IMMUNITÀ
. Medicina. - In medicina e nelle scienze biologiche immunità in generale significa quella proprietà per la quale alcuni organismi animali o vegetali resistono senza danno o perturbamenti fisiologici all'azione nociva di microbi o di veleni, che in altri organismi sono invece capaci di produrre malattie ben definite o alterazioni della salute più o meno profonde. Questo concetto originario e generale dell'immunità s'è venuto poi precisando, e anche restringendo, specialmente per quanto concerne i veleni o sostanze tossiche, via via che nella ricerca delle cagioni sono stati scoperti particolari fenomeni atti a chiarirne la natura.
Immunità naturale e acquisita. - L'immunità va distinta in naturale e acquisita. Entrambe si distinguono poi in locale e generale e, in rapporto al meccanismo d'azione, in cellulare o istogena e umorale.
L'immunità si dice naturale quando è posseduta come proprietà originaria di una specie vivente o di una razza, o come proprietà congenita di singoli individui. È noto che i germi i quali sono patogeni per i Vertebrati non lo sono quasi mai per gl'Invertebrati, e viceversa; e che tra i Vertebrati esiste un diverso comportamento verso gli agenti patogeni infettivi, secondo che si tratta di omeotermi o di pecilotermi, cioè di animali a sangue caldo o freddo. Anche rispetto a certi veleni sono conosciuti stati naturali di particolare resistenza, così gli uccelli e gli animali a sangue freddo sono insensibili all'azione della tossina tetanica, i maiali al veleno dei serpenti. Le malattie infettive le quali colpiscono più frequentemente i Mammiferi sono rare tra gli uccelli: questi, per esempio, ammalano raramente di carbonchio. Il carbonchio offre anche un esempio evidente d'immunità di razza, poiché le pecore algerine sono naturalmente immuni da tale malattia, mentre tutte le altre razze di pecore sono sensibilissime a essa. Le varie specie di Mammiferi presentano un diverso grado di predisposizione verso una stessa infezione. Per esempio, riferendoci ancora al carbonchio, le cavie e i topolini bianchi si mostrano molto sensibili all'infezione, i conigli sono più resistenti, i cani non sono affatto recettivi. Sono state notate differenze tra varietà della stessa specie, e perfino tra individui di una stessa razza. I topi delle chiaviche sono resistenti al carbonchio, mentre la varietà albina di essi si mostra recettiva.
A proposito dell'immunità di razza, bisogna avvertire che per certe malattie alcune razze umane sono meno colpite di altre, non perché siano realmente immuni, ma per altre cause. Per esempio, la febbre gialla colpisce a preferenza i Bianchi, e raramente invece gl'individui di razza nera. S'è creduto per il passato a uno stato d'immunità della razza nera verso la febbre gialla, ma si tende oggi concordemente ad ammettere che l'agente trasmettitore del virus (Stegomya fasciata) preferisce pungere la pelle del bianco e rifugge dalla pelle del negro. È poi risaputo da tutti che durante certe epidemie alcuni ammalano subito, mentre altri, anche se si espongono ripetutamente al contagio, non ammalano: esistono perciò anche differenze individuali di resistenza.
L'immunità naturale può essere sfavorevolmente influenzata da svariati fattori: la fame, la fatica fisica, il raffreddamento, le depressioni psichiche prolungate; i veleni del sistema nervoso, come l'alcool, l'etere, il cloroformio, ecc., diminuiscono il potere di resistenza sino al punto da rendere un organismo, prima refrattario per razza o per condizioni individuali, recettivo a una data infezione. La stessa azione hanno alcune malattie generali. Infatti, O. Lubarsch dimostrò che le anemie predispongono l'organismo a quelle malattie che per sé stesse determinano una diminuzione dei corpuscoli rossi del sangue, quali il carbonchio, e il colera dei polli; G. Mya e G. Sanarelli dimostrarono che nei topi e nei colombi nei quali furono distrutti moiti corpuscoli rossi con l'acetilfenilidrazina, si determina facilmente la morte per carbonchio. Per influenze diverse può stabilirsi anche una diminuita resistenza locale. Così i traumi, pur non determinando lesioni di continuo della cute, possono favorire lo sviluppo d'infezioni localizzate, come tubercolosi circoscritte, osteomieliti, ecc. È noto inoltre che l'attecchimento di germi patogeni, lo stafilococco e il bacillo del tetano in particolar modo, avviene più facilmente nelle lesioni di continuo nelle quali v'è distruzione di tessuti, come nelle ferite lacero-contuse; e alcuni affermano che l'uso irrazionale degli antisettici nel trattamento delle ferite può predisporre alle infezioni, giacché può l'antisettico non uccidere tutti i germi e d'altra parte può indebolire i mezzi di difesa delle cellule nel tessuto leso.
Al contrario, altre circostanze possono aumentare la resistenza degli organismi verso alcune infezioni. È noto da antico tempo che l'aver superato certe malattie, quali il vaiolo, la scarlattina e altre affezioni esantematiche, difende quasi sicuramente l'uomo da una seconda infezione. La peste bovina, il vaiolo delle pecore, il carbonchio sintomatico conferiscono agli animali, che ne furono colpiti, un'immunità permanente o di lunga durata. Altre malattie producono l'immunità solo per breve tempo, ma ciò non senza eccezioni e non ugualmente per le diverse specie animali; così, per esempio, il carbonchio può recidivare nell'uomo e nel cavallo, ma gli ovini e i bovini che hanno superato tale infezione, ne sono resi per molto tempo immuni. Fu anche osservato che l'aver superato una malattia infettiva, con decorso anche mitissimo, genera uno stato immune equivalente a quello che s'ottiene dopo aver superato una forma molto grave della stessa infezione. Basta ricordare le forme abortive di tifo addominale che mettono al sicuro da attacchi più forti della stessa malattia.
Lo stato di resistenza consecutivo all'infezione superata si designa col nome di immunità acquisita. L'immunità acquisita verso una data infezione è dunque quella che compare durante la vita di un individuo per sua natura predisposto; e si stabilisce, sia perché, come sopra s'è detto, esso ha già subito la detta infezione, sia perché è stato sottoposto a pratiche artificiali d'immunizzazione. E appunto per la possibilità di conferire in questo secondo modo l'immunità, si usa distinguere questa in naturale e artificiale.
Inoltre l'immunità acquisita, come l'immunità naturale, si distingue in antibatterica, che si basa su nuovi poteri di difesa e di lotta che l'organismo acquista contro i microbi, e in antitossica che si fonda sulla presenza di sostanze capaci di neutralizzare i veleni batterici, e anche alcuni veleni di origine vegetale (fitotossine) o animale (zootossine). L'immunità acquisita, infine, va distinta in immunità attiva o passiva, secondo che i principî antibatterici e antitossici sono preparati direttamente dall'organismo, in seguito allo stimolo ricevuto, oppure sono in esso introdotti col siero di sangue di un altro animale immunizzato.
L'immunità antitossica naturale e acquisita si produce e agisce con un meccanismo non ancora chiaramente conosciuto. Alcuni ritengono che siano soltanto gli elementi dei tessuti a determinarla; altri che vi concorrano anche gli umori dell'organismo. Certo è che, se pure a scopo didattico si ammette la distinzione dell'immunità antitossica in istogena e umorale, una netta distinzione fra la partecipazione degli elementi cellulari e dei liquidi organici non si può fare. Vi sono però dei casi in cui è evidente la parte predominante dei tessuti nella difesa dell'organismo contro una data tossina. Così l'inoculazione di grandi dosi di tossina tetanica nella tartaruga e nel caimano non produce alcuno stato morboso. Nel primo caso la tossina non si fissa sui tessuti e circola nel sangue per lungo tempo immodificata, tanto che il sangue della tartaruga, anche in piccola quantità, è capace di produrre l'intossicazione tetanica in altri animali recettivi; nel secondo caso la tossina scompare presto dal sangue circolante ed è assorbita dal protoplasma dei tessuti; cioè, la tossina tetanica si fissa sul tessuto nervoso del caimano, ma questo è insensibile all'azione della tossina stessa. In altri casi ancora si trova nel sangue circolante una sostanza capace di neutralizzare una determinata tossina, e talora in quantità tale da difendere contro la rispettiva intossicazione, come è dimostrato nell'uomo mediante la reazione di B. Schick, che serve a scoprire gl'individui recettivi e i refrattarî alla difterite.
