INCENSIERE
(ϑυμιατηᾒριον, turibulum). − Questa definizione comprende i varî tipi di recipienti adibiti alla combustione di sostanze aromatiche (escludendo, quindi, sia i vasi destinati solo alla conservazione dell'incenso, o di altre resine, sia i piccoli altari, su cui si spargevano, come offerta, i profumi).
Gli i. sono generalmente divisi in due gruppi principali: i. fissi, costituiti da vaschette, con o senza coperchio, provviste di sostegno, e i. mobili, scatolette di varia forma, per lo più con coperchio forato. Gli i. mobili sono tenuti in mano dal sacrificante, o poggiati sull'altare; alcuni tipi sono sospesi a lunghe catenelle, in modo che possano espandere più largamente il profumo, oscillando. L'offerta dell'incenso è largamente testimoniata per il culto divino e per i riti funebri; frequente era l'uso di profumare con aromi la sala del banchetto.
Si può ricordare, nella pratica medica, l'inalazione di certe sostanze mediante la combustione (suffumigi).
Egitto. − Le rappresentazioni figurate egiziane attestano l'offerta dell'incenso agli dèi e ai defunti; in un rilievo di Abu Simbel gli assediati porgono ai vincitori Egiziani un i., in segno di resa.
I tipi più antichi di i. sono modellati in terracotta, probabilmente perché questo materiale è cattivo conduttore di calore. Noi troviamo più frequentemente nell'Antico Regno (2850-2175 circa) la ciotola emisferica, che il celebrante teneva con la mano aperta, o la tazza con appendice a bastoncino nella parte inferiore, da impugnarsi come un manico. Nel Medio e Nuovo Regno il manico viene sostituito da un piede vero e proprio, che in periodo greco assume un aspetto poliedrico. In età romana la base ingrossata del sostegno è sorretta da tre piccoli piedi, come le odierne lampade da chiesa.
Nel Medio Regno si sviluppa un altro tipo, che giunge fino all'età romana: un avambraccio umano, di bronzo, che al gomito termina in una testa di falco ed all'altra estremità in una mano aperta, su cui poggia la ciotola, o in un pugno, che stringe il manico a bastoncino.
Mesopotamia. − Durante il periodo babilonese il più antico modello di i. è costituito da una tazza piatta, su un piede sottile, di terracotta, simile ad una colonnetta (circa 1300 a. C.). A volte il piede è molto basso e l'i. si trova su di un altare. In epoca assira (IX-VIII sec. a. C.) la forma dell'i. non cambia, però la colonna, di sezione rotonda, si fa più alta, un metro circa; nella parte superiore ha delle modanature a tòroi, su cui poggia la tazza. Un rilievo da Ninive riproduce un esemplare meno alto, ma ornato più riccamente, adibito a profumare l'ambiente del banchetto. L'i. del periodo neo-babilonese conserva queste caratteristiche fondamentali; gli i. persiani, come ci mostra anche un rilievo da Persepoli, hanno un alto coperchio a cono terminante in un bottone, a volte unito al sostegno con una catenella.
Siria. − L'i. siriaco antico deriva, in questo ambiente di cultura mista, da tipi egiziani; altri esemplari, con ricche modanature a tòroi nel sostegno, mostrano di avere subito l'influsso di forme assire e cipriote. I. di derivazione babilonese ed assira si vedono sui sigilli bittiti; in epoca posteriore è preferito il sostegno a candelabro. Come i. servivano anche piccoli bracieri a forma di coppa e lampade; si usavano anche palette di lamina bronzea che, riscaldate, facevano evaporare l'incenso. Sono molto interessanti alcuni i. di epoca romana, che riproducono forme architettoniche: tempietti o edicolette con la parte superiore traforata, nel cui interno si mettevano i carboni accesi.
