IMMUNOPATOLOGIA
Le conoscenze acquisite in quest'ultimo ventennio su strutture e funzioni del sistema immunitario hanno consentito un particolare tipo di approccio in un vasto settore della patologia, con favorevoli conseguenze sulla comprensione dei processi etiopatogenetici di molte malattie e sulle relative possibilità di diagnosi e terapia; la vastità e l'importanza di tali acquisizioni giustificano la presa in considerazione di un particolare capitolo della patologia definito appunto immunopatologia.
Per dare una panoramica dei campi esplorati e dei traguardi, provvisori o definitivi, raggiunti, saranno oggetto di distinte sezioni i seguenti temi: interpretazione patogenetica dei fenomeni allergici (con particolare riguardo ai meccanismi IgE mediati); aspetti patogenetici dell'autoimmunità; i. dei deficit immunitari primitivi.
Interpretazione patogenetica dei fenomeni allergici. − Gran parte delle malattie allergiche hanno una patogenesi immunologica. Nell'ambito di queste malattie sono raggruppati quadri morbosi diversi, causati da antigeni (allergeni: v. oltre) di provenienza ambientale. Varie sono le modalità attraverso le quali un allergene può venire in contatto con l'organismo: ingestione alimentare, contatto cutaneo, iniezione parenterale, inalazione. Affinché s'instauri una malattia allergica è necessario un processo di sensibilizzazione, che si manifesta di solito con i caratteri della specificità. I fenomeni clinici possono avere un carattere sistemico o essere localizzati in un particolare tessuto od organo. Le diverse reazioni immunopatogene con le quali vengono descritti i meccanismi di reazione immunitaria causa di danno sono state classificate da R.R.A. Gell e P.H.C. Coombs e sono distinte in quattro tipi. Il primo è imperniato sugli anticorpi di tipo IgE che inducono le manifestazioni patologiche (atopia; asma) attivando i recettori di membrana posti sui mastociti; il secondo è dovuto a fenomeni citolitici causati da IgG o IgM; il terzo, proprio della malattia da siero, è caratterizzato dalla formazione di immunocomplessi circolanti; il quarto, infine, è proprio delle dermatiti da contatto ed è dovuto a un'azione mediata dai linfociti con liberazione di linfochine.
Per completezza può essere precisato che la classica distinzione delle malattie allergiche in reazioni di tipo immediato e in reazioni di tipo ritardato è sempre valida: in questa sede ci occuperemo essenzialmente delle prime, che oggi sono inquadrate nel gruppo dei fenomeni che hanno come mediatore chimico principale le IgE, corrispondenti a quei particolari anticorpi ai quali C. Prausnitz e H. Kustner avevano fatto riferimento a proposito degli esperimenti di sensibilizzazione della cute di individui normali con siero prelevato a soggetti atopici e che avevano denominato reagine.
Le IgE sono molecole che hanno una costante di sedimentazione 8 S e peso molecolare 196.000: sono stimolate da antigeni, detti allergeni, con peso molecolare tra 10.000 e 70.000 e dotati di alcune proprietà particolari. Una delle principali proprietà biologiche manifestate dalle IgE consiste nella fissazione sulla parete cellulare dei mastociti e dei basofili. Le plasmacellule in grado di produrre anticorpi IgE sono state identificate in particolari distretti delle superfici secretorie (bronchi e bronchioli, mucosa gastrointestinale, vescica urinaria). Inoltre, molto ricche di cellule secernenti le IgE sono sia le adenoidi sia le tonsille palatine.
Studi avanzati sui meccanismi di regolazione della sintesi di IgE hanno permesso di comprendere vari aspetti della complessa interazione biochimico-cellulare che governa la produzione di anticorpi IgE e le fasi successive riguardanti il legame tra antigene e anticorpo. Infatti uno degli aspetti di maggior interesse per quanto riguarda le fasi iniziali della risposta immunitaria IgE mediata concerne il ruolo dei recettori delle IgE stesse. Studi eseguiti su animali da esperimento (topi e ratti), ma anche sull'uomo, hanno consentito d'identificare le strutture dei recettori per la frazione cristallizzabile delle IgE (IgEFc receptor). La conoscenza della struttura del recettore ha quindi consentito di comprendere meglio le fasi di attivazione cellulare che portano, in corso di reazioni allergiche di tipo i°, alla liberazione di mediatori chimici farmacologicamente attivi.
