Imputato e legittimo impedimento
Il tema del legittimo impedimento per ragioni istituzionali dell’imputato che eserciti funzioni di Governo rivela delicate intersezioni di contrapposti interessi, tutti meritevoli di tutela. Il più recente intervento, sul punto, della Corte costituzionale – la sentenza n. 168/2013, che ha risolto il conflitto di attribuzione tra Presidente del Consiglio e Tribunale di Milano – è oggetto di analisi del presente contributo.
La Corte era chiamata a verificare se l’autorità giudiziaria meneghina, nel valutare in concreto l’impedimento addotto dall’imputato, titolare di cariche governative, avesse leso le prerogative costituzionali del Presidente del Consiglio nell’aver imposto allo stesso un “onere di allegazione” relativo al legittimo impedimento.
Sulla scorta del precedente, la Consulta ha ritenuto che non vi fosse stato, in violazione del principio di leale collaborazione, un “cattivo esercizio” del potere giurisdizionale. Muovendo dai rilievi che la richiesta di differimento riguardava un’udienza (1° marzo 2010) precedentemente fissata dal Tribunale su specifica indicazione della difesa del premier (come unica possibile per la prosecuzione del dibattimento); che la richiesta di differimento era stata presentata in prossimità dell’udienza, senza allegazioni circa la non rinviabilità e la necessaria concomitanza dell’impegno ministeriale con l’udienza (e senza aver fornito una data alternativa), la Corte ha osservato come tale atteggiamento «ha determinato l’impossibilità per il giudice di valutare il carattere assoluto dell’impedimento in quanto oggettivamente indifferibile e necessariamente concomitante con l’udienza di cui è chiesto il rinvio (sent. n. 23 del 2011)».
Pur riconoscendo che la partecipazione del premier ad un Consiglio dei ministri costituisce esercizio delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute all’organo esecutivo, la Corte ha tuttavia osservato che il Consiglio viene convocato dal Presidente, ragione questa che segna una netta differenza rispetto ai casi in cui la possibilità di rinviare l’impegno dedotto sfugga interamente alla programmazione dell’imputato. Di qui la conclusione, che appare condivisibile, sull’assenza di censure nel comportamento dell’autorità giudiziaria.
La decisione, come già ricordato, appariva sufficientemente preventivabile, in virtù dell’impostazione sin qui tenuta dalla Corte ed in carenza di elementi che potessero o dovessero far ipotizzare un cambiamento di rotta.
La soluzione offerta, soprattutto a seguito dell’avvenuta abrogazione referendaria della l. 7.4.2010, 51, si pone, difatti, pienamente in sintonia con il ribadito principio che spetti al giudice, in virtù dell’ordinaria disciplina positiva, il compito di verificare e sindacare, caso per caso, l’esistenza di un impedimento e la sua assolutezza. È facile pronosticare che, verso la sentenza, verranno riproposte alcune delle critiche già avanzate nei confronti della sentenza n. 23/2011. Già allora si osservò che, con la soluzione offerta, la Consulta avesse, di fatto, compiuto la scelta di affidare ad uno dei due poteri in conflitto il compito di individuare i propri “limiti” nei confronti dell’altro, soluzione, questa, di dubbia compatibilità con il principio della divisione dei poteri. Ci si può limitare ad osservare che, forse, altro dovrebbe essere l’organo al quale chiedere di trovare soluzioni in grado di realizzare quel “delicato ed essenziale equilibrio tra i diversi poteri dello Stato”, poiché, in questo caso, ad essere coinvolto direttamente è il principio di eguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge.
1 Ci si riferisce in particolare alla l. 20.6.2003, n. 140 che aveva previsto la non sottoponibilità a processo delle 5 più alte cariche dello Stato durante la loro carica e, nello stesso periodo, la sospensione dei processi penali in corso a loro carico. Disciplina dichiarata costituzionalmente illegittima da C. cost., 20.1.2004, n. 24, in Cass. pen., 2004, 1158, con nota di Romeo, G., Modelli normativi orwelliani al vaglio della Consulta.
2 Il riferimento è in questo caso alla l. 23.7.2008, n. 124 che, memore della precedente decisione della Consulta, prevedeva la sospensione dei processi penali, rinunciabile dall’interessato o dal suo difensore, a carico del Presidente della Repubblica, dei Presidenti del Senato e della Camere, nonché del Presidente del Consiglio dei ministri. Disciplina anch’essa dichiarata costituzionalmente illegittima dalla decisione della C. cost., 19.10.2009, n. 262, in Giur. cost., 2009, 3698, con numerosi contributi di dottrina.
3 Ancor prima della sua emanazione il provvedimento legislativo era stato oggetto di pressanti critiche da parte della dottrina, soprattutto in ordine alla sua legittimità costituzionale, per le quali si veda tra gli altri, Giostra, G., Con la sospensione di tutti i processi penali l’immunità si traveste da legittimo impedimento, in Guida dir., 2010, fasc. 9, 102; giudizio, in parte, ribadito anche dopo la sua approvazione anche da Moscarini, P., Funzioni ministeriali e legittimo impedimento a comparire nell’udienza penale, in Dir. pen. e processo, 2010, 1144.
4 Cfr. C. cost., 25.1.2011, n. 23, in Cass. pen., 2011, 1667, con osservazioni di Mari.