Ḥabībī, Imīl
Scrittore palestinese, nato a Haifa il 29 agosto 1922, morto a Nazareth il 2 maggio 1996. Tra i fondatori (1943) della Lega di liberazione nazionale (organizzazione sorta sulle spoglie dell'ex partito comunista palestinese composto da Arabi ed Ebrei), nel 1947 aderì alla linea sovietica della spartizione della Palestina e nel 1948 sostenne la riunificazione con il partito comunista israeliano Maqi, di cui entrò a far parte. Nel 1964-65, quando il Maqi divenne un partito esclusivamente ebraico, Ḥ. partecipò alla fondazione del partito Rakah, Nuova lista comunista. Direttore del quotidiano al-Ittiḥād (L'unità), organo del partito comunista, fu deputato alla Knesset dal 1952 al 1972. Nel 1991 si dimise dal partito comunista, lasciando anche la direzione del giornale; nel 1995 fondò la rivista Mašārif (Sguardi) con l'intento di diffondere tra gli Israeliani la cultura arabo-palestinese. Soprattutto negli ultimi anni di vita prese parte al movimento pacifista Shalōm ‚akhshān (Pace ora) e strinse un rapporto di collaborazione con lo scrittore israeliano Y. Kaniuk. È stato il primo scrittore arabo a essere insignito del premio Israele per la letteratura (1992), riconoscimento che gli è costato critiche da parte di alcuni suoi connazionali.
Strenuo sostenitore della causa palestinese e contrario alla diaspora, in particolare Ḥ. ha criticato con sottile ironia e ricorrendo spesso a originali giochi di parole quei Palestinesi che, costretti a emigrare, si sono stabiliti in un esilio dorato nei ricchi paesi del Golfo. La sua prima opera, la raccolta di racconti Sudāsiyyat al-ayyām al-sitta (1968; trad. it. Sestina dei sei giorni, 1984), è incentrata proprio sul problema dell'emigrazione: la disfatta della guerra dei Sei giorni (1967), che per il popolo palestinese ha significato la catastrofe, viene riconsiderata da Ḥ. con feroce sarcasmo come l'evento che ha consentito a molte famiglie palestinesi, emigrate nel 1948 dopo l'occupazione israeliana, di ricongiungersi.
Nel suo capolavoro, il romanzo al-Waqā'i῾ al-ġarība fī ih̠tifā' Sa῾īd Abī al-Naḥs al-mutašā'il (1974; trad. it. Le straordinarie avventure di Felice Sventura, il pessottimista, 1990), Ḥ. ha rappresentato la realtà palestinese dalle angolazioni più diverse: ha duramente polemizzato con coloro che servilmente collaborano con le autorità israeliane, ma ha anche affrontato il tema del sospirato ritorno in patria. I Palestinesi, una volta ottenuto dagli Israeliani il permesso di fare una breve visita in Palestina, non riescono a riconoscere né i luoghi della loro infanzia, che sono divenuti ormai uffici o abitazioni moderne israeliane, né le persone, i vecchi abitanti di quegli stessi luoghi una volta così familiari. Le critiche di Ḥ. naturalmente colpiscono duramente anche gli atteggiamenti razzisti del governo israeliano sia nei confronti degli Arabi sia verso gli Ebrei immigrati dai paesi asiatici e africani. Il romanzo è stato anche tradotto in ebraico con il titolo Ha'op Simist (1986).
L'ultimo suo romanzo è Ih̠ṭiyya (1986; trad. it. Peccati dimenticati, 1997), ambientato nella primavera degli anni Settanta a Haifa, paralizzata da un gigantesco ingorgo stradale. L'immaginazione, l'ironia e un linguaggio agile e ricco di innovazioni stilistiche, nonché di termini ebraici sono gli strumenti con cui Ḥ. descrive la realtà dei Palestinesi, ormai privati delle proprie radici, degli 'stranieri in patria', così come si definisce lo stesso scrittore.
Ḥ. ha pubblicato inoltre l'opera teatrale Luka῾ ibn Luka῾ (1980).
bibliografia
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