L'immunità antitossica si può artificialmente ottenere mediante l'inoculazione di veleni elaborati da alcuni germi, quali il bacillo difterico, il bacillo tetanico e altri pochi, i quali esplicano la loro azione patogena principalmente in virtù di tale loro proprietà. Questi veleni batterici, inoculati in adatti animali da esperimento, con le necessarie precauzioni, producono un valido stato immune. Questo ha caratteri distintivi ben definiti rispetto a quello stato di refrattarietà che, mediante l'assuefazione, si può ottenere verso veleni chimicamente ben definiti, come l'arsenico, la morfina, ecc. Una prima differenza è questa, che l'assuefazione a siffatti veleni produce bensì un grado di refrattarietà notevole, ma di gran lunga meno elevato di quello che consegue all'immunizzazione con le tossine; la seconda differenza, che è la più importante, sta nel fatto che il siero degli animali assuefatti ai veleni chimici non contiene mai contravveleni, quindi inoculato in animali non assuefatti resta senza efficacia sui veleni corrispondenti; laddove il siero degli animali immunizzati con le tossine batteriche contiene antitossine specifiche in gran copia, ed in minima quantità è capace di sopprimere gli effetti di forti dosi delle rispettive tossine, allorché viene inoculato negli animali sensibili.
Sulla proprietà dei sieri antitossici di annullare l'azione nociva della tossina corrispondente è fondata la terapia specifica delle infezioni difterica e tetanica.
I sieri antitetanico e antidifterico si ottengono immunizzando il cavallo con le rispettive tossine. L'immunizzazione del cavallo è una pratica delicata e difficile, variabile da caso a caso in rapporto alla quantità di veleno da inoculare, alla durata degl'intervalli tra l'una e l'altra inoculazione, alla via di introduzione; tutte condizioni che l'immunizzatore cerca di regolare sulla guida delle reazioni presentate volta per volta dall'animale. Il cavallo così trattato viene a essere in tal modo attivamente immunizzato contro il veleno tetanico o difterico, e il siero del suo sangue contiene, in forte concentrazione, le antitossine specifiche; di modo che l'inoculazione di questo siero in altri individui, anche in piccola dose, mette in circolo una quantità considerevole di antitossine, fornisce cioè l'arma già pronta per combattere l'attacco del nemico. L'individuo cui è inoculato il siero è immunizzato passivamente, in quanto che il suo organismo non prende alcuna parte alla produzione di antitossina, ma utilizza quella introdotta col siero immune.
L'immunità passiva dura relativamente poco, in media qualche settimana, cioè finché le sostanze eterogenee introdotte col siero non sono eliminate. S'adopera, oltre che a scopo terapeutico, a scopo profilattico, quando è necessario proteggere alcuni individui sani contro gli effetti di un contagio immediato. Ma la breve durata dell'immunità passiva, e altri inconvenienti che questa presenta, e che non è qui il caso di enumerare, ne limitano l'uso a scopo profilattico; a tal fine è invece largamente adoperata nell'uomo l'immunizzazione attiva, antibatterica e antitossica. L' immunità antitossica attiva è resa possibile anche nell'uomo, perché mediante l'azione combinata di sostanze chimiche e di agenti fisici, si sono ottenute delle modificazioni dei veleni batterici che non hanno più alcun potere tossico, pur conservando inalterata la proprietà di provocare la formazione di antitossine. G. Ramon, infatti, aggiungendo alla tossina difterica il 4‰ di formalina del commercio e conservandola a 37° per un mese, ha ottenuto l'anatossina difterica, che ha, come la tossina difterica, il potere di far produrre antitossine all'organismo in cui s'inocula, ed è assolutamente innocua. La profilassi dell'infezione difterica nei bambini è oggi praticata anche da noi con l'anatossina di G. Ramon.
L'immunità antibatterica, pur avendo fondamenti biologici che si ricollegano all'immunità antitossica, ha caratteri d'altronde che possono ritenersi particolari per essa. La teoria fagocitaria di E. Metschnikoff, geniale nella concezione e ricca di prove sperimentali, ha dominato per molto tempo. Molte cellule dell'organismo sono capaci di incorporare microrganismi o particelle di materie assai diverse, come granuli di carminio, di carbone, di pigmenti varî ecc.: tale azione si chiama fagocitosi. La fagocitosi, fenomeno osservato da E. Haeckel per la prima volta nei Molluschi, si ritrova in molti organismi unicellulari. E. Metschnikoff studiò profondamente la fagocitosi e riconobbe che quasi soltanto i leucociti possiedono in alto grado tale proprietà. Egli vide che la fagocitosi si esercita in maniera particolare contro i batterî e diede un'importanza fondamentale a questo fatto, riferendo l'immunità naturale alla capacità dei leucociti di fagocitare e distruggere i germi, e l'immunità acquisita all'acquisto di nuove sostanze stimolanti (stimuline), che favoriscono la fagocitosi.
La teoria fagocitaria ha messo in evidenza la parte che nell'immunità prendono i leucociti. Questa va considerata però nel suo giusto valore rispetto alla parte attiva che anche nell'immunità antibatterica va attribuita agli umori e ad altri elementi cellulari.
L'immunità antibatterica, come quella antitossica, può essere conferita artificialmente. Tale pratica si sviluppò a grado a grado dopo la scoperta di E. Jenner della vaccinazione antivaiolosa, fondata sul fatto da lui osservato che il nostro organismo, dopo aver superato un attacco di cow-pox (vaiolo dei bovini o vaccino), acquista un'immunità abbastanza durevole verso il vaiolo umano. Il termine vaccinazione, proveniente dal primitivo uso del vaccino come mezzo di difesa contro il vaiolo, è stato usato poi per indicare in genere i procedimenti atti a immunizzare attivamente e specificamente gli organismi contro le varie malattie infettive.
I primi tentativi di vaccinazione antibatterica furono fatti con germi vivi e virulenti inoculati in piccola dose allo scopo di provocare un'infezione più o meno attenuata. Il metodo cadde presto in disuso per i pericoli che presentava e si passò all'uso dei germi vivi ma attenuati. Le prime esperienze con tale metodo furono fatte da L. Pasteur con colture del bacillo del colera dei polli, conservate per lungo tempo in laboratorio e col bacillo del carbonchio coltivato per una o due settimane a 42°. L'attenuazione dei varî microbi fu poi tentata con l'aggiunta di sostanze chimiche nelle colture, col passaggio dei germi attraverso animali di specie opportunamente scelte, con l'essiccamento, ecc. Fu poi visto che anche i germi uccisi possono essere adoperati come vaccini. Come mezzo per uccidere i germi in colture artificiali si può adoperare il calore a temperature variabili da 53° a 65° per la durata di un'ora o poco meno, secondo la natura dei germi (bacillo del tifo, bacillo della peste, vibrione del colera, ecc.). I vaccini si possono preparare con una sola o con più specie batteriche allo scopo di conferire l'immunità verso una sola o più infezioni nello stesso tempo.
