IMMAGINARIO
. Termine matematico, con cui si designa una classe di numeri, che, storicamente, si presentarono dapprima come non corrispondenti a grandezze reali.
1. Cenni storici. - A bene intendere la portata della teoria dei numeri immaginarî e a comprendere perché essa sia sorta in occasione delle ricerche degli algebristi italiani intorno alle equazioni di 3° grado, giova partire dalle seguenti considerazioni.
Come è noto, il quadrato di un numero reale è sempre positivo, qualunque sia il segno del numero; così (+ 3)2 = + 9 e (− 4)2 = + 16. Ciò porta che nell'insieme dei numeri reali, o, come anche si dice, nel corpo reale, non esistono numeri che possano pensarsi come radici quadrate di numeri negativi; di guisa che in quel corpo simboli come
sono privi di significato.
Quindi, se un problema fra numeri reali equivale a quello della ricerca di un numero il cui quadrato sia un numero negativo, il problema non ammette soluzioni, o, come si dice, è impossibile.
È appunto questo il caso dei problemi che si riconducono a un'equazione di 2° grado a discriminante negativo, cioè ad un'equazione del tipo
con b2 − 4 ac 〈 0. E infatti, sotto la sola ipotesi che l'equazione (1) sia dotata di soluzioni, si trova che esse sono necessariamente date dalla formula risolutiva
e poiché questa per b2 − 4 ac 〈 0 dà per x un'espressione priva di senso nel corpo reale, si conclude che quando b2 − 4 ac 〈 0 l'equazione (1) è, in quel corpo, priva di radici.
Ma quando per opera degli algebristi italiani S. Dal Ferro (1465-1526), N. Tartaglia (1500-1557) e G. Cardano (1501-1576) furono sottoposti a esame approfondito i problemi conducenti a equazioni di 3° grado si presentò un fatto nuovo.
Ecco di che si tratta. Si considerino, per es., le due equazioni di 3° grado
delle quali, entro il corpo reale, la prima ammette una sola soluzione (x = 3) e la seconda ne ammette tre (x = 4, x = − 2 + √3 e x = − 2 − √3). Entrambe sono del tipo
con p e q positivi, e per quest'ultima equazione il procedimento del Tartaglia conduce alla formula risolutiva
Ora questa formula, se vi si fa p = 6 e q = 9, dà
mentre, se vi si pone p = 15 e q = 4, fomnisce
cioè dà per x un'espressione ehe, involgendo il simbolo
è, nel corpo reale, priva di significato.
Gli è che per dimostrare la (5) partendo dalla (4), occorre non solo supporre che la (4) abbia soluzioni, ma ancora che ognuna di queste possa riguardarsi come somma di due numeri il cui prodotto sia p/3; condizione che equivale all'altra
e che è soddisfatta per la (2), ma non per la (3).
Di fronte a tale circostanza, a chi voglia non uscire dal corpo reale non resta che rinunziare alla formula (5) per il caso che sia
(caso detto irriducibile), e cercare un procedimento diverso da quello indicato dal Tartaglia. È quanto è stato fatto da Francesco Viète de la Bigotière (1540-1603), il quale traendo partito dal legame intercedente fra il caso irriducibile e il problema della trisezione dell'angolo - legame, cui aveva accennato anche il bolognese R. Bombelli - riuscì, mediante l'uso delle funzioni trigonometriche, a indicare una via atta a fornire la completa risoluzione delle equazioni di 3° grado presentanti il caso irriducibile, mantenendosi costantemente nel campo dei numeri reali.
Ma per fortuna un'ardita iniziativa del Bombelli, resa pubblica con la sua Algebra stampata a Bologna nel 1572, e che solo in seguito ha trovato un rigoroso assetto logico, ha portato a quella che può essere riguardata come la più importante generalizzazione del concetto di numero, in quanto non solo ha condotto all'introduzione dei così detti numeri immaginarî (denominazione dovuta al Descartes) o numeri complessi (denominazione dovuta al Gauss), di estrema fecondità nei campi dell'algebra, ma ha inspirato più tardi ulteriori generalizzazioni (immaginarî di Galois e numeri ipercomplessi) che hanno dato luogo a progressi notevolissimi nell'aritmetica e nell'algebra.
