IMPRESARIO
Teatro drammatico. - In Italia la figura dell'impresario del teatro di prosa è alquanto diversa da quella dell'impresario lirico (v. appresso). Quando Ruzzante costituì la prima compagnia comica, non assunse alcun qualificativo specifico. Era un attore-autore che riuniva temporaneamente attori di professione e dilettanti drammatici per recitare commedie alle corti e in case patrizie. In seguito, quando il capo della compagnia dovette provvedere direttamente all'allestimento scenico, si costituì una primitiva amministrazione, ed egli prese allora, anche negli "elenchi", il titolo d'impresario. L'impresario di solito non era il direttore della compagnia. Quest'ultimo incarico era attribuito a uno dei principali attori, o al poeta comico scritturato.
La figura dell'impresario prese linee più determinate quando i proprietarî (accademie o privati) dei teatri che potevano essere aperti al pubblico, non scritturarono più compagnie, ma concessero ad esse l'uso del teatro a determinate condizioni. Nella seconda metà del Settecento l'impresario trattava per la concessione del teatro col proprietario o col rappresentante dell'accademia. Egli doveva provvedere: al trasporto della compagnia; a una parte delle spese serali; ai costumi e ai macchinarî; al repertorio. In compenso gli erano corrisposti alcuni introiti. L'impresario esigeva dal poeta scritturato un certo numero di lavori originali o ridotti: e di questi lavori si attribuiva non solo il diritto di recita, ma anche quello di stampa. La gestione del teatro, quindi, cioè l'esercizio commerciale vero e proprio, non esisteva per i proprietarî, che si accontentavano di avere gli spettacoli, e per il capocomico o impresario esisteva semplicemente la gestione della compagnia.
Il titolo d'impresario cominciò dunque a emigrare dal capo della compagnia a questa nuova figura, che era, in realtà, l'impresario del teatro in quanto rispondeva ai proprietarî dell'andamento della gestione. Questi impresarî ebbero, in seguito, anche il nome di direttore del teatro: direttore cioè amministrativo. Solo più tardi alcuni assunsero direttamente la gestione del teatro. Il capocomico (o caposocio) rimase ancora il gestore della compagnia e, modificandosi la composizione di questa, lo speculatore sull'attività di essa. I rapporti tra capocomico e impresario del teatro erano semplici: l'impresario scritturava la compagnia, pagata (e cioè con compenso fisso serale), oppure a percentuale con assicurazione (e cioè con una quota serale da corrispondere in ogni caso), oppure a percentuale semplice (e cioè con diritto a una percentuale sull'introito netto, depurato da certe spese comuni contemplate in borderò, ed esclusi determinati introiti). Il capocomico correva in parte o in tutto l'alea della speculazione negli ultimi due casi. Per la sua qualità doveva provvedere, oltre alle paghe del personale scritturato, ai viaggi e al trasporto della "condotta"; agli allestimenti scenici, ai costumi nei lavori storici. Tale è essenzialmente, ancor oggi, la figura dell'impresario o gestore del teatro.
Accanto a questo tipo, va poi ricordato quello dell'impresario per i giri all'estero, il quale, pagando una determinata somma, prende a suo carico la compagnia in partenza dall'Italia, la invia a recitare fuori dei confini e la riconduce in Italia, correndo l'alea interamente, e talvolta in partecipazione col capocomico.
Musica. - Nella terminologia musicale si chiama impresario colui che assume l'azienda d'uno spettacolo teatrale, specialmente di opera, allo scopo di trarne guadagno. La figura dell'impresario è molto cambiata nel corso dei tempi. Da prima egli non si limitava alla gestione dell'azienda teatrale, ma scritturava anche i maestri, dando loro commissione di scrivere le opere: e talora li scritturava anche per un dato periodo di tempo, con l'incarico di comporre un determinato numero di opere all'anno, prescrivendo nel contratto anche il termine (sempre brevissimo) in cui i lavori dovevano essere consegnati. Più tardi invece i maestri composero liberamente o per commissione degli editori.