Con l'inoculazione dei vaccini batterici s'ottiene un'immunità specifica generale, la quale si attribuisce al fatto che gli elementi cellulari dei varî organi e sistemi, reagendo allo stimolo, producono sostanze o assumono attitudini speciali, capaci di mettere l'organismo in stato di difesa. Ma poiché i varî territorî cellulari sono in diverso grado recettivi all'azione patogena dei germi, e questi dimostrano a loro volta una diversa affinità per i varî tessuti, s'è cercato in certi casi di accrescere la resistenza di un dato territorio cellulare verso un determinato germe, senza ricorrere all'immunità generale. È questa l'immunità locale, come la designa A. Besredka. Su questo principio è fondata la vaccinazione, per via orale, contro il tifo, i paratifi, la dissenteria, e quella per via cutanea contro il carbonchio e le infezioni locali da piogeni. È stata anche tentata la vaccinazione con estratti batterici di varia preparazione, fra cui i nucleoproteidi di A. Lustig e G. Galeotti e le stomosine di E. Centanni. Questi diede all'uso delle stomosine il nome di stomoterapia.
I fenomeni immunitarî, oltre che negli organismi superiori, sono stati studiati anche negl'Invertebrati e nei Protozoi, nei quali, in base a una ricca e recente serie di ricerche, pare dimostrato che l'immunità si fonda più sui fattori istogeni che sugli umorali, ed è soprattutto del tipo dell'immunità da ipersensibilità.
Il comportamento delle piante rispetto ai germi delle malattie da cui possono essere colpite è molto diverso da una specie all'altra. Sappiamo infatti che tutte le varietà di grano appartenenti a specie polimorfe sono immuni verso la ruggine bruna (Puccinia triticina). Altre varietà di grano sono immuni o poco recettive alla Puccinia glumarum. Esisto1io invece pochissime varietà immuni al carbone e, in alcune piante, come per esempio nel Panicum miliaceum, non esistono affatto varietà immuni. Si trova dunque anche nelle piante l'immunità congenita, la quale, come negli animali, può essere influenzata favorevolmente o sfavorevolmente da più fattori.
Come negli animali, anche nelle piante si può praticare l'immunizzazione contro le malattie. Essa può avere efficacia e durata diversa, secondo le esperienze dei varî autori. Una completa resistenza alle reinfezioni fu constatata nelle orchidee, nel fagiolo e nella fava. D. Carbone sperimentò con le patate e coi piselli, e constatò non uno stato immunitario assoluto, ma una maggiore resistenza all'infezione. Nulla di preciso si può dire ancora sulla durata dell'immunità acquisita delle piante, né sul grado della sua specificità.
Antigeni e anticorpi. - Si chiama antigene (v.) una sostanza che, introdotta nei tessuti o nel torrente circolatorio di un animale, fa comparire più o meno rapidamente nel sangue una proprietà nuova, che si attribuisce a una sostanza che si chiama immuncorpo o anticorpo, ed è capace di combinarsi specificamente con tale antigene.
La proprietà antigena non è esclusiva delle sostanze batteriche, giacché i componenti chimici di parecchi tipi cellulari degli organismi superiori, particolarmente le emazie, si comportano in modo analogo alle cellule batteriche (J. Bordet, S. Belfanti); similmente si comportano anche parecchi enzimi e le proteine eterogenee. Tuttavia, le proprietà antigene dei batterî sono le meglio conosciute e studiate.
I componenti del protoplasma batterico che, comunque stimolando o modificando il protoplasma delle cellule dell'organismo, provocano queste a formare gli anticorpi, si chiamano tutti insieme antigeni, e da molti si ammette che siano almeno tanti quanti sono gli anticorpi conosciuti. A ogni antigene corrisponde il suo anticorpo, e viceversa; anzi, in tanto conosciamo l'esistenza degli uni e degli altri, in quanto si svelano reciprocamente e hanno relazioni strettamente specifiche.
Circa la sede e il modo di produzione degli anticorpi, finora si è soltanto in grado di prospettare ipotesi, più o meno suffragate da dimostrazioni sperimentali. Per la sede pare sufficientemente dimostrato che essi hanno origine dagli elementi mobili e fissi dell'organismo, e perciò non soltanto dai leucociti, ma anche dalle cellule endoteliali delle sierose (A. Wassermann e A. Citron), dagli organi linfatici (è nota la funzione protettiva del peritoneo e dell'epiploon), e specialmente dagli organi ematopoietici, i quali sono generalmente anche degli organi linfatici, oltre che ricchi di tessuto reticolo-endoteliale. Attualmente, difatti, si tende a riconoscere la più grande importanza al sistema reticolo-endoteliale anche nei riguardi dell'immunità. Numerose ricerche hanno dimostrato che, bloccando tale sistema, ossia sopprimendone la funzione (il che può ottenersi con l'inoculazione di svariate sostanze di natura colloidale), la produzione di anticorpi diminuisce nettamente. In ogni modo, gli anticorpi sarebbero principalmente di provenienza reticolo-endoteliale. E l'abbondanza di tale sistema negli organi ematopoietici può spiegare la parte preponderante che questi organi indubbiamente assumono nella produzione degl'immuncorpi, e il fatto che le prime tracce di questi sono dimostrabili appunto negli organi ematopoietici, prima ancora che nel sangue circolante. Circa il modo di produzione degli anticorpi, s'è più che mai nel campo delle ipotesi. Già E. Centanni, nel 1893, aveva avanzata un'ipotesi a cui si ricongiunge, per certi rispetti, la teoria delle catene laterali, posteriormente formulata da P. Ehrlich, e che ancora adesso si presenta come la più suggestiva a spiegare certi fenomeni. E. Centanni aveva ammesso nelle colture batteriche l'esistenza di sostanze vaccinanti prive di potere tossico, le quali, inoculate negli animali recettivi, li proteggono contro l'infezione, fissandosi ad alcuni aggruppamenti molecolari periferici del protoplasma delle cellule più sensibili all'azione di quel dato germe, ed escludendone così le sostanze tossiche, le quali, altrimenti, trovando liberi quegli aggruppamenti, vi si legherebbero e danneggerebbero gli elementi delle cellule stesse. Egli dette allora il nome di stomosine a tali sostanze vaccinanti e di stomositi agli aggruppamenti molecolari periferici della cellula.
Nella sua teoria delle catene laterali, P. Ehrlich ammette che la molecola del protoplasma cellulare, quindi anche quella dei batterî, sia composta di un nucleo centrale o funzionale, e di aggruppamenti periferici, o catene laterali: questa concezione deriva per analogia dalla struttura dei composti ciclici della chimica organica. Le catene laterali sarebbero diversissime. Secondo Ehrlich, hanno in condizioni normali importanza fisiologica per la nutrizione e la respirazione intracellulare: per mezzo di esse verrebbero fermate ed assicurate alla cellula le sostanze trofiche destinate alle compensazioni materiali ed energetiche. Allorché s'introduce una sostanza eterogenea nell'organismo, tossica o atossica, essa può trovare, ma non sempre trova, adatte catene laterali cui fissarsi; nel caso che le trovi, si fissa di fatto. Il protoplasma cerca di liberarsi della sostanza eterogenea, ma, non potendo eliminare questa soltanto, stacca da sé anche la catena laterale occupata. Passa così in circolo il complesso "sostanza eterogenea + catena laterale"; e la cellula riforma la catena perduta. Ripetendosi gli attacchi, il numero dei complessi staccati aumenta, e le catene perdute vengono tutte rigenerate; non solo, ma vengono anche riprodotte in eccesso, per lo stato irritativo in cui si trova la cellula. Le catene rigenerate in eccesso vengono eliminate, rappresentando esse una specie di zavorra; così che, in un dato momento, si trovano in circolo, oltre un certo numero dei complessi sopra citati, anche molte catene laterali libere, le quali appunto costituirebbero gli anticorpi.
