INCENSIERE (gr. ϑυμιατήριον; lat. turibulum, da tus, turis "incenso")
Bruciaprofumi. La conoscenza di oggetti di terracotta o di metallo, da servire come bruciaprofumi, appare molto diffusa nel mondo antico orientale e classico. Tali incensieri erano usati nelle cerimonie di culto, e dovevano quindi far parte della suppellettile dei santuarî, in esemplari più o meno pregevoli per il valore della materia adoperata (terracotta, bronzo o argento) e per l'eleganza della forma. Anche entro proporzioni generalmente modeste, tali oggetti ammettevano quella varietà di tipi che è conciliabile con la forma di una scatola (pyxis), atta a contenere la brace su cui bruciare l'incenso, e munita di coperchio, necessariamente forato. Le più antiche testimonianze di incensieri del genere ci sono fornite da rilievi funerarî egiziani.
I tipi più antichi d'incensieri in Italia sono quelli rinvenuti tra la suppellettile delle tombe villanoviane (sec. X-VIII a. C.); al qual proposito è da osservare che fin dai tempi preistorici anche in Italia, per influsso delle civiltà orientali, il rito funerario di bruciare profumi era abbastanza diffuso. Provengono da antiche necropoli bolognesi alcuni piccoli recipienti di lamina di bronzo ribattuta, di forma sferoidale schiacciata, muniti di coperchio con pomello, e di catenella di una certa lunghezza, riconosciuti appunto come incensieri. Altri incensieri, d'un tipo detto vetuloniese, rinvenuti a Vetulonia, a Populonia e in altre località dell'antica Etruria, constano d'una scatola a tronco di cono, traforata, con coperchio e pomello a fiore di loto, e catenella a nastro snodato.
Non si può escludere che gli stessi tripodi sacri, così diffusi nel mondo classico, avessero, almeno in certi casi, la destinazione di bruciaprofumi. A un solo piede è il bruciaprofumi scolpito sopra uno dei lati del celebre Trono Ludovisi (Roma, Museo Nazionale Romano). In eta ellenistica, in paese etrusco, si trovano usati piccoli tripodi di bronzo, variamente decorati all'intorno e sormontati da un piattello convesso, nei quali, a meno che non si tratti di semplici lucerne su alto piede, si potrebbero pure riconoscere incensieri.
A un tipo completamente diverso rispondono gl'incensieri fittili di Olbia (Kerčsul Mar Nero; esemplari a Londra, nel British Museum e a Leningrado nell'Ermitage): una specie di cilindro internamente diviso in due piani, sormontato da un alto coperchio conico. A Roma poi, circa la fine della repubblica, erano in uso incensieri pesanti e pressoché fissi, di tipo metallico, come quello riprodotto nel notissimo dipinto detto delle Nozze Aldobrandine, nella Biblioteca Vaticana.
Nel cristianesimo. - Le più antiche forme d'incensiere, usate nel culto cristiano, erano di semplici recipienti con coperchi a parecchi fori per l'uscita del fumo; talvolta erano sostenuti a mano, talaltra appesi a funicelle, e questo fu l'uso che prevalse in seguito. Anche oggi nella liturgia cattolica è rimasta fondamentalmente questa forma: un recipiente, dentro cui si pone un piccolo braciere con il fuoco; il recipiente è appeso a tre catenelle, fra le quali scorre il coperchio appeso a una quarta catenella; le catenelle sono saldate all'estremità superiore a un cerchietto da impugnatura. Fusi in bronzo, battuti in rame, cesellati anche in oro e in argento, gl'incensieri furono foggiati e adorni variamente nei diversi tempi. Dei primi secoli del Medioevo se ne hanno di bronzo, poligonali o emisferici, provenienti da Cipro, dall'Egitto, dalla Siria, con rilievi di figure e di storie sacre (Londra, British Museum; Firenze, Museo Nazionale, ecc.). Nell'età romanica furono frequenti di forma sferica, a coperchio scorrevole nelle catenelle, decorati di tralci con trafori, ma allora s'incominciò anche a disegnarli in forme complicate di elementi architettonici, che poi nell'arte gotica si svilupparono in tabernacoli e guglie, come già è indicato nella Schedula diversarum artium. E codesta forma architettonica persistette a lungo fin nel Rinascimento, cedendo poi ad altre fogge più semplici sebbene improntate al Barocco. L'incenso, da mettere man mano sul fuoco, è conservato in un recipiente a parte, chiamato anticamente acerra o arca turalis, oggi comunemente navicella, dalla forma di piccola nave che ha di solito (v. incenso).
V. tav. CXCII.
Bibl.: M. Ebert, Real-lexikon der Vorgeschichte, s. v. Räuchgerä; M. Besnier, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire, s. v. Turibulum; P. Ducati, Gli "incensieri" della civiltà villanoviana in Bologna, in Bull. Paletn. Ital., XXXVIII, 1912, pagina 11 segg.; R. Mac Iver, Villanovans and early Etruscans, Oxford 1924, passim; B. Nogara, Le Nozze Aldobrandine, Milano 1907, tavole I, VII, VIII. Per il cristianesimo, v. O. M. Dalton, Byzantine art and archaeology, Oxford 1911; C. Rohault de Fleury, La Messe; études archéologiques sur ses monuments, voll. 3, Parigi 1883; I. Braun, Das christl. Altargerät, Monaco 1932.