Palestina. − In origine l'i. ebraico era una specie di cucchiaio, una paletta con cui si prendeva il fuoco dall'altare, per spargervi i grani odorosi; più tardi divenne una ciotola piatta con lungo manico, che il sommo sacerdote riempiva di carboni accesi e recava con sé nel sancta sanctorum, per gettarvi sopra le sostanze aromatiche. Da testimonianze bibliche apprendiamo che, oltre al recipiente da tenersi in mano, per offrire l'incenso si usava un braciere mobile, poggiato su di una tavola o su di un piedistallo proprio. Queste due maniere potevano essere usate contemporaneamente.
Fenicia. − Gli i. fenici più antichi subiscono l'influenza dei modelli assiri e babilonesi: il sostegno, più largo in basso, è ornato con modanature a tòroi, su cui è appoggiata una tazza piatta. Sono frequenti anche gli esemplari che hanno, invece delle modanature, due giri di foglie ricadenti verso terra; un i. di pietra da Megiddo, di questo tipo, conserva una decorazione pittorica a fiori di loto, mentre nelle foglie sono indicate, schematicamente, le nervature. I modelli recenti, sui rilievi, fenici e punici, si arricchiscono di un terzo giro di foglie; in periodo ellenistico una tazza piatta, sorretta da un piede basso e largo, assottigliato nella parte superiore, ha un elaborato coperchio traforato, che termina in un pomolo allungato.
Troia. − Da Hissarlik, dalla prima città preistorica, abbiamo un incensiere globulare, provvisto di coperchio; data la presenza di quattro anse, è probabile che lo si facesse oscillare, sospendendolo ad una fune. Tra la prima e la seconda città si ha, per gli i., lo svolgimento dal tipo globulare a quello cilindrico. Tutti gli esemplari, che col. tempo si fanno sempre più alti e larghi, sono provvisti di anse e di coperchi traforati, di forma conica; hanno tutti e tre corte zampe, in modo che si possono appoggiare ed agitare.
Creta. − Alcuni recipienti trovati a Creta sono stati definiti i. sia per la presenza di fori, sia perché, in alcuni casi, conservano tracce di combustione. Dai magazzini reali di Gnosso abbiamo un vaso a forma di pisside, a doppio involucro, con il recipiente interno ed il coperchio traforato; sempre da Cnosso proviene un bacino piatto, svasato, con manico a bastoncino; un altro, della stessa forma, ha un doppio fondo, forse perché nella parte inferiore venivano immessi i carboni accesi da un foro centrale, mentre sul diaframma traforato si poneva l'incenso. È molto interessante un vaso campanulato, dal corpo allungatissimo, con apertura bilobata, a cuore, e manico a bastoncino; ha una decorazione pittorica a strisce e a foglie frangiate, in blu, giallo, rosso e nero, su fondo bianco.
Cipro. − Da Salamina il Cesnola riproduce i. con piede basso, espanso, corpo traforato, campaniforme o sagomato, forniti di coperchio a cono, terminante in un anello. Un esemplare ha un alto piede sagomato, corpo elegantemente decorato a giorno, a forma di cupola, con peduncolo. Il Wiegand riporta un i. sorretto da un alto stelo decorato da dischi sovrapposti e distanziati, che poggia su tre robusti piedi.
Ambiente italico ed etrusco. − Nel periodo villanoviano abbiamo numerosi i. mobili, sospesi a catenelle, provenienti per lo più da Bologna (però alcuni esemplari sono stati trovati a Tarquinia, a Narce, a Novilara, a Rieti) di forma globulare; il corpo, in lamina di bronzo decorata a motivi lineari, è costituito da due calotte emisferiche, unite con chiodi dalla capocchia larga e schiacciata. Alla calotta inferiore è unito un piede espanso, di lamina; la calotta superiore, che ha un orificio circolare, di varia ampiezza, porta inchiodati due manici verticali, ad occhiello, entro i quali passa una catenella a maglie doppie. Un'altra catenella pende dal coperchio, decorato con due protomi di anatrelle o con un fiore di loto a sei petali.
