Imposta sul reddito di impresa
L’imposta sul reddito di impresa (IRI) è una forma di prelievo con la quale il legislatore cerca di riscattare precedenti insuccessi e porta con sé forti aspettative. Essa merita di essere analizzata sul piano tecnico in quanto, forse a causa di un frettoloso intervento legislativo, il testo presenta profili critici, tanto da aver obbligato il legislatore ad apportarvi, a (troppo) breve distanza dalla sua entrata in vigore, alcune modifiche. Ancor di più, tuttavia, merita di essere analizzata sul piano sistematico in quanto restituisce un quadro non del tutto ordinato da cui emerge la volontà del legislatore di assicurare la neutralità della veste giuridica (impresa individuale, società di persone, s.r.l. a ristretta base proprietaria) utilizzata per lo svolgimento di un’attività imprenditoriale.
La l. 11.12.2016, n. 232 (legge di bilancio 2017), con l’art. 1, co. 547, lett. b), dopo alcuni tentativi non riusciti [1], ha portato a compimento (o almeno ha cercato di portare a compimento) il progetto di revisione della tassazione del reddito di impresa prodotto da imprenditori individuali e società di persone per escluderne la concorrenza dalla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF dell’imprenditore medesimo e dei singoli soci. Tale risultato è stato ora conseguito con l’introduzione nel t.u.i.r. del nuovo art. 55 bis, che istituisce la cd. “Imposta sul reddito di impresa” (IRI), applicabile, su opzione, dalle imprese individuali e dalle società commerciali di persone in contabilità ordinaria. Essa comporta la tassazione separata (sul modello di una Flat tax) dei redditi di impresa trattenuti in azienda, con la medesima aliquota prevista ai fini IRES, in luogo della tassazione ordinaria con le aliquote progressive previste ai fini IRPEF.
Nei suoi tratti essenziali, l’opzione per il regime IRI (che ha durata pari a cinque periodi di imposta ed è rinnovabile alla scadenza) comporta che la base imponibile del soggetto che ha esercitato l’opzione sia determinata partendo dal risultato economico dell’impresa, deducendo (ed in ciò risiede la principale novità del regime) le somme erogate a favore dell’imprenditore individuale, dei collaboratori familiari o dei soci, mediante la distribuzione di utili o riserve di utili.
Il regime opzionale in esame comporta le seguenti conseguenze:
i) l’avulsione del reddito di impresa o di partecipazione dalla concorrenza al reddito complessivo prodotto dall’imprenditore individuale o dal socio dell’ente (non più) trasparente;
ii) l’assoggettamento di tale reddito a tassazione separata con un’aliquota pari all’aliquota IRES;
iii) il riconoscimento, durante il periodo di vigenza dell’opzione IRI, della deducibilità del reddito prelevato dall’imprenditore individuale o dai soci dal reddito d’impresa prodotto dallo stesso imprenditore o dalla società ed il riconoscimento, a favore dell’imprenditore individuale o dei soci, una volta cessata la validità dell’opzione, di un credito di imposta pari all’IRI pagata in precedenza dall’imprenditore individuale o dalla società sul reddito di impresa prodotto;
iv) la concorrenza di quanto prelevato dall’imprenditore individuale o dai soci alla determinazione del loro reddito complessivo quale reddito di impresa. I vantaggi garantiti dal regime IRI sono, dunque, essenzialmente condizionati al mantenimento del reddito prodotto all’interno dell’impresa. Ciò rappresenta il principale elemento caratterizzante il regime in esame che risulta finalizzato ad incentivare la patrimonializzazione, realizzata mediante il reinvestimento di utili, dei soggetti esercenti attività di impresa (in forma diversa dalle società di capitali) nell’intento di favorirne la crescita e lo sviluppo. In sostanza, ciò che viene accantonato a riserva è premiato dal legislatore con l’assoggettamento ad aliquota proporzionale. L’applicazione dell’ordinaria tassazione IRPEF con aliquota progressiva per scaglioni viene, invece, differita nel tempo e limitata agli importi eventualmente distribuiti. L’IRI comporta una “sospensione volontaria” del tradizionale regime di tassazione del reddito di impresa. Il nuovo sistema introdotto dal legislatore risulta piuttosto innovativo in quanto:
i) riconosce per la prima volta la deducibilità dal reddito di impresa di un imprenditore individuale o di una società di quanto appreso a titolo di utile dall’imprenditore medesimo o dai soci. Tale meccanismo è utilizzato quale sistema di eliminazione della doppia imposizione, in luogo di quelli tradizionali (salvo poi, tra questi, “ripescare” il sistema del credito di imposta per eliminare la doppia imposizione sulle somme distribuite una volta cessata l’opzione IRI);
ii) supera la qualificazione delle somme distribuite da una società ai soci quale redditi di capitale in favore di una loro qualificazione quale redditi di impresa.