Considerando che le catene laterali, mentre sono ancora legate al nucleo centrale, hanno la funzione di fissare, ossia di ricevere, le sostanze che vi arrivano, esse sono state chiamate da Ehrlich anche recettori. Gli anticorpi dunque non sono che recettori cellulari liberi; e conservano, anche liberi, l'attività di combinazione per i rispettivi antigeni. Il gruppo per mezzo del quale i recettori fissano gli antìgeni si dice aptoforo; e, reciprocamente, anche gli antigeni hanno il loro gruppo aptoforo, col quale si fissano agli anticorpi. Negli antigeni tossici, come le tossine, oltre al gruppo aptoforo, bisogna ammettere l'esistenza di un altro gruppo, quello cui spetta l'azione tossica specifica, e che si dice tossoforo.
Come vi sono antigeni diversi, così vi sono recettori diversi, e quindi anticorpi diversi. Si distinguono tre specie di recettori, quindi altrettante di anticorpi: essi si dicono del I ordine, del II ordine e del III ordine. I primi possiedono un solo gruppo aptoforo, e comprendono le antitossine e gli antienzimi: per mezzo di tale gruppo questi anticorpi si fissano rispettivamente alle tossine e agli enzimi, neutralizzandone l'azione, ma non distruggendoli, come è provato dal fatto che sia le tossine che gli enzimi, con adatti artifici, possono essere recuperati nella pienezza delle loro proprietà. Gli anticorpi del secondo ordine possiedono un gruppo aptoforo, per il quale si fissano al corrispondente antigene, e un gruppo portatore dell'azione specifica, che si dice generalmente zimotico: vi appartengono le agglutinine e le precipitine. Quelli del terzo ordine possiedono due gruppi aptofori, e perciò si denominano ambocettori: il gruppo col quale si fissano al rispettivo antigene si dice citofilo, perché gli antigeni sono componenti degli elementi cellulari; l'altro col quale fissano il complemento si dice complementofilo. Vi appartengono gli ambocettori citolitici in genere, e gli anticorpi cosiddetti fissatori del complemento.
Il complemento si dice anche addimento, alessina, citasi; ed è una sostanza che si trova nel siero normale fresco del sangue di alcuni animali, compreso l'uomo; esso integra gli ambocettori specifici, che si rivelano soltanto in presenza di esso complemento.
La teoria di Ehrlich, che per tanti anni ci ha fornito l'interpretazione più soddisfacente dei fenomeni immunitarî, non è stata del tutto scalzata dai progressi degli studî fisici e chimici della materia vivente, se pure le nuove vedute fisico-chimiche sull'immunità ci fanno vedere alcuni fenomeni sotto una luce alquanto diversa. L'azione antigena delle proteine sembra indissolubilmente legata al loro stato fisico. Le proteine coagulate in generale non sono più capaci di dar luogo alla formazione di anticorpi (albume di uovo coagulato per azione del calore); ma, se la coagulazione è reversibile (siero coagulato dall'alcool, e ridisciolto in acqua dopo l'eliminazione dell'alcool), la facoltà antigena ricompare.
L'azione antigena sembra anche legata all'integrità della molecola proteica. I singoli amminoacidi, che sono prodotti di scomposizione della molecola proteica, non sono capaci di dar luogo alla formazione di anticorpi. Inoltre, una molecola proteica, per quanto complessa, non esplica facoltà antigena se è sprovvista di amminoacidi aromatici (come è il caso della gelatina), mentre i soli amminoacidi aromatici non posseggono proprietà antigene. Il caso delle tossine merita a tal proposito una speciale menzione, perché potrebbe sembrare una eccezione. Si sono infatti preparate tossine purissime, le quali non dànno nessuna delle reazioni delle sostanze proteiche, eppure conservano in alto grado il potere antigeno. Si sa però che quantità infinitesimali di proteine sono sufficienti per la produzione di anticorpi (per es. gr. 0,000.000.05 di albumina di uovo possono sensibilizzare una cavia alla reazione anafilattica); tali dosi non possono essere svelate nemmeno dalle più delicate reazioni chimiche; e ciò dimostra che spesso le reazioni biologiche possono essere più sensibili di quelle chimiche.
Dal punto di vista chimico, la specificità degli antigeni e degli anticorpi si mostra tanto più spiccata quanto più la proteina che funge da antigeno è eterogenea rispetto all'animale inoculato. Bisogna inoltre ricordare che in uno stesso animale si possono trovare più sostanze antigene diverse (cinque nel solo uovo di pollo); mentre, per converso, in specie animali anche molto differenti si possono trovare antigeni identici (il cristallino di una specie animale provoca la formazione d'anticorpi attivi sui cristallini di altre specie). L'azione antigena è dunque legata alla natura chimica.
Sperimentalmente, inoltre, si è visto che l'introduzione artificiale di un dato gruppo chimico nella molecola della proteina di una specie animale, può trasformare la proteina originaria in una sostanza nuova avente azione antigena anche in organismi della medesima specie. Questo fatto ci rende ragione della strana ipersensibilità di alcuni organismi a determinate sostanze chimiche, per sé stesse sprovviste di qualità antigene. È lecito supporre che nell'organismo i detti gruppi chimici o radicali trovino il modo di combinarsi con qualche proteina, trasformandola in proteina estranea per l'organismo e quindi funzionante da antigene. K. Landsteiner ha dato il nome di apteni a questi radicali chimici capaci di combinarsi con proteine (formolo, acido nitrico, iodio, acido metanilico, ecc.). Anche gl'idrati di carbonio, combinati con le proteine, sono capaci di funzionare da apteni; anzi qualche autore ha creduto di attribuire agl'idrati di carbonio combinati con le proteine dei batterî i caratteri di specificità degli antigeni batterici. Pare che anche i lipoidi possano agire in tal senso.
Dal punto di vista chimico, gli anticorpi sono generalmente considerati come sostanze proteiche, legate alla frazione globulinica del siero. Alcuni anzi sostengono che essi non sono altro che le globuline stesse del siero, modificate dal processo d'immunizzazione; mentre altri ammettono che si tratti di globuline specifiche neoprodotte, e altri ancora che si tratti di radicali chimici fissati alla molecola proteica della globulina. Certo è che la globulina del siero aumenta notevolmente durante i trattamenti immunizzatorî.
Il meccanismo d'azione degli anticorpi sui rispettivi antigeni è di natura ancora oscura e controversa. Per gli anticorpi del I ordine (antitossine) P. Ehrlich credette poterlo paragonare alla neutralizzazione di un acido forte con una base forte. Più tardi S. Arrhenius e Th. Madsen lo rassomigliarono invece alla reazione tra un acido debole e una base debole; e finalmente J. Bordet ha proposto una teoria chimico-fisica: l'unione fra antigene e anticorpo avverrebbe per adsorbimento colloidale. Questa teoria spiega meglio il fenomeno, ma non ne chiarisce la specificità in modo soddisfacente. Oggi si tende a credere che l'adsorbimento colloidale non sia che il primo tempo dell'unione fra la tossina e l'antitossina, e che in un secondo tempo si compia il processo chimico specifico di neutralizzazione.