La struttura del recettore per la frazione cristallizzabile delle IgE è costituita da due catene maggiori α e β, ciascuna delle quali comprende due domains (α1, α2; β1, β2). Il peso molecolare del recettore è circa 80.000 (alfa+beta). In prossimità del recettore β1 è situata, all'interno della membrana plasmatica, una proteina (Gs) di tipo stimolatorio in grado di attivare l'adenilatociclasi. Questo enzima, a sua volta, dà inizio a una catena di fenomeni: defosforilazione dell'ATP in AMPc; liberazione della proteinchinasi A che porta alla liberazione di molecole di Ca++ dal reticolo endoplasmatico, le quali, per via diretta e indiretta, attivano la proteina P, che diventa autrice di una complessa azione sulla componente granulare intracitoplasmatica, che finisce con il fondere la membrana stessa, liberando all'esterno il relativo contenuto. In realtà, oltre alla via mediata da AMPc, almeno altri due sistemi inducono l'attivazione dei cosiddetti fusogens in grado di fondere assieme granuli e membrana plasmatica: una è la via dell'inositolotrifosfato e l'altra è quella del diacilglicerolo. La via finale comune dei tre processi è la proteina P-attivata. Il primum movens della sequenza è il legame tra IgE e recettore: questo legame deve però ottemperare a una legge biochimica che rende efficace il binding (legame) tra anticorpo e cellula solo se due recettori vengono stimolati contemporaneamente.
La presenza di sostanze con azione potenziante o soppressiva (IgEpotentiating factor e IgE-suppressive factor) in grado di agire su particolari popolazioni linfocitarie regola la risposta IgE mediata. Attualmente si pensa che le IgE siano sottoposte a meccanismi di regolazione in qualche modo indipendenti rispetto a quanto si verifica per le IgG, IgA e IgM. Le cellule bersaglio che contengono i mediatori biologici della risposta immunitaria sono i mastociti e i basofili. I mastociti (molto ricchi ne sono la cute e il tratto gastrointestinale dell'apparato digerente) contengono granuli pieni di sostanze infiammatorie e molto attive sul piano farmacologico (istamina, serotonina, proteasi, SRS-A, fattori di regolazione nei confronti di altre cellule). È stata dimostrata anche una certa eterogeneità nell'ambito dei mastociti, sia nell'uomo sia in animali da esperimento (ratti). Per es. sono noti i mastociti aggregati al tessuto connettivo, prevalentemente dislocati in prossimità di piccoli vasi sanguigni. Essi sono piuttosto voluminosi e contengono cospicue quantità d'istamina. Nella mucosa gastrointestinale di ratto è stato descritto un altro tipo di cellula (mucosal mast cell), morfologicamente più piccola, con pochi granuli contenenti una modesta quantità d'istamina. I mastociti hanno recettori per gli anticorpi di tipo IgE. Simili ai mastociti, ma con alcune differenze strutturali, sono i basofili che contengono nel loro interno varie sostanze (tra cui istamina e leucotrieni, tipici metaboliti dell'acido arachidonico). Anche gli eosinofili sono intimamente associati alle reazioni di tipo allergico (è noto che in pazienti allergici si possono avere valori di eosinofilia attorno al 10÷20% e anche 30%). Allo stato attuale delle conoscenze si ritiene che gli eosinofili giochino un ruolo importante nelle fasi tardive delle reazioni allergiche. Infatti, in caso di contatto con l'allergene (cute, vie respiratorie), dopo i fenomeni tipici di sensibilizzazione immediata i sintomi possono persistere per diverse ore anche in assenza della sostanza che ha scatenato primitivamente la crisi.
Aspetti patogenetici dell'autoimmunità. - Le malattie autoimmuni sono causate dall'aggressione che il sistema immunitario esercita nei confronti dei tessuti normali. Esse presentano un carattere altamente invalidante e in alcuni casi a evoluzione fatale. Di solito vengono colpite persone giovani e di sesso femminile. Molte di queste malattie sono conosciute clinicamente (miastenia gravis, artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico), mentre per altre la caratterizzazione nosologica è meno ben definita (sclerosi multipla, connettiviti).
In corso di tali malattie si osservano risposte immunitarie forti e specifiche, rivolte contro componenti essenziali dell'organismo. Al fine di meglio comprendere i vari momenti del processo lesivo causato dal sistema immunitario, è utile ripercorrere brevemente le tappe di una risposta normale all'antigene.