Per ragioni di coerenza sistematica, la possibilità di optare per il regime di tassazione separata IRI è stata estesa alle s.r.l. a ristretta base proprietaria di cui all’art. 116 t.u.i.r.. Questa scelta è volta ad evitare la disparità di trattamento che si sarebbe verificata tra le società di persone commerciali in contabilità ordinaria e quelle s.r.l. che, proprio in virtù della composizione della loro base sociale «si trovano in una situazione fattuale analoga» (così la relazione illustrativa).
Inquadrate così le modifiche normative, si può procedere ad una loro analisi al fine di metterne in evidenza le principali criticità.
Dal punto di vista soggettivo, sono testualmente individuati quali soggetti che possono esercitare l’opzione gli imprenditori individuali e le società commerciali di persone (s.n.c. e s.a.s.) in regime di contabilità ordinaria.
L’accesso al regime non è condizionato dal rispetto di specifici parametri dimensionali, in quanto neppure la necessità di adottare la contabilità ordinaria ha questa funzione. Nonostante tale criterio non sia effettivamente selettivo (in quanto il contribuente potrà esercitare l’opzione per questo regime contabile a prescindere da qualunque requisito dimensionale), la scelta di condizionare l’accesso al regime in esame al suo ricorso risulta comunque corretta. La contabilità ordinaria svolge una funzione di tutela delle ragioni erariali, attese le maggiori garanzie che implicitamente derivano dall’adozione di questo metodo contabile: consente, infatti, una più puntuale registrazione delle operazioni che svolge un’impresa e meglio permette di tenere traccia di tutti gli spostamenti degli utili evitando che vengano surrettiziamente trasferite somme dal patrimonio dell’impresa a quello personale del titolare o dei soci.
Proseguendo nell’analisi dei soggetti ammessi all’opzione IRI si osserva come a quelli menzionati debba aggiungersi l’impresa familiare. Depone in tale senso la circostanza che il legislatore, al co. 3, allorquando tratta del regime delle somme prelevate a carico dell’utile dell’esercizio, indica che esse possono andare a favore «dei collaboratori familiari». Tale conclusione si giustifica alla luce della considerazione per cui l’impresa familiare è un particolare modello di svolgimento dell’attività di impresa che si riconduce ormai pacificamente al modello dell’impresa individuale e che, dal punto di vista fiscale, viene tassato per trasparenza in quanto caratterizzato da una forte sinergia tra i soggetti che vi partecipano. Si giustifica in questa prospettiva l’estensione del regime IRI anche a tale modello operativo. Ne deriva allora che il co. 1 dell’art. 55 bis t.u.i.r. deve essere interpretato nel senso di non indicare “per nome” i soggetti cui si applica il regime IRI, ma di indicarli “per categorie”: tutti i soggetti cui si applicano le regole di tassazione dell’imprenditore individuale o delle società di persone commerciali.
È previsto che il reddito dei soggetti IRI sia calcolato in base alle ordinarie regole di determinazione del reddito di impresa previste dal Capo VI del Titolo I t.u.i.r. e sia diminuito delle somme prelevate, a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili, «nei limiti del reddito del periodo d’imposta e dei periodi d’imposta precedenti assoggettati a tassazione separata». Su tale reddito si applica l’ordinaria aliquota IRES.
È disposto che i soggetti che esercitano l’opzione IRI, pur divenendo, in sostanza, essi stessi soggetti passivi di imposta, continuino ad applicare le regole di determinazione del reddito di impresa previste in sede IRPEF, che differiscono da quelle previste in sede IRES, per quanto di interesse, in merito a due profili [2]: il regime di deducibilità degli interessi passivi e la misura della concorrenza al reddito di dividendi e plusvalenze. Il fatto che gli enti che esercitano l’opzione IRI continuino ad applicare le ordinarie regole IRPEF non appare problematico.