Molto antico è il tipo dell'i. fisso, costituito da una coppa in lamina bronzea, a cui sono attaccate tre gambe di lamina, lisce o costolate, piegate a squadra o unite tangenzialmente alla coppa. Abbiamo esemplari simili da Caracupa, vicino a Roma, dal territorio falisco e dall'Etruria; i più antichi possono risalire agli inizi del VII sec. a. C. Un altro modello, che si esaurisce nel corso del VII sec., ha le gambe piegate in modo da accogliere una decorazione plastica: cavallini di tipo geometrico, con o senza cavaliere, ottenuti a fusione.
Nel periodo orientalizzante Vetulonia è il centro di diffusione di un tipo particolare di i. mobili: il corpo del recipiente, forato a denti di lupo, è formato da due parti di lamina bronzea, l'inferiore svasata, a campana, la superiore cilindrica, ed è chiuso in basso da un disco di lamina, in alto da un coperchio a campana, sormontato da un fiore di loto sbocciato; al fiore è unita una catenella a nastro snodato, ottenuta a fusione. Sono stati trovati resti di due dischi di legno, che rivestivano il fondo e l'interno del coperchio dell'i.; per evitare la combustione del disco inferiore si usava forse interporre un materiale isolante (cenere o terriccio).
Infine, nel VI-V sec. a. C., abbiamo un gruppo di bronzi di incerto uso, designati a volte come candelabri, a volte come incensieri. La coppa, di piccole dimensioni, a ciotola o a calice, posa su di un sostegno, sorgente, spesso, da tre zampe leonine. Tale sostegno, che può essere uno stelo modanato a tòroi, nella maggior parte dei casi è rappresentato da una figura umana (una danzatrice, un efebo, Ercole), che regge sulla testa o fra le mani un fusto modanato, di varia forma, generalmente decorato con calici floreali, piccole patere rovesciate, ghirlande di bocci. Tipologicamente, questi oggetti sono considerati affini ai bronzi vulcenti.
Grecia e Roma. − In Grecia gli i. sono frequenti come doni votivi; lavorati anche in materiale pregiato (oro, argento), o laminati, sono ricordati, in numero grandissimo, negli inventarî dei templi. Quali accessori del culto erano usati durante i cortei festivi e nelle processioni, come attesta anche il fregio del Partenone; Eliano riferisce che erano adibiti a profumare la sala del banchetto. A Roma, l'offerta dell'incenso faceva parte dei riti funebri.
In epoca arcaica, dal territorio greco, si hanno modelli di ispirazione fantastica, come l'i. in terracotta, da Rodi, in cui la coppa è sorretta da una figura femminile, su di un carro tirato da due cavalli; gli i. della fine del VI sec. hanno già forme più semplici e regolari. Si usa raccogliere gli esemplari greci e romani in sei tipi, fondamentalmente simili: la ciotola, munita di un coperchio a cono, traforato, è retta da un alto sostegno, che dopo i primi modelli più semplici, dal fusto liscio e cilindrico (come l'i. in terracotta da Eretria, al Museo Naz. di Atene), in seguito poliedrico, a tre lati, quale si può vedere rappresentato sui vasi dello stile di Meidias, si arricchisce di piedi a forma di zampe leonine (come sui vasi a figure rosse del IV sec.), e di anelli, fino al VI tipo, in cui assume l'aspetto di una colonna da balaustra.
Negli i. romani tardi osserviamo una maggiore libertà di fantasia ed una certa tendenza a forme barocche. Sfuggono a questa classificazione sia le piccole tazze di terracotta, di età romana, con base a forma di altare, di pigna, o di testa femminile, su cui è applicata una lampada, sia gli i. architettonici di Olbia, a forma di casa a due piani, divisi da un setto traforato; nel piano inferiore si mettevano i carboni accesi, in quello superiore le sostanze aromatiche.