Il Bombelli, infatti, riconosciuto che un simbolo, come per es.
non rappresenta né un numero positivo, né un numero negativo (o, per dirla con le sue parole, che "esso non si può chiamare né più né meno"), non lo respinse senz'altro come privo di significato, al modo che era stato fatto prima di lui, né tanto meno lo identificò con √5, come pare sia stato fatto da Erone a proposito di
ma lo considerò come un ente di specie nuova da chiamare "più di meno quando egli si doverà aggiungere e quando si doverà cavare men di meno". Con che egli veniva a dire che
sono da riguardarsi come ottenuti dal numero 5 con l'applicazione dei due operatori più di meno e meno di meno.
Questi operatori, pei quali egli adottava le abbreviazioni p. di m. e m. di m., sono quelli che oggi, con notazione introdotta da Eulero e diventata, da Gauss in poi, di uso generale, s'indicano con + i e − i; e gli enti come
o, con la notazione odierna,
sono quelli che si dicono numeri immaginarî puri.
Introdotti i numeri immaginarî puri, il Bombelli, in primo luogo, assegnò le definizioni dei prodotti fra di essi, o fra di essi e i numeri reali; e, in secondo luogo, osservò che, per poter parlare di somme e sottrazioni entro l'insieme dei numeri reali e dei numeri immaginarî puri, bisognava ampliarlo, considerando accanto ad essi degli enti ulteriori; quelli che oggi si dicono numeri immaginarî o complessi, cioè del tipo a + bi, con a e b reali.
A questo modo il Bombelli poté riguardare la formula (5) del Tartaglia come avente senso anche per il caso irriducibile; e così, ad es., considerando proprio l'equazione (3) riportata più sopra, e riconoscendo che si poteva porre
ne trovava la radice positiva 4.
Le concezioni del Bombelli, sorte in un tempo in cui ancora si cercava di evitare, per quanto possibile, fin la considerazione dei numeri negativi (detti numeri ficti o falsi), non potevano non suscitare difficoltà ed obiezioni.
Così il Cardano, che pure si attardò molto intorno all'operazioue dell'estrazione di radice quadrata da numeri negativi, e che tali radici considerava talvolta come quantitates sophisticae, tale altra come entia rationis, come qualcosa di natura abscondita, non seppe risolversi ad accogliere favorevolmente la costruzione del Bombelli, della quale ebbe a dire che distruggeva tutto Euclide; così A. Girard (morto nel 1632), che chiamava racines indicibles le radici quadrate di numeri negativi e solutions envelopées le soluzioni di equazioni involgenti racines indicibles, e R. Descartes (1596-1650) che per queste soluzioni introdusse la denominazione, diventata poi di uso generale, di immaginarie, non ne parlarono che per potere enunciare il teorema riguardante il numero delle soluzioni di un'equazione algebrica; ed il Leibniz (1646-1716), che conobbe ed apprezzò l'opera del Bombelli e non si interdisse l'uso dell'immaginario, ebbe a definirlo analyseos miraculum, idealis mundi monstrum, pene inter Ens et non-Ens amphibium.
Con maggiore franchezza si mossero, sulla via inaugurata dal Bombelli, J. Wallis (1616-1703), cui risale il primo tentativo degno di nota di assegnare un'interpretazione geometrica dei numeri complessi ed A. De Moivre 11667-1754), il quale ultimo stabiliva il fatto fondamentale che la radice nesima di un numero complesso ha n valori, assegnava di questi l'espressione effettiva e mostrava così in modo completo come la formula del Tartaglia fosse atta a fornire tutte e tre le radici di un'equazione di 3° grado.
Pure l'uso dei numeri immaginarî, sebbene conducesse Eulero (1707-1783) a chiarire la nozione di logaritmo di un numero negativo, che aveva dato luogo a controversie fra il Leibniz e Giovanni Bernoulli (1667-1748), e le intime relazioni intercedenti tra la funzione esponenziale e quelle goniometriche, rimase a lungo circondato presso i matematici di un che di oscuro e di misterioso, che non si diradò, e con lentezza, se non dopo che Gauss, esponendola in una celebre nota del 1831 alla sua seconda memoria sui residui biquadratici e dandole il peso della sua grande autorità, fece diventar di dominio comune la rappresentazione geometrica dei numeri complessi che, sebbene data da Caspar Wessel (1745-1818) con una memoria del 1797 e da Giovanni Roberto Argand (1768-1822) con una memoria del 1806, era rimasta presso che sconosciuta.