Quando un antigene penetra nell'organismo viene ''presentato'' alla cellula linfocitaria T da una cellula − detta per tale funzione APC (Antigen Presenting Cell) − che, in via preliminare, lo digerisce, lo elabora ulteriormente e lo associa alle molecole del proprio ''complesso maggiore di istocompatibilità'' (MHC, Major Histocompatibility Complex): l'interazione tra antigene, molecole del MHC presenti in APC e recettori situati nella cellula T innescano la reazione immunitaria. In condizioni normali, per la presenza praticamente esclusiva nell'ambiente interno di elementi autologhi, reazioni come quella descritta non avvengono, e a tale proposito è utile ricordare la teoria della ''selezione clonale'' di F. MacFarlane Burnet, secondo la quale durante la vita intrauterina ogni antigene del nostro organismo è per sua natura ''autoantigene'' e i cloni immunoreattivi suscettibili di contatto con gli antigeni in questa fase sono eliminati. In tal modo alla nascita ogni forma di autoaggressione è impossibile. Vengono al contrario preservati i cloni che sono in grado di riconoscere gli antigeni estranei; in questo caso la risposta consiste in un'espansione clonale e in una differenziazione mirata verso la sostanza antigenica che ha provocato la reazione.
Il modello teorico della distinzione tra ciò che è proprio (self) e ciò che è estraneo (non self) risulta oggi abbastanza soddisfacente, ma in pratica la distinzione operativa tra proprio e non-proprio è alquanto complessa e numerose interferenze debbono essere prese in considerazione. In generale non va dimenticato che le medesime componenti (proteine, zuccheri, lipidi e acidi nucleici) formano sia le strutture degli antigeni sia quelle dell'organismo in grado di riconoscerli come estranei, e che un singolo recettore ha la capacità di combinarsi con varie formazioni molecolari simili (epitopi). Esiste quindi sul piano probabilistico una forma di mimetismo antigenico fondato su affinità strutturali tra ''veri'' autoantigeni e antigeni estranei.
Burnet interpretava l'insorgere di una malattia autoimmune dovuto alla comparsa post-natale di antigeni segregati durante la fase di gestazione. Persistendo il clone cellulare autoreattivo ne sarebbe scaturita un'aggressione diretta verso l'antigene precedentemente segregato; questa interpretazione può giustificare alcune lesioni d'organo (orchite; malattie autoimmuni dell'occhio) ma non è soddisfacente per una spiegazione generale del processo patogenetico. In linea di massima si può ritenere che il sistema immunitario sia in grado di modulare il proprio rischio di reazione autoimmune.
N. K. Jerne, all'inizio degli anni Settanta, formulò una teoria in grado di consentire una migliore comprensione del problema (network idiotipico). Questo autore, insignito del premio Nobel nel 1984, elaborò un'ipotesi successivamente confermata da alcuni modelli sperimentali, secondo la quale l'immunoregolazione si basa su un sistema ''a reticolo'' costituito da varie interazioni. Per es. ogni molecola di anticorpo contiene una regione immunogenica definita marker idiotipico, capace di stimolare la formazione di un secondo anticorpo. Lo stesso ragionamento si adatta al secondo anticorpo, in grado a sua volta di stimolare la formazione di un terzo. La sequenza ha una sua autolimitazione, ma è evidente che il sistema consente una regolazione a catena nella quale ciascun elemento modula il precedente. Se tale delicato equilibrio viene a mancare, ne può scaturire un processo non controllato, che determina l'insorgere di fenomeni autoimmuni e della patologia conseguente.
Modelli sperimentali come l'artrite dei ratti o l'encefalomielite autoimmune sperimentale hanno contributo a chiarire numerosi concetti sui meccanismi che scatenano l'inizio di una risposta autoimmune. In generale l'autoimmunità non è di per sé un fenomeno necessariamente patologico, tuttavia esiste una ''patologia autoimmune'' assai varia, determinata e mantenuta da fenomeni autoimmuni che assumono un significato patogenetico. Le modalità di rottura della tolleranza immunitaria − horror autotoxicus di P. Ehrlich − sono varie. Classicamente le condizioni patologiche possono essere sistemiche, organo-specifiche, non-organo specifiche, e costituire manifestazioni a genesi autoimmunitaria che s'intrecciano, complicandole, con malattie di differente significato patogenetico.