Gli anticorpi del secondo ordine dànno luogo a fenomeni che possono essere bene osservati in vitro (agglutinazione, precipitazione). Piccole quantità di siero agglutinante, introdotte in un tubo contenente una sospensione omogenea, vale a dire uniformemente opaca, dei germi costituenti il rispettivo antigene, provocano flocculazione e poi chiarificazione del liquido con formazione di deposito dei germi al fondo del tubo. Il siero contenente precipitine, messo a contatto con una soluzione della sostanza costituente il rispettivo antigene, produce prima intorbidamento poi flocculazione, infine deposizione dei fiocchetti. Il fenomeno dell'agglutinazione non si produce se non in presenza di elettroliti. Se, in effetti, sia la sospensione batterica che il siero agglutinante sono privati, per dialisi, degli elettroliti, e poi mescolati, l'agglutinazione non si produce; ma, se s'aggiunge un pochino di cloruro sodico, tale fenomeno appare subito. Si è giunti così alla conclusione che gli elettroliti servono a rivelare, cioè a rendere visibile l'azione dell'anticorpo sull'antigene, già avvenuta in loro assenza. Secondo H. Bechhold, i batterî si comporterebbero come delle sospensioni minerali, le cui particelle siano protette da una membrana albuminoide che impedisce l'azione degli elettroliti i quali, modificando il potenziale elettrico delle particelle sospese, fanno perdere alla sospensione la sua stabilità. Le agglutinine modificherebbero la membrana batterica in modo che la sospensione dei germi si comporterebbe come una sospensione minerale non protetta, e quindi precipitabile per azione degli elettroliti. Sono stati fatti parecchi esperimenti che depongono in favore di questa interpretazione. Una sospensione di B. coli, cui s'aggiunga un filtrato di bacilli tifici, viene agglutinata dal siero antitifico; particelle colloidali, trattate con albumina di uovo e poi lavate, sono agglutinate da un siero precipitante per l'albumina d'uovo; bacilli trattati con siero di bue sono agglutinati da un siero atto a precipitare il primo. La somiglianza dei fenomeni di agglutinazione e di precipitazione e la simultanea comparsa di agglutinine e precipitine negli animali immunizzati, fanno propendere per l'identità dei due tipi di anticorpi.
L'azione degli anticorpi del terzo ordine è caratterizzata da dispersione e dissoluzione o lisi dell'antigene omologo. S'ammette che tale azione dipenda dalla cooperazione di due elementi; uno, il vero anticorpo, specifico, termostabile, è l'ambocettore; l'altro, aspecifico, termolabile, presente in tutti i sieri, viene detto complemento o alessina o citasi. L'azione di alcuni di questi anticorpi (citolitici) può essere direttamente apprezzata dai nostri occhi, osservando la dissoluzione delle masse cellulari presenti nelle sospensioni in cui sia stato introdotto l'ambocettore omologo unitamente al complemento: la sospensione si chiarifica. Per altri anticorpi, anche del tipo degli ambocettori, tale azione non cade sotto il diretto dominio dei nostri sensi: l'unione dei tre elementi necessarî (antigene, ambocettore, complemento), non produce alcuna visibile modificazione del miscuglio. In questo caso, per apprezzare tale azione, si aggiunge, dopo il tempo necessario perché essa avvenga, un sistema rivelatore, costituito da un altro ambocettore col relativo antigene, di quelli la cui azione è visibile (emolisina + globuli rossi). Nel caso che il complemento sia rimasto fissato nel precedente sistema, non si noterà alcuna modificazione nella sospensione dei globuli; in caso contrario, si produce la dissoluzione della massa globulare, e la sospensione si disintorbida. Gli anticorpi dimostrabili con tale espediente sono anche chiamati anticorpi fissatori del complemento, e la reazione che serve a svelarli fissazione del complemento.
L'azione degli anticorpi sui relativi antigeni viene largamente sfruttata a scopo diagnostico. Il più delle volte, l'analista, in possesso di un determinato antigene, ricerca gli anticorpi presunti nel materiale patologico; altre volte, invece, partendo da un siero contenente anticorpi noti, ricerca nel materiale patologico l'eventuale esistenza dell'antigene omologo.
Ricorderemo che la ricerca degli anticorpi agglutinati a scopo diagnostico è largamente usata nel tifo e nei paratifi, nella febbre ondulante, nel dermotifo; più raramente nella dissenteria bacillare, nella peste, nella meningite cerebro-spinale, nella sporotricosi. Le reazioni di precipitazione e di flocculazione sono utilmente adoperate nei casi di carbonchio ematico, di peste, di meningite cerebrospinale, di echinococcosi, di sifilide, di tubercolosi; mentre le reazioni di fissazione del complemento trovano la loro indicazione principale nella sifilide (reazione di Bordet-Wassermann), e poi nella echinococcosi e in parecchie altre malattie.
Anafilassi e allergia. - C. Richet, determinando nei cani il potere tossico di una sostanza ottenuta dai tentacoli delle attinie, dimostrò che gli animali sopravvissuti all'iniezione di una dose submortale del veleno, dopo alcune settimane, reinoculati con la stessa sostanza, soccombevano per dosi molto inferiori alla prima, e in un tempo brevissimo. Questa speciale sensibilità acquisita di un organismo all'azione di una sostanza determinata egli chiamò anafilassi, che, secondo l'etimologia, indicherebbe uno stato inverso a quello di protezione o d'immunità. Richet estese i suoi studî sul fenomeno anafilattico, e ne fissó i termini, che possono essere riassunti nel seguente schema. Il fenomeno anafilattico richiede per determinarsi: un'iniezione sensibilizzante della sostanza sensibilizzatrice, un periodo d'incubazione, una seconda iniezione (scatenante) della medesima sostanza.
Il fenomeno, studiato nel 1902 da C. Richet e dai suoi collaboratori con veleni (congestine) di origine animale e vegetale, diede subito incentivo agli studî di M. Arthus, di E. v. Dungern e di C. Levaditi. Le esperienze di Arthus sulla sieroanafilassi stabilirono che uno stato d'ipersensibilità si determina anche in seguito a iniezioni per via parenterica (cioè qualunque via che sia diversa dalle vie digerenti) di albumine eterogenee non tossiche. Il fenomeno di Arthus rappresenta una conferma del fenomeno di Richet; e, mentre ne estende i limiti, ne rileva ancora meglio i caratteri fondamentali. L'anafilassi può dirsi uno stato di particolare ipersensibilità dell'organismo verso sostanze eterologhe complesse, in seguito a introduzione delle stesse sostanze per via parenterica.
Le manifestazioni che si determinano nelle varie forme di anafilassi rivestono più o meno sempre il carattere della subitaneità. Nello shock provocato per via endovenosa si può avere la morte in pochi minuti: l'animale diviene ansioso, agitato, perde le feci, ha polipnea, annaspa con le zampe e muore. Il coniglio presenta questa forma di shock, ma nelle diverse specie animali si notano differenti forme, come anche il grado dei sintomi morbosi è vario e legato alle circostanze di ciascun caso. Alcune volte le manifestazioni sono tardive e lievi; questa diversa intensità di manifestazioni è in rapporto spesso con la via d'introduzione adoperata per la seconda iniezione (sottocutanea, endoperitoneale, endovenosa, intracerebrale). La via intracerebrale è particolarmente efficace per determinare rapidamente lo shock grave (A. Besredka e E. Steinhardt). La cavia è l'animale più suscettibile all'anafilassi ed è l'animale di scelta per gli studî sul fenomeno anafilattico. R. Otto riuscì a dimostrare che, oltre allo stato di anafilassi attiva si può ottenere negli animali un vero stato di anafilassi passiva, iniettando in essi il siero di animali anafilattizzati.
T. Smith, R. Otto, M. J. Rosenau e A. Anderson notarono che come dose sensibilizzante è sufficiente una quantità piccolissima, tale che rispetto al peso dell'animale stia nel rapporto di 1 : 1.000.000-1 : 2.000.000, anzi dosi così piccole sono capaci di creare uno stato di anafilassi meglio di una dose forte. La natura chimica delle sostanze sensibilizzatrici è in genere proteica (siero, albumina d'uovo, proteine dei cereali e delle leguminose, ecc.).