Oggi la teoria dei numeri complessi ha ricevuto per varie vie assetto logico del tutto soddisfacente, e d'immaginario ai nuovi enti introdotti dal Bombelli non è rimasto che il nome.
Fra codeste vie ci limiteremo a indicare qui quella sviluppata sostanzialmente dal Cauchy (1789-1857) nel 1847 con il suo Mémoire sur la théorie des équivalences algébriques, e perché strettamente algebrica e perché una sua facile estensione conduce, fra altro, ai cosiddetti immaginarî dî Galois.
Naturalmente, definiti i numeri complessi alla maniera del Cauchy, non mancheremo di ricordarne brevissimamente la rappresentazione geometrica cui è stato alluso più sopra.
A conferma di quanto è detto, a proposito della lentezza con la quale la nozione di numero complesso si è liberata presso i matematici di ogni oscurità, sarà opportuno ricordare che lo stesso Cauchy nel 1821 scriveva (Analyse algébrique, p. 173): "En analyse, on appelle expression symbolique ou symbole toute combinaison de signes algébriques qui ne signifie rien par elle-même, ou à laquelle on attribue une valeur différente de celle qu'elle doit naturellement avoir.... Parmi les expressions ou équations symboliques dont la consideration est de quelque importance en analyse, on doit surtout distinguer celles que l'on a nommées imaginaires".
2. I numeri complessi come classi di polinomi. - Indichiamo con Ω la totalità dei polinomî (interi) in una indeterminata x, i cui coefficienti siano numeri reali, e distribuiamo gli elementi di Ω in classi, ponendo due di tali elementi in una stessa classe quando, e solo quando, siano congrui rispetto al modulo x2 + 1, cioè quando, e solo quando, la loro differenza risulti un polinomio divisibile per x2 + 1 (nel qual caso Cauchy li diceva equivalenti).
Ove s'indichi la classe individuata da un elemento di Ω racchiudendo fra parentesi quadre il simbolo dell'elemento, detto P un elemento di Ω, la classe [P] sarà l'insieme degli elementi di Ω congrui a P rispetto al modulo x2 + 1; e quindi, se P′ è uno qualunque di questi, ossia, se, come si scrive, è
sarà [P] = [P′].
In particolare le classi [0] e [1], che si diranno, rispettivamente, le classi zero ed uno, saranno, la prima l'insieme degli elementi di Ω divisibili per x2 + 1, la seconda l'insieme di quelli che divisi per x2 + 1 dànno per resto 1.
Se P, P′, Q, Q′ sono elementi di Ω ed è
si vede subito che è pure
quindi si possono definire la somma e il prodotto delle classi [P] e [Q], da indicare rispettivamente con [P] + [Q] e [P]+ (Q] o [P] [Q], ponendo
Si vede subito che per le somme e i prodotti così definiti valgono le proprietà commutativa ed associativa, e che inoltre i prodotti godono della proprietà distributiva rispetto alla somma.
Naturalmente le nozioni di somma e prodotto potranno essere estese a un numero qualunque di classi, e la potenza nq (n intero positivo) d'una qualsiasi classe [P] si definirà ponendo [P]n = [Pn].
Importa infine osservare che, essendo x2 + 1 irriducibile nel corpo reale, il prodotto di due elemienti di Ω non può esser divisibile per x2 + 1, se non a patto che tale sia o P o Q; quindi è ([P] [Q] = [0], se, e solo se, è [P] = [0] oppure [Q] = [0].
Fra gli elementi di Ω appartenenti alla classe [P] vi è il resto della divisione di P per x2 + 1; questo è un binomio del tipo a + b, ed è l'unico binomio sì fatto appartenente alla classe; dunque ogni classe è rappresentabile, e in un modo solo, nella forma [a + bx], o, ciò che fa lo stesso, [a] + [b] [x].
Convenendo di indicare con i la classe [x] e con lo stesso simbolo rappresentante un numero reale la classe cui appartiene questo numero, si potrà scrivere a + bi al posto di [a] + [b] [x].