Tra le manifestazioni patologiche sistemiche sono state già citate l'artrite reumatoide e il lupus eritematoso, ma è bene ricordare anche la dermatomiosite e la sindrome di Sjögren. Nell'ambito delle forme organo-specifiche si debbono ricordare le tiroiditi, alcune malattie involutive delle ghiandole surrenali, del pancreas e dell'occhio. In questa categoria è prevalente una selezione autoreattiva su una struttura specifica di un determinato tessuto, mentre in situazioni non-organo specifiche la struttura bersaglio è localizzata in più organi: classico esempio è la sindrome di E. W. Goodpasture, in cui la membrana basale dei capillari polmonari e renali è la sede del processo patogenetico.
L'ultima categoria di manifestazioni, quella che vede l'intreccio di fenomenologie immunitarie con altre patologie, può dar luogo a situazioni di delicatezza e complessità particolari. Per limitare gli esempi, in corso di malattie endocrine (diabete) o in corso di processi infettivi la reazione crociata tra un agente patogeno e autoantigeni può scatenare fenomeni autoimmuni in grado di aggravare o mantenere attiva una situazione clinica ben specifica; questo può accadere nella cardite in corso di febbre reumatica, dove anticorpi anti-streptococco reagiscono con antigeni del miocardio, o in corso di polmonite da Mycoplasma pneumoniae durante la quale vengono prodotti anticorpi con spiccate proprietà emolitiche. In alcuni casi di processi autoimmuni, la mediazione, anziché essere direttamente anticorpale, vede l'intervento di un meccanismo cellulare: per es. in corso di tiroidite di Hashimoto o di epatopatie croniche autoimmuni. Le circostanze biologiche che inducono l'inizio e il mantenimento di fenomeni autoimmuni sono in realtà complesse e comunque ancora solo parzialmente note. Alcuni recenti studi hanno però dimostrato l'importanza di tale approccio multifattoriale per la conoscenza di malattie note ma non ancora sostanzialmente conosciute. Ci sembra questo il caso del diabete mellito giovanile cosiddetto di tipo i°. È probabile che la malattia sia conseguenza di un'infezione virale (forse causata da un virus coxsackie), che aggredisce le cellule beta delle isole pancreatiche. In pratica le cellule endocrine (stimolate da interferon) esprimono gli antigeni di classe ii del sistema maggiore di istocompatibilità e successivamente estrinsecherebbero i propri antigeni e quelli virali; le cellule T, responsabili della risposta linfocitaria di tipo helper e citotossica, innescano un'autoaggressione e finiscono con indurre una completa distruzione della componente endocrina del pancreas.
Un cenno conclusivo va fatto sul ruolo degli ormoni sessuali femminili: tali molecole avrebbero una funzione di depressione sulle cellule T suppressor e faciliterebbero i meccanismi indiretti di attivazione clonale. Questo potrebbe giustificare la maggior prevalenza di fenomeni e malattie autoimmuni nella donna (fino a 8÷10 volte in più rispetto all'uomo), ma prove sperimentali convincenti debbono essere ancora portate per completare questo aspetto comunque non secondario del capitolo dell'autoimmunità.
Molti fattori sono in grado di condizionare l'inizio di una risposta immunitaria rivolta verso i componenti del self, e l'esistenza di autoantigeni in grado di attivare linfociti T e B autoreattivi può dipendere da varie anomalie (quantitative e funzionali) dimostrabili durante il decorso di malattie autoimmuni spontaneamente manifestantisi.
La definizione stessa di malattia autoimmune richiede un approccio polivalente, che unisca criteri clinici e di laboratorio. Infatti, per es., secondo alcuni autori, almeno quattro condizioni debbono essere rispettate per soddisfare i criteri definitori: a) risposta autoimmunitaria anticorpo mediata e/o cellulo-mediata; b) possibilità di ottenere una risposta equivalente in animale sollecitato dal medesimo antigene; c) riproducibilità in animale del danno anatomo-patologico simile a quanto osservato in patologia umana; d) trasporto passivo del fenomeno.
Il tentativo di studiare la causa delle malattie autoimmuni dal punto di vista genetico ha escluso che esista un singolo gene in grado di condizionare l'innesco di una risposta autoaggressiva, mentre sempre maggior rilievo sembrano acquisire co-fattori acceleranti, come per es. virus, fattori nutrizionali e ormonali.