Alcune criticità sorgono, invece, quando si va ad analizzare l’opzione IRI esercitata dalle società a ristretta base proprietaria di cui all’art. 116 t.u.i.r. Per tale ipotesi il legislatore non ha chiarito se, ai fini della determinazione del reddito complessivo, continueranno ad essere applicabili a queste s.r.l. le ordinarie regole IRES o, invece, troveranno applicazione le regole IRPEF. Il problema nasce dal fatto che il nuovo testo dell’art. 116 t.u.i.r. rinvia all’art. 55 bis che, dunque, potrebbe intendersi comprensivo anche delle regole per la determinazione della base imponibile poste da questa norma (dunque, le regole IRPEF). Tale conclusione non sarebbe asistematica atteso che proprio nel sistema della trasparenza delle s.r.l. a ristretta base proprietaria, il legislatore ha previsto l’applicazione, anche da parte di queste società, una volta esercitata l’opzione per la trasparenza, delle regole IRPEF in tema di tassazione di dividendi e plusvalenze. Essa sarebbe, inoltre, coerente con lo stesso meccanismo di funzionamento dell’IRI per il quale le somme prelevate dai soci costituiscono per loro reddito di impresa e sono presso di loro definitivamente tassate. Dunque, tali redditi devono essere tassati in capo alle persone fisiche con le regole loro proprie. Questa conclusione dovrebbe valere, però, non solo per la tassazione di dividendi e plusvalenze (che sono gli unici componenti reddituali che già l’art. 116 t.u.i.r. contempla), ma anche per gli interessi passivi. Applicando le regole previste per i soggetti IRPEF, la s.r.l. non dovrebbe più determinare il risultato operativo lordo ex art. 96 t.u.i.r. e, dunque, calcolare la quota di interessi passivi deducibili, bensì dovrebbe, ex art. 61 t.u.i.r., ammettere la deducibilità degli interessi passivi inerenti l’esercizio d’impresa per la parte corrispondente al rapporto fra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Il sistema attuale comporta, invece, per le società a ristretta base proprietaria, l’applicazione di regole di determinazione del reddito differenziate a seconda del regime di tassazione applicato. Esse, infatti, possono risultare tenute alle regole IRES in assenza di alcuna opzione; alle regole IRPEF in caso di opzione per l’IRI; alle regole IRPEF solo per dividendi e plusvalenze in caso di esercizio dell’opzione per la trasparenza fiscale.
Mentre appaiono tollerabili le conseguenze della prima ipotesi (in quanto la società non è in nulla equiparata ad un soggetto IRPEF), lo sono assai meno quelle che seguono. Almeno per queste dovrebbe intervenire il legislatore decidendo definitivamente quali regole di determinazione del reddito debbano essere applicate dalle s.r.l. a ristretta base proprietaria. Per tutti i soggetti che possono esercitare l’opzione IRI, una volta determinato il reddito della società, occorre dedurre le somme erogate a favore dell’imprenditore individuale, dei collaboratori familiari o dei soci, mediante la distribuzione di utili o riserve di utili. Ne consegue che i prelievi di utili o di riserve di utili saranno deducibili in capo alla società o all’imprenditore individuale e, specularmente, tassabili per i soci, il titolare o i collaboratori nei limiti del reddito d’esercizio o dei redditi di esercizi precedenti che hanno già scontato la tassazione separata. La disciplina IRI contiene anche alcune regole specifiche in tema di riporto delle perdite. Il co. 2 dell’art. 55 bis t.u.i.r. prevede che i soggetti IRI deducano le perdite maturate nei periodi d’imposta di applicazione dell’IRI senza alcun vincolo temporale e senza alcun limite quantitativo. Ciò attenua uno degli svantaggi dell’IRI: il fatto che tale opzione non consente più all’imprenditore individuale o ai soci di società di ridurre il proprio reddito con le perdite derivanti dall’attività di impresa. Accadrà che, se durante la vigenza del regime IRI si realizzeranno perdite, il contribuente non ne beneficerà immediatamente, ma solo terminata la validità dell’opzione. Le disposizioni in tema di perdite risultano problematiche ove applicate dalle s.r.l. a ristretta base proprietaria. Il regime di determinazione delle perdite previsto dal co. 2 dell’art. 55 bis varrà anche per questo tipo di società in caso di esercizio dell’opzione.