Tra le note anatomo-patologiche degli animali morti per shock anafilattico sono da ricordare le alterazioni del sistema circolatorio: vasodilatazioni ed emorragie d'intensità e distribuzioni varie nel cuore, nei polmoni, nei reni, nei surreni, nel peritoneo, nell'apparato digerente (stomaco, intestino, fegato, pancreas) e vasocostrizioni spastiche in altri distretti, specialmente nelle diramazioni dell'arteria polmonare; e secondo G. Fichera una particolare necrosi di molti tratti del sistema reticolo-endoteliale. Caratteristico e molto frequente è lo stato di distensione enorme degli alveoli polmonari. Questo fenomeno, osservato da J. Auer e P. A. Lewis e poi da A. Biedl e R. Kraus, è dovuto a uno spasmo della muscolatura bronchiale che rende difficile l'espirazione, e al momento della morte impedisce totalmente l'uscita dell'aria. Questo fatto può spiegare agevolmente l'azione benefica degli anestetici, osservata da A. Besredka, e l'azione del solfato di atropina negli animali anafilattizzati. L'anestesia degli animali mediante l'etere può salvarli dallo shock anafilattico al momento della reiniezione. Negli animali sensibilizzati lo stato d'ipersensibilità che si stabilisce nelle prime settimane perdura un tempo molto lungo, fino a dieci anni e più; benché dopo uno o due anni possa andare attenuandosi. Nelle cavie, anche dopo più di un anno dall'iniezione sensibilizzante, si possono verificare accidenti mortali. L'anafilassi va compresa negli stati che Pirquet ha chiamato allergici: è, come l'immunità, uno stato di allergia.
Benché la parola anafilassi indichi uno stato contrario allo stato di resistenza dell'organismo, pure tra anafilassi e immunità possono intravedersi rapporti che non permettono di considerare questi fenomeni come completamente diversi. In primo luogo va richiamata l'attenzione sul fatto che le sostanze adoperate come sensibilizzanti possono essere perfettamente paragonate, per la loro natura, agli antigeni. In secondo luogo, va ricordata la specificità dell'azione, poiché l'iniezione che provoca i fenomeni anafilattici va fatta con la stessa sostanza che serve per sensibilizzare l'animale. Oltre a questi fatti, ravvicina i due fenomeni la natura di essi, strettamente biologica. Le prime dottrine, sorte per dare una spiegazione dell'anafilassi sperimentale, ammisero che in seguito all'iniezione sensibilizzante nell'organismo si formasse un anticorpo specifico (la cui esistenza sarebbe provata dall'anafilassi passiva), con la stessa proporzione quantitativa che esiste fra tossina inoculata e antitossina dimostrabile nel siero di sangue: dall'unione di questo anticorpo con la sostanza introdotta con l'iniezione scatenante avrebbe origine un complesso tossico, l'anafilatossina, che determina lo shock anafilattico per azione sul sistema nervoso centrale (E. Friedberger e R. Dorr). Già da queste dottrine appare chiaro come la formazione dell'anticorpo specifico avvicini l'anafilassi all'immunità. Un'altra constatazione permette di ravvicinare i due fenomeni: ed è lo stato d'insensibilità o di antianafilassi, che si determina, negli animali sopravvissuti allo shock, verso nuove iniezioni dell'antigene anafilattizzante.
A. Besredka ha combattuto l'opinione della necessità che sia di natura tossica la sostanza capace di determinare gli accidenti anafilattici, e attribuisce questi a una rottura dell'equilibrio colloidale del siero. La crisi anafilattica è in effetti così brusca, che pochi accidenti tossici si possono assomigliare a essa. Inoltre sono particolari della crisi anafilattica alcune alterazioni del sangue, quali l'istantanea diminuzione dei globuli bianchi o leucociti (leucopenia) nel circolo periferico, le alterazioni dei leucociti stessi, l'incoagulabilità del sangue, la diminuzione della sua tensione superficiale e della sua viscosità (F. Widal e collaboratori). Attualmente, la maggior parte dei biologi e dei clinici ammettono la natura chimico-fisica dei fenomeni anafilattici, i quali sarebbero dovuti a perturbazione dell'equilibrio colloidale del sangue. Per quanto questo modo di vedere abbia molte ragioni di attendibilità, bisogna tener presente che l'anafilassi non può intendersi come un fenomeno puramente umorale; alcuni esperimenti di varî autori, fra cui A. Cesaris-Demel, sull'anafilassi degli organi e dei tessuti isolati da animali sensibilizzati e sottoposti all'azione del rispettivo antigene specifico provano che al fenomeno anafilattico prendono parte almeno alcuni tessuti, e che esso va interpretato come un fenomeno umorale e cellulare insieme. In generale, conviene notare che per il prodursi tanto dei fenomeni anafilattici quanto dei fenomeni immunitarî è del pari necessario un perturbamento dello stato cellulare e umorale, cui segue un disquilibrio colloidale.
La diversità tra lo stato anafilattico e l'immunitario può consistere in differenze puramente quantitative. Infatti le stesse sostanze che producono l'immunità possono servire a provocare l'anafilassi e la differenza del trattamento che serve a produrre quest'ultima sta nella dose della sostanza che s'inocula, cioè dell'antigene, e nel tempo che deve passare fra la prima e la seconda iniezione dell'antigene stesso. Fa pensare a ragioni di diversità puramente quantitative anche lo stato cosiddetto dell'antianafilassi, che si ottiene per mezzo d'iniezioni preventive, fatte secondo il procedimento di A. Besredka, cioè iniezioni dell'antigene specifico nell'animale anafilattizzato, in dosi piccole e a intervalli brevi. Besredka ha dimostrato appunto che se la dose di antigene rappresentante l'iniezione provocatrice dello shock viene inoculata frazionatamente a piccoli intervalli, l'animale, senza che lo shock anafilattico si produca, diventa insensibile a nuove iniezioni dell'antigene specifico, così come avviene negli animali che sopravvivono alla crisi anafilattica (metodo delle iniezioni subentranti di Besredka). Lo stato di antianafilassi si può ottenere anche mediante un'iniezione di antigene a dose alta nel periodo d'incubazione, cioè prima che lo stato d'ipersensibilità si sia prodotto. Il metodo delle iniezioni subentranti di Besredka ha trovato pratica applicazione per evitare accidenti anafilattici da siero negli animali e nell'uomo.
La tachifilassi è un fenomeno di rapidissima protezione che si stabilisce verso un estratto tossico di organi o soluzione di peptone, quando un animale venga preventivamente sottoposto a iniezioni di queste sostanze in dosi piccole e a brevi intervalli. A questa rapidissima assuefazione, o rapidissimo stato di protezione, osservato da G. Champy e da E. Gley verso estratti di ovaio e di testicolo, fu dato anche il nome di scheptofilassi. La scheptofilassi rassomiglia alla desensibilizzazione ottenuta col metodo di Besredka, ma non si può ritenere che i fenomeni abbiano lo stesso valore. La scheptofilassi si può ricondurre piuttosto al meccanismo della terapia anticolloidoclasica aspecifica, che tende a impedire lo shock (tanto lo shock da sostanze tossiche coagulanti, come sono gli estratti di organo, quanto lo shock anafilattico) mediante sostanze aspecifiche, quali il cloruro di sodio (E. Friedberger), il cloruro di bario (R. Kraus e A. Biedl), il solfato di bario (A. Lumière), il carbonato sodico, i bicarbonati alcalini, la glicerina, il glucosio, la lecitina, l'oleato sodico.