Immunopatologia dei deficit immunitari primitivi. - Il modello classico dei deficit immunologici (congeniti e acquisiti) costituisce una linea sperimentale di approccio ai problemi d'i. dalle caratteristiche originali. Infatti le implicazioni clinico terapeutiche e le varie sindromi descritte nella specie umana hanno permesso un incremento notevole delle acquisizioni teoriche, completando gli aspetti più direttamente sperimentali. Questo capitolo dell'i. ha avuto uno sviluppo graduale fino agli ultimi anni Settanta, occupandosi essenzialmente dei deficit immunologici primitivi (cioè geneticamente indotti) e di alterazioni correlate a precise situazioni di base (presenza di neoplasie, trattamento immunosoppressivo in corso di trapianti, infezioni croniche, invecchiamento, malnutrizione). Alla fine degli anni Settanta la comparsa, a carattere epidemico, della Sindrome da immunodeficienza acquisita e del relativo virus HIV-1 (Human Immunodeficiency Virus) ha spostato il centro di gravità delle ricerche, creando, inoltre, una qualche distinzione tra le ricerche sui deficit immunitari primitivi e su quelli acquisiti; v. per questo immunodeficienza acquisita, Sindrome da, in questa Appendice.
Deficit immunologici primitivi. - Il quadro clinico osservato nei deficit immunitari primitivi (IDP, oppure PID, Primary Immunodeficiency Diseases) è caratterizzato da numerose infezioni di varia natura (batterica, virale o fungina) determinate dalla qualità ed estensione del difetto immunologico di base. Attualmente, al fine di ordinare una materia così vasta e complessa, l'Organizzazione mondiale della sanità ha riveduto alcuni aspetti definitori e di nomenclatura nell'ambito delle IDP, che vengono classificate in cinque gruppi principali: 1) deficit da prevalente difetto anticorpale (v. anche oltre); 2) forme combinate (prevalente difetto dell'immunità cellulo-mediata); 3) immunodeficienza associata ad altri difetti di rilevante importanza; 4) deficit delle funzioni complementari; 5) deficit delle funzioni fagocitarie (immunità aspecifica). Delle principali sindromi saranno date via via le informazioni più significative, anticipando in via preliminare che, salvo alcune sindromi il cui tipo di eredità è ancora sconosciuto, la trasmissione di alcuni casi è legata al sesso maschile, in altri è autosomica recessiva, in altri ancora è condizionata da alterazioni cromosomiche: per es., in alcuni pazienti con difetto della catena k si sono identificati punti di mutazione a livello del cromosoma 2p11.
Le sindromi da difetto anticorpale, che costituiscono il primo gruppo della classificazione OMS delle IDP e sono particolarmente numerose, sono così classificate: 1) agammaglobulinemia congenita legata al sesso; 2) agammaglobulinemia congenita legata al sesso con difetto dell'ormone della crescita; 3) deficit delle immunoglobuline con aumentata sintesi delle IgM o ''sindrome da iper IgM''; 4) deficit delle catene pesanti; 5) deficit della catena leggera k; 6) deficit selettivo delle IgA; 7) deficit selettivo di una o più sottoclassi di IgG, indipendentemente dal difetto associato o meno di IgA; 8) immunodeficienza comune variabile; 9) agammaglobulinemia transitoria dell'infanzia.
In questa sede daremo una descrizione solamente di alcune di esse.
La più nota è l'agammaglobulinemia congenita legata al sesso (identificata anche come sindrome di O. C. Bruton), che compare entro i primi 10 mesi di vita allorquando scompare la protezione esercitata nel bambino dagli anticorpi materni. L'abnorme riduzione delle difese a carico del sistema umorale causa infezioni respiratorie, otiti, sepsi da batteri piogeni (stafilococchi, pneumococchi). Benché le complicanze, particolarmente frequenti in passato, abbiano subito una sostanziale riduzione grazie all'uso di farmaci (antibiotici) e all'infusione di gammaglobuline umane (IgG per via endovenosa o intramuscolare), esiste una prognosi a lungo termine condizionata da possibili complicazioni. Si ricordano in modo particolare l'encefalite da virus ECHO (Enteric Cytopathogenic Human Orfan) o un quadro simil reumatoide. In questa malattia sono assenti o presenti a bassissima concentrazione le 5 classi di immunoglobuline. La futura auspicata disponibilità di marcatori cromosomici e genetici in grado di permettere una diagnosi precoce consentirà d'impedire la nascita di individui di sesso maschile affetti da questa sindrome.
