Scrittore ungherese (Budapest 1929 - ivi 2016). È noto per il resoconto semiautobiografico dell'Olocausto che costituisce l'argomento della trilogia Sorstalanság (trad. it. Essere senza destino, 1999), A kudarc (1988; trad. it. Fiasco, 2003) e Kaddis a meg nem született gyermekért (1989, Kaddisch per il bambino non nato). Premio Nobel per la letteratura (2002).
Proveniente da una famiglia borghese ebrea, nel 1944 venne deportato ad Auschwitz e poi trasferito in altri campi di concentramento rientrando, dopo la liberazione, in Ungheria. Tra il 1948 e il 1951 collaborò con la rivista Világosság (Chiarezza) e lavorò come operaio in una fabbrica. Dal 1953 si dedicò alla traduzione di prosa austriaca e tedesca.
Il già citatoSorstalanság, suo primo romanzo terminato nel 1973 dopo dodici anni di lavoro, è stato pubblicato nel 1975 non senza resistenze da parte del mondo politico-editoriale. Protagonista è un ragazzo ebreo deportato nel 1944 ad Auschwitz e poi in altri lager. Lo stile, spesso ironico e autoironico, l’ostentata oggettività, è il magistrale travestimento letterario che conduce il lettore a inorridire di fronte al silenzio. K. rifiuta ogni accostamento ideologico al tema, sia esso politico o religioso; l’Olocausto degli ebrei non è più questione di un singolo popolo, ma il trauma dell’intera civiltà occidentale. Tra le altre opere, oltre a quelle citate: Az angol lobogó (1991; trad. it. Il vessillo britannico, 2004); Felszámolás (2003; trad. it. Liquidazione, 2005). Della sua produzione saggistica vanno ancora ricordati i testi: A Holocaust mint kultúra (1993, L’Olocausto come fenomeno culturale), Gondolatnyi csend, amíg a kivégzõosztag újratölt (1998, Il silenzio del pensiero fin quando il plotone dei giustizieri è di nuovo al completo), A számûzött nyelv (2001, La lingua bandita); è inoltre autore dell'autobiografia Gályanapló (1992; trad. it. Diario dalla galera, 2009). Nel 2012 K. ha annunciato la sua intenzione di abbandonare la scrittura.