Gli esperimenti e le teorie sull'anafilassi hanno dato modo di spiegare molti fenomeni e vere sindromi morbose, la cui etiologia e patogenesi erano oscure. S'è anche esagerato in questo campo, volendo spiegare troppe cose con l'anafilassi in base a poche e incerte analogie; ma in verità parecchi stati morbosi devono essere considerati come fenomeni anafilattici, e meritano di essere ricordati a questo proposito principalmente la malattia da siero, l'anafilassi alimentare, la malattia da fieno.
Malattia da siero. - I primi studî che chiarirono il legame tra i fenomeni anafilattici e gli accidenti che si possono verificare in seguito a iniezioni di siero eterologo sono quelli di C. v. Pirquet e di B. Schick. Appunto con questi esperimenti Pirquet stabilì il concetto dell'allergia o della modificazione della capacità reattiva dell'organismo verso un'antigene specifico, che nel caso particolare è rappresentato dal siero eterologo. Il fenomeno di Th. Smith (1906) e le successive ricerche di R. Otto, M. J. Rosenau e I. F. Andersen spiegarono gli accidenti che si hanno talvolta in seguito alle reiniezioni di siero, poiché le cavie che avevano ricevuto da alcune settimane le iniezioni di un miscuglio di tossina difterica e siero antidifterico (siero di cavallo) senza mostrare disturbi, reiniettate con siero normale di cavallo subivano uno shock mortale. Si assodò pure che alla tossina difterica non spettava importanza alcuna, poiché cavie iniettate una volta con siero antidifterico (di cavallo) presentavano gli stessi fenomeni morbosi e morivano in seguito alla reiniezione con siero normale di cavallo. Venivano così spiegate come veri stati anafilattici acquisiti per effetto di un trattamento sieroterapico le condizioni d'ipersensibilità che si determinano nei soggetti che abbiano ricevuto un'iniezione di siero a scopo terapeutico o profilattico; in questi soggetti una seconda iniezione di siero dello stesso animale provoca crisi anafilattiche più o meno gravi. Si possono riscontrare fenomeni locali e generali: iperemia nel punto dell'iniezione, talvolta ingrossamento dei ganglî linfatici vicini, fenomeni a carico del sistema nervoso, senso di nausea e di angoscia, febbre, disturbi respiratorî, orticaria, edemi, dolori muscolari e articolari, e perfino stati di collasso d'intensità e durata variabili, che possono, benché assai raramente, condurre a morte i pazienti. Le manifestazioni possono sopravvenire tardivamente, dopo qualche settimana, e limitarsi a disturbi nervosi, eruzioni cutanee, artralgie, accompagnate ordinariamente da temperatura febbrile. Gli accidenti sono più frequenti e gravi quando s'inietta molto siero; perciò, al fine di ottenere un efficace effetto curativo con poco siero, si adoperano sieri immunizzanti di alto titolo. Il pericolo di accidenti è favorito dagl'intervalli di tempo piuttosto lungo fra le iniezioni successive; perciò è buona norma, quando sia necessario, praticare queste a intervalli brevi. Si evitano gli accidenti da siero nei soggetti presumibilmente sensibili per aver ricevuto precedentemente iniezioni di siero ricorrendo al metodo delle iniezioni subentranti di Besredka. La malattia da siero si può verificare, sebbene in forma più lieve, anche in soggetti mai trattati con siero, alla prima iniezione di questo. Può esistere, cioè, uno stato di anafilassi naturale.
Anafilassi alimentare. - In questa particolare forma di anafilassi l'antigene è introdotto per la via del tubo digerente. M. J. Rosenau e I. F. Andersen, in cavie nutrite con carne di cavallo, determinarono il fenomeno anafilattico mediante iniezione di siero di cavallo. Molti fenomeni d'ipersensibilità alimentare per ingestione di molluschi, fragole, pesci e altri alimenti ordinariamente innocui, possono essere ricondotti a uno speciale stato di anafilassi naturale di alcuni individui. Così possono intendersi pure i fenomeni d'intolleranza verso il latte di vacca, frequente nei lattanti. L'anafilassi alimentare, oltre a spiegare fenomeni morbosi varî e strani (crisi gastroenteriche, albuminurie intermittenti) come fenomeni dipendenti dall'alimentazione, ha aperto altresì la via a una serie di ricerche interessanti, delle quali, per quanto brevemente, va fatto cenno.
Come s'è detto, le sostanze anafilattizzanti sono sostanze complesse, di natura proteica, e già nei primi stadî di disintegrazione della molecola (albumoso-peptone) l'azione antigena va perduta. Questa condizione crea una difficoltà non lieve per spiegare la sensibilizzazione per via enterica, poiché è noto che le proteine vengono scisse nel tubo digerente fino a quei loro competenti relativamente semplici che sono gli amminoacidi, i quali soltanto, e non le proteine in toto, vengono assorbiti. H. G. Wells lasciò per lungo tempo a 37° una miscela di siero di cavallo e tripsina; notò che l'azoto proteico diminuiva e nello stesso tempo si riduceva molto il potere scatenante della miscela verso cavie sensibilizzate col siero fresco; dopo circa due mesi il potere scatenante era scomparso, ma permaneva il potere sensibilizzante che, com'è noto, richiede minime dosi di albumina: il potere sensibilizzante permaneva anche dopo tre anni, benché per sensibilizzare una cavia occorressero, dopo tanto tempo, quantità rilevanti della miscela, fino a 10 cmc.
Questi esperimenti dimostrano che gli enzimi del tubo digerente distruggono il potere anafilattogeno degli antigeni introdotti, perché operano una disintegrazione della loro molecola, ma dimostrano anche che piccolissime quantità, sufficienti per una sensibilizzazione, possono sfuggire all'azione disintegratrice. M. Ascoli, S. Belfanti e L. Viganò accertarono, con la precipitazione specifica, che albumine a funzione precipitogena possono passare nel sangue attraverso il tubo digerente. F. Micheli constatò che il sangue di soggetti che avevano ricevuto per os siero di bue o di montone, sangue prelevato alcune ore dopo l'ingestione del siero, poteva sensibilizzare le cavie verso il siero di bue o di montone. Molte osservazioni si devono ai pediatri, specialmente riguardo alla possibilità del passaggio in circolo di albumine del latte. Ha molta importanza l'integrità o meno delle pareti intestinali: le flogosi acute le rendono più permeabili, le flogosi croniche le rendono invece meno permeabili, per gl'ispessimenti connettivali che si verificano.
Importanti sono le ricerche di F. Widal e della sua scuola, le quali dimostrano che l'immissione diretta di sangue della vena porta nella cava ascendente dello stesso individuo dà luogo a shock peptonico. Benché i peptoni non possano essere considerati come anafilattogeni, questi esperimenti fanno constatare l'alto valore della barriera epatica, la quale, secondo F. Widal e i suoi collaboratori, varrebbe a fissare i prodotti d'incompleta disintegrazione proteica, esercitando così un'efficace azione protettiva.
Malattia da fieno. - Alcuni individui presentano una sensibilità spiccatissima verso le proteine contenute nel polline. L'introduzione, con la semplice respirazione, di polline nell'organismo vale in essi a provocare accessi catarrali acuti. La febbre da fieno costituisce un caratteristico stato anafilattico, e altrettale è anche quella forma morbosa conosciuta col nome di asma da fieno.
Molte forme di asma bronchiale, che spesso s'accompagnano a edema angioneurotico, eczema, orticaria, sono state riferite a stati anafilattici. In Italia C. Frugoni ha ampiamente trattato questi stati d'ipersensibilità. Nell'asma bronchiale anafilattico la crisi è improvvisa, e i fenomeni di broncospasmo e di distensione alveolare ricordano perfettamente i fenomeni respiratorî presentati dagli animali nelle crisi anafilattiche. G. Petragnana ha dimostrato che la via nasale è adatta sia per la sensibilizzazione anafilattica, sia per provocare lo shock.
