Vedi IMERA dell'anno: 1961 - 1973 - 1995
IMERA (v. vol. iv, p. 119)
L'identificazione del sito archeologico di I., dovuta per primo a Tommaso Fazello e riconfermata poi dallo Houel, dal Palmeri, dal Meli, dal Mauceri, dal Cavallari, dal Salinas e dal Gabrici - ad eccezione delle voci discordanti del Cluverio e del Di Giovanni - fu posta in relazione proprio con la collina che limita a meridione una parte della Pianura di Buonfornello e col sito occupato a valle dal grande tempio dorico cosiddetto "della Vittoria" che venne, in seguito, interamente scavato da Pirro Marconi negli anni 1929-30, ad occidente della foce del Fiume Grande. Scavi regolari, ad I., dopo le rapide e fortunate campagne del Marconi, non ne sono stati effettuati e si può dire che il discorso sia stato riaperto dall'Istituto di Archeologia dell'Università di Palermo, dopo più che un trentennio di silenzio. Una volta riportato alla luce il tempio di Buonfornello e raccolti, pure da parte del Marconi, sicuri indizî sulla preesistenza di un santuario a valle, correva l'obbligo di individuare i resti della città antica sulla collina e quindi avviare l'esplorazione sistematica dell'area urbana.
Il Piano di I. è una vasta spianata in forma di triangolo con vertice a S, che corona la collina orientale delle due occupate dalla città antica, nel periodo della sua massima espansione. La fronte settentrionale della collina scende con ripido declivio verso la pianura di Buonfornello, il versante orientale si articola in dossi e scoscendimenti ed è limitato a valle dall'ampio alveo del Fiume Grande (o fiume I. settentrionale). Sul Piano di I. l'Istituto di Archeologia di Palermo ha condotto dal maggio del 1963 ad oggi una serie di fortunate campagne di scavo che hanno permesso l'identificazione di un'area sacra (con tre templi, un altare e tracce del recinto) nel settore NE del pianoro, di due grandi quartieri dell'impianto urbanistico della città antica nelle zone NO e SO del Piano di I. e, infine, la localizzazione di tre lembi di una vasta necropoli lungo i bordi S e SO del pianoro ed alla larga base del Cozzo Scacciapidocchi, che chiude l'acuto vertice meridionale del Piano di Imera. Numerosi saggi sono stati dedicati alla ricerca della cinta muraria arcaica sulla collina, all'indagine delle zone di terreno circostanti il tempio cosiddetto "della Vittoria" nella pianura di Buonfornello, oltre che all'individuazione delle propaggini della città bassa ad O del noto tempio dorico e della foce del Fiume Grande.
L'area sacra. Il Tempio A, il più antico dei tre templi riportati alla luce, è di piccole proporzioni (m 15,75 × 6,04), è volto ad E con accesso sullo stesso lato e risulta bipartito con un profondo pronao ed un piccolo sekòs delimitato da antae. La tecnica muraria è del tutto particolare: i muri sono costruiti con ciottoli di fiume legati con terra e messi in opera col sistema della doppia cortina; il paramento esterno è protetto nelle fondazioni da lastre di terracotta disposte per taglio, con funzione di fascia battiacqua. Degli elementi di copertura del naìskos arcaico ci sono pervenuti due soli esemplari della bassa decorazione fittile che fungeva, ad un tempo, da cassetta e da sima, con al centro della lastra il tubo di sgrondo. Lo svuotamento del sacello ha reso moltissimi vasi di piccole proporzioni, appartenenti per lo più agli stili tardogeometrico e orientalizzante, ed agli stili della ceramica corinzia noti come Transitional, early Corinthian e middle Corinthian; significativa la testimonianza di alcune classi ceramiche attiche della metà del VI sec. a. C., e particolare interesse rivestono pure diversi interessanti esemplari di ceramiche locali acrome e grezze. Tra gli oggetti di maggior richiamo si contano: due belle cuspidi bronzee di lancia, due statuette di bronzo, un'Atena ed un'offerente, una bella faïence policroma rappresentante un orientale nudo, prono, in atteggiamento osceno, una laminetta aurea lavorata a sbalzo con la figura di una Gorgone in corsa. Per quanto riguarda la datazione