In conformità di ciò le classi zero ed uno saranno da indicare semplicemente con 0 ed 1; e quanto alla classe i, essendo [x]2 + [1] = [x = + 1] = [0], si avrà i2 + 1 = 0.
Ebbene basta chiamare numeri complessi le classi di polinomî considerate, per avere di quei numeri una definizione nominale, e per riconoscere che fra di essi si può istituire un calcolo del tutto simile a quello che il Bombelli istituì per gli enti da lui idealmente introdotti. Inoltre ove si convenga di mutare il significato della frase "numero reale" cliamando "numeri reali nel nuovo senso" le classi di elementi di Ω individuate dai numeri reali nel senso primitivo, può dirsi che l'insieme dei numeri complessi contiene come parte quello dei numeri reali.
3. Del numero complesso a + bi, a si dice la parte reale, bi la parte immaginaria pura, b il coefficiente dell'unità immaginaria i, a2 + b2 la norma (Gauss) e
(il radicale essendo preso in significato aritmetico) il modulo (Argand).
Le leggi fondamentali del calcolo con i numeri complessi, applicate continuamente dal Bombelli, sebbene non le abbia tutte esplicitamente enunciate, possono essere espresse nel seguente modo:
Due numeri complessi si dicono opposti, se la loro somma è 0; inversi, se il loro prodotto è1; in ogni caso essi s'individuano reciprocamente.
L'opposto di a + bi è (− a) + (− b) i, o, come si scrive − a − bi; l'inverso di a − bi, che si denota con
esiste, se, e solo se, a + bi ≠ 0 ed è dato da
Naturalmente, introdotte le nozioni di opposto e d'inverso di un numero complesso, si stabiliscono al solito modo quelle di differenza e di quoto di due numeri complessi, per le quali si adoperano notazioni simili a quelle in uso per i numeri reali.
Due numeri complessi si dicono coniugati, quando nella loro somma è nulla la parte immaginaria pura; e quindi, se a + bi è uno di essi, l'altro è a − bi. Il prodotto di due numeri complessi coniugati è la loro norma comune.
4. Rappresentazione geometrica dei numeri complessi. - La rappresentazione geometrica dei numeri complessi, che risale a Wessel e Argand, consiste nel considerare un piano sul quale sia stato stabilito un sistema di coordinate cartesiane ortogonali e nel far corrispondere al numero complesso a + bi il punto P del piano che ha per ascissa a e per ordinata b.
Allora il punto P si dice indice del numero a + bi, e questo, a sua volta affisso di P. Inoltre il piano, sul quale per tal modo viene distesa la totalità dei numeri complessi, si dice un piano di Gauss.
Se O è l'origine delle coordinate, U il punto dell'asse delle x di ascissa 1, e P, Q sono gl'indici dei numeri complessi a + bi e c + di, l'indice di (a + bi) + (c + di) è il punto R pel quale il segmento orientato QR risulta equipollente (cioè parallelo, di uguale lunghezza e di ugual verso) al segmento orientato OP (fig.1), e l'indice di (a + bi) (c + di) è il puuto S, per il quale il triangolo AOS è simile e similmente posto al triangolo UOP (fig. 2).
5. Siano ρ (≥ 0) e le coordinate polari dell'indice P del numero complesso a + bi, rispetto al punto O come polo e all'asse come asse polare, nell'ipotesi che il verso positivo delle rotazioni nel piano sia quello conducente, attraverso l'angolo reao, il verso positivo dell'asse su quello dell'asse y (fig. 3); sarà
indi
Il numero ρ è dunque il modulo di a + bi; quanto a ϑ, individuato da a + bi solo a meno di multipli di 2π, si dice l'argomento di a + bi.
Si vede subito che se
si ha
e, supposto c + di ≠ o,
Dalla (6) discende per n intero positivo
e quindi se α + βi = r (cos ϕ + i sen ϕ) è un assegnato numero complesso e si vuole che la potenza nma di a + bi eguagli a + iβ, ρ e ϑ debbono essere scelti in maniera che risulti ρn = r ed nϑ = ϕ + 2 kπ, (con k intero relativo o nullo). Dunque, le radici nme di α + βi sono date tutte dalla formola (del De Moivre)
dove
è presa in significato aritmetico; e poiché quest'espressione prende valori eguali quando per k si pongano interi differenti per multipli di n si ha che, se α + βi ≠ o, le sue radici nme diverse sono n e i loro valori sono dati dalla (8) ponendovi successivamente k = 0, 1, ..., n −1.