Ciò, tuttavia, comporta una deroga rispetto al regime di riporto delle perdite loro ordinariamente applicabili. Ai sensi dell’art. 84 t.u.i.r., infatti, le perdite di queste società sono riportabili senza limiti di tempo, ma solo nella misura dell’80% del reddito imponibile. Ne deriva che l’esercizio dell’opzione IRI, deroga alla sussistenza di limiti quantitativi al riporto delle perdite per le società di capitali. Si tratta di una conseguenza rilevante che si giustifica per il fatto di garantire una perfetta equiparazione tra società di persone commerciali e s.r.l. a ristretta base proprietaria.
L’applicazione dell’IRI comporta la tassazione dell’imprenditore individuale o dei soci sugli utili prelevati e, dunque, il superamento della tassazione progressiva del reddito di impresa e della tassazione per trasparenza. Si tratta del principale effetto dell’IRI: gli utili non prelevati sono assoggettati ad aliquota fissa in capo all’impresa/società, mentre solo quelli prelevati concorrono a formare il reddito complessivo ai fini IRPEF del soggetto che li apprende quale componente del reddito di impresa.
La previsione per cui, a seguito dell’opzione IRI, è esclusa l’applicazione dell’art. 5 t.u.i.r., si estende certamente alla regola dell’imputazione e della tassazione del reddito a prescindere dalla sua percezione. Si pone però il problema se si estenda anche alla presunzione di proporzionalità degli utili rispetto ai conferimenti ed alla regola per cui eventuali ripartizioni non proporzionali rispetto alle quote devono risultare da atto anteriore all’inizio del periodo di imposta. La questione appare problematica in quanto, testualmente, il legislatore si limita a stabilire che l’esercizio dell’opzione IRI «esclude quella dell’articolo 5 limitatamente all’imputazione e alla tassazione del reddito indipendentemente dalla sua percezione». Tale formulazione sembrerebbe richiamare la terminologia usata dal co. 1 dell’art. 5 t.u.i.r., ingenerando così il dubbio che le presunzioni e le regole procedurali previste dal co. 2 dell’art. 5 possano continuare a trovare applicazione. Queste presunzioni, però, se possono avere rilievo in un sistema fondato sull’imputazione, ne hanno minore in un sistema fondato sull’effettiva percezione; a prescindere dalle quote di partecipazione, il socio non potrà, infatti, che essere tassato sulla base di quanto effettivamente prelevato. Se quanto prelevato non è proporzionale alle quote di partecipazione, sarà questione più di rilievo civilistico che fiscale.
Allo stesso modo, viene ridotta l’utilità anche della regola procedurale per cui eventuali differenze nella ripartizione degli utili rispetto ai conferimenti devono risultare da atti aventi specifici requisiti di forma anteriori all’inizio del periodo di imposta. Fermo che la tassazione dei soci dovrà avvenire, come detto, in base a quanto prelevato, eventuali atti inerenti alla ripartizione degli utili tra i soci potranno, al più, essere utilizzati dagli Uffici quale indizio di possibili comportamenti illegittimi tenuti dai soci.
Continuando nell’analisi del regime di tassazione degli utili prodotti in ambito IRI, si deve segnalare come solo con il d.l. 24.4.2017, n. 50, conv. con mod. dalla l. 21.6.2017, n. 96, sia stata risolta un’iniziale lacuna della nuova disciplina, quella della tassazione dei redditi prodotti in vigenza dell’IRI, ma distribuiti una volta terminato il regime opzionale. È ora previsto che le somme prelevate da riserve formatesi in vigenza del regime IRI, una volta che si è fuoriusciti da detto regime, concorrono, nei limiti in cui sono state assoggettate a tassazione separata, alla formazione del reddito complessivo dell’imprenditore, dei collaboratori o dei soci, salvo il riconoscimento in capo a loro di un credito di imposta del 24%. In tal modo, si assicura che tali somme scontino il medesimo trattamento tributario che avrebbero avuto in mancanza dell’opzione IRI. Viene confermato in capo alla persona fisica o al socio il beneficio del differimento della tassazione al momento della distribuzione degli utili e viene eliminata ogni forma di doppia imposizione tramite l’attribuzione di un credito di imposta pari all’IRI pagata in precedenza.
