incarnazione
Dal punto di vista della teologia cattolica l'i. è il mistero della persona di Gesù Cristo e della sua origine, cioè dell‛ avventura ' del Logos eterno, seconda persona della Trinità, che unì la propria natura di Dio a una natura individuale di uomo per formare, mediante un'unione ‛ personale ' (‛ ipostatica ' nel senso di ‛ personalizzante '), un'unica persona umano-divina. Tale persona Dio chiamò in vita - in mezzo agli uomini e in tutto simile a loro " absque peccato " - come il novello Adamo, perché soffrisse e morisse su una croce in atto di obbedienza, o piuttosto di umiltà e di umiliazione, per riparare al peccato del primo Adamo e salvare dalle conseguenze la sua discendenza. Per un cristiano l'i. costituisce il mistero fondamentale della fede, il cui rifiuto o la cui colpevole ignoranza (Pd XIX 103-105) escludono dalla comunità di salvezza che è la Chiesa.
D., " poeta theologizans " e fornito di cultura completa, dà per scontati tutti i dati maggiori del dogma cattolico. Il primo passo, in senso cronologico, che troviamo in D. è quello assai bello di Cv IV V che, invece di essere piattamente storico come avrebbe potuto, presenta un ricco contenuto teologico e spirituale. In questa trattazione, dove D. vuol legittimare il governo imperiale e il ruolo provvidenziale dell'Impero romano, egli spiega che la terra convenia essere in ottima disposizione, vale a dire tutta ad uno principe. Ed ecco la mirabile formulazione, unica in tutta l'opera, di cui riprenderemo uno a uno i termini: Volendo la 'nmensurabile bontà divina l'umana creatura a sé riconformare, che per lo peccato de la prevaricazione del primo uomo da Dio era partita e disformata, eletto fu in quello altissimo e congiuntissimo consistorio de la Trinitade, che 'l Figliuolo di Dio in terra discendesse a fare questa concordia (Cv IV V 3).
Il ‛ principio ' dell'i. fu dunque l'alto amore, la gratuita e inesplicabile bontà divina. Su ciò D. tornerà spesso (Pg X 43, Pd VII 30-33, 64 e 109).
La ‛ finalità ultima ' dell'i. è identificata nella restaurazione della pace (Pg X 34-36), nella riparazione o restaurazione della salute, nella salvezza (Mn I XVI 1, Pd VII 48), nella fine dell'errore e della sua punizione (Pd VII 29, Pg X 36).
La ‛ causa immediata ' dell'i. fu il peccato commesso da Adamo (l'uom che non nacque, Pd VII 26). Secondo la scuola scotista l'i. sarebbe convenuta e avrebbe potuto aver luogo anche senza la caduta dell'uomo reclamante un riscatto; D. non sembra far propria l'opinione secondo cui una tale elevatezza dell'umanità sarebbe bastata a giustificare la discesa del Verbo tra gli uomini. Per lui l'i. mirava a riparare la prima colpa; peraltro questa sola era la forma degna per tale soddisfazione: tutti li altri modi erano scarsi / a la giustizia, se 'l Figliuol di Dio / non fosse umilïato ad incarnarsi (Pd VII 118-120). D. infatti, con s. Paolo e i teologi di ogni epoca, giunge a meglio penetrare il mistero del primo Adamo solo confrontandolo con quello del secondo; e, inversamente, i ‛ frutti ' dell'opera di Cristo vengono da lui espressi in funzione del disastro causato dal primo uomo. Una tale correlazione si trova nel passo già considerato di Cv IV V con la coppia disformatariconformare; in Pg X 34-36 l'angelo dell'annunciazione è simmetrico al cherubino che serrò l'Eden: l'angel che venne in terra col decreto / de la molt'anni lagrimata pace, / ch'aperse il ciel del suo lungo divieto; in Pd VII 32 compare l'altra coppia ‛ allontanarsi ' - ‛ riunirsi '; in XXXII 82 'l tempo de la grazia è in antitesi al lungo divieto; senza dire di XXXIII 5-6, dove fattore-fattura sono al loro giusto posto, ma dove l'ordine cui si allude è un po' diverso da quello primo Adamo-secondo Adamo.
Se il mistero dell'i. è inseparabile da quello della croce e della redenzione (cfr. Pd XIII 40-41; v. oltre), esso va anzitutto considerato in rapporto a quello della Trinità: al Verbo di Dio discender piacque è detto in Pd VII 30, un Verbo che imprime le sue vestigia nella creazione del materiale e dell'immateriale (XIII 52-54).
Maria - l'immagine è celebre ma insieme delicata e nuova - è la rosa in che 'l verbo divino / carne si fece (XXIII 73). In Ep VII 14 D. si richiama alla nascita di Gesù al tempo di Augusto per provare come il principato di quest'ultimo fosse perfettamente giusto; non si può quindi rimproverare D. di aver dimenticato la natura trascendente che, unita alla natura umiliata, costituisce la persona di Gesù Cristo. Giacché in D., dal punto di vista teologico, l'‛ espressione ' del mistero è impeccabile e così pure quel tanto di tono e di gergo teologico passato nei suoi trattati (ad es, secundum naturam assumptam di Ep VII 14) e nella sua poesia; per esempio il monofisismo attribuito a Giustiniano, una natura in Cristo esser, non piùe, / credea, e di tal fede era contento (Pd VI 14); La pena dunque che la croce porse / s'a la natura assunta si misura /... la persona che sofferse (VII 40-44); Dei Filius, in salutem hominis hominem assumpturus (Mn I XVI 1).