6. Per arrivare alle nozioni di potenza a base ed esponente complesso e alle formule di Eulero già ricordate si procede, oggi, nel seguente modo. Nella teoria delle funzioni reali di una variabile reale si dimostra che:
dove x è un qualsiasi numero reale ed e sta ad indicare la base dei logaritmi neperiani (v. funzione; Funzioni notevoli, n.42). Ora si verifica subito che le serie di potenze a secondo membro delle (9) sono convergenti (assolutamente ed uniformemente) per ogni valore reale o complesso di x; quindi si possono definire le funzioni e2, sen z, cos z per valori complessi di z ponendo
allora i teoremi sulle serie forniscono immediatamente
indi
e mediante queste formule si possono estendere tutte quelle dell'ordinaria goniometria alle funzioni sen z e cos z.
Ciò posto, si dice logaritmo neperiano di un numero complesso z = r (cos ϕ + sen ϕ) ≠ 0 e si indica con log z un numero complesso a + bi tale che risulti
Dalla (10) discende
indi
con k intero (??? 0). Da ea = r si trae a − l̄og r indicando con l̄og r il logaritmo neperiano del numero positivo r, nel senso dell'algebra elementare, e quindi in definitiva
La funzione log z così definita riesce dunque una funzione ad infiniti valori, due qualunque di questi differendo per multipli di 2 π i.
Ebbene, se u e v sono numeri complessi, con u ≠ 0, si definisce la potenza uv ponendo
di guisa che anche uv riesce in generale una funzione a infiniti valori.
7. Gl'immaginarî di Galois. - si supponga che Γ sia un qualsiasi corpo numerico, finito od infinito (v. aritmetica: Aritmetica superiore, n. 15), e che Ω sia l'insieme dei polinomî con una indeterminata x, i cui coefficienti siano numeri di Γ.
Allora, se H è un qualsiasi elemento irriducibile di Ω e si distribuiscono gli elementi di Γ in classi, ponendo due tali elementi in una stessa classe quando, e solo quando, essi siano congrui rispetto ad H, si riscontra che codeste classi possono concepirsi a loro volta come gli elementi di un nuovo corpo numerico Γ′, del quale si può dire che contiene P come parte, dopo aver modificato la definizione dei numeri di Γ′ in modo analogo a quanto è stato fatto per il corpo reale nel n. 2.
Se Γ è finito e ha per elementi le classi in cui si distribuiscono gli ordinari numeri interi rispetto ad un modulo primo p, gli elementi di Γ′ non contenuti in Γ sono altrettanti immaginarî di Galois.
8. Sistemi di numeri ipercomplessi. - I primi tentativi di estensioni ulteriori del concetto di numero, oltre quella già compiuta con l'introduzione dei numeri complessi, risalgono al Wessel e all'Argand - tentativi che, come è facile intuire, furono suggeriti spontaneamente dalla via geometrica sulla quale si erano mossi. Rappresentati i punti di un piano mediante enti numerici a due unità (i ed i), era naturale porsi un problema consimile per i punti dello spazio ordinario mediante enti numerici a tre unità.
L'interesse per questo problema che richiamò per lunghi anni l'attenzione di W. R. Hamilton e che finì per condurlo alla scoperta dei quaternioni (v.) fu, per qualche tempo, sminuito da quanto ebbe ad affermare Gauss nella nota già citata del 1831 - che, cioè, non era possibile introdurre enti numerici a più di due unità, ove si fosse voluto mantenere intatto l'insieme delle proprietà fondamentali delle quattro operazioni dell'aritmetica ordinaria.
Che l'affermazione di Gauss fosse esatta fu dimostrato da E. Hankel nella sua Theorie der complexen Zahlensysteme del 1867, ma si ebbe torto di trarne la persuasione assai diffusa e deplorata da E. Study (in Monatsh. für Math. und Phys., 1890), che i sistemi di numeri a più che due unità non fossero di alcuna utilità e che a niente essi conducessero, cui non si potesse altrettanto bene pervenire senza farvi alcun ricorso.