La scelta del legislatore appare prevalentemente ispirata a considerazioni di ordine pratico piuttosto che sistematico: per eliminare la doppia imposizione sulla tassazione di tali utili viene, infatti, fatto ricorso ad un meccanismo diverso da quello utilizzato durante il periodo di validità dell’opzione e diverso da quelli attualmente utilizzati per risolvere il medesimo problema. Non si può non osservare come lo strumento del credito di imposta, che sembrava ormai desueto o relegato solo ad ambiti diversi, acquisisca così una rinnovata vitalità.
Anche le modifiche apportate all’art. 116 t.u.i.r. sollevano alcune perplessità.
Dal momento che l’art. 116 t.u.i.r. richiama i soli co. 1, 2 e 3 dell’art. 55 bis, ci si chiede se valga, ad es., anche il co. 4, se non altro per il fatto che è quello che fissa in cinque anni la durata dell’opzione. Oltre a tale più eclatante aspetto, comunque i co. 4, 5 e 6 dell’art. 55 bis pongono alcune regole rilevanti per l’applicazione del regime in esame.
Questo problema lo ha reiterato il d.l. n. 50/2017, con il quale, come detto, è stato inserito il co. 6-bis, t.u.i.r. in tema di utili distribuiti una volta esaurito il regime IRI. Nel corpo dell’art. 116 t.u.i.r. manca ora un espresso rinvio anche a tale norma.
Nonostante queste reiteratamente malaccorte formulazioni della norma, pare arduo e soprattutto irragionevole ipotizzare che il regime IRI sia applicato in modo diverso a imprenditori individuali e società di persone commerciali, da un lato, e s.r.l. a ristretta base proprietaria, dall’altro. Si deve, pertanto, interpretare il rinvio effettuato dall’art. 116 all’art. 55 bis come un rinvio all’intera norma.
L’intervento normativo, pur “innovativo” nei suoi profili operativi, resta assai “conservatore” per i profili teorici cui si ispira. Esso altro non fa che confermare uno dei principi ispiratori della riforma IRES: quello per cui la tassazione deve muovere «dalle persone alle cose» [3] per attenuare i caratteri di progressività del sistema tributario e, al contrario, accentuare quelli di realità. Tale obiettivo era al centro della riforma IRES che lo perseguiva accentrando la tassazione non più sul socio, ma sul soggetto che svolge l’attività commerciale da cui deriva il reddito, con l’effetto di abbandonare la pregressa struttura dell’imposizione sui redditi fondata sul principio della progressività.
L’accentuazione dei caratteri di realità dell’ordinamento è, peraltro, un trend oramai costantemente seguito dal legislatore che, nel corso degli anni, ha significativamente ampliato le ipotesi di redditi soggetti a tassazione sostitutiva facendo sì che, come osservato in dottrina [4], «nella sostanza la progressività [sia] mantenuta solo per i redditi di lavoro».
L’IRI si inserisce in questa tendenza evolutiva dell’ordinamento, ma solo in misura parziale. Il reddito di impresa prodotto dal soggetto che ha esercitato l’opzione IRI viene, infatti, escluso dalla progressività non definitivamente (come accade, ad esempio, per i redditi di capitale ed i redditi diversi di natura finanziaria soggetti a tassazione sostitutiva), ma solo sino al momento in cui sarà appreso dal titolare dello stesso. Tale possibilità rende la tassazione IRI differente dalle altre forme di tassazione sostitutiva previste dall’ordinamento e attenua le conseguenze dell’ennesimo vulnus inferto al principio di progressività. Risultano particolarmente significative le modifiche apportate all’art. 116 t.u.i.r. Il legislatore ha, addirittura, ritenuto di doverne modificare la rubrica: tale disposizione non reca più l’«Opzione per la trasparenza fiscale delle società a ristretta base proprietaria», ma le «Opzioni per le società a ristretta base proprietaria». L’art. 116 t.u.i.r. diventa così autonomo rispetto all’art. 115 t.u.i.r. e stabilisce ora lo «statuto fiscale» delle s.r.l. a ristretta base proprietaria. Diviene così una norma a sé stante che intende riassumere le discipline fiscali di questo specifico modello societario attese le sue consonanze con le società di persone. L’aspetto più importante dell’IRI è però la circostanza che, con essa, il legislatore ha inteso affrontare e risolvere il tema, da tempo discusso in dottrina [5], della discriminazione qualitativa delle attività di impresa.