Un altro fenomeno con caratteri di anafilassi è rappresentato dai gravi disturbi che si verificano nei portatori di cisti da echinococco, quando, per puntura o rottura della cisti, il liquido cistico viene assorbito.
Troppo lungo sarebbe annoverare anche sommariamente tutte le malattie e gli stati morbosi di cui l'anafilassi è dichiarata, con buona o mediocre o anche nessuna ragione, fattore etiologico. Così la pellagra, ritenuta da G. Volpino come una forma di anafilassi alimentare, è riconosciuta come un'avitaminosi o più propriamente come uno stato carenziale secondo P. Rondoni e altri.
L'anafilassi nella diagnostica. - Il carattere di specificità, che l'anafilassi possiede, permette di servirsi di questo delicato metodo biologico per identificare sostanze di natura antigena, per le quali non sarebbe possibile nessun altro mezzo di riconoscimento. Uno stato allergico d'ipersensibilità esiste infatti in molti individui, nel corso di malattie infettive, verso le sostanze che formano il corpo dell'agente patogeno; e questo stato d'ipersensibilità, cimentato contro l'antigene specifico, può guidare alla diagnosi. Le reazioni più adoperate sono quelle verso la tubercolina e la malleina (sostanze estratte rispettivamente dal B. della tubercolosi e dal B. della morva). Poiché l'organismo sensibile presenta questa ipersensibilità in quasi tutti i suoi tessuti, si può provocare una reazione specifica a carico di un delimitato campo. Un esempio tipico di anafilassi locale è rappresentato dalla cutireazione adoperata da C.v. Pirquet per la diagnosi di tubercolosi. Scarificando piccoli tratti di pelle di soggetti tubercolotici, e applicandovi la tubercolina, in quasi tutti i casi insorge una pronta reazione locale di varia intensità. Nelle 48 ore che seguono all'inoculazione della tubercolina si origina una papula, che è più o meno evidente e va dal rosa al rosso cupo, prendendo spesso l'aspetto di una vescicola-papula. La cutireazione di C. v. Pirquet è largamente adoperata per la diagnosi della tubercolosi.
La reazione è positiva anche in individui che non hanno fenomeni di tubercolosi in atto, ma che sono affetti da tubercolosi latente; e viceversa taluni tubercolotici conclamati non dànno nessuna reazione alla tubercolina; tale stato di mancata reazione si chiama anergia. Analoga alla reazione tubercolinica è quella che si desta negl'individui affetti da echinococco mediante l'iniezione cutanea di liquido ottenuto da cisti di echinococco (reazione di T. Casoni).
Bibl.: J. Bordet, Traité de l'immunité dans les maladies infectieuses, Parigi 1920; E. Centanni, Trattato di Immunologia, Milano 1921; A. Lustig, A. Cesaris-Demel, C. Comba, P. Rondoni, C. Frugoni, G. Fichera, D. Ces-Bianchi, ecc., Anafilassi, Milano 1923; A. Lustig, P. Rondoni e G. Galeotti, Patologia generale, Milano 1928; G. Tron, Profilassi immunitaria, Milano 1928; B. Le Bourdelles et P. Sédallian, Précis d'Immunologie, Parigi 1930; D. Carbone e C. Armandi, L'immunità nelle piante, Milano 1930; W. Kolle e A. von Wassermann, Handbuch der pathogenen Mikroorganismen, Jena 1931; A. Tzanck, Immunité, Intolérance, Biophylaxie, Parigi 1932.
Botanica. - In patologia vegetale la parola immunità ha un significato piu largo che nella patologia degli animali e viene usata insieme con quella di resistenza per indicare che una data specie non è soggetta a essere attaccata da determinati parassiti. Fischer e Gäumann comprendono invece col nome di resistenza le proprietà, esistenti indipendentemente dal parassita, per cui questo non riesce ad attaccare un determinato organismo, e riservano la denominazione immunità ai fenomeui di reazione per i quali, una volta avvenuto l'attacco, l'organismo o non viene in alcun modo a soffrire (come nel caso del Lolium temulentum che è sempre invaso da un Fusarium), o si libera in qualche modo dal parassita invasore. La prima, oltre che resistenza, anzi meglio che resistenza, viene pure chiamata difesa statica o passiva; la seconda difesa dinamica o attiva, ed entra in azione dopo che il parassita, superando la prima, è entrato nell'ospite. La difesa statica, o resistenza passiva, considerata nei fenomeni d'immunità nel senso più largo, si basa su caratteri anatomici e su caratteri chimici.
L'epidermide illesa è sempre, anche nelle piante, una barriera attraverso la quale non tutti i germi dei parassiti possono passare facilmente, né gli stomi in essa aperti sono sempre atti a favorire il loro passaggio. La cuticola, soprattutto, ha una grande importanza contro gli attacchi dei parassiti, ed è noto p. es. che certi funghi, come la Botrytis cinerea, riescono a penetrare nelle foglie giovani e nei petali coperti da una cuticola molto sottile, mentre non infettano se non in seguito a lesioni le foglie vecchie difese da una cuticola molto grossa. La cera, i peli, gli strati cellulari subepidermici, il sughero, possono rinforzare la difesa meccanica o anatomica costituita dall'epidermide. La composizione chimica dei succhi vegetali può essere elemento di resistenza o di difesa passiva contro i parassiti, quando in tali succhi si trovino sostanze capaci di esercitare un'azione inibitiva sullo sviluppo dei parassiti stessi: il tannino, in molti casi gli acidi organici, i composti fenolici, altre sostanze spesso di natura ignota, ma di cui si può sperimentalmente dimostrare l'esistenza, ci dànno ragione del comportarsi particolare di certe specie o di certe varietà di fronte a questo o quel parassita.
Quando, o per l'indebolirsi della difesa passiva in seguito a condizioni sfavorevoli di coltura e di vegetazione, o per l'irrobustirsi del potere di attacco dei parassiti, questi riescono a penetrare nell'organismo, provocano in esso i fenomeni di reazione che possono portare all'immunità nel senso più ristretto della parola già indicato da Fischer e Gäumann. Il parassita agisce secernendo tossine e l'organismo attaccato o viene invaso più o meno rapidamente e soccombe, o perde le prime cellule invase creando con questo un impedimento all'ulteriore sviluppo del nemico invasore, o forma rapidamente barriere anatomiche e chimiche (membrane ingrossate, strati di cellule suberificate o piene di sostanze tanniche) che lo isolano, o si adatta a vivere con esso senza esserne danneggiato, o reagisce violentemente uccidendolo. Tale immunità dipende moltissimo, come è naturale, dalle condizioni in cui si trova la pianta, e specialmente dalle sue condizioni di nutrizione.
È stato chiesto se essa è, nelle piante, solamente congenita o se può essere anche, come negli animali, acquisita: sono da ricordarsi in proposito gli studî interessanti di Carbone e Arnaudi, i quali hanno raccolto la molta bibliografia in argomento e i risultati delle loro osservazioni nella monografia qui sotto citata, concludendo che non si può escludere la possibilità, sia pure solo teorica, di vaccinazione delle piante. L'immunità congenita e la resistenza contro le malattie sono nelle piante fattori trasmissibili per eredità, onde gli sforzi, in molti casi coronati da successo, della genetica moderna per dare agli agricoltori varietà di piante coltivate che siano resistenti contro le principali malattie.
Bibl.: E. Fischer e E. Gäumann, Biol. d. pflanzenbewohn. paras. Pilze, Jena 1929; D. Carbone e C. Arnaudi, L'immunità nelle piante, Milano 1930; L. Montemartini, La patogenesi delle malattie delle piante, Milano 1931.