Un i. di tipo insolito è stato trovato recentemente a Delfi: la tazza a forma di lebete, con la spalla orizzontale ed orlo a collarino, è sorretta da una figura femminile in peplo, che il Will giudica appartenente alla produzione attica del V sec. a. C.
Ambiente cristiano. − Nei riti cristiani l'offerta dell'incenso alla divinità è testimoniata dal IV sec.; l'imperatore Costantino offriva in dono a Silvestro I, per il Battistero del Laterano, un i. d'oro ornato di pietre preziose. In Egitto i. accesi erano messi nelle tombe come corredo funebre, con intenzioni esorcistiche.
In un primo periodo gli i. cristiani non sono diversi dai modelli profani: hanno un piede a stelo, più largo in basso, che regge una tazza emisferica, provvista di un coperchio assicurato da catene. Col tempo il piede diviene più alto, i recipienti hanno decorazioni à jour od ornamenti a forma di anelli; sul coperchio è presente la croce.
Dal V sec. abbiamo i. sospesi a catene, che si possono fare oscillare; un esemplare da Volubilis, nel Marocco, a forma di pisside cilindrica sorretta da tre piccoli piedi, ha il corpo decorato à jour ed il coperchio a cupola, traforato, sormontato dalla croce. Tra gli i. copti troviamo la più grande varietà di forme, a pisside, a testa umana, a boccio, tutti traforati e decorati a giorno.
Bibl.: Per un uso sistematico si veda la monografia di K. Wigand, Thymiateria, in Bonner Jahrbücher, CXXII, 1912, pp. 1-97, tavv. I-VI, con bibl. prec.; si hanno trattazioni generali nelle seguenti opere: M. Besnier, in Dict. Ant., V, pp. 542-544; M. Ebert, Reallexicon der Vorgeschichte, XI, 1927-28, pp. 31-33; K. Ziegler, in Pauly-Wissowa, VI A, 1936, p. 706-714. Per altri i.: A. Evans, The Palace of Minos at Knossos, I, 1921, p. 568, fig. 412; II, 1928, p. 134, fig. 68; IV, 1935, p. 72, fig. 44 e p. 1011, fig. 962 e tav. XXXV; L. Palma di Cesnola, Salaminia, 1882, p. 260, tav. 20, nn. 18 e 20, p. 274, fig. 268; P. Ducati, Gli "Incensieri" della civiltà Villanoviana in Bologna, in Bullettino di Paletnologia Italiana, VIII, 1912, pp. 11-29, fig. A; M. Guarducci, Bronzi di Vulci, in St. Etr., X, 1936, pp. 36-39, tavv. XI-XIII; E. Vinattieri, Per la forma, la tecnica e la destinazione dei "cosiddetti incensieri di tipo vetuloniese", in St. Etr., XX, 1948, pp. 199-214, tav. VI; R. Zandrino, Il Thymiaterion della Boncia, in St. Etr., XXII, 1952-1953, pp. 329-338, figg. 1-3; H. Hencken, Horse Tripods in Etruria, in Am. Journ. Arch., 1957, p. 1 ss.; E. Will, Brule-parfums en bronze trouvé à Delphes, in Mon. Piot, XL, 1944, pp. 53-68, fig. I, tavv. V e VI; G. Q. Giglioli, Un'ara del Chiostro di S. Cecilia in Trastevere, in Arch. Class., III, 1951, pp. 104-106, tav. XXII; F. Drexel, Ein Rauchfass aus Aegypten, in Röm. Mitt., XXVIII, 1913, pp. 183-191, tav. II; C. M. Kaufmann, Handbuch der christlichen Archäologie, 1913, pp. 595-598, fig. 240; E. Coche de la Ferté, L'antiquité Chrétienne au Musée du Louvre, 1958, p. 37, n. 30; D. Srejovic, Thymiateria, in Ziva Antika, VII, 1956, pp. 301-306.