del sacello arcaico A dei suoi materiali essa è da ritenersi compresa tra gli ultimi due decennî del VII ed il secondo venticinquennio del VI sec. a. C. Il deposito votivo del Tempio A venne istituito all'atto della costruzione dell'edificio e fu arricchito mano mano sino al momento in cui, andato in disuso il naiskos arcaico, fu decisa la nascità del più grande e sontuoso Tempio B. Il costruttore dell'edificio B rispettò certo, per motivi religiosi, le strutture dell'antico sacello inserendole nella pianta del nuovo tempio che si andava costruendo. Il Tempio B presenta un vasto impianto rettangolare (m 30,70 × 10,6o), orientato ad E, ed è su questo lato che una pedana (lunga m 2,75) consente l'accesso. In origine la costruzione doveva essere quadripartita con ambienti di diversa ampiezza. Il nuovo edificio, come il Tempio A del resto, non aveva peristasi e la copertura doveva poggiare sui muri perimetrali. La tecnica costruttiva è realizzata con blocchi di pietra calcarea accostati e rinzeppati con terra e schegge secondo il sistema della doppia cortina: i muri divisorî e quelli perimetrali sono assai robusti (m 1,50-1,70), il taglio dei conci è abbastanza regolare in facciata. Lungo i lati S ed E, soprattutto, del Tempio B venne recuperato durante lo scavo un numero ingentissimo di frammenti di terrecotte figurate ad altorilievo ed a tuttotondo e di terrecotte architettoniche, le une e le altre spesso ravvivate dalla policromia. I tipi plastici rappresentano soggetti tra i più disparati e possono essere raggruppati in tre categorie distinte (metope, frontoni, figure acroteriali), da ascrivere forse a successive fasi della decorazione del tempio. Vivo interesse rivestono alcuni frammenti di metope con resti di figure maschili stanti e di figure, mutile, di guerrieri gradienti; notevoli frammenti policromi di figure animali, tra cui una splendida testa di ariete e parte di un grandioso gruppo di belve in lotta, sarebbero da attribuire alla decorazione frontonale; mentre il terzo gruppo di sculture di terracotta, la cui superficie è ricoperta da uno strato molto fine di "invetriatura" gialloverdina, avrebbe avuto destinazione acroteriale. Per la tecnica costruttiva, per la documentata saldatura cronologica con il naìskos arcaico, per la varietà dei materiali rinvenuti, la durata dell'edificio B è da calcolare in almeno un secolo e mezzo, sino alla scomparsa della vecchia colonia di Zankle. Altra prova della lunga vita del Tempio B è nella varietà dei suoi rivestimenti architettonici di terracotta policroma, nel cui repertorio si possono chiaramente distinguere due tipi: il primo a decorazione lineare, con scarsissimi aggetti; il secondo tipo di dichiarato gusto plastico, con prevalenza di particolari a rilievo. Nella zona N dell'area sacra, a 22 m di distanza dai Templi A e B, è stato scoperto il perimetro di un terzo tempio, il Tempio C (m 14,30 × 7,15) anch'esso orientato ad E, parallelo ai primi due e allineato con la fronte E del Tempio B. Il nuovo edificio risultò bipartito. Malgrado i reperti siano assai scarsi e non consentano di poter agevolmente seguire la storia dell'edificio, tuttavia, in base all'osservazione della tecnica muraria a blocchetti con faccia squadrata messi in opera col solito sistema del doppio paramento ed alla cronologia degli elementi di copertura (frammenti di antefisse a protome gorgonica ed a palinetta pendula), possiamo assegnare il Tempio C ai primi decennî del V sec. a. C. La tipologia dei tre templi finora descritti rientra nello schema cosiddetto "predorico", largamente documentato in Sicilia. Verso l'estremo limite del pianoro, 32 m ad E dei Templi A e B e in direzione del loro asse longitudinale, è stato riportato in luce l'impianto di un grande altare rettangolare (m 13,10 × 5,60), di cui si conservano soltanto le fondazioni. Lungo il lato N del Tempio C, nel settore NE del Piano di I. ed in prossimità dell'altare sono state rinvenute alcune labili tracce del recinto che doveva proteggere ed isolare in età arcaica il tèmenos.