Un quadro clinico simile al precedente si riscontra nell'immunodeficienza con iper IgM (sindrome da iper IgM). Le immunoglobuline prodotte sono anticorpi appartenenti alla sola classe IgM. L'organismo non può avere un corredo di immunoglobuline di tutte le classi perché esiste un'alterazione delle fasi maturative della linea B (blocco dello switch, ossia del passaggio da un isotipo all'altro). Nei casi in cui è associata una neutropenia le complicanze infettive sono molto gravi ed è allora necessario il trapianto di midollo osseo.
Un gruppo eterogeneo di pazienti è incluso nell'Immunodeficienza Comune Variabile (ICV). È la forma più frequente dopo i deficit delle IgA. La stessa terminologia definitoria è necessariamente generica poiché una patologia complessa è all'origine dei quadri morbosi confluenti nell'assetto clinico dell'ICV. Molti casi vengono diagnosticati in età adulta (late onset), a differenza di quanto si è visto per la forma congenita legata al sesso. Clinicamente sono presenti infezioni senopolmonari, bronchiectasie, diarrea da Giardia lamblia. Immunologicamente si ha una depressione di IgG e IgA, mentre le IgM sono normali o ridotte. Gli studi d'i. hanno messo in evidenza difetti isolati di varie popolazioni cellulari, talvolta con alterazioni concomitanti della serie B e T. Non sono rare le documentazioni di autoanticorpi rivolti verso i linfociti B. Esiste senza dubbio una predisposizione familiare, ma casi sporadici senza alcun legame ereditario non sono eccezionali.
Il più frequente dei deficit umorali riguarda le IgA (attorno a 1 : 800÷ 1 : 2000 nella popolazione di origine caucasica). Esiste una forma completa (con deficit di IgA1 e IgA2) e una forma a carico di una delle due sottoclassi. I soggetti colpiti possono essere del tutto asintomatici ed essere diagnosticati in corso di controlli occasionali, oppure presentare una patologia a carico delle mucose (vie aeree e intestinali). Si ricorda infatti che le IgA sono presenti nelle secrezioni e che rappresentano una vera e propria vernice protettiva nei confronti delle aggressioni virali e batteriche.
Al gruppo delle immunodeficienze combinate (v. sopra: gruppo 2 della classificazione OMS) vanno ascritti i gravi deficit che comprendono sia i T che i B linfociti. Sono colpiti i bambini nella primissima infanzia con gravi alterazioni dell'immunità cellulo-mediata e anticorpale. Clinicamente si assiste a un ritardo della crescita e al sopraggiungere di gravi infezioni opportunistiche (Candida albicans, Pneumocystis carinii, Cytomegalovirus). Gli anglosassoni usano l'espressione SCID (Severe Combined Immunodeficiency) per definire questo gravissimo quadro di deficienza immunitaria che può manifestarsi in forma legata al sesso (X-linked, perché correlato al cromosoma X e quindi al sesso maschile) o autosomica recessiva. Sono inoltre distinte alcune forme particolari correlate all'assenza di alcuni enzimi (adenosindeaminasi, purina nucleoside fosforilasi). L'importanza di tali entità cliniche risiede ovviamente non tanto nella loro frequenza ma soprattutto nel significato immunopatogenetico delle lesioni elementari che sono alla base del difetto stesso.
Il gruppo 3 (v. sopra) della classificazione OMS per le IDP include i deficit associati ad altra patologia di rilevante importanza (sindrome di A. Wiskott - R. A. Aldrich, atassia-telangectasia, sindrome di A. M. DiGeorge).
