criterio.
3 L’incremento della base occupazionale va considerato anche in riferimento a società controllate o collegate o con assetti proprietari sostanzialmente coincidenti (art. 1, co. 7, d.l. n. 76/2013).
4 Per specificità dei rapporti di lavoro in somministrazione e dell’apprendistato, vedi circ. Inps n. 131/2013.
5 In sintesi, tali principi concernono la non spettanza degli incentivi in corrispondenza dell’assunzione di lavoratore precedentemente licenziato da un datore di lavoro con assetti proprietari coincidenti o collegati con chi assume; in conseguenza di obbligo preesistente; in violazione del diritto di precedenza; in presenza di sospensioni dal lavoro per crisi o riorganizzazione aziendale. Sul punto, vedi la circolare Inps 12.12.2012, n. 137, nonché Massi, E., Le agevolazioni per le assunzioni di lavoratori in Aspi, in Circ. lav. previd., 2013, 30, 9 ss.
6 Per la determinazione di tali lavoratori si rinvia alla disciplina dell’istituto all’art. 2 l. n. 92/2012, e alla circ. Inps 18.12.2012, n. 142.
7 Per approfondimenti vedi Massi, E., Le agevolazioni, cit., 14 ss.