L'abitato. Grande importanza rivestiva lo scavo dell'abitato per lo studio della tipologia delle case e per la definizione dei caratteri generali dell'urbanistica imerese. I due complessi finora scavati si presentano come grandi rettangoli disposti, secondo il loro asse principale, in direzione E-O: il quartiere NO misura m 156 × 32, il quartiere SO m 6o × 56. L'andamento planimetrico delle zone scavate presenta un impianto rigidamente ortogonale, ed il quartiere NO è limitato lungo la fronte N da una bella strada larga m 5,40; uno stretto ambitus disposto nel senso E-O suddivide il tracciato in due grandi fasce parallele; alcuni passaggi secondarî, intersecandosi, delimitano in ciascuna fascia i blocchi di abitazione in settori di m 16 × 16. Si tratta del ben noto sistema per strigas che anticipa, in territorî greci o grecizzati, questa particolare limitazione romana del terreno. Una soluzione di eccezionale valore urbanistico è stata adottata occupando l'area triangolare a settentrione nel quartiere NO, tra la strada ed il ciglio della collina, con l'inserimento di un piccolo quartiere i cui resti ricoprono una superficie di m 92 × 32,60. Scarsissimi sono i resti dei muri arcaici; quelli scoperti, tutti costruiti con minuscoli ciottoli fluviali, sembrano posteriori alla metà del VI sec. a. C. e risultano disposti nel senso NO-SE, con orientamento press'a poco corrispondente a quello degli edifici dell'area sacra. A un certo momento, intorno ai primi decennî del V sec. a. C., e quindi in coincidenza del periodo di massimo splendore della colonia, deve essere stato creato di getto sul Piano di I. un nuovo impianto, le cui fasi possono essere ricostruite attraverso l'esame di tre particolari tipi di tecnica muraria, sino al momento della distruzione della città nel 409 a. C. Lo scavo delle case ci ha consentito di raccogliere un numero ingente di materiali. Molto abbondante è la ceramica siceliota a figure rosse degli ultimi decennî del V sec. a. C.; ma non mancano notevoli esempî di ceramica a vernice nera di forme e dimensioni diverse, di ceramiche acrome locali e di fine ceramica con bella decorazione a larghe fasce brune, rosse o violacee. Numerose sono le terrecotte figurate, tra cui un rilievo con Scilla ed uno con la singolare rappresentazione di un vecchio alato che stringe a sé un giovanetto nudo, Dedalo e il figlio suo Icaro, entrambi sulla groppa di un toro: il soggetto sarebbe da intendersi come un'inedita versione di un momento del mito relativo alle peregrinazioni di Dedalo. Fra gli oggetti minori, segnaliamo: matrici fittili, lucerne, frammenti di loutèria di marmo e di terracotta, alcuni utensili di ferro e di bronzo, ecc. Assai rilevante è il numero delle monete, per gran parte delle zecche di I., Siracusa e Agrigento.
Fortificazioni. All'estremità NE del Piano di I., nel punto in cui ha inizio il declivio, è stata scoperta una torre della cinta muraria. Il bastione ha forma quadrata (m 6 di lato), guarda ad E verso il fiume, e doveva originariamente collegarsi alla cortina muraria che difendeva in quel punto il limite del pianoro. Nel settore SE del Piano di I., laddove nel 1877 Luigi Mauceri aveva individuato tracce della cinta muraria arcaica, sono stati scoperti e riportati in luce i resti di un grande muro ad aggere di difesa, il cui allineamento si è potuto seguire per oltre 57 metri. La struttura si presenta a grossi blocchi informi di tipo poligonale con un fitto riempimento, all'interno, di scheggioni e ciottoli di fiume; nei punti meglio conservati l'impianto della cinta raggiunge alla base i 7 m di spessore.
Necropoli. Lungo i bordi S e SO del pianoro (al limite tra i territorî di Buonfornello e di Villaurea) ed alla base del Cozzo Scacciapidocchi, sono stati localizzati tre lembi di un'estesa necropoli, di cui è documentata finora la vastità piuttosto che l'importanza, Le deposizioni, tutte singole, sono entro grandi sarcofagi di terracotta ottenuti con l'accostamento di lastre piane, protetti da un coperchio a doppio spiovente costruito anch'esso con lo stesso sistema della cassa. Con la grandiosità dei sarcofagi contrastano l'esiguità e la modestia dei corredi, spesso riducendosi alla presenza di una lucerna monolöchnos; soltanto tre tombe hanno reso corredi funebri di una certa entità. Il tipo delle deposizioni e la cronologia dei reperti assicurano trattarsi di una necropoli frequentata a partire dalla metà circa del V sec. a. C., almeno nei settori finora individuati e scavati. Se, poi, tale cronologia venisse in seguito riconfermata, con l'ampliamento delle indagini, potrebbe delinearsi una palese connessione tra le ultime fasi, oggi note, dell'abitato di I. e la necropoli or ora descritta.
Bibl.: W. Fuchs, in Arch. Anz., 1964, Heft 4, cc. 675; 694 ss.; A. Adriani, in Kòkalos, X-XI, 1964-65, p. 287 ss.; E. Joly, in Fasti Arch., XX, 1965, nn. 1876; N. Bonacasa, in Labor, VI, 1965, p. 168 ss.; id., in Vidya, III, 1965, p. 50 ss.; id., in Archeologia, 32, 1966, pag. 57 ss.; A. Adriani, in Kòkalos, XIII, 1967, p. 216 ss.; N. Bonacasa, in Sicilia, 56, 1967, p. 8 ss.; id., in Ann. Atene, XLV-XLVI, 1967-68, p. 303 ss.; id., in Kòkalos, XIV-XV, 1968-69, p. 113 ss.; A. Adriani, in Atti II Conv. Inter. Numism., Napoli, 1969 (in corso di stampa); Himera I, Campagne di scavo 1963-1965 (rapporto preliminare a cura di A. Adriani, N. Bonacasa, E. Joly, C. A. Di Stefano, con la collaborazione di G. Schmiedt, A. Tusa Cutroni, M. T. Manni Piraino), Palermo 1970.