Riferendosi alle ‛ missioni ' estrinseche, agli opera ad extra della Trinità, s. Tommaso e gli scolastici parlavano di ‛ appropriazione ': la redenzione è ‛ appropriata ' al Figlio, come la creazione al Padre, sebbene in realtà ogni opera divina proceda, in essa profondata, dalla loro indivisibile comunione. Pertanto, ciò che è detto della bontade divina è comune al Padre, al Verbo che egli genera, e allo Spirito che procede da essi; di qui l'epiteto più letterario che tecnico, ma molto espressivo, di congiuntissimo consistorio (Cv IV V 3), parola quest'ultima che vuol forse rendere il termine περιχώρησις, circuminsessio).
Lo strumento, l' ‛ agente ' predestinato dell'i. fu Maria, vergine purissima, la cui gloria sfolgorante, la cui affascinante santità hanno come unico fondamento la sua maternità divina, il suo titolo di θεότοκος. Tale appellativo, anche nella forma latina (" mater Dei ") sembra estraneo all'intera opera di D.; il fatto che lo abbia scartato - giacché è impossibile che l'ignorasse - fa sorgere un problema serio. Va però segnalato che il poeta, una volta almeno, incredibilmente azzarda un uso, non adottato sino allora e ancora dopo di lui, della congiunzione e: Gesù è infatti l'alto Filio / di Dio e di Maria (Pd XXIII 136-137; sotto questo aspetto assai meno duro risulta Cv II V 2, dove il termine ‛ filio ' è ripetuto).
Da un punto di vista obiettivo, i ‛ frutti ' dell'i. sono quelli che Dio si era proposti; condizione e strumento per coglierli soggettivamente è la fede. Ogni uomo, per avvertire gli effetti salvifici dell'i., deve credere nel Cristo, nel Cristo a venire o venuto, prima o dopo la croce (cfr. Pd XXXII 23-24 e soprattutto XIX 104); le tre virtù teologali, di cui la prima è la fede, sono quelle che conquistano il Regno (XX 94-96); Agapito è benedetto per aver ‛ dirizzato ' la fede di Giustiniano (VI 16).
Infine il ‛ tempo ' dell'i. è stato oggetto, a più riprese, della riflessione di Dante. Il passo di Cv IV V, che è il primo di rilievo in D., non esita ad aggiungere una considerazione di storia politica ai dati della Scrittura col rilevare come la Provvidenza avesse predisposto e affidato ogni cosa a Roma. In Ep VII 14 D. torna ancora sul tema della conformità tra questi due tempi, nell'armonia tra la sottomissione di Gesù alla legge e la giustizia del legislatore di allora. Il passo di Mn I XVI 2, raffrontando Luc. 2, 1 con Paul. Gal. 4, 4 (la plenitudo temporis) afferma che il Cristo, per nascere, attese che l'humanum genus fuerit felix in pacis universalis tranquillitate. L'i. era stata prefigurata dal grifone, la fiera / ch'è sola una persona in due nature (Pg XXXI 80-81). I profeti del Vecchio Testamento, pur senza introdurre simili nozioni metafisiche, avevano parlato del Salvatore-Unto (il messianico salmo 2 è citato in Mn II I 1; mentre Ep VI 25 e VII 10 danno prova di conoscere titoli e qualità del Messia: il servitore che si carica delle sofferenze è l'agnello di Dio). Ma l'i. fu predisposta: fu essa la ragion d'essere di tutta la storia del mondo e in particolare di mutamenti e sommovimenti sulla terra quali l'unità dei popoli, il censimento sotto Augusto, l'elezione - assai precedente - di David come avo di Maria, e persino la venuta di Enea in Italia e la fondazione di Roma (Cv IV V 5-6): convergenze splendide agli occhi del poeta non meno che eloquenti all'orecchio del mistico.
Per concludere diremo che in D. non c'è luogo che tratti esaurientemente l'i.; il suo vocabolario è legato alla concezione generale della cristologia, con occasionali aperture verso prospettive mariologiche. A più riprese D. raffronta croce o redenzione con l'i., nel che è manifestamente conforme al basso Medioevo latino. Già prima di s. Francesco, e a maggior ragione dopo di lui, l'umanità di Gesù povero (Pg XX 22-24, Pd XI 64), umiliato e messo a morte, era stata oggetto della contemplazione dei più devoti credenti e della speculazione dei teologi più famosi. Se ci rifacciamo alla visione ‛ orientale ', alla teologia dei padri greci, per i quali la penetrazione di una natura umana da parte del Verbo (o, meglio, l'‛ assunzione ' di questa natura da parte della persona del Verbo) costituiva l'elemento essenziale della redenzione, in quanto era una sorta di ritorno allo stato adamitico, bisogna senz'altro riconoscere che, considerate le sue fonti, D. appare indubbiamente estraneo a questo tipo di tradizione. Solo molto tempo dopo il Concilio di Trento, e perciò molto dopo il rifiorire della cultura greca nei secoli XV e XVI, teologi come Scheeben, nel sec. XIX, riscopriranno lentamente l' ‛ economia ' dell'i. insieme con una concezione di essa non esclusivamente latina; ritardo e carenza di cui forse il poeta non fu in parte privo di responsabilità.