Allo stato della legislazione vigente, infatti, gli schemi impositivi dei redditi derivanti dallo svolgimento di un’attività imprenditoriale in forma individuale o in forma di partecipazione in società di persone sono i seguenti: uno ordinario che prevede la concorrenza del reddito prodotto dall’imprenditore o dalla società al reddito complessivo dell’imprenditore stesso o dei soci, la sua conseguente soggezione ad IRPEF secondo le relative aliquote e l’irrilevanza fiscale dei dividendi successivamente distribuiti (nel prosieguo, cd. caso 1); uno opzionale che dispone l’avulsione del reddito di impresa dell’imprenditore individuale o di partecipazione del socio dal reddito complessivo e la sua tassazione con aliquota differenziata determinata in misura pari a quella dell’aliquota IRES. Solo al momento della successiva apprensione delle somme così realizzate dall’imprenditore o dal socio, esse concorrono alla determinazione del reddito complessivo e sono assoggettate alle ordinarie aliquote IRPEF. Non si crea alcun fenomeno di doppia imposizione, dal momento che, come detto, l’imprenditore individuale, relativamente al suo reddito di impresa, o la società beneficiano di una deduzione fiscale di importo pari a quanto prelevato (nel prosieguo, cd. caso 2). Gli schemi impositivi dei redditi derivanti dalla partecipazione in s.r.l. a ristretta base proprietaria sono, invece, i seguenti: uno ordinario che prevede la soggezione del reddito della società a IRES secondo la relativa aliquota, la concorrenza (parziale) dei dividendi distribuiti al reddito complessivo dei soci e la conseguente soggezione ad IRES di questi ultimi secondo le relative aliquote o la loro tassazione con imposta sostitutiva (nel prosieguo, cd. caso 3); uno opzionale che prevede l’imputazione per trasparenza del reddito prodotto dalla società ai soci, la concorrenza di questo reddito al reddito complessivo dei soci e la conseguente soggezione ad IRES o IRPEF secondo le relative aliquote. Ne consegue, per evitare il realizzarsi di un fenomeno di doppia imposizione, la regola dell’irrilevanza fiscale dei dividendi successivamente distribuiti (nel prosieguo, cd. caso 4). Si tratta di sistemi tra loro alternativi accumunati dalla considerazione di assicurare sostanzialmente l’assoggettamento del reddito di impresa all’aliquota marginale massima prevista per l’IRPEF. Sotto questo punto di vista, “i conti tornano”. In questo quadro, l’unico elemento di differenziazione tra le varie fattispecie consiste nel momento in cui avviene la tassazione. Mentre, infatti la trasparenza (casi 1 e 4) comporta la tassazione del reddito nella misura del 43% nello stesso periodo di imposta in cui è prodotto, le altre opzioni (casi 2 e 3) possono consentire dei differimenti nella tassazione in quanto occorre attendere il momento dell’apprensione delle ricchezze da parte del socio. Nel periodo di imposta di realizzazione del reddito l’Erario conseguirà solo un acconto dell’imposta. Tali due meccanismi applicativi, uno dei quali è la nuova IRI, consentono al contribuente alcune forme di pianificazione e, soprattutto, incentivano l’imprenditore all’autofinanziamento, in quanto ciò che non viene appreso dall’imprenditore o dal socio sconta una tassazione nella misura (oggi) del 24%. Sotto questo punto di vista l’IRI consente di ovviare ad una delle principali criticità dei meccanismi di tassazione delle imprese individuali e delle società di persone, ovverosia la penalizzazione di quanto reinvestito nell’attività. Se l’analisi matematica restituisce un quadro uniforme, non lo fa altrettanto l’analisi sistematica. Su un piano più generale, non risultano chiare le linee evolutive del sistema. Si è detto che la riforma IRES aveva inteso accentuare i caratteri di realità dell’ordinamento; il che, con riferimento alla tassazione delle società, si era tradotto nella scelta di tassare definitivamente tali società a prescindere dalle vicende dei soci. L’estensione del campo di applicazione della trasparenza (estesa in quel contesto dalle società di persone anche alle società di capitali) era stata una misura asistematica in quanto la trasparenza è un meccanismo di tassazione di tipo personale e non reale.