La sindrome di Wiskott e Aldrich colpisce individui di sesso maschile e si manifesta con infezioni ricorrenti, eczema, piastrinopenia (e conseguenti emorragie). Le immunoglobuline, inizialmente normali, tendono a un progressivo decremento con alterazioni nella sintesi di anticorpi rivolti verso antigeni polisaccaridici. La linfocitopenia si associa a un'alterazione dei linfociti T. Il difetto genetico è localizzato sul braccio corto del cromosoma X e determina un'espressione modificata della glicoproteina di membrana CD43, che riguarda diverse popolazioni di cellule. Gli stessi linfociti sono più piccoli del normale, così come le piastrine. La splenectomia è utile per ridurre il rischio delle emorragie; queste sono presenti sin dai primi mesi di vita e sono spesso mortali (in special modo se intracraniche). I livelli sierici delle IgE sono molto elevati e non di rado si associano a quadri di paraproteinemia. L'eczema ha i caratteri tipici dell'atopia. Una sindrome vasculitica con fenomeni autoimmunitari conferma la complessità del quadro immunologico. I pazienti non hanno una buona prognosi e presentano un rischio altissimo di sviluppare neoplasie (linfomi non Hodgkin, leucosi sistemiche, carcinomi ma anche linfomi di Hodgkin). La terapia di elezione è il trapianto di midollo osseo.
La seconda sindrome inserita in questo gruppo è la ben nota atassiatelangectasia. Si tratta di una forma autosomica recessiva che si caratterizza per una progressiva atassia, con telangectasie oculo-cutanee e immunodeficienza (deficit dei linfociti T, difetto selettivo delle IgG2 e IgG4 con decremento dei valori delle IgA). Sono note diverse varianti genetiche. L'incidenza è superiore ai due casi su 100.000 nati vivi. La molteplicità delle lesioni (a carico del sistema nervoso centrale, coinvolgimento del sistema immunitario, alto rischio di neoplasie soprattutto per quanto concerne i linfomi) escluderebbe una patogenesi unitaria. Probabilmente il ruolo centrale è svolto da un'alterazione dei meccanismi di riparazione del DNA con la presenza di numerose fratture dei cromosomi. La fragilità cromosomica è del resto nota anche per altra patologia (xeroderma pigmentoso, sindrome di Bloom). Nell'atassiatelangectasia le rotture riguardano siti genetici che possono coinvolgere l'espressione fenotipica dei recettori T (TCR) sui cromosomi 14 e 7. È in questa sede che vengono codificate le informazioni per le catene alfa, beta e gamma dei recettori T e per le catene pesanti delle immunoglobuline (cromosoma 14). I pazienti presentano una maggiore frequenza di infezioni dopo il quarto anno di vita. Tipico, per il completamento delle indagini diagnostiche, è il riscontro di alti valori di alfa-fetoproteina sierica. Per quanto la prognosi quoad vitam sia attualmente migliorata, il grave danno neurologico compromette seriamente le prospettive quoad valetudinem.
Di notevole importanza è la sindrome di DiGeorge, all'origine definita aplasia timica congenita e oggi identificata come sindrome della terza e quarta tasca faringea. Questo quadro morboso è associato a un anomalo sviluppo embriologico che si manifesta attorno alla dodicesima settimana di gestazione. Ne derivano alcune manifestazioni cardiache, disturbi del metabolismo del calcio causati da ipoevolutismo delle ghiandole paratiroidi, gravi alterazioni della risposta immunitaria cellulo-mediata conseguente all'anomalia evolutiva del timo. Buoni successi terapeutici si sono ottenuti con il trapianto del timo.
I deficit delle frazioni del complemento (v. immunità: Complemento, App. IV, ii, p. 158), riuniti nel gruppo 4 dello schema proposto dall'OMS, sono stati descritti in quasi tutte le componenti del sistema, ma sono molto rari. Le modalità di trasmissione del o dei difetti sono prevalentemente autosomiche recessive, tranne che per il fattore D e della properdina (X-linked). È possibile riconoscere il difetto anche negli eterozigoti perché il contenuto delle varie frazioni interessate è ridotto notevolmente (circa il 50%). È frequente la loro associazione a sindromi di tipo autoimmune, a quadri vasculitici con tendenza a infezioni (forme piogeniche ricorrenti; infezioni da Neisseria); da ricordare, nell'ambito dei difetti a carico del sistema d'inibizione del complemento, il deficit del C1 inibitore, che è trasmesso ereditariamente come forma autosomica dominante. L'associazione clinica più grave è quella con l'edema di Quincke o angioedema ereditario. Su un piano più generale dev'essere ricordato che i portatori di deficit complementare presentano una maggiore tendenza alle infezioni e un certo rischio per la patologia da complessi immuni.