Comunque, lo studio dei numeri ipercomplessi, cui apportò contributi notevolissimi H. Grassmann (v.) con la sua Aqusdehnungslehre del 1862, si è venuto via via arricchendo - per opera principalmente di G. Frobenius, di Beniamino e Carlo Peirce, di E. Cartan, del Wedderburn, del Dickson e della sua scuola - di così importanti risultati, che oggi la teoria dei sistemi di numeri ipercomplessi o (con denominazione introdotta dal Wedderburn) delle algebre è una delle discipline matematiche che più attrae l'attenzione degli studiosi negli Stati Uniti d'America e in Germania. Oltre di che la teoria delle algebre è stata posta in relazione con la teoria dei gruppi continui (G. Scheffers, E. study, E. Cartan) o dei gruppi di ordine finito (G. Scorza, O. Speiser, Fichera), trova applicazioni fecondissime nello studio delle matrici di Riemann (Scorza, S. Spampinato, Albert) e ha condotto il Dickson a una vasta generalizzazione della teoria dei numeri algebrici. Non essendo possità le entrare qui, a questo proposito, in troppi particolari, basti accennare rapidissimamente alle nozioni e ai teoremi più importanti, e rimandare il lettore desideroso di maggiori dettagli ai trattati di Scorza e Dickson.
9. Indicato con Γ un qualsiasi corpo numerico, si dice che un insieme A è un'algebra in Γ d'ordine n, quando, indicati con x, y, z elementi di A e con α, α′ numeri di Γ, gode delle seguenti proprietà:
I. È definito, in modo unico, un elemento di A da chiamar somma di x ed y e da indicare con x + y;
II. È
di guisa che è possibile estendere al solito modo la nozione di somma a un numero qualsiasi di elementi di A;
III. È definito, in modo unico, un elemento di A da chiamar prodotto di α ed x o di x ed a, e da indicare, indifferentemente, con
IV. È
V. È possibile determinare, in A, n elementi u1, u2, ..., un (n = 1), così che gli elementi di A siano dati tutti, e ciascuno una volta sola, dall'espressione
al variare delle aj fra i numeri di Γ; in particolare lo zero di A, da indicare con 0, è l'elemento che si ottiene facendo nulle tutte le aj;
VI. È definito, in modo unico, un elemento di A da chiamar prodotto di x ed y, e da indicare con x.y o xy;
VII. È
L'algebra A si dice poi associativa (commutativa), se per i prodotti, di cui in VI, vale la proprietà associativa (commutativa).
Quando A è associativa si può introdurre per i suoi elementi la nozione di potenza con esponente intero positivo; e per tali potenze, da indicare con la notazione in uso per le potenze dei numeri, vale la proprietà fondamentale espressa dalla formula xr•xs = xr+s.
In conformità delle definizioni ora poste, l'insieme dei numeri complessi e quello dei quaternioni di Hamilton sono delle algebre associative nel corpo reale degli ordini 2 e 4, rispettivamente.
10. Un altro esempio estremamente notevole d'algebra associativa si ottiene nel seguente modo. Si consideri la totalità M delle matrici d'ordine p (v. determinanti; matrice), i cui elementi siano numeri di un corpo Γ, e si suppongano definite per essa le operazioni di cui in I, III, VI al modo che usa nel cosiddetto calcolo delle matrici; saranno soddisfatte le proprietà II, IV, VII e inoltre l'operazione di prodotto fra elementi di M godrà della proprietà associativa. Se si indica con ci,j la matrice di M, che ha nulli tutti gli elementi, tranne quello ove si incrociano la riga ima e la colonna jma, che è uguale a 1, per un elemento qualunque x = ∥αi,j∥ di M si può scrivere
e dunque M è (si vede subito) un'algebra associativa di ordine p2.
11. Due algebre A e A′, definite nello stesso corpo numerico Γ, si dicono equivalenti, se è possibile stabilire fra i loro elementi una tal corrispondenza biunivoca che, detti x, y elementi qualunque di A, e x′, y′ gli elementi omologhi di A′, agli elementi ax, x + y, xy di A corrispondano gli elementi x′, x′ + y′ ed x′y′ di A′, essendo α un qualunque numero di Γ.
L'importanza di questa nozione, dovuta a B. Peirce, discende da ciò che oggetto della teoria delle algebre è lo studio di quelle delle loro proprietà che sono invarianti di fronte alla relazione di equivalenza. Tali sono, in particolare, le proprietà di un'algebra espresse col dire che essa è, o non, associativa (commutativa).