Il continuo aumentare delle spese occorrenti per uno spettacolo teatrale rese poi molto difficile e spesso impossibile all'impresario di sostenerle interamente da sé: e allora si ebbero le concessioni di doti da parte dei comuni o di altri enti o di mecenati, mentre anche si giunse alla gestione diretta dell'impresa per parte dei proprietarî del teatro, o del teatro stesso eretto in ente autonomo, o di associazioni diverse, o anche di cooperative fra i cantanti e fra le masse orchestrali e corali. Molto spesso, per l'appalto della stagione teatrale, si aprivano concorsi fra gli impresari.
Tra gl'impresarî italiani della prima metà del sec. XIX, dopo A. Cavos, il Re e il Plasterà, primeggia il famoso Domenico Barbaja (1778-1841), impresario del S. Carlo di Napoli; il Barbaja intuì il genio nascente del Rossini e lo scritturò, impegnandolo a comporre due opere l'anno: per lui furono composte le opere Elisabetta, Mosè, Il turco in Italia, Otello. Altro celebre impresario il Paterna, per il quale G. Rossini compose Il Barbiere di Siviglia e Gaetano Donizetti il Torquato Tasso. Più famoso ancora il fiorentino Alessandro Lanari, che ebbe ai suoi stipendî G. Rossini, G. Donizetti, V. Bellini, G. Verdi, G. Pacini, S. Mercadante e molti altri, come scritturò i più celebri cantanti, che mandava per i varî teatri di cui aveva assunto l'appalto. Per sua commissione furono composte, tra le altre opere, Norma, La Sonnambula, Beatrice di Tenda, I Capuleti e i Montecchi, L'Elixir d'amore, Maria di Rudenz, Parisina, Attila, Macbeth. Altro noto impresario fu Bartolomeo Merelli, di Bergamo, buon conoscitore di musica e autore di libretti per G. Donizetti e per G. S. Mayr. A lui si deve se Giuseppe Verdi, dopo l'insuccesso dell'opera comica Un giorno di regno, s'indusse a musicare il Nabucco. Ricordiamo ancora tra i più noti impresarî del tempo: il Rambaldi, il Tinti, il Rovaglia e poi, più vicini a noi, V. Jacobacci di Roma, lo Scalaberni di Firenze, L. Ronzi, il Coccetti, il Canori, il Pivatelli, il Romiti, A. Ferrari (che agì specialmente nell'America Meridionale, al pari di Walter Mocchi), il Ciocchi, il La Rosa. Assunsero direttamente imprese anche A. Catalani, il Ronconi e lo stesso G. Rossini a Parigi, come ne assunse in America il maestro Marino Mancinelli. Tra i più famosi impresarî stranieri vanno citati M. Strakosch (impresario di Adelina Patti), lo Schurmann, il Calzado, il Bajer, il J. H. Mapleson, ecc.
La figura dell'impresario, oltre a essere stata efficacemente parodiata in quell'arguta scrittura satirica di Benedetto Marcello che s'intitola Il teatro alla moda, ha dato argomento a numerose opere buffe che ne pongono in luce il carattere, le peripezie, le trovate, gli amori, i trionfi, i disinganni, e che valgono anche come documenti storici degli usi, delle vicende, dei pettegolezzi della vita teatrale del tempo. Di tali opere buffe ricordiamo le seguenti in ordine cronologico secondo la data delle loro prime rappresentazioni: L'impresario di teatro, di L. Vinci (Napoli 1731); L'impresa d'opera, di P. Guglielmi (Venezia 1769); L'impresario, di W. A. Mozart (Vienna 1786); L'impresario fallito, di L. Caruso (Palermo 1786); L'impresario in angustie, di D. Cimarosa (Napoli 1786); L'impresario in rovina, di G. Valentini (Cremona 1788); L'impresario in angustie, di G. Gazzaniga (Ferrara 1789); L'impresario in scompiglio, di G. Astarita (Milano 1792); L'impresario in angustie, di V. Fioravanti (Napoli 1797); L'impresario di Smirne, di D. Rampini (Trieste 1798); L'impresario burlato, di L. Mosca (Napoli 1816); L'impresario per progetto, di M. Ruta (Napoli 1873):
Bibl.: E. Monaldi, Impresarî celebri del sec. XIX, Rocca S. Casciano 1918; Jarro (G. Piccini), Memorie di un impresario fiorentino (Lanari), Filiale 1892; A. Cametti, Donizetti a Roma, Torino 1907; G. Monaldi, Bartolomeo Merelli, in Musica d'oggi, agosto 1924.