L’IRI, come detto, torna a muoversi in una logica di tassazione “reale”.
Sotto quest’altro punto di vista, invece, “i conti non tornano”: non è agevole comprendere quale sia il sistema (reale o personale) effettivamente delineato dal legislatore. Imprenditore individuale, società di persone e s.r.l. a ristretta base proprietaria sono correttamente tassate secondo schemi differenti in quanto sono differenti i sostrati civilistici di riferimento. Ma nonostante questo ognuno dei tre modelli può utilizzare gli schemi adottati dagli altri. Se è vero che ciò non aiuta l’interprete ad individuare il “modello di riferimento”, è però altrettanto vero che, in tal modo, si intende garantire la neutralità del sistema. È, forse, questo l’unico elemento veramente unificante delle riforme in esame e il reale valore a cui sembrerebbe aver inteso ispirarsi il legislatore. Sembrerebbe che si voglia rendere la variabile fiscale indifferente per il contribuente allorquando questi deve scegliere il modello con cui organizzare la propria attività imprenditoriale, almeno tutte le volte in cui nell’esercizio di tale attività è centrale la figura della persona fisica.
[1] Il primo intervento, che risale alla l. 23.12.2000, n. 388, introduceva un regime facoltativo di tassazione dei redditi di impresa degli imprenditori individuali e delle società di persone alternativo a quello ordinario. Si voleva assoggettare il reddito distribuito a tassazione ordinaria IRPEF e assoggettare quello non distribuito ad IRPEF, determinata con un’aliquota identica a quella IRPEG. Questo istituto non ha però mai trovato concreta applicazione perché abrogato dalla l. 18.11.2001, n. 383. La volontà di superare ogni discriminazione nella tassazione del reddito di impresa tornava nel 2006 una priorità del legislatore alla luce dei suggerimenti formulati dalla cd. “Commissione Biasco” (istituita con decreto del Vice Ministro dell’economia del 27.6.2006). Era stato proposto di reintrodurre un modello di tassazione proporzionale del reddito di impresa individuale o del reddito di partecipazione in società di persone commerciali per ovviare agli svantaggi derivanti dall’abolizione del credito di imposta. Tali suggerimenti venivano accolti dal legislatore che, ispirandosi alla riforma fiscale varata in Germania nel 2007, tornava, con la l. 24.12.2007, n. 244, a reintrodurre la facoltà di optare per la tassazione proporzionale con aliquota IRES dei redditi d’impresa prodotti da persone fisiche e soci di società di persone in regime di contabilità ordinaria. Questa previsione normativa non ha però trovato attuazione a causa della mancata emanazione dei richiesti decreti attuativi. Da ultimo, l’art. 11, l. 11.03.2014, n. 23, delegava il Governo a garantire l’indifferenza del regime fiscale di tassazione del reddito di impresa rispetto al modello organizzativo utilizzato per eliminare le esistenti forme di discriminazione qualitativa. Tale criterio di delega non ha ricevuto attuazione.
[2] La determinazione del reddito di impresa tra i soggetti IRPEF e quelli IRES differisce poi anche quanto alle possibilità di riporto delle perdite su cui si tornerà più oltre.
[3] Fantozzi, A., Ipotesi di riforma: se non ora, quando?, Relazione al convegno “Contributi alla riforma dell’IRES”, in Riv. dir. trib., 2007, 348; Fedele, A., I rapporti fra società e soci, in La riforma del regime fiscale delle imprese: lo stato di attuazione e le prime esperienze concrete, Paparella, F., a cura di, Milano, 2006, 44, che ravvisa come l’impostazione dell’IRES si riassuma nella metafora del “capannone”.
[4] Gallo, F., Le ragioni del fisco – Etica e giustizia nella tassazione, Bologna, 2007, 119.
[5] Così già Cosciani, C., I problemi dell’imposizione delle persone giuridiche in una lettera di Einaudi, in Cosciani, C., Scritti scelti di finanza pubblica, Padova, 1983, 949.