COGNATI, Imperia
Nacque non in Ferrara, come pure si ritenne, ma a Roma, in via Alessandrina, presso la chiesa di S. Maria in Traspontina, nel rione Borgo, il 3 ag. 1486 e non cinque anni prima, come sostenne D. Gnoli (L'epitaffio e il monumento d'Imperia cortigiana romana, in Nuova Antologia, 1º giugno 1906, pp. 469-76). Sua madre fu Diana di Pietro Cognati, mentre il padre si chiamò Paris di nome o De Paris di cognome.
In cinque dei documenti conservatici a lei relativi o in cui è nominata ella è chiamata Imperia Cognati o Imperia di Pietro Cognati, mentre in altri cinque Imperia de Paris o Paridis; di questi ultimi però solo il suo testamento (del 13 ag. 1512) è rogato mentre ella è in vita, tutti gli altri dopo la sua morte. Comunque si sia chiamato il padre, sembrerebbe quindi che la C. usasse e fosse nota con il cognome della madre. A questa complicata situazione anagrafica si aggiunga che spesso gli storici hanno attribuito alla C. il nome di Lucrezia, che ella avrebbe mutato ad un certo punto della vita in Imperia. Il Moncallero è sicuro che quest'ultimo sia sempre stato il nome della Cognati. Lucrezia era invece il nome della figlia, che la C. ebbe a soli quattordici anni di età. La paternità di questa bambina fu attribuita ad Agostino Chigi dalla maggior parte degli storici, cui piacque vedere un personaggio così preminente nella Roma del primo Cinquecento, per il quale è storicamente provato che fu in relazione con la C., legato con un così profondo vincolo ad una donna, che, a suo modo, primeggiò anch'essa nell'ambiente colto del tempo; tanto piacque che attribuirono alla C. anche un'altra figlia, Margherita, che sarebbe stata addirittura legittimata dal Chigi, e che la C. non ebbe mai. Un altro a cui fu attribuita la paternità di Lucrezia fu il Sadoleto, ma il Moncallero crede di dimostrare che il padre della bambina fu Paolo Trotti, cantore della cappella pontificia, convivente della madre della Cognati. La dimostrazione non è tuttavia del tutto convincente, in quanto si basa soprattutto sul fatto che in alcuni documenti Lucrezia è detta figlia del Trotti e di Diana; lo è tanto meno se si considera che anche la C. aveva assunto il cognome del nonno materno.
Fu presumibilmente dopo la nascita della figlia che la C. divenne una cortigiana. Sicuramente affascinante, fornita di un certo grado di educazione letteraria e di maniere compite, ad ogni modo intelligente e facile all'apprendere, divenne in breve una delle prime cortigiane romane. Conquistò cioè un'eccellenza che non si giustifica soltanto con il possesso di abili arti amatorie. La sua casa era un circolo di gentiluomini e di letterati, che ella era capace di ispirare nell'esercizio, a vari livelli, della loro arte. La frequentarono e la cantarono, in morte ed in vita, e talvolta la denigrarono, il già nominato Sadoleto, Filippo Beroaldo iunior, Angelo Colocci, Evangelista Fausto Maddaleni Capodiferro, Antonio Lelli, Tommaso Inghirami, Camillo Porcari, Bernardino Capella, Marcantonio Casanova, Blosio Palladio, Alessandro Alessandrini ed altri. La protessero il Chigi e Angelo Del Bufalo, per amore del quale si disse che la C. si sarebbe uccisa. Abitò dapprima una casa in Borgo, che, si dice, fosse stata istoriata, all'esterno, da Raffaello, che in una Venere avrebbe ritratto la stessa padrona di casa. Almeno dal 1506 abitava però in un'altra casa, proprietà del Del Bufalo, che il Bandello in una sua novella (M. Bandello, Le novelle, a cura di G. Brognoligo, IV, Bari 1911, pp. 380 s.) descrive, sia pure con intenti letterari e non cronachistici. La magnificenza, la ricchezza di essa erano notevolissime; tappeti, tappezzerie, mobili finissimi vi erano profusi. Ma non mancava a dare il tono della casa su un tavolo un liuto o una cetra e "parecchi libretti volgari e latini riccamente adornati", poiché la C. "si dilettava de le rime volgari". L'aveva introdotta all'amore ed alla conoscenza della poesia Domenico Campana, detto Strascino, e l'allieva tanto aveva profittato dei suoi insegnamenti, che "non insoavemente componeva qualche sonetto o madrigale". Non di sola poesia certo si dilettava, ché le erano offerti guanti di velluto, anelli, vesti greche, pantofole d'oro, lini, profumi, che gli amici della sua cerchia, avidi di frequentarla e di esserle grati facevano a gara a presentarle, mentre i protettori più potenti si assumevano ben altri obblighi.
Morì il 15 ag. 1512, e mentre alcuni parvero accennare ad una assunzione di veleno che la condusse alla morte, Pietro Aretino affermò che ella "morì bene, ricca et in casa sua et honorata".
Due giorni prima aveva fatto testamento. In esso, dopo aver espresso il desiderio di essere sepolta nella chiesa di S. Gregorio al Monte Celio, designava come erede universale la figlia Lucrezia, "virginem castam et pudicam", che era allora presso il monastero delle monache di S. Maria in Campomarzio, salvo 100 ducati assegnati alla madre e alcuni altri piccoli legati. Aveva nominato come esecutori testamentari Agostino Chigi, Ulisse Lanciarini da Fano e Paolo e Diana di Trevi. Per sua volontà le doveva essere costruito in S. Gregorio un monumento del costo di 50 ducati d'oro ed in effetti il sepolcro le fu fatto erigere, ma non ci è pervenuto. Per la morte della C., la cui immagine fisica si cercò inutilmente di individuare in parecchie opere di Raffaello, furono scritte varie composizioni poetiche, le più importanti delle quali sono l'Imperiae panegyricus di Giano Vitale, la Fundana visio super obitu ninphalis corpusculi pulcherrime Imperie di Pietro Cappadolce e il Lamento della Imperia mandato dall'Inferno in questo mondo di Giuliano Ceci. La prima, una esercitazione poetica piuttosto fredda, ma in un latino abbastanza elegante, esalta la bellezza e la grazia, riscattate dal pentimento prima della morte; nella seconda, in terzine di modesta e faticosa fattura, il poeta nella finzione di una apparizione notturna presenta con indulgenza la vita della cortigiana; la terza, di ispirazione cristiana, in terzine declamatorie e retoriche, condanna la vita e i costumi della Cognati.
La figlia Lucrezia, che sposò nel 1514 Arcangelo Colonna, conterraneo del Chigi, ebbe almeno due figli, Giovanni Domenico e Girolamo, e rimase in lite con la nonna Diana per l'eredità materna fino al 1521. Il 9 genn. 1522 era a Chianciano, quando si avvelenò per sottrarsi ai desideri illeciti del cardinale Raffaello Petrucci. Ella, che sopravvisse all'ingestione del tossico, rimase così nella storia e nella leggenda per virtù affatto differenti da quelle della madre.
Bibl.: G. L. Moncallero, Imperia De Paris…, Roma 1962.