Nel seguito, per brevità, supporremo sempre che le algebre di cui si tratta siano associative.
12. Se u ed x sono elementi di un'algebra, ed è ux = xu = x, qualunque sia x, u si dice un modulo dell'algebra. Se un'algebra è dotata di modulo, questo è necessariamente unico.
Se per gli elementi x ed y di un'algebra si ha xy = 0, con x ≠ 0 e y ≠ 0, ognuno di essi si dice un divisore dello zero.
Un elemento di un'algebra si dice pseudonullo, se non è nullo, ma è tale qualche sua potenza.
13. Un insieme di elementi di un'algebra può essere a sua volta un'algebra; in tal caso esso si dice una sotto-algebra dell'algebra, propria od impropria, secondo che non coincide o coincide coll'algebra data.
Una sotto-algebra B di un'algebra A si dice invariante (in A), se appartiene a B ogni prodotto del tipo ab o ba, con a elemento di A e b elemento di B.
14. Un'algebra si dice pseudonulla, se tutti i suoi elementi sono pseudonulli; e, in particolare, si dice una zero-algebra, se tutti i prodotti di suoi elementi sono nulli.
Un'algebra si dice, poi, semi-semplice, se è priva di sotto-algebre invarianti proprie pseudonulle; semplice, se è priva di sotto-algebre invarianti proprie; primitiva, se è priva di divisori dello zero; regolare, se è equivalente a un'algebra come la M del n. 10.
Infine, se B e C sono sotto-algebre di un'algebra A, si dice che A è somma diretta di B e C, se ciascun elemento di A può pensarsi, in un modo solo, come somma di un elemento di B con uno di C, e se è nullo ogni prodotto di un elemento di B (di C) per uno di C (di B); si dice invece che A è prodotto diretto di B e C, se l'ordine di A è il prodotto degli ordini di B e C, e ogni elemento di A è somma di prodotti del tipo bc, con b in B e c in C, e per ogni tale prodotto si ha bc = cb.
La nozione di somma diretta è estendibile a un numero qualunque di sotto-algebre.
15. Premesso tutto ciò, ecco alcuni dei teoremi più importanti della teoria:
Un'algebra qualsiasi, si può sempre considerare come equivalente a una sotto-algebra di un'algebra regolare (Carlo Peirce);
Un'algebra semi-semplice o è semplice, o è somma diretta di algebre semplici (Wedderburn);
Un'algebra semplice o è una zero-algebra di ordine 1, o è il prodotto diretto di un'algebra primitiva per un'algebra regolare (Wedderburn); e, in questo secondo caso, lo spezzamento di essa in un tal prodotto diretto è unico di fronte alla relazione d'equivalenza (Scorza);
Un'algebra primitiva nel corpo reale è equivalente o al corpo reale o al corpo dei numeri complessi o all'algebra dei quaternioni di Hamilton (Frobenius).
Di qua e dal precedente teorema del Wedderburn si deduce la struttura di ogni algebra semplice nel corpo reale, che era stata già assegnata dal Cartan e che servì al Wedderburn quale punto di partenza per la ricerca del suo teorema generale. Al Wedderburn è pure dovuto un teorema d'estrema importanza sulla struttura dí un'algebra qualsiasi.
Bibl.: Non essendo possibile citare qui tutte le numerose pubblicazioni sui numeri complessi o ipercomplessi, ci limitiamo a rimandare il lettore all'accurato articolo di D. Gigli sui Numeri complessi a due o più unità, in Questioni riguardanti le matematiche elementari raccolte e coordinate da F. Enriques, parte 1ª, II, Bologna 1925, pp. 133-270; e ai seguenti trattati: G. Scorza, Corpi numerici e algebre, Messina 1921; L. E. Dickson, Algebras and their arithmetics, Chicago 1923; id., Algebren und ihre Zahlentheorie, Zurigo e Lipsia 1927. Per notizie storiche e per il raffronto tra le divesre nomenclature usate nella teoria delle algebre: G. Scorza, Le algebre di ordine qualunque e le matrici di Riemann, in Rendic. del Circ. mat. di Palermo, XLV (1921), pp. 1-204.