I difetti congeniti riguardanti la cosiddetta immunità aspecifica (fagocitosi; v. sopra, gruppo 5) comprendono alterazioni a carico delle cellule polimorfonucleate e monocitarie. Si tratta di un insieme di difetti che riguardano le proprietà biologiche di cellule con caratteristiche funzioni: chemiotassi, aderenza, endocitosi, fagocitosi, distruzione delle particelle inglobate (killing). L'integrità delle strutture del citoscheletro, così come i recettori di superficie e un regolare funzionamento del respiratory burst (combustione respiratoria) intracellulare, garantiscono un adeguato effetto di protezione immunitaria soprattutto nei confronti di funghi e batteri; tra le forme di deficit note si ha una prevalente eredità autosomica-recessiva e una tipica eredità legata al sesso (Malattia Cronica Granulomatosa: MCG). La MCG è caratterizzata da un difetto del citocromo b che è del tutto assente o presente in piccolissime quantità. La forma di MCG legata al sesso è correlata a un difetto di una catena del citocromo del peso molecolare di 95 KD. Con il perfezionarsi delle tecniche di laboratorio un numero piuttosto ampio di difetti dell'immunità aspecifica è stato segnalato: inoltre è noto che la funzione dei fagociti può essere variamente compromessa nel corso di varie malattie a carattere sistemico, come per es. il diabete. L'approccio terapeutico è legato alla gravità del quadro clinico: si può ricorrere anche a trasfusioni di cellule neutrofile o a una periodica profilassi con antibiotici; l'uso di vitamina C, l'impiego di interferon e il ricorso al trapianto di midollo osseo completano il corredo degli strumenti possibili di cura.
Implicazioni concettuali dello studio delle IDP. − Nell'ambito della teoria della sorveglianza immunologica l'esperimento della natura costituito dai difetti immunitari primitivi rappresenta un buon modello per verificare alcune conoscenze acquisite sul sistema immunitario e nell'ambito della regolazione omeostatica dell'organismo. I pazienti con IDP, oltre ad avere un maggior rischio di infezioni opportunistiche e non, a carico di vari sistemi (apparato respiratorio, forme generalizzate − sepsi, apparato gastroenterico), presentano altre condizioni patologiche correlate all'alterazione del sistema immunitario. Sono associate a IDP: 1) neoplasie; 2) fenomeni e/o sindromi autoimmuni; 3) patologia allergica. I difetti immunitari primitivi con maggiore prevalenza di neoplasie sono l'atassia-telangectasia e la sindrome di Wiskott-Aldrich. Il rischio generico calcolato rispetto alla popolazione sana equivalente per età e sesso ha un aumento compreso fra le 10 e le 1000 volte, sebbene opportune distinzioni vadano fatte all'interno di ciascun deficit immunitario per non incorrere in grossolani errori d'interpretazione (per es., nell'immunodeficienza comune variabile si ha una prevalenza di forme neoplastiche a carico dell'apparato digerente, mentre il tipo di neoplasia più frequentemente associata a una IDP è a carico del sistema linfatico).
L'associazione tra IDP (prevalentemente con difetto dell'immunità cellulare) e neoplasie del sistema linforeticolare è molto importante ai fini di una comprensione più chiara del ruolo del sistema immunitario nel controllo della crescita neoplastica. In modo particolare è possibile che un sistema di sorveglianza insufficiente non sia in grado di controllare l'azione patogena dei virus oncogeni, come è ipotizzabile che una non controllata stimolazione cronica da parte di svariati antigeni possa favorire o innescare fenomeni di proliferazione cellulare e quindi di espansione tumorale non controllata.
La patologia allergica riguarda essenzialmente i difetti di IgA; è probabile che nei meccanismi di sensibilizzazione allergica entrino in gioco vari momenti di regolazione e di controllo del carico antigenico nei soggetti con bassi livelli di IgA, considerato anche il ruolo specifico delle IgA secretorie nelle mucose (vernice secretoria di protezione).
La patologia autoimmune si osserva in diverse IDP, e sono state descritte numerose condizioni che hanno variabile gravità clinica (anemia emolitica autoimmune, epatopatia cronica, piastrinopenie e altre); anche in questo caso non è sempre possibile ricondurre il tipo di fenomeno alla natura del deficit immunitario primitivo: i fenomeni autoimmunitari, accompagnati o meno da una manifesta patologia autoimmune, vanno inquadrati come risultato di una più vasta disregolazione dei